P. ANTONIO MESSINEO, S.J.: IL NATURALISMO INTEGRALE DI JACQUES MARITAIN


 L’UMANESIMO INTEGRALE
 Antonio Messineo, S.J.
La Civiltà Cattolica
Anno 107 - Vol. III - 1956
Quaderno 2545


L'umanesimo vero e genuino non può essere che uno, si è dimostrato nell'articolo precedente, soggiungendo che una concezione dell'uomo e della vita, alla quale' competa il nome di umanesimo, deve essere appoggiata sui dati forniti all'osser
vazione sperimentale, vivificati e interpretati dalla riflessione razionale, alle cui conclusioni sul piano della natura il pensiero cristiano poi aggiungerà le realtà trascendenti e i valori divini, conosciuti mediante la rivelazione. Si avrà così l'umanesimo cristiano, visione integrale dell’uomo, che dalla natura spazia nella soppranatura.

Un sistema di umanesimo, nel campo specificamente cattolico, è stato costruito dal filosofo francese, Giacomo Maritain, le cui linee sono state esposte in un giusto volume, dal titolo espressivo di Umanesimo integrale, e poi mantenute in successive minori pubblicazioni. Non ci sembra fuori luogo esporre ed esaminare tale sistema, non solo per l'arditezza della sua impostazione filosofica e delle sue conclusioni, ma anche perché non pochi ad esso guardano, come ad un punto di riferimento, al quale poi cercano di adeguare il loro modo di concepire la vita sociale. Cominciamone, dunque, l'esposizione da un concetto che riteniamo fondamentale.

Questo è il concetto della storia, nel quale si scorgono evidenti gli influssi della teoria bergsoniana sull'evoluzione creatrice. Il discepolo non ha dimenticato il maestro. Secondo il Maritain, infatti, la storia consiste essenzialmente in un processo evolutivo incessante, che si svolge, senza mai sottostare a ritorni o a cicli involutivi, per successive tappe, in ciascuna delle quali l'umanità consegue nuove conquiste, anche se apparentemente alla superficie possa sembrare che attraversi un periodo di decadimento ideologico e morale. Sul piano reale della storia ogni smarrimento include sempre qualche aspetto positivo ; persino l'errore porta implicita un'affermazione nella sua stessa negazione (1).

La storia, come processo umano, è particolarmente contrassegnata da una sempre più profonda coscienza riflessa, che l'uomo acquista lentamente e progressivamente nelle varie epoche, o, come egli si esprime, la storia procede per successive e sempre più chiare prese di coscienza, e trova la dimostrazione di questa proposizione fondamentale al suo sistema umanistico, nello studio comparativo delle varie tappe, per le quali sono passati e la speculazione filosofica e l'atteggiamento del pensiero riguardo ai problemi della religione, dell'uomo e della libertà.

Punto morto, dal quale moverebbe il processo evolutivo verso le successive prese di coscienza, sarebbe il medioevo, epoca in cui l'uomo avrebbe obliato compiutamente se stesso, non riflettendo sulla sua natura e sue esigenze, perché sarebbe stato assorbito in Dio e si sarebbe dedicato con tutte le forze all'attuazione del suo regno sulla terra (2). Il medioevo è , dunque, nella valutazione del Maritain, tutto l'opposto di un'epoca riflessa, rappresentante di un pensiero oggettivo, che non si è ripiegato sul soggetto e al quale è sfuggito il significato importante della soggettività. Per convincersi quanto tendenzialmente poco obiettiva sia questa valutazione del pensiero medievale e del suo atteggiamento verso i problemi umani, basterà scorrere a volo d'uccello la Somma di san Tommaso e la speculazione del suo maestro, Alberto Magno, presso i quali l'antropologia ha conseguito delle vette ben luminose, non solo per quanto riguarda l'ordine soprannaturale, ma anche sul piano dell'indagine naturale, psicologica, morale e giuridica del soggetto umano. Per amore del concetto evolutivo della storia e del suo presupposto procedere per successivi approfondimenti della coscienza soggettiva, si è deformata, con una visione unilaterale, la vera anima medievale, che, se fu vibrante di fede e per la fede creò monumenti immortali, non fu per nulla estranea alla vita e alle realtà terrene.

Ma il Maritain non si turba per queste sue semplificazioni, nel descrivere le epoche storiche, e procede innanzi nel suo argomento comparativo. La storia non dorme né si arresta. Con le sue scosse costringe l'uomo a risvegliarsi e a prendere coscienza di sé. La prima scossa, che è insieme una prima conquista nell'autoriflessione, gli viene data dalla riforma protestante, la quale ebbe il merito, pur sotto il velo del pessimismo, di fargli comprendere il valore dell'iniziativa umana riguardo alla vita terrena e di averlo così orientato, con la dottrina della predestinazione senza riferimento all'uso della libertà, verso la ricerca della prosperità materiale. Non devono falsare le prospettive della storia, essenzialmente diretta verso nuove acquisizioni, gli aspetti negativi della riforma, giacché in essa la riabilitazione dell'uomo e la presa di coscienza sarebbero incluse nel suo contrario, ossia nelle stesse negazioni della libertà e del valore intrinseco degli atti umani in ordine alla salvezza (3).

In verità il salto dal medioevo alla riforma è troppo lungo. Tra queste due sponde lontane si colloca l'umanesimo rinascimentale, al quale, come si è detto altrove, l'interpretazione corrente attribuisce la scoperta dell'uomo e il nuovo orientamento verso le realtà terrene. Non è facile intendere perché questa tappa importante dell'evoluzione del pensiero umano, con la quale si apre l'epoca contemporanea, sia stata trascurata dal nostro scrittore. Si osservi poi bene il paradosso contenuto nell'affermazione, secondo la quale nella negazione della libertà e del valore degli atti umani sarebbe contenuto l'aspetto positivo della riabilitazione dell'uomo. L'antitesi, dunque, porterebbe implicita la tesi, l'errore la verità, il determinismo della predestinazione la libertà. E tuttavia la filosofia del Maritain non si fonda sulla dialettica hegeliana, donde la difficoltà di inquadrare queste professioni di sapore dialettico nel suo sistema filosofico, né crediamo che il suo storicismo possa essere ridotto a quello idealista e crociano della sintesi dei contrari. Somiglianze esterne, certamente, ma che lasciano pensare.

Con la teologia antropocentrica mitigata, egli continua, della quale il Molina sarebbe l'antesignano e il tipo più rappresentativo, la presa di coscienza raggiungerebbe un grado di maggiore profondità. In essa, espone il Maritain, schematizzando a modo proprio e senza dubbio inesatto un movimento ideologico e dottrinale, contrassegnato da caratteri molto diversi, da quelli ad esso gratuitamente prestati, l'uomo reclama nell'ordine del bene e della salute una parte d'iniziativa primaria, in opposizione all'epoca precedente, segnatamente la medievale, che gli attribuiva soltanto un'iniziativa secondaria. Dio e l'uomo verrebbero configurati come due cause, alle quali apparterrebbe una parte dell'atto. L'uomo dell'umanesimo antropocentrico disputerebbe così a Dio il terreno, reclamando per sé una parte d'iniziativa primaria nella sua posizione (4) .

Rispetto al problema della libertà, la medesima teologia avrebbe considerato la grazia come un semplice frontone che corona la natura, alla quale viene riconosciuto il potere di diventare perfetta per virtù propria, così che la grazia non avrebbe altra funzione ed effetto se non di verniciare di soprannaturale atti che la ragione dell'onest'uomo potrebbe emettere con perfetta rettitudine. Sarebbe allontanarsi troppo dall'argomento rilevare come ogni proposizione, contenuta nella descrizione appena riferita, non corrisponda all'oggettività storica e sia una sua patente deformazione, un frutto di ricostruzione fantastica di un pensiero, che ha sostenuto l'opposto di quanto il Maritain gli attribuisce. Altri ha messo a punto tale questione, sulla quale non è il caso di soffermarsi. A noi interessa vedere come la storia, anche in questo periodo, attui le sue conquiste.

L'uomo, ci dice il Maritain, nonostante la falsa impostazione della teologia antropocentrica, ha progredito nella coscienza riflessa di sé, in quanto si è affermato come centro di attività, ha attribuito alla natura un valore autonomo e ha assegnato alla sua libertà un campo di azione più esteso nella posizione di atti naturalmente perfetti, che la grazia poi coprirà con la sua vernice (5).

Dalle posizioni raggiunte con la teologia umanistica mitigata era agevole il passo a quelle sostenute dalla teologia umanistica assoluta. Questo fu compiuto dal pensiero agnostico contemporaneo, nelle svariate forme in cui si è presentato. È bastato abbattere il frontone della grazia, per raggiungere un umanesimo totale e conseguire una più estesa affermazione della libertà, con una relativa presa di coscienza ancora più profonda di quella delle epoche precedenti (6). Queste graduali manifestazioni non hanno dato nessuna smentita alla legge evolutiva della storia formulata dal Maritain, giacché egli ci assicura come, nonostante che l'umanesimo assoluto non possa esser definito un vero umanesimo, sotto il suo influsso sarebbe avvenuta una graduale scoperta pratica della dignità di ciò che è nascosto nel mistero dell'essere umano (7) . Dall'epoca medievale, contrassegnata dal suo atteggiamento ingenuo privo di coscienza riflessa, per successive acquisizioni, si è passati alla pensosa epoca contemporanea, nella quale la coscienza avrebbe finalmente appreso tutto il valore nascosto della natura umana.

Anzi, se ben si osserva, la storia è talmente progressiva che l'errore, le deviazioni concettuali, il rifiuto della rivelazione, il positivismo, il razionalismo, l'agnosticismo, il materialismo stesso, non solo non ne avrebbero arrestato l'avanzata rettilinea verso l'approfondimento dell'autocoscienza, ma sarebbero stati stimolatori del progresso, causa del ripiegarsi dell'intelligenza su se stessa e della conseguente scoperta dei valori umani. Nonostante gli errori, asserisce il Maritain, si sono avverate importanti conquiste verso un umanesimo cosciente (8). Non sfuggirà poi al lettore come, secondo lo sviluppo da lui tracciato, l'umanesimo totale sarebbe stato conseguito soltanto al tempo moderno, quando il pensiero, avendo abbattuto il frontone della grazia, si è del tutto sganciato dal trascendente. Il che vorrebbe dire, se non erriamo nel dedurre la conseguenza implicita nelle premesse, che fino a quando il pensiero ha congiunto insieme temporale e trascendente, natura e soprannatura, ragione e rivelazione, in sintesi di valori terreni e ultraterreni, l'umanesimo totale non si era conquistato. La sua conquista è stata possibile solo quando la sintesi è stata disgregata dal razionalismo agnostico e dal soggettivismo antropocentrico.

Non si vuole con ciò insinuare che il Maritain approvi le tendenze agnostiche del pensiero contemporaneo, anzi egli critica gli atteggiamenti dell'umanesimo assoluto, ma non si può non rimanere molto perplessi dinanzi al suo quadro storico, non solo per le pennellate di stile futurista che lo rendono incomprensibile al cultore serio della storia, ma soprattutto perché egli esclude, in modo pratico, il cristianesimo e il suo messaggio dalle cause che hanno condotto l'uomo all'approfondimento della sua interiorità. L'uomo del medioevo, infatti, sarebbe un uomo alienato in Dio, per usare un termine adoperato dal Marx, e in quanto alienato in Dio, non si sarebbe piegato su se stesso, per conoscere la propria natura e il proprio valore. Le così dette prese di coscienza, dalle quali verrebbero contrassegnate le epoche storiche, sarebbero invece avvenute col progressivo scivolamento delle concezioni sulla vita e sul mondo verso un naturalismo sempre più distaccato dall'ordine trascendente, fino al culmine raggiunto dal così detto umanesimo assoluto, agnostico, soggettivista e miscredente. Il lettore giudichi se le nostre perplessità siano motivate o meno.

 

***

Il continuo appello al concetto evolutivo della storia fa sorgere spontaneamente la domanda, se la teoria del Maritain non abbia qualche punto di contatto con lo storicismo contemporaneo, sul quale ci siamo soffermati negli articoli precedenti. La risposta a questo imbarazzante quesito dovrà scaturire dalla valutazione obiettiva del pensiero del filosofo francese. Occorre, dunque, esporlo così come è stato consegnato nei suoi scritti.

Da quanto si è fin qui detto non appare chiaramente se il processo evolutivo della storia trascini nel suo incessante divenire progrediente, oltre agli aspetti contingenti del reale, anche i principi che stanno a fondamento della concezione dell'uomo e delle sue relazioni col mondo esteriore e interiore, con le società dal medesimo attuate o fondate divinamente e con le loro istituzioni. A rigore parlando, un'evoluzione ideologica dovrebbe essere ritenuta implicita nei mutamenti avveratisi nelle tre tappe della storia sopra descritte. Se, infatti, una più consapevole coscienza di sé è effetto di conquiste, consistenti nella scoperta di ciò che è nascosto nel mistero dell'uomo, sembra logico inferirne che la mutazione sia anche avvenuta nel campo delle concezioni della vita, dalle quali poi risulterebbero i vari aspetti assunti dall'umanesimo.

Tale conclusione per sé non contiene nulla che possa pregiudicare un'esatta visione del progresso della storia. Tutto sta a vedere, per darne un giudizio positivo o negativo, se il mutamento si concepisce come uno sviluppo interno della verità, meglio compresa nei suoi postulati impliciti mediante la riflessione razionale, o se la verità e i principi dalla medesima suffragati, come perenni istanze della razionalità, non restano immersi nel divenire storico, diventando relativi come la storia stessa. Nessuno può negare il progresso delle idee e un maggiore approfondimento di molte esigenze umane, ma lo storicismo non consiste nell'affermare l'avvenuto progresso, sì bene nel relativizzare la verità, dando valore al fatto o ai fatti storici come criterio di vita. Chi accogliesse la seconda prospettiva verrebbe a sostenere un umanesimo storicista.

Per risolvere il problema così adombrato, il Maritain non ha lasciato spazio alle nostre personali deduzioni, e così ci ha liberato dal pericolo di un'interpretazione soggettiva del suo pensiero. Egli ritiene, infatti, ed afferma che ad ogni epoca storica corrisponde un dato concetto tipico delle relazioni tra grazia e libertà, e conseguentemente un tipo essenzialmente diverso di civiltà cristiana, foggiato secondo le modalità storiche, in conformità delle quali i valori evangelici si sono temporalizzati (9) . L'ultima espressione, in verità, è alquanto oscura e ambigua. Il suo significato si chiarirà meglio in seguito.

I tipi di civiltà, egli prosegue, che a mano a mano l'evoluzione storica attua, quale effetto di un concetto tipico diverso, sono essenzialmente differenti l'uno dall'altro : tanto differenti che una cristianità, concepita secondo le condizioni storiche del tempo presente, deve essere intesa in modo essenzialmente distinto da quella medievale (10). La lezione è chiara e perspicua, se si pone mente a quella differenza essenziale ripetutamente ribadita. Infatti, una differenza essenziale, non importa soltanto un mutamento negli elementi di superficie o contingenti di una fase di civiltà, ma suppone soprattutto una differenza sostanziale di concezioni e di principi. Questo è tanto più vero, in quanto, trattandosi di attuazioni sociali, nelle quali la civiltà prevalentemente si manifesta, le concezioni e i principi ne sono la forma, l'elemento interno, vivificatore e modellatore, secondo il cui impulso si plasma il concreto e l'epoca storica. Se dunque la cristianità contemporanea dev'essere intesa in modo essenzialmente differente da quella medievale, occorre anche ammettere un'evoluzione nelle concezioni e nei principi, i quali dovranno essere a loro volta essenzialmente differenti da quelli accolti nelle epoche precedenti.

Non si vuole con ciò affermare che il Maritain sia caduto nel relativismo storicista. Altre parti delle sue opere si opporrebbero a siffatta interpretazione del suo pensiero. E tuttavia non si può nemmeno negare l'ambiguità, nella quale egli naviga nel porre i fondamenti al suo umanesimo integrale. Né tale ambiguità viene ridotta a chiarezza nelle susseguenti sue ammissioni ; diremmo, anzi, che viene aggravata. Documentiamo questa asserzione. Per la valutazione della dottrina cattolica, egli accoglie un criterio al quale fece ricorso anche lo storicismo modernista, ossia che in essa, e particolarmente per il pensiero cristiano medievale, occorre distinguere quanto è essenzialmente cristiano da quanto è dovuto al momento storico (11). Tale criterio discriminante, che assume il valore universale di principio, una volta che si ritenga valido per una qualsiasi epoca, s'ingrana perfettamente nella teoria del processo evolutivo della storia.

Se, infatti, ogni periodo di civiltà è informato da un concetto essenzialmente differente, questi vari concetti, se si vuole mantenere l'immutabilità della verità, devono essere attribuiti al momento storico, donde poi la necessità di distinguere nella stessa dottrina cristiana un aspetto contingente e caduco e un aspetto fisso e permanente. Ma se il principio s'innesta a perfezione nel sistema, ciascuno può scorgerne la pericolosità, quando venisse applicato in tutta la sua estensione, come pretese lo storicismo modernista, che per tale via riuscì a vuotare di contenuto il domma, sottoponendolo al divenire della storia.

Sembra che il Maritain abbia avvertito il pericolo e, per evitare l'insidiosa trappola del relativismo, ha fatto ricorso al concetto di analogia, valido in molti campi della speculazione astratta, ma di dubbia applicazione ai principi della condotta umana e alle leggi che governano le relazioni sociali. Una morale analoga è una morale incomprensibile, particolarmente nel nucleo delle norme che si dicono appartenere al diritto naturale. Queste, come regole che emergono dalla natura e dall'essere stesso razionale, in quanto tale, potrebbero essere analoghe se così la natura come la razionalità fossero analoghe nei vari periodi della storia. Per quanto possa sembrare invalida sul piano razionale, questa ci sembra la posizione del Maritain.

Secondo il suo modo di vedere, il processo storico si evolverebbe per successive attuazioni analogicamente diverse, nel senso che, mentre i principi rimarrebbero immutabili, la realtà storica darebbe nascita a tipi di civiltà, somigliantisi soltanto in modo analogo, in parte identici e in parte diversi (12). L'espediente, tuttavia, non sembra adatto allo scopo. Se con esso si riesce a mettere al sicuro l'affermata differenza essenziale dei vari tipi di civiltà, giacché i termini analoghi la suppongono necessariamente, non si vede però come si riesca a salvare la fissità dei principi base di ogni vero umanesimo.

Infatti, i concetti analoghi sono tali perché si riferiscono ad oggetti o soggetti, i quali nel concreto differiscono tra di loro propriamente nei principi costitutivi ed essenziali, sebbene tale differenza non sia così estesa da dar luogo all'equivocità. Ad esempio, il concetto di ente è analogo, ma, in tutti i gradini in cui si attua, la discesa avviene mediante una contrazione che si presenta con i connotati di una differenza sostanziale ; ciò che anche avviene con i concetti che esprimono il genere, che nelle specie diventano concreti differenziandosi qualitativamente. Se ora il fondamento dell'analogia è una diversità essenziale nei principi costitutivi, la sua applicazione ai vari tipi di civiltà non impedisce di concludere, logicamente e con piena legittimità, alla differenza sostanziale dei loro principi informatori.

La conclusione è confermata dallo stesso Maritain. Dopo aver egli detto che i principi non variano, né mutano le supreme norme pratiche della vita umana, ma si applicano in modi essenzialmente differenti, che rispondono a uno stesso concetto solo secondo una similitudine di proporzione, soggiunge testualmente che << una nuova cristianità, nelle condizioni dell'età storica nella quale entriamo, pur incarnando gli stessi principi (analogici) , deve essere concepita secondo un tipo essenzialmente (specificamente) distinto da quello medievale » (14). Nel passo, intenzionalmente citato a parola, è facile scorgere come l'analogia si sia trasferita ai principi. Sono, dunque, gli stessi principi ad essere analoghi e conseguentemente essenzialmente differenti nei diversi tipi di civiltà, causati dal travaglioso cammino della storia, il cui flusso evolutivo si estenderebbe in tal modo a tutti gli aspetti della realtà umana, così alle concezioni come alle attuazioni pratiche.

Si deve allora concludere che l'umanesimo integrale è appoggiato a uno storicismo integrale? Non osiamo rispondere alla domanda se non in modo dubitativo. Sembrerebbe così, ma altre posizioni teoriche del Maritain ci mettono in guardia a non essere corrivi nell'intepretazione del suo pensiero.

Si sarà notato come nella nostra esposizione, oltre al concetto evolutivo della storia, ricorra con frequenza anche quello di civiltà, e ciò manifesta come questo sia un altro dei cardini su cui riposa l'umanesimo integrale. Occorre, pertanto, fissarvi alquanto l'attenzione. Civiltà e cultura, per il Maritain, sono sinonimi, ed essi indicano « lo sbocciare della vita propriamente umana, riguardante non solo lo sviluppo materiale e sufficiente a condurre quaggiù una vita diritta, ma anche e sovrattutto lo sviluppo morale, lo sviluppo delle attività speculative e delle attività pratiche (artistiche ed etiche) , che merita di essere chiamato in modo proprio sviluppo umano» (14).

La cultura e la civiltà sono, pertanto, effetto delle pure forze della natura, perché rispondono alla sua vocazione ; vengono però attuate dallo spirito e dalla libertà, che aggiungono il loro sforzo a quello della natura. Sotto l'aspetto filosofico, la distinzione tra natura da una parte e spirito e libertà dall'altra potrebbe sollevare qualche interrogativo : ma è più opportuno lasciarlo cadere, per soffermarsi sull'essenziale, ossia sulla relazione tra civiltà e religione, punto importante del sistema umanistico maritainiano. Affermata l'essenza puramente umana della civiltà, non si può evitare di inferirne la separazione dalla religione e dalla rivelazione, per cui comincia a vacillare il concetto tradizionale di civiltà cristiana . Non preveniamo gli sviluppi del sistema. Prima sentiamo quanto ci insegna lo stesso suo costruttore.

La religione, egli asserisce, non è un elemento costitutivo della civiltà, di nessuna civiltà. Nel mondo antico, particolarmente pagano, essa venne confusa con i vari elementi della civiltà, perché si presentava connessa con una cultura determinata, nemica delle altre culture : ma tale non può essere ritenuta dal cristiano. Per il cristiano, egli aggiunge, « la vera religione è essenzialmente sovrannaturale e, perché sovrannaturale, non è dell'uomo, né del mondo, né d'una razza, né d'una nazione, né d'una civiltà, né d'una cultura, è della vita intima di Dio. Trascende ogni civiltà e ogni cultura, è strettamente universale » (15).

Verrebbe la voglia di sottoscrivere senza riserve a questa sublime trascendenza attribuita, in modo particolare, alla religione cristiana, ma la mente rimane pensosa sulle conseguenze che ne possono derivare e la mano si arresta. Innanzi tutto, dalla distinzione netta tracciata tra civiltà e religione, si ricordi quanto è stato affermato sull'esclusione della seconda dagli elementi che compongono qualsiasi civiltà — si potrebbe dedurre che la religione rimane fuori del tempo e della storia. Infatti , se la storia consiste in un processo evolutivo verso i tipi di civiltà essenzialmente differenti e questo moto progressivo si avvera nel tempo, ammessa la separazione della religione dalla civiltà, a causa della sua eminente trascendenza, segue logicamente che essa, come non è elemento di nessuna civiltà, non ha nemmeno nessuna incidenza nella storia e nessun influsso diretto sulla sua evoluzione nel tempo. La religione, dunque, sarebbe fuori della storia e fuori del tempo.

Sorge allora la questione in qual modo e per quale via la religione, e particolarmente quella cristiana, adempia la sua funzione di lievito incivilitore sul piano storico . Al quesito risponde il Maritain, e la sua risposta mette meglio in chiaro un secondo aspetto dell'umanesimo integrale. Spirituale e temporale, egli dice, religione e cultura non possono concepirsi che come due ordini del tutto distinti, sebbene il meno perfetto rimanga essenzialmente subordinato al più perfetto. L'influsso poi del superiore sull'inferiore, della religione sulla cultura, avverrebbe con la discesa dei valori religiosi sul piano umano e temporale, ma, si noti bene, affinché essi diventino elemento di civiltà dovranno temporalizzarsi e particolarizzarsi, perdendo la loro trascendenza e universalità.

Sul piano della storia, dunque, non opererebbe il cristianesimo in quanto religione rivelata e trascendente, non il Vangelo nella sua purità originaria di parola divina trasmessa all'uomo, non l'ordine della grazia e delle realtà superiori in esso contenute, ma un cristianesimo e un Vangelo vuotati del loro contenuto soprannaturale e naturalizzati, temporalizzati. Solo sotto questa forma l'uno e l'altro possono diventare elemento di civiltà ed entrare come componenti dell'umanesimo integrale. In altri termini, religione e cultura sono collocati su due piani paralleli i quali non si incontreranno mai, per quanto si estendano all'infinito, perché la prima è fuori del tempo, come ordine trascendente della grazia, e la seconda è nel tempo, e nel tempo si svolge col progresso storico. Una relazione si stabilisce tra i due ordini soltanto mediante la caduta dal superiore di alcuni elementi, i quali però, discendendo sull'inferiore, perdono la loro sacralità e diventano umani.

Questi sarebbero, come li chiama il Maritain, riflessi evangelici sul temporale. Sul significato di questa frase non può correre dubbio. Con essa si vuol dire che il Vangelo, nella sua essenza di lievito divino e soprannaturale, non fermenta direttamente la società e non entra tra i componenti della civiltà, di nessuna civiltà. Sul piano umano, in sua vece, agisce un surrogato che si ottiene mediante la perdita del suo carattere originario, mediante la trasformazione dei suoi principi in principi umani, temporali e limitati, di contenuto profano.

La gravità della conclusione, alla quale la distinzione tra cultura e religione ha condotto il Maritain, potrebbe far dubitare sull'esattezza dell'interpretazione da noi data al suo sistema di umanesimo integrale. Ma il dubbio viene dissipato dal concetto di cristianità profana, altro cardine della sua concezione umanistica. Egli distingue ancora tra cristianesimo e cristianità. La cristianità, secondo la definizione da lui espressamente datane, non sarebbe altro se non un regime comune temporale, la cui struttura reca l'impronta della concezione cristiana della vita, e, come regime temporale, resta anch'essa separata dal cristianesimo, che conserva il senso di religione soprannaturale e di complesso di verità rivelate (16). Essa non abbraccia soltanto coloro che professano la vera religione, ma include nel suo seno uomini che aderiscono ai più diversi culti, persino atei, indifferenti o agnostici, purché ammettano alcune verità umane dalla ragione scoperte, lungo il processo evolutivo della storia, sotto lo stimolo del Vangelo, e rispettino i valori nascosti nel mistero della natura umana (17). Per appartenere alla cristianità, non importa il modo come l'uomo soggettivamente si atteggi rispetto alla religione e alle sue relazioni con Dio ; solo importa che egli riconosca e rispetti i valori immanenti nella persona umana, e in tale supposizione egli può dirsi cristiano, perché le verità naturali da lui ammesse sono un riflesso del cristianesimo sul temporale. E perciò questa cristianità di nuovo conio viene denominata temporale e profana.

Una strana coincidenza esiste tra la fin qui descritta concezione del Maritain e quella esposta da Benedetto Croce, in un articolo, poi ripubblicato in opuscolo, che a suo tempo fece tanto scalpore : Perché non possiamo non dirci « cristiani ».

Anche il Croce muove da un concetto evolutivo della storia, in virtù del quale il pensiero cristiano doveva, nelle epoche successive, essere riveduto e portato più oltre e più in alto. I geni che hanno fondato il cristianesimo, egli scrive, Gesù, Paolo e l'autore del quarto Vangelo, col loro stesso esempio, sembravano chiedere « che l'insegnamento da loro fornito fosse non solo una fonte di acqua zampillante da attingervi in eterno, o simile alla vite i cui palmiti portano frutti, ma incessante opera, viva e plastica, a dominare il corso della storia e a sodisfare le nuove domande che essi non si posero e che si sarebbero generate di poi dal seno della realtà » (18).

E poiché questa prosecuzione, che è insieme trasformazione e accrescimento, non si può eseguire senza meglio determinare, correggere e modificare i primi concetti, aggiungendovene dei nuovi, continuatori effettivi dell'opera religiosa del cristianesimo sono da tenere quelli che produssero sostanziali avanzamenti nel pensiero e nella vita. Meritano, dunque, il nome di cristiani, di operai della vigna del Signore, « nonostante alcune parvenze anticristiane, gli uomini dell'umanesimo e del Rinascimento, che intesero la virtù della poesia e dell'arte e della politica e della vita mondana, rivendicandone la piena umanità contro il soprannaturalismo e l'ascetismo medievali, e, per certi aspetti, in quanto ampliarono a significato universale la dottrina di Paolo, slegandola dai particolari riferimenti, dalle speranze e dalle aspettazioni del tempo di lui, gli uomini della riforma ; i severi fondatori della scienza fisico-matematica della natura, coi ritrovati che suscitarono di mezzi nuovi all'umana civiltà ; gli assertori della religione naturale e del diritto naturale e della tolleranza, prodromo delle ulteriori concezioni liberali ; gli illuministi della ragione trionfante, che riformarono la vita sociale e politica, sgombrando quanto restava del medievale feudalismo e dei medievali privilegi del clero, e fugando fitte tenebre di superstizioni e di pregiudizi e accendendo un nuovo ardore e un nuovo entusiasmo pel bene e pel vero e un rinnovato spirito cristiano umanitario, e, dietro ad essi, i pratici rivoluzionari, che dalla Francia estesero la loro efficacia nell'Europa tutta, e poi i filosofi , che procurarono di dar forma critica e speculativa all'idea dello Spirito, dal cristianesimo sostituita all'antico oggettivismo » (19) .

Il lettore ci scuserà della lunga citazione, ma essa era necessaria per dimostrare come gli atteggiamenti di un filosofo, quale il Croce, immanentista, negatore di ogni trascendenza, religiosamente scettico, anzi notoriamente ostile alla Chiesa, coincidano con quelli di un altro filosofo che si professa cattolico e credente. Per entrambi sono e possono dirsi cristiani quanti ammettono alcuni valori umani o hanno contribuito in qualsiasi maniera al loro sviluppo storico ; per entrambi, per dirsi cristiani, non è necessaria la fede in un deposito dottrinale immutabile, l'adesione totale ad un complesso di verità rivelate, né occorre il lavacro della grazia rigeneratrice, ma basta aver lavorato al così detto progresso dell'umana civiltà nell'arte, nella politica e nelle istituzioni sociali.

Come insegna ancora il Maritain, seguendo forse inconsciamente la falsariga del Croce, quello che importa alla vita politica del mondo e alla soluzione della crisi della civiltà non è il << cristianesimo come credo religioso e via verso la vita eterna », ma << il cristianesimo come fermento della vita sociale e politica dei popoli »>, non il « cristianesimo come tesoro di verità divina conservata e propagata dalla Chiesa, ma il cristianesimo come energia storica in lavoro nel mondo ». Il cristianesimo, egli soggiunge a chiarire meglio il senso delle proposizioni precedenti, <<< agisce in questa forma non nelle alture della teologia, ma nelle profondità della coscienza profana e dell'esistenza profana, non di rado prendendo le forme eretiche e persino di rivolta, nelle quali sembra negarsi, come se i rottami della chiave del paradiso, cadendo nella nostra misera vita e congiungendosi ai metalli della terra riuscissero meglio ad attivare la storia di questo mondo. Non è stato concesso a dei credenti integralmente fedeli al dogma cattolico, ma a dei razionalisti di proclamare in Francia i diritti dell'uomo e del cittadino, a dei puritani di dare in America il colpo di grazia alla schiavitù, a dei comunisti atei di abolire in Russia l'assolutismo del profitto privato » (20).

Ogni commento guasterebbe. La prosa è chiara e il significato perspicuo. In breve esso si raccoglie nell'affermazione che la religione non opera, né può direttamente operare nella formazione della civiltà ; questa è effetto della coscienza profana e si attua nell'esistenza profana. Nella storia agiscono soltanto forze umane, alle quali la religione viene in aiuto, non come credo religioso e via verso la vita eterna, ma come rottame caduto dal paradiso e mescolatosi con la terra, per avere efficacia sull'umano progresso.

Si può intendere ora che cosa bisogna scorgere nell'espressione di umanesimo integrale. Accolte le premesse sulle quali ci siamo soffermati, questo non si può intendere altrimenti che come affermazione integrale dei valori umani, in quanto tali, in una società profana e nell'esistenza profana, specialmente della libertà, nella quale l'uomo ha preso coscienza di sé. E poiché questi valori sono valori di civiltà, essenzialmente diversa nelle diverse epoche, secondo la varietà essenziale dei principi informatori, non si può ad essi attribuire l'eterna immutabilità dei valori cristiani, trascendenti e universali. Essi sono, dunque valori puramente umani, naturali e non soprannaturali, e il fatto che siano stati meglio compresi, secondo la teoria del nostro filosofo, sotto lo stimolo del Vangelo sulla mente umana, non li solleva di un solo centimetro dal piano naturale. Del resto anche quei riflessi evangelici, nei quali ancora si potrebbe scorgere un collegamento con l'ordine superiore della grazia, scendendo dall'alto, secondo lo stesso Maritain, diventano profani e temporali, il che significa che perdono la trascendenza e si trasformano in elementi prettamente naturali di civiltà.

Segue allora che l'umanesimo integrale non è un umanesimo intrinsecamente cristiano, non è l'umanesimo dell'uomo rigenerato dalla grazia, della società attraverso l'uomo fermentata e santificata, delle relazioni la cui legge deriva da una natura elevata e appartiene all'ordine trascendente della rivelazione. È un umanesimo soltanto estrinsecamente cristiano ; ad esso possono infatti aderire persino l'agnostico e l'ateo, il razionalista e il miscredente. Nella sua sostanza l'umanesimo integrale è, dunque, un naturalismo integrale.

P. A. MESSINEO S. I.

 


(1) Umanesimo integrale. Roma 1946, p. 114. Cfr anche : Du régime temporel et

de la liberté. Parigi 1933. p. 98 ; Christianisme et démocratie. Parigi 1943, pp. 19-20.

(2) Umanesimo integrale, cit. , p. 18 e ss.

(3) Umanesimo integrale, cit. , p. 23 e ss. Du régime temporel, cit. , p. 103 e ss.

(4) Umanesimo integrale, cit . , p. 25.

(5) Umanesimo integrale, cit ., p. 27.

(6) Umanesimo integrale, cit. , pp. 25-30 .

(7) Umanesimo integrale, cit. , p. 30.

(8) Umanesimo integrale, cit. , p. 30.

(9)  Umanesimo integrale, cit. , p. 66.

(10) Umanesimo integrale, cit . , p. 114 ; Du régime temporel, cit. , p. 123.

(11) Umanesimo integrale, cit. , p. 18.

(12) Umanesimo integrale, cit. , p.112 ; Du régime temporel, cit. , p. 121 e ss .

(13) Umanesimo integrale, cit . , p. 114.

(14) Umanesimo integrale, cit. , p. 81 .

(15) Umanesimo integrale, cit. , p. 82 ; Du régime temporel, cit. , p. 113.

(16) Umanesimo integrale, cit. , p. 109 ; Du régime temporel, cit. , p. 114 ; Les droits de l'homme et la loi naturelle . Parigi 1942, p . 26.

(17) Umanesimo integrale, cit. , pp. 134-138 ; Les droits de l'homme, cit. , p. 26 ;

Christianisme et démocratie, cit. , p . 35 .

(18) Perché non possiamo non dirci « cristiani », in La Critica, nov. 1942, p. 294.

(19) Perché non possiamo non dirci « cristiani » , cit. , p. 295.

(20) Christianisme et démocratie, cit. , p. 35-36.

 

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