Quaecumque dixero vobis




Quaecumque dixero vobis
●«Mi è difficile persino capire come mai non si veda che ditirambi del genere sovvertono il bianco in nero e come mai l’evidenza delle strade storte e dei non pochi trabocchetti renda sempre più spedito e disinvolto il passo verso il pericolo mortale» (B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis, pp. 190-191).
Mons. Gherardini invita saggiamente a non chiudere «gli occhi per convincersi che la Tradizione è contenuta interamente nei documenti dell’ultimo Concilio», ma ad aprirli «per vedere dove in esso la continuità s’interrompe e in che direzione volgere i propri passi per il recupero del “quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est”» (ib., p. 192).


Un libro di grande attualità
Gesù nel Vangelo di San Giovanni (XIV, 26) promette: «Lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi spiegherà il significato di tutto ciò che vi dirò[quaecumque dixero vobis]». Mons. Brunero Gherardini ha intitolato il suo ultimo libro appuntoQuaecumque dixero vobis / Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia(Torino, Lindau, 2011)[1]. Questo volume completa e perfeziona l’altro sulla Tradizione (Tradidi quod et accepi / La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010) ed ha la qualità di definire in maniera breve, sistematica ma approfondita i termini trattati, specialmente quello di Tradizione.
La “ragion d’essere” di questo libro è fondamentale e attualissima per la crisi che attanaglia ancor oggi l’ambiente cattolico. L’Autore riprende le sue due ultime opere sul Concilio Vaticano II (Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009) e sulla Tradizione (cit., 2010) e sin dall’inizio si ri-pone la domanda se vi sia continuità tra Vaticano II e Tradizione apostolica ribadendo che «una semplice asserzione affermativa [di continuità] non ha di per sé un valore apodittico. Non basta affermare, occorre dimostrare e il Vaticano II proprio questo trascura» (Quaecumque…, p. 7). Già gli antichi, ma saggi scolastici insegnavano: “Quod gratis affirmatur, gratis negatur”.
Ratzinger: Concilio=Tradizione
L’Autore cita vari discorsi fatti da Ratzinger, teologo, vescovo, cardinale e Papa, sullacontinuità tra Vaticano II e Tradizione, che è il filo conduttore del suo pensiero teologico, secondo il quale “difendere oggi la vera Tradizione della Chiesa significa difendere il Concilio [Vaticano II]”[2] ed ancora: «la difesa della Tradizione è la difesa del Concilio»[3]. Il suo intento di sempre (nel 1960 come nel 2011), perciò, è quello di “promuovere il Vaticano II” (ib., p. 11). «Parole chiare – commenta Gherardini – per esprimere un pensiero altrettanto chiaro: se vuoi professare la secolare Fede della Chiesa, devi professare – oppure basta che tu professi – la Fede del Vaticano II» (ib., p. 19). Stando così le cose, il problema dell’obbligatorietà del Vaticano II nemmeno si pone per Benedetto XVI. Il Concilio – secondo lui – è assolutamente necessario per essere cattolici (cfr. ib., p. 20).
Gherardini osserva che «nessun Papa ha mai parlato tanto frequentemente e tanto insistentemente di Tradizione quanto il teologo, il vescovo, il cardinale, il papa Joseph Ratzinger» (ivi). Però la questione è di sapere che cosa intende per “Tradizione” Ratzinger e che cosa intende lo stesso Vaticano II per Tradizione. Infatti anche Hegel parla sempre di Dio, ma il suo non è il Dio personale e trascendente, bensì il Pensiero Assoluto e immanente all’uomo. Nel caso di Ratzinger e del Vaticano II si tratta forse della Tradizione apostolica, cioè della Fede e della dottrina di sempre? (ib., p. 23).
Due concetti diversi di Tradizione
Nel libro l’Autore passa in rivista tutte le citazioni del concetto di Tradizione fatte dal Vaticano II e le paragona con le definizioni dei precedenti Concili Ecumenici e dogmatici (specialmente il Tridentino e il Vaticano I).
Quanto a Ratzinger, nella sua disamina Gherardini dimostra chiaramente che egli ripudia il “radicalismo” di chi vuol correre troppo e rischia così di gettare la maschera che serve a promuovere il Vaticano II, mostrando – invece di nascondere – che esso è in rottura con la Tradizione apostolica e quindi è inaccettabile, così come ripudia il “cattolicesimo integrale” da lui definito «solo apparentemente cattolico» perché «nella realtà snatura sin nel profondo le posizioni rigorosamente cattoliche»[4]. Ora, il campione del cattolicesimo integrale è San Pio X, il Papa anti-modernista per antonomasia, il cui motto fu “instaurare omnia in Christo che è l’essenza del cattolicesimo integrale (“omnia” = tutto, integro) o dell’integralmente e totalmente cattolico. Ma ciò per Ratzinger è fondamentalmente “a-cristiano”, avendo egli optato per il “demì-chrétien” dell’ umanesimo integrale maritainiano onde per lui non si può essere integralmente cristiani, ma si deve essere integralmente umanisti. Il che la dice lunga sulla “svolta antropolatrica” della teologia conciliare[5].
La conclusione cui giunge Gherardini è che si tratta di due concetti diversi di Tradizione: per Ratzinger la Tradizione è il Vaticano II e viceversa (lo afferma, ma non lo dimostra: è una petizione di principio, come un cane che si morde la coda), mentre per la dottrina cattolica la Tradizione è ciò che Gesù o lo Spirito Santo hanno insegnato agli Apostoli e questi ai primi Padri apostolici ed ecclesiastici che l’hanno trasmessa, sostanzialmente inalterata, sino a noi.
Magistero, teologia e Tradizione
La teologia è il discorso o lo studio su Dio e la Rivelazione divina (Quaecumque…, cit., p. 38). La teologia non è mai il discorrere solipsistico di un teologo, anche sommo, che pretende racchiudere tutto il dato Rivelato nella sua intelligenza, considerata da lui come l’unica realtà e fonte di verità (ivi). La vera teologia è basata sull’autentica Fede cristiano-cattolica ovvero divino-rivelata e proposta a credere come tale dalla Chiesa. Solo quando la Fede ha la garanzia della Chiesa docente, che col suo Magistero la propone a credere, la difende dagli errori, l’approfondisce e la trasmette, è base della vera teologia: “Sine Fide non remanet theologia” (ivi). Sant’Agostino diceva: “Non crederei neppure al Vangelo, se non mi fosse proposto dall’ autorità della Chiesa” (Contra epistulam Manichaeorum quam vocant fundamenti, V, 6, PL XLII, 76). Infatti la Rivelazione divina fu affidata all’ interpretazione, alla custodia, alla diffusione del Magistero della Chiesa, fondata su Pietro e i suoi successori: i romani Pontefici. Tramite il Magistero ecclesiastico la Rivelazione viene trasmessa e “si fa Tradizione”, perché il Magistero della Chiesa è lo strumento di cui Cristo si serve per trasmettere la sua Rivelazione sostanzialmente inalterata, ogni giorno, sino alla fine del mondo (ivi).
Anteriorità della Tradizione sulla S. Scrittura
La Rivelazione si trova in “due Fonti”: la Scrittura e la Tradizione. Anzi, fin dalle origini la Rivelazione fu Tradizione (dal verbo latino “tradere”=consegnare, trasmettere) in quanto il messaggio rivelato fu consegnato o trasmesso da Dio rivelatore alla Chiesa “con l’obbligo di custodirlo fedelmente e fedelmente ritrasmetterlo nel corso inarrestabile del tempo” (ibidem, p. 43). Solo dopo la morte di Gesù (33 d. C.), a partire circa dal 45-55 d. C., la Rivelazione del Nuovo Testamento, trasmessa alla Chiesa, fu messa per iscritto; prima di allora era stata trasmessa oralmente da Gesù agli Apostoli (30-33 d. C.) e da questi ai loro primi discepoli o Padri apostolici sino ai Padri ecclesiastici, sempre sotto l’autorità dei successori degli Apostoli e del loro Capo, i Vescovi e il Papa (ibidem, p. 44). La Tradizione, però, è stata travasata in maniera incompleta nella S. Scrittura (ivi), come attesta San Giovanni alla fine del suo Vangelo, quando afferma che esso “contiene molti fatti e detti di Gesù, ma non tutti, poiché per raccoglierli tutti non basterebbe un’intera biblioteca”[6].
Risulta, perciò, evidente l’ anteriorità cronologica della Rivelazione, della Chiesa e della Tradizione sulla S. Scrittura (ibidem, p. 55). Certamente la Chiesa nel suo Magistero si fonda anche sulla S. Scrittura per definire in materia di Fede e di Morale, ma il giudizio se “questa” sia o non sia la vera Parola di Dio, scritta o tramandata, spetta alla Chiesa, la quale cronologicamente è iniziata (33 d. C., 1° Concilio di Gerusalemme 50 d. C.) prima che gli Evangelisti scrivessero i Vangeli (circa 45-55 d. C.) e San Giovanni l’ Apocalisse (circa 90 d. C.), con la quale si è chiusa la Rivelazione scritta (ivi).
Per riassumere: la Chiesa ha ricevuto da Dio la Rivelazione come un Deposito sacro, da custodire, interpretare, difendere e ritrasmettere inalterato sino alla fine del mondo. La Rivelazione ritrasmessa dal Magistero della Chiesa si trova nei documenti della Tradizione e, in forma scritta, sotto divina ispirazione, nella S. Scrittura e nella Bibbia (ibidem, p. 59).
I Padri della Chiesa e il valore della Tradizione
S. Agostino d’Ippona è considerato il massimo dei Padri della Chiesa soprattutto per quanto riguarda la Tradizione come fonte della Rivelazione. Abbiamo già visto la sua citazione sull’importanza che il Vangelo sia proposto dalla Chiesa sotto pena di considerarlo ‘apocrifo’ e quindi non di Fede (Contra epistulam Manichaeorum quam vocant fundamenti, V, 6, PL XLII, 76). Certo, il Santo Vescovo d’Ippona non vuol dire che il Magistero della Chiesa vale più del Vangelo, ma vuol dire che quest’ ultimo fu affidato da Cristo alla Chiesa affinché lo custodisse, interpretasse, difendesse e trasmettesse fedelmente (ibidem, p. 80). Infatti è Tradizione apostolica solo quanto proviene da Cristo e dagli Apostoli con Pietro a Capo (Chiesa gerarchica) onde ogni questione (compresa la continuità o discontinuità dell’ insegnamento del Concilio Vaticano II) va risolta mediante il riferimento agli Apostoli e ai loro primi discepoli (Padri apostolici ed ecclesiastici: “coloro cui, dopo gli Apostoli, la Chiesa deve la sua crescita”, come scrive S. Agostino, Contra Julianum, II, 10, 37). Se questo riferimento è inesistente, non vi è Tradizione e quindi non vi è verità di Fede e di Morale cattolica (ibidem, p. 82).
Mons. Gherardini ricorda che la Tradizione ha un peso enorme anche nell’esegesi della Sacra Scrittura (ivi), come hanno ribadito Leone XIII (Providentissimus, 1893), Benedetto XV (Spiritus paraclitus, 1920) e Pio XII (Divino afflante Spiritu, 1943). La ‘regula capitalissima’ dell’ esegesi cattolica è l’aggancio con il consenso moralmente unanime, in materia di Fede e di Morale, dei Padri ecclesiastici: la sicurezza del vero significato della S. Scrittura proviene da questo consenso, e non dalle convinzioni di qualche privato teologo o filologo, anche se dottissimo (ib.,p. 84).
S. Agostino, dunque, considera la Tradizione apostolica fonte della Fede: “Si è nella Fede vera” solo se si professa “ciò che la Chiesa universale ha sempre professato e che non proviene da un Concilio bensì dalla Tradizione degli Apostoli” (De baptismo contra Donatum, IV, 24). Ne consegue che il problema della continuità o discontinuità del Vaticano II si risolve non con l’asserzione che si tratta di un Concilio (per di più solo “pastorale” e non dogmatico), ma col dimostrare che le sue dottrine sono contenute, almeno implicitamente, nell’insegnamento degli Apostoli e dei Padri. Se esse non vi si trovano o innovano incoerentemente (eterogeneamente) e sostanzialmente la Tradizione, non sono dottrina cattolica. La Rivelazione divina, infatti, giunge al credente tramite la Tradizione, la S. Scrittura e il Magistero, che discerne quale sia la Scrittura canonica e non apocrifa, e la discerne grazie alla sua consonanza con il “consenso universale della Chiesa” ovvero con i dati della Tradizione (ib., p. 85). Insomma da lì (Tradizione apostolica e Scrittura canonica) nasce e lì si radica la Fede cattolica (De civitate Dei, XIX, 18),sine qua salvi esse non possumus. Tradizione e Scrittura sono le “due fonti” della Rivelazione e la Chiesa è il loro punto d’incontro, poiché essa ne dipende ma al tempo stesso esse le appartengono come “sacro deposito” da conservare, difendere e trasmettere (ib., p. 87).


[1] 203 pagine, 18 euro, <www.lindau.it>, Corso Re Umberto, n° 37; 10128-Torino.
[2] J- Ratinger – V. Messori, Rapporto sulla Fede, Milano, San Paolo, 1985, p. 32.
[3] J- Ratinger – V. Messori, Rapporto sulla Fede, cit., p. 41.
[4] J- Ratinger, Les principes de la théologie catholique, Parigi, Téqui, 1985, p. 421.
[5] Cfr. C. Fabro, La svolta antropologica di Karl Rhaner, Milano, Rusconi, 1974; Id.,L’avventura della teologia progressista, Milano, Rusconi, 1974.
[6] Cfr. R. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, Roma, Ferrari, 3a ed., 1925; M. Cordovani, Il Rivelatore, Roma, Studium, 3a ed., 1945; S. Tromp, De Revelatione Christiana, Roma, Gregoriana, 1945; F. Spadafora, Dizionario biblico, Roma, Studium, 3a ed., 1960; Aa. Vv., DeScriptura et Traditione (diretta da C. Balic – G. Barauna), Roma, Pontificia Accademia Mariana Internazionale, 1963.
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