SANT'ATANASIO E LA CHIESA DEL NOSTRO TEMPO







SANT'ATANASIO E LA CHIESA DEL NOSTRO TEMPO
S. E. RUDOLF GRABER Arcivescovo di Ratisbona (Germania)
In Appendice: « PASCENDI DOMINICI GREGIS » di S. S. Pio X

PRESENTAZIONE
Durante la lettura dell'A t a n a s i o del Vescovo Ratisbonese, due cose mi hanno profondamente col­pita: di dover rileggere, dopo chi sa quanti anni, l'Enciclica « Pascendi » e il Sillabo « Lamentabile » di San Pio X, letti per la prima volta in tempi felici per la Chiesa, sì da poterli credere quasi documenti storici. Ma - dice giustamente Sua Ecc. Monsignor Graber - la « Pascendi » appare, ai nostri giorni, come una profezia. Conosciamo noi l'opera misterio­sa e segreta dello Spirito Santo? Sarebbe audacia pre­sumerlo; un'audacia, però, che non rimane estranea alla nostra epoca sconvolta, in cui si sente tanto - troppo spesso! - parlare con incoscienza dello Spi­rito e tanto superficialmente dell'amore, voluto ancora chiamare « c a r i t à », anche se ne è lontanis­simo, perché in gran parte, ormai, non ò che un misto di sentimentalismo e di debolezza permissiva. In realtà, non amando più Dio, non sappiamo più amare neppure il prossimo, perché la nostra facilo­neria lo lascia andare alla deriva, alla perdizione dell'anima e del corpo, non essendo più retto da alcuna salutare disciplina.
A suo tempo, la Lettera Enciclica e il Sillabo di San Pio X si elevarono davvero a livello di pro­fezia; e, come le profezie degli antichi profeti – che non avevano parlato solo per un tempo o per una cerchia di persone ristrette - potrebbero essere me­dicinale per noi; basterebbe meditarle e tirarne le conseguenze, applicandone l'insegnamento. Nella loro forza profetica e dottrinale potrebbero farci cono­scere, prima, tutto il male che tormenta la Chiesa e la società, e, in secondo luogo, additarne i rimedi che salverebbero ancora e l'una e l'altra. Ma questi rimedi si dovrebbero applicare con fermezza, con quella fermezza che manca appunto alla nostra molle pigrizia che si pasce di belle parole, ma che sono, invece, a ben guardarle, sfrontate bugie.
Una menzogna è, ormai, anche la nostra fede. Non ci studiamo più di conoscere e fare nostra la parola di Cristo, tramandataci dagli Apostoli, con­servata mediante i Libri Sacri e la Tradizione che ne garantisce la genuità e l'interpretazione auto­revole del Magistero. Ce ne convinciamo giorno per giorno. Non abbiamo mai avuto tanto in bocca la Bibbia come adesso e mai siamo stati più lontani dal comprenderla, penetrandone veramente nel suo significato.
Si sentono ogni giorno brani bibblici, ma non fanno che rendere più confusi i pensieri della povera gente spiegati come sono in chiave ultramoderna, per non dire blasfema.
La seconda cosa che mi ha commosso profon­damente è la breve constatazione, in bocca ad un celebre sociologo francese, condivisa dal tedesco Helmut Kuhn che la riporta; e cioè: i tanti avveni­menti che ci opprimono, sono superati (letteralmente: messi nell'ombra) da un altro avvenimento d'impor­tanza molto più vasta: «la decadenza della Chiesa Cattolica Romana». Contenuta in una nota marginale (N. 25), questa frase potrà pas­sare anche inosservata; ma è atroce. Ci mostra come vien giudicata dal di fuori la crisi che travaglia la Chiesa; crisi che ha investito il mondo intero, perché non c'è nazione, non c'è popolo, non c'è regione che non ne risenta.
Ma la stessa crisi ribolle nella società profana, dirà il lettore. Sì, ed è logico. Mancando la norma, mancando il modello, mancando la stabilità della roccia immovibile, mancano, logicamente, le forze, oggi denigrate, ma innegabili, ma potenti, che reg­gevano Società e Stato. Potevano essere combattute, essere apparentemente negate, soffocate in parte, ma esistevano; e tutti i popoli e Nazioni erano costretti a misurarsi con esse, a subirle, se non altro, e ne traevano un vigore misterioso, la loro salvezza, che la Chiesa - Mater et Magistra - non solo offriva generosamente ma imponeva.
Adesso, mancante la ferma stabilità della roccia incrollabile, sulla quale erano fondate anche le nostre povere case terrene, crolla tutto: crolla la cattedrale, crollano gli edifici profani; la terra diventa, giorno per giorno, più inabitabile, e giorno per giorno roto­lano giù per la china paurosa dell'abisso: blocchi di marmo e di travertino, le pietre, i mattoni, i corni­cioni delle cattedrali, gli umili pezzi d'intonaco stac­catisi dai muri malfermi delle casupole, i blocchi di cemento... e, se guardate bene, vedrete rotolare in­sieme libri sacri e pagine del Vangelo e lembi di vesti rituali e canne d'organo... Tutto precipita, rotola, sprofonda.
Poveri noi! È la «rivoluzione della tiara e della cotta », come si è espresso un avversario « riforma­tore » della Chiesa (cfr. Franquerie: L'Infallibilité Pontificale).
Tutto precipita. Chi fosse munito di vista acuta, vedrebbe spuntare dal groviglio, dal baillame, dal marciume - ma quante cose sane in mezzo, buttate via senza ritegno! - piccole braccia e gambe ancora incomplete di feti, un occhio vitreo, fisso nella mor­te - che e stato un assassinio! - in un frammento di cranio, sezionato nel grembo materno, e altri or­rori raccapriccianti. Fremiamo! Meglio voltare altro­ve la faccia.
È la morte della Chiesa? o soltanto la morte della nostra civiltà occidentale? La Chiesa non può morire. La Chiesa risusciterà. Allora, sarà la fine della nostra civiltà, dei nostri popoli? Può darsi. La Storia ha visto naufragare e sparire molte civiltà dalla faccia della terra. Civiltà che non rammentia­mo nemmeno più! Le antiche civiltà orientali: la greca, la romana, sopravvissuta, tuttavia, nella Chie­sa di questa Roma «per cui Cristo è Romano». Quale popolo, quale gruppo di popoli la spunterà, adesso, dopo il tramonto di noi, « discendenti di bar­bari » romanizzati? Quale popolo avrà l'onore di far rivivere e trionfare il Cristianesimo - cattolico ro­mano - se noi, per colpa nostra, non lo meritiamo più, ma sprofondiamo nella decadenza totale, causata in gran parte dalla temporale decadenza della Chiesa che vediamo minata dall'interno, da chi sa­rebbe in dovere di servirla fedelmente?
Vi sono altre cose degne di nota nel libro di Mons. Graber che ricerca, angosciato, le cause di tanto disastro.
Egli osserva giustamente che il pericolo che ci minaccia e ci sovrasta è peggiore dell'assalto ariano, nell'epoca dell'indefesso Sant'Atanasio. E’ entrato nel popolo un veleno mortale. Noi cono­sciamo il canale d'infiltrazione. Sul popolo non han­no presa le astrazioni, ma ciò che tocca con mano, ciò che vive. Insomma, la Liturgia! Gli incessanti cambiamenti, le inattese e, agli occhi della maggio­ranza, non motivate, sorprendenti novità liturgiche, hanno gettato l'allarme, hanno confuso gli spiriti semplici e retti, pronti a ricevere tutto, indiscrimina­tamente. Ed è stata scossa e sofisticata anche la fede, semplice e retta, nei Sacramenti: Battesimo, Confes­sione; soprattutto, l'Eucarestia.
Davvero, è nata una deplorevole confusione nelle coscienze, che è la causa principale dello smar­rimento del «sacro». Desacralizzazione, voluta ed imposta dalla parte progredita del Clero, facente parte del «complotto» delle forze sovversive che vogliono rovinare la pietà, quasi vecchiume inutile. S. E. Mons. Graber accusa e documenta tale com­plotto. L'Autore ripete i moniti dello statista barone van Hertling, uomo pio e saggio, che scrisse, già nel 1905: « Gli indecisi, i titubanti, gli uomini di poca fede, sogliono... subire l'assalto senza possibilità di opporre resistenza...; così si spezzano gli ultimi lega­mi che ancora li tenevano uniti alla Chiesa. Credono di aver il diritto di condannare tutta la pietà cat­tolica... ».
Il servirsi delle tavole, « ad usum Kranmeri », al posto del vero altare ormai negletto e disprezzato, nuoce molto in questo senso. Col (pseudo)-altare, non più sacro - i «puritani» deponevano sulle tavole, con piacere, le loro pipe, i cappelli, i bastoncini da passeggio - perde poco alla volta anche il carat­tere sacro quello che si mette o si fa sopra questo asse di legno senza «sepolcro » (le reliquie dei santi Martiri). «Ma chi bada ancora a queste cose?». Le molte, diverse e irriverenti maniere di impartire la santa Comunione fanno il resto. E il continuo « chias­so » di vario genere uccide lo spirito di preghiera, che non può esistere senza raccoglimento.
Si e riusciti ad uccidere anche il senso del m i s t e r o e dell'u n i t à, come aveva previsto Papa Giovanni XXIII, quando, destatosi di soprassalto dal suo bel sogno di unione perfetta - sempre più distrutta dal sorgere delle chiese nazionali ­gettò il grido di allarme nella Lettera Apostolica « Veterum sapientia », promulgata con tanta solen­nità il 22 febbraio 1962. In essa, Papa Giovanni XXIII, si eleva a Profeta, indarno sforzandosi a di­fendere strenuamente « il chiaro e nobile segno di unità, l'efficace antidoto ad ogni corrutela della pura dottrina » (Mediator Dei); e « sarebbe superfluo ri­cordare ancora una volta che la Chiesa ha serie ra­gioni per conservare fermamente... », appunto quale mezzo più potente di una salda unione di preghiera e di pensiero. Abbandonandolo, i novatori hanno preparato - con quanta cura e astuzia! - il terreno sul quale germogliano lussureggianti le « Chiese Na­zionali », che costituiscono - secondo il Graber - la minaccia più grave per l'unità della Chiesa e della Fede. Ma i profeti non si ascoltano; anche gli acco­rati richiami di Papa Giovanni, così sono rotolati nell'abisso.
Se ricordiamo, poi, le infelici e false traduzioni nelle varie lingue volgari - specialmente nelle lingue francese, tedesca, inglese - dei testi liturgici e bi­blici, comprendiamo perché sia tramontata anche la mirabile catechesi che dava l'antica Liturgia, in modo piano ed accessibile a tutti, con testi puri e segni eloquentissimi.
Le mie sono pennellate troppo rapide, troppo superficiali, per voler anche solo additare al male dilagante, ovunque, e che noi chiamiamo « la crisi della Chiesa », ma che Paolo VI ha chiamato, meglio, « autodistruzione della Chiesa ». Dovremmo andare alle cause, ma ne abbiamo paura. Siamo ormai av­vezzi a vivere nella menzogna, ad illuderci in un ottimismo che aggrava il morbo.
Ricordiamo il « documento » della Società se­greta, additata da Mons. Graber, (si trova nell'Archi­vio Vaticano) e che suona cosi: « Cerchiamo di distogliere il prete dall'altare e procu­riamo di occuparlo in altre cose; rendiamolo politi­cante e gaudente; in breve, diverrà ambizioso, intral­lazzatore e perverso. La nostra impresa mira alla corruzione del popolo per mezzo del clero. E con questa corruzione siamo certi di vedere un giorno precipitare la Chiesa nella tomba ». Il programma si sta realizzando. In tutti i Paesi marciano i «porno­teologi», come li definì uno dei maggiori filosofi ita­liani dei nostri tempi: Cornelio Fabro.
Infatti, tutto va a rotoli: si difendono, si giusti­ficano le relazioni prematrimoniali, gli adulteri, l'amore di gruppo, (le « ammucchiate » allarghereb­bero la sfera delle comunicazioni!), gli atti contro natura...
Come ultimo appunto, S. E. Mons. Graber cita il Rahner pre-conciliare. Certo, non fu senza mac­chia neanche allora. Infatuato di Heidegger e di tutta la filosofia esistenzialistica, portò fin da principio, una latente contraddizione in sé, che si è inasprita con l'età e lo ha reso sempre più pericoloso. Comun­que, anche a rileggere, oggi, il Rahner preconciliare, lo si vede come un autentico camaleonte, che prende sempre il colore dell'ambiente; un opportunista, quindi. Con quanto sussiego ha parlato della « cripta eresia » e insistito, perché i predicatori « per persone colte », trascurino di rammentare « i castighi tempo­rali, l'indulgenza, gli Angeli, il digiuno, (altra pra­tica salutare dimenticata), il diavolo, il purgatorio, la preghiera per le anime purganti e altre cose « antiquate »!
Oggi, è alla testa della schiera - attivissima in Germania! - che si lancia all'assalto del Papato. Nella cagnara, purtroppo, si distinguono anche teo­logi che stimiamo, come persino un Balthasar (in due capitoli di " Klarstellungen "). Insomma, chi si avvicina all'immonda valanga, corre il rischio di finire risucchiato.
Una triste gloria resta a Rahner. Egli ha minato e quasi distrutto la fede nel Battesimo - imposto, voluto da Cristo - col suo «slogan»: «ogni uomo è cristiano». Così, siamo di fronte a una -nuova « strage di innocenti », i bimbi morti senza Battesimo, perché le nuove pratiche e la svalutazione del Bat­tesimo hanno preso forza dalle tesi rahneriane.
Occorreva nominare anche questo triste parti­colare per arrotondare - sia pure in modo tanto incompleto! - la pittura che stiamo eseguendo: la pittura della nostra Fede morente.
EDITH AZ. SCHUBART

PREFAZIONE
Il 1600.mo anniversario della morte di sant'Ata­nasio, non deve passare senza commemorarlo' alme­no con uno scritto. S. Atanasio appartiene ai pochi Santi cui la Storia ha concesso il nome di « g r a n d e ». Per non dilungarci, citiamo subito le parole di Adam Móhler, tolte dal libro " Atanasio il grande e la Chie­sa dei tuoi tempi" (Magonza 1844): «Al mio primo incontro con la Storia della Chiesa, Atanasio mi ap­parve subito di tanta importanza da cattivare tutto il mio commosso interesse. La sua sorte straordinaria, la sua deposizione per ragioni di fede, il suo ritorno in sede, la sua nuova caduta e nuova elezione, l'alta dignità cristiana, la superiorità che lo eleva al diso­pra di ogni sciagura, come brilla nel suo destino, destarono in me un profondo desiderio di conoscere meglio un uomo così grande, anche attraverso i suoi scritti. Quel vago senso di attrazione non fu deluso. Studiandolo, scoprii una fonte ricchissima di nutri­mento spirituale. Ma più raffrontavo le ricchezze tro­vate in lui con il testo dei libri che parlavano di questo grande Padre della Chiesa, più provavo do­lore perché non fosse così conosciuto e riconosciuto come meritava. Da qui, nacque la mia risoluzione di accingermi a questo lavoro per mettere in luce tanti tesori nascosti di sapienza cristiana e di conoscenza della verità, descrivendone tutta la sua storia». Appunto, in ricordo dell'opera citata, abbiamo scelto il titolo: "Atanasio e la Chiesa del nostro tempo" (in lotta con il modernismo).
Possano le nostre modeste parole contribuire alla realizzazione di ciò che Basilio il Grande scri­veva a Sant'Atanasio, nell'anno 371: «Sempre il Signore opera cose grandi mediante coloro che ne sono degni. Per questo noi speriamo che spetti a te un così grande servizio, che finirà col far cessare la confusione del popolo, col tutti sottomettere nella carità e col rinnovare l'antico vigore della Chiesa».
Ratisbona, festa di Sant'Atanasio, 2 gennaio 1973
+ RUDOLF GRABER Vescovo di Ratisbona

INTRODUZIONE
Sono trascorsi 1600 anni dal giorno di morte di una delle persone «più rilevanti della storia antica della Chiesa »: Sant'Atanasio (295-373), il Vescovo d'Alessandria d'Egitto.
Non meno di cinque volte fu mandato in esilio, che lo portò, nel 335, anche nell'attuale Germania, a Treviri. La situazione della Chiesa, allora, somi­gliava a quella di adesso. A ragione Gonrad Kirch dice: «La Provvidenza mandò un siffatto uomo nel mondo, in quei giorni, mentre la bufera urlava sem­pre più forte e le colonne della Chiesa erano scosse e s'inclinavano, ed i muri santi minacciavano di crol­lare e sembrava che le potenze dell'abisso e le forze dell'alto facessero sparire la Chiesa dalla faccia della terra. Ma un uomo resistette come un macigno in mezzo ai marosi che s'infrangevano; un uomo fu sempre sulla breccia: Atanasio! Egli, Atanasio, bran­dì la spada di Dio sull'Oriente e sull'Occidente».
Per dare un solo esempio e dimostrare fino a quale punto la figura sua gigantesca di confessore commuoveva gli animi, basta accennare al manifesto del grande Górres: « Atanasio»; sulla politica eccle­siastica, pubblicato nel 1838, al momento dell'arre­sto dell'Arcivescovo di Colonia, Clemente, dei ba­roni von Droste-Vischering.
Fu l'ora della «nascita di un popolo tedesco cattolico». Franz Schnabel ne dice: «L'effetto del manifesto fu soverchiante. Un giornalista geniale e provetto aveva preso la parola; aveva saputo addurre delle prove e convincere il lettore colto; da lui l'ef­fetto scese nel popolo. Dopo poche settimane, 7.000 esemplari erano già stati venduti». Il Governo lo soppresse, ma, poi, dovette permetterne la divulgazio­ne, sopraffatto da una resistenza travolgente. Nell'in­troduzione alla seconda edizione, Górres attacca ener­gicamente le persone che domandano un « Concilio tedesco ». Allora sì che nasce il tempo nuovo e il tempo antico viene abolito. Ognuno che ha avuto pensieri pazzi in testa, nell'ultimo cinquantennio, e che non ha trovato acquirenti per la sua merce, l'of­frirà su questo mercato, pensando: « ora o mai »!. Questo Concilio dovrebbe essere « ecumenico ». Górres chiede, ironicamente, a quale condizione si ammetterebbero i protestanti, ossia coloro « che han­no distrutto, per lo meno criticamente, un capitolo della Bibbia; e coloro che hanno dato per lo meno una spiegazione naturale di un miracolo e siano dunque capaci di imitarlo; o coloro che siano riusciti a scoprire e a interpretare un nuovo rito, ebraico o cristiano, o che abbiano ridotto a sole astrazioni e demolito qualche fondamento della fede: la Chiesa invisibile, il mondo spirituale superiore, l'immorta­lità dell'anima, il contrasto tra il bene e il male. Tutto ciò, nel suo assieme, sarebbe ammesso e essi avrebbero acquisito, con queste loro opere meritorie, il diritto di avere un seggio e una voce ».
In modo ancora più sarcastico si pronuncia sui partecipanti cattolici a questo Concilio fittizio. « Sa­rebbe necessario, per eliminare ogni complicazione, di concretare l'abdicazione del Papa... La triplice corona dovrebbe essere posta sulla fronte dell'onore­vole presidente dell'assemblea. In secondo luogo, sa­rebbe urgente rimediare all'affanno di una parte del clero cattolico, abolendo immediatamente il celibato. Fatto questo, il Santo Sinodo non esiterebbe ad oc­cuparsi subito della definizione e stabilizzazione della dottrina. Per creare un fondamento e una base per tutto, si dovrebbe formulare un Credo, redatto in maniera che ogni persona ragionevole fosse in grado di confessarlo. Dopo i progressi, ultimamente fatti dalla scienza, non dovrebbe essere difficile di an­darne a capo, tanto più che esistono già lavori preli­minari, eseguiti da diverse parti ».
Gorres tenta egli stesso di formulare un tale « credo moderno », servendosi all'uopo della filosofia hegeliana, redicolizzandola.
Dalla mole della nostra introduzione esulerebbe un'analisi più accurata del contenuto dell' « Atana­sio »; ma non ci sentiamo di rinunciare a farne almeno qualche citazione, lasciando che il lettore trovi lui le analogie coi nostri tempi.
La descrizione dello « spirito del tempo » fatta da Górres, incanta. « Siamo giunti al punto di sen­tirci ovunque circondati dalla menzogna, come del­l'atmosfera che respiriamo... In tal modo, avviene che ci muoviamo quasi in un mondo fittizio, in un regno di favola; fittizio anche per le cose più impor­tanti; in un mondo che ci siamo creati con la nostra fantasia, con le nostre meschine opinioni, i nostri pensieri tanto superficiali e le nostre misere passioni; in un mondo così lontano dalla realtà delle cose che ci riesce impossibile riconoscerlo nella pitturaccia di cui siamo gli autori ».
Tuttavia, Górres non si occupa soltanto degli avvenimenti di Colonia, ma spinge le sue ricerche più lontano, nella preistoria. L'aver voluto eliminare l'antico Capo dell'Impero, l'Imperatore, doveva se­guirne anche l'eliminazione del Papa. Ma non es­sendo riusciti, « le membra si dovevano separare da lui... almeno provvisoriamente... Come erano stati i giuristi di corte ed i diplomatici territoriali a pre­parare e spingere avanti la prima parte del com­plotto, così i canonisti di corte ed i teologi delle me­tropoli religiose, presero in mano la seconda; e, in­fine, accorse una folla di pretonzoli cattolici a dare il consiglio, affaccendandosi febbrilmente per realiz­zarlo ».
Tanto dicasi dell'Atanasio del grande Górres di cui ricorre pure quest'anno il 125.mo anniversario della morte.
Nel nostro secolo, noi incontriamo nuovamente il Vescovo alessandrino nel romanzo dello scrittore slesiano Cosmus Flam, (pseudonimo del dott. Josef Pietsch, ferito e disperso durante l'assedio di Bre­slavia) che pubblicò, nel 1930, il libro: « Atanasio viene nella metropoli, in una fossa di belve ». In quest'opera utopistica - che merita di essere chia­mata, oggi, profetica - il poeta descrive la metro­poli Teilopa « dove Dio, lo spirito, l'anima, la na­tura, sono totalmente eliminati; dove l'amore è ab­bassato al puro sesso; dove regna la dittatura della tecnica ». In questa città, vive un gruppetto di uomini che hanno sentito parlare di Cristo e si chia­mano « cristiani ». Atanasio dice a questi cristiani del compromesso: « Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli anche del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei nuovi tempi. Dovreste parlare della grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l'uomo e l'umanità. Portate il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato... Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico, fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo». Parole veramente profetiche! Insomma, tutte queste citazioni spiegano il nostro pensiero; anche oggi, il grande e coraggioso Atanasio elevi la sua voce contro il male che avviene nella Chiesa!
Poco tempo dopo il fatale 30 giugno 1934, quando i boia di Hitler soffocarono nel sangue la creduta rivolta del Rohm e liquidarono un gran nu­mero di persone malviste dal regime - come Klau­sener, Gerlich e Probst - apparve un libriccino, capace di scuotere l'opinione pubblica. Era edito a Lucerna dal Liga-Verlag. Il titolo suonava: « Santo Ambrogio e i Vescovi tedeschi ». Con eloquenza, vi si scongiurava i Vescovi tedeschi ad imitare l'esem­pio del Vescovo milanese sant'Ambrogio, che si era opposto, nell'anno 390, all'imperatore Teodosio, in­vitandolo a penitenza, perché aveva lasciato uccidere 2000 uomini nel circo di Tessalonica, per punire un atto di linciaggio. Così - ammoniva lo scritto - i Vescovi dovevano protestare solennemente contro il misfatto del 30 giugno 1934. Questo esempio dimo­stra che gli uomini, nei tempi di tribulazione, si orientano verso i grandi uomini del passato, il cui coraggio e la cui opera valicano i secoli.
Prima di occuparci di una Lettera pastorale di S. Atanasio, bisognerà descrivere, con poche pennel­late, la situazione della Chiesa nella sua epoca. Ma diamo, per un istante, la parola a san Basilio, che così scrisse in una lettera del 371: «L'eresia, già prima seminata dal nemico della verità, Ario, germogliò molto alta e, nome da una radice amara, diede frutti depravati e abbondò dappertutto, tanto che i gonfalonieri della vera dottrina, dalle diverse chiese vi furono cacciati, con calunnie o persecu­zioni; e l'amministrazione fu data a gente che s'im­padroniva dei cuori dei semplici».
In un'altra lettera, diretta a sant'Atanasio, da­tata dagli anni 371-72, leggiamo queste eloquenti parole: «Tutta la Chiesa è in via di dissoluzione» ". Ma levando lo sguardo alla «colonna del Nilo», il Vescovo di Cesarea riprende coraggio « a sperare in giorni migliori, pur nella disperazione più profon­da». Una lettera del 372, rivolta ai Vescovi italici e gallici, è tutta un'invocazione di aiuto «prima che la Chiesa faccia naufragio del tutto», poiché «non è in pericolo una sola Chiesa, o due o tre Chiese, da questa tempesta.Ma, il male dell'eresia spadro­neggia dai confini illirici fino alla Tebaide. Fu l'in­fame Ario a spargere, per primo, la semenza guasta dell'eresia ».
Nello stesso anno, parlando ai sacerdoti di Tarso, dice che « il tempo presente tende fortemente alla rovina della Chiesa »; e, propriamente nell'an­no della morte di Atanasio, 1600 anni fa, in una lettera, gli pone la domanda: «Ma il Signore ha, forse, abbandonato completamente la sua Chiesa? È, forse, venuta l'ultima ora e incominciata l'apostasia? Giacché è sempre più evidente che l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'anticristo, si eleva al di sopra di tutto ciò che si chiama Dio e Santuario ».
Queste brevi citazioni - che sarebbe facile aumentare - fanno comprendere come era l'aspetto della Chiesa di allora. Se il Vescovo di Cappadocia ha descritto l'aspetto della Chiesa del suo tempo in linee generali, Atanasio si dilunga, in episodi sin­goli, nella sua lettera pastorale, lettera straordinaria, per la forza stilistica e per l'indicibile dolore che vibra in essa. Ci farà da cornice alle nostre riflessioni.
Ma bisogna, ancora una volta, che ci fermiamo brevemente ad esaminare il precedente sfondo sto­rico. Un altro Sinodo ariano, quello di Antiochia del 339, aveva nuovamente deposto «l'immortale » Atanasio ed aveva chiamato ad occupare la sede alessandrina il cappadoce Gregorio.
«La notizia della deposizione di Atanasio fu il segnale della bufera che si scatenò su Alessandria. Il prefetto imperiale, Philagrio, vi intervenne energi­camente. Nella notte del 18 marzo 340, Atanasio fu cacciato dal palazzo vescovile. Il popolo s'era am­massato minaccioso attorno alle chiese. Atanasio volle evitare il peggio; con grande fretta diede il battesimo ai catecumeni; poi, prese la fuga, mentre, protetto da un manipolo di soldati, Gregorio entrava a cavallo nella città. Gli ebrei, i pagani e gli ariani l'accolsero giubilanti. Dalla schiera dei fedeli si sentì montare un mormorìo sinistro e grida di disperazio­ne, allorché Gregorio prese possesso delle Chiese con orribili abbomini. Era il Venerdì Santo. Nel suo nascondiglio, presso la città, il Padre esiliato senti l'urlo delle vittime di Gregorio, un urlo più alto dell'alleluia pasquale. Arrivarono i messaggeri ad an­nunciargli, affannosi e disperati, che centinaia di uomini erano stati trascinati fuori dalle chiese e get­tati nelle carceri; che le vergini sante erano state denudate sulle piazze, davanti ai santuari e battute con randelli, fino a soccombere, ed egli stesso poté vedere il cielo arrossato dal riflesso delle chiese incendiate.
Non seppe più trattenersi e scrisse una lettera a tutti i Vescovi. Erano righe bagnate da un im­menso dolore, ma erano anche un invito pressante alla lotta. « Una volta - scrive - fu fatta violenza e fu uccisa la moglie di un levita. Questi, nella sua disperazione, tagliò il cadavere in dodici parti e mandò i pezzi a tutte le tribù d'Israele. Così non potevano dubitare del delitto; così si sarebbero alzati come un sol uomo a vendicarlo. Tutte le tribù, infatti, si sollevarono e fu la guerra santa». Con questo ri­cordo, Atanasio inizia il suo dire. E continua: «La disgrazia che ha colpito il levita non è nulla, para­gonata a ciò che si è osato fare, ora, contro la Chiesa. Per amore del Redentore, - li scongiura - non passate sopra a un simile oltraggio; non tollerate che la celebre Chiesa di Alessandria venga calpestata da eretici, affinché non rovinino, tra breve, la fede di tutta la Chiesa e le sue leggi ».
Riportiamo, letteralmente, l'introduzione, che rammenta un fatto raccapricciante del Libro dei Giu­dici e cerchiamo di descrivere, nello spirito di Atanasio, quale sciagura abbia colpito le tribù del nuovo Israele; nel desiderio che si armino tutti contro la minacciosa dissoluzione della Chiesa, profilata da Basilio, o contro « l'autodemolizione », come l'ha chiamata, invece, Paolo VI.

Lettera circolare di Sant'Atanasio a tutti i Vescovi - anno 340 « A tutti i miei confratelli Vescovi, agli amati Signori (Dominibus), Atanasio manda il saluto nel Signore!
Quello che abbiamo sofferto è terribile, ed è quasi impossibile il darne notizia in modo adeguato. Ma, allo scopo che l'orrore degli avvenimenti sia reso noto più celermente, ho creduto bene di ricor­dare un passo della Sacra Scrittura. Un levita, alla cui moglie si era inflitto la più grave vergogna - era una donna ebrea della tribù di Giuda - conscio dell'efferatezza del delitto e sopraffatto dall'offesa, fece a pezzi - come racconta la Sacra Scrittura nel Libro dei Giudici (Giud. XIX) - il cadavere della donna e mandò i pezzi a tutte le tribù d'Israele. Non solo lui, ma tutti dovevano prendere parte alla sof­ferenza per un delitto così grave. Avendo patito con lui, l'avrebbero anche vendicato. Ma se non volevano comprendere questo dovere, l'onta doveva col­pirli tutti, quasi fossero loro i delinquenti. I messag­geri annunciarono, ovunque, l'accaduto. Chi vide e udì, dichiararono: non essere successo nulla di simile dai giorni in cui i figli d'Israele erano usciti dall'Egit­to. Tutte le tribù d'Israele si commossero e, quasi fossero state esse stesse le vittime dell'obbrobrio, fe­cero lega tra di loro per combattere i malfattori. E costoro furono vinti in battaglia; e tutti ne ebbero ribrezzo. La Lega non guardò né si fece scrupolo di alcun vincolo di consanguineità, ma guardò solo, con sommo disprezzo, lo sconcio commesso.
Voi, miei Fratelli, conoscete la narrazione e sa­pete che cosa la Scrittura intenda significare. Non voglio fermarmi a considerarlo a lungo; tanto scrivo a studiosi che mi capiscono. M'affretto, piuttosto, ad attirare la Vostra attenzione sui fatti che si sono svolti adesso, e che sono assai peggiori del male ac­caduto allora. Tuttavia, ho voluto ricordare il rac­conto biblico perché possiate farne il paragone e ren­dervi conto che l'attuale crudeltà supera l'antica. Voi dovrete sentire uno sdegno anche maggiore di quello degli Israeliti, perché la persecuzione contro di noi supera di molto il torto inflitto al levita. La sua disgrazia non regge al confronto dell'impudenza odierna contro la Chiesa. Non si è mai sentito di peggio nel mondo intero, né alcuno ha mai sofferto un dolore più grande. A quei tempi, fu una donna a soffrirne lo scempio; fu un solo levita a soggiacere alla violenza. Ma, oggi, è l'intiera Chiesa che soffre. Il sacerdozio è vilipeso oltre ogni dire e - quel che e peggio! - il santo timore di Dio viene beffeggiato da un'empia irreligiosità. A quei tempi, ogni tribù si spaventò alla vista di una parte del corpo di donna; oggi, invece, osserviamo che è tutta la Chiesa che viene smembrata. Voi vedrete i messaggeri, spediti a voi e ad altri, che vi annunceranno l'arroganza e l'ingiustizia commesse contro di noi. Lasciatevi com­muovere - ve ne scongiuro - quasi che tutti voi aveste sostenuto tanto male! Ognuno ne partecipi, come se soffrisse lui in persona. Diversamente, l'ordi­ne e la fede della Chiesa potranno andare ben presto distrutti. E l'uno e l'altro saranno inevitabili se Dio, per mezzo Vostro, non metterà subito un fine alla prevaricazione; se non riparerà Lui stesso le rovine della Chiesa.
Non è solo da oggi che datano l'ordine e le leggi della Chiesa. Essi ci furono tramandate, in modo perfetto e sicuro, dai Padri. La fede non ha avuto il suo inizio da oggi, ma ci e venuta dal Signore, tramite i suoi discepoli. Che non si abbandoni, dun­que, ai nostri giorni, quella tradizione, conservata nelle Chiese fin dal principio; né siamo noi infedeli a ciò che ci e stato affidato! Fratelli, Voi, come am­ministratori dei Misteri di Dio, lasciatevi scuotere, vedendo che tutto ci viene rapito.
Dai portatori della lettera ne saprete di più. Io mi sento in dovere di dimostrarvi brevemente e di convincervi che non si è mai fatto un simile torto alla Chiesa, dal giorno in cui il Signore, elevato in cielo, ordinò ai discepoli: «Andate, insegnate a tutti i popoli, battezzateli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo! ».

LE CAUSE DELLA CRESI ALL'INTERNO DELLA CHIESA
Ciò che avvenne allora, più di 1600 anni or sono, si ripete oggi, però con due o tre differenze. Alessandria rappresenta, oggi, l'intiera Chiesa, scos­sa nelle sue fondamenta; ed i fatti di violenza fisica e di crudeltà interessano un'altra sfera. L'esilio si cam­bia in un silenzio mortale e l'assassinio è sostituito dalla calunnia, pure mortale. Il Santo Padre ha no­minato colui che fa le veci dell'usurpatore Gregorio, chiamandolo «Satana, entrato nella Chiesa per una fessura». Pur addossandogli la responsabilità della confusione che turba la Chiesa, ciò non significa che siano innocenti gli uomini che gli si offrono come strumenti, anche se credono, poi, di avere il diritto di negare la sua esistenza. Comunque, è bene che si confessi, con chiarezza e senza equivoci, la biblica verità che il diavolo esiste e che è, fin dal principio, il padre della menzogna (Giov. 8, 44) e un assassino (ibid.). Quando tentò Gesù, osò dire di avere ogni potere su tutti i regni della terra, sulla loro magnifi­cenza e che li dava a chi voleva (Lc. V, 5 ss.). Già dai tempi remoti, si conosceva bene la fonte dell'eresia e Basilio, nel 373, scriveva: «Resosi conto che la Chiesa cresce e fiorisce, nonostante le persecuzioni mosse dai pagani, il diavolo cambiò tattica; non la combatté più apertamente, ma preparò delle insidie segrete, nascondendo la sua astuzia sotto nomi che voi stessi portate; e così, noi soffriamo come i nostri Padri, ma non più per il nome di Cristo, poiché anche i nostri persecutori portano il nome di cristiani »
Ora, queste sue parole descrivono a puntino la nostra situazione. Le persecuzioni sanguinose sem­brano superate; quelle di oggi si imbastiscono con più finezza, con più eleganza...; ma sono più diabo­liche. Esiste, difatti, un piano diabolico a cui Leone XIII accennò quando scriveva: « In tali tentativi folli e macchinosi, sembra rivelarsi l'odio implacabile e la sete di vendetta che satana nutre contro Gesù Cristo ».
Abbiamo il dovere di riconoscere che esiste questo piano satanico; e questo colpisce il segno e scopre le cause dell'odierna crisi all'interno della Chiesa.
Nell'Enciclica contro il Modernismo, S. Pio X l'indicò quale « sintesi di tutte le eresie » (omnium haeresum conlectum). Difatti, a volgere lo sguardo alla Chiesa antica, noi vediamo una recrudescenza di tutte le eresie, sotto nuove spoglie. Ario, che negò la consustanzialità del Logos col Padre, è ancora vivo. Vive ovunque, là dove si schiva di confessare che Cristo è vero Dio e si rifugge in espressioni equivoche che possono anche piacere; ma si nega, praticamente, il dogma che è il perno della nostra fede. Pelagio, che mise in dubbio il peccato originale che esaltò la forza della volontà umana, così da togliere quasi ogni importanza alla Grazia, è pure ancora vivo. È strano come queste eresie abbiano acquistato la loro viru­lenza. Per quale ragione? Credo sia la paura del mistero da cui rifugge la ragione umana con la sua « ratio ». È questo che spiega la soluzione ariana del mistero di Cristo: perché esso è comprensibile. È que­sto superbo appellarsi alla forza della volontà del­l'uomo, che può tutto quanto vuole e che non ha bisogno di lasciarsi guidare dalle correnti sovranna­turali della Grazia. Tutto, poi, è mischiato a una specie di gnosi che ha sempre cercato di integrare la giovane cristianità al mondo, quasi che voleva già, fin d'allora, attuare il suo «aggiornamento».
Ma lasciamo stare e facciamo il salto di un mil­lennio. Eccoci di fronte al maggiore cambiamento spirituale della storia: l'U m a n e s i m o e il R i n a­ s cimento. Comincia, qui, il processo di secolariz­zazione che dirige, da allora in poi, la Storia e il senso della vita. È la svolta copernicana, ma con ben altro significato. Finora, l'uomo e la storia cer­cavano Dio; ora, l'uomo occupa il centro e, quattro secoli più tardi, la materia ne prende il posto e può darsi che lo superi. L'uomo è, ormai, la misura di tutto. Abbiamo bisogno di addurne delle prove per oggi? La « teologia della morte di Dio » - non im­porta come si voglia interpretarla - ne è l'ultimo grido. E questa tendenza non si arresta più, neppure davanti alle cose più sante. Dio va messo da parte. Persino nelle preghiere, ormai, vi domina l'uomo!

L'ILLUMINISMO
Un altro passo verso la realizzazione del piano diabolico fu dato dall'Illuminismo. Nel volume « Commiato dal Cristianesimo », edito per festeggiare il 65° compleanno di Hans Lilje (20 agosto 1964), vi troviamo 17 risposte di pubblicisti e di teologi, tra cui il saggio di Hans Rirgen Baden, dal titolo: « La seconda era dell'Illuminismo ». L'Autore, protestan­te, propugna l'idea - condivisa da molti contempo­ranei - che siamo ormai entrati nel secondo periodo dell'Illuminismo, che ripete quello di 250 anni or sono. È un fatto noto. Ma vale la pena di rileggere nell'« Atanasio » di Górres la descrizione del clero francese nell'ultima fase dell'Illuminismo, poco prima dello scoppio della Rivoluzione francese, per chie­dersi se - fatta eccezione dello stile - non si ri­scontra pure oggi quello che Górres aveva già se­gnalato.
«Non si può né negare né nascondere che molti membri del clero, negli ultimi tempi precorrenti la Rivoluzione, si erano già abbandonati a una cre­scente letargia. Un fenomeno che si poteva osservare tanto nella massa quanto nelle singole persone e per­sino nelle più nobili Istituzioni. Questa apatìa li aveva fatti entrare, già d'allora, senza slancio, nelle cattedrali, costruite dall'entusiasta fede dei loro padri. Basti considerare anche solo le pitture che le orna­vano nell'interno, dovute all'abilità delle loro mani d'artista. Ma i discendenti, non più consapevoli della preziosità del tesoro di cui la loro professione li aveva fatti i custodi e i dispensatori, li stimavano già robe da vecchi. A fianco della generazione che se ne andava e che aveva cercato di conservare i resti dell'antica viva Tradizione, con la serietà e la seve­rità di una volta, avanzava una nuova generazione che la disprezzava, considerando la serietà come un tetro monachesimo; una generazione che vedeva nella severità un inutile auto-tormento, superata dai tempi nuovi, coi quali s'industriava di trovare molti acco­modamenti. Il Protestantesimo lo vedevano come un modello luminoso, al quale occorreva accostarvisi per ricambiare le vecchie cose in altre nuove; e così, ringiovanirsi.
Ci si mise all'opera. All'inizio, lo si fece con moderazione e rispetto, non intaccando l'essenziale. Ma poi... si iniziò con la dogmatica. Essa conteneva molte cose incomprensibili alla superficialità ognor crescente del tempo; e per questo, il suo contenuto fu dichiarato inintelligibile e, quindi, eliminato dal­l'ambito delle nozioni degne di essere conosciute.
Il Mistero, nella sua tranquilla luminosità, è af­ferrabile solo da uno sguardo di veggente; il solo che è capace di stimarlo e di conoscerlo. Profondo com'è, il mistero presuppone anche la profondità dell'anima, atta ad accoglierlo. Ma esso non era più visibile ad occhi divenuti troppo opachi, a menti ricolme di sag­gezza mondana. La sua luce spirituale impallidiva davanti ai bagliori del materialismo; e, come fosse divenuto estraneo alla comprensione dell'epoca, fu appena tollerato e mantenuto nei suoi segni esteriori.
L'antica dottrina aveva diffuso la sua intima pienezza in una profusione disegni esteriori che for­mavano come un muro di protezione contro il mon­do; ma ora, scemando la vita interiore, anche le cose esteriori si raffreddavano, venivano abbandonate e, per quanto possibile, eliminate. Sicché, evacuato ormai il mastio della nobile rocca e sgomberati gli spalti dai difensori, la dottrina si era ristretta alle necessità quotidiane e nell'ambito della vita natu­rale; ma così semplificata e ristretta, divenne total­mente mondana.
Toccò poi alla morale di seguirne la via. E la medesima fine toccò anche alla disciplina. Il senso dell'ascesi era venuto meno nel clero, non più consa­pevole della sua importanza. Ne risultò che la vec­chia disciplina appariva come una crudeltà imperdo­nabile, contro natura; un'esagerazione senza buon fine, che spingeva solo a ribellarsi. Ovunque, si pro­pagò il desiderio di collaborare alla liberazione degli oppressi; gli stretti legami della disciplina vennero rilassati e, in parte, sciolti del tutto. Fuori delle chiese, l'antica ampia toga (= veste talare) cedette il posto a una più comoda clamide (- clergyman).
Da tali pratiche, adottate dal singolo, si giunge presto alle Istituzioni. Le Regole degli Ordini Reli­giosi e le tradizioni, che una volta avevano ispirato tutti i membri della Gerarchia, vennero raddolcite. Dappertutto, la stretta osservanza lasciò il posto a un andazzo lassista. Anche la gioventù nei seminari venne educata in tale modo».

LE SOCIETA' SEGRETE
All'epoca dell'Illuminismo sorsero una quantità di Società anticlericali di cui basta nominarne due: la Massoneria (fondata a Londra nel 1717) e l'Ordine degli Illuminati, fondato il 1 mag­gio 1776, a Ingolstadt, dal professore di storia eccle­siastica Adam Weisshaupt. S'affaccia, quindi, il pro­blema delle società segrete e il loro influsso su Chiesa e Stato. Si legge di frequente che la Rivoluzione fran­cese va addebitata alla Massoneria. Un'opera recente ne dà la formula: «La Massoneria non fa le rivolu­zioni; le prepara e le continua». Checché ne sia, il seme di ciò che si chiamò, più tardi, « s i n a r c h i a », germogliò nel suo seno e nel seno di altre Società segrete che le assomigliavano; vale a dire di uno Stato mondiale con un unico Governo, costituito come una « anti-Chiesa ». Ne riparleremo più avanti. Comunque, la rivoluzione rappresenta un anello im­portantissimo nel piano di Lucifero. Non si dice troppo a sostenere che molti ambienti cattolici adottano, oggi, le idee matrici: la libertà, radicata nella ri­bellione contro la struttura monarchica della Chiesa; l'uguaglianza, con la democratizzazione, me­diante il sistema dei « Consigli »; la f r a t e r n i t à, mediante l'umanitarismo orizzontale, eliminando la linea verticale - Dio - e, in generale, la trascen­denza.
Quanto il Concilio Vaticano II abbia un legame con la Rivoluzione francese, lo si può dedurre dalle affermazione del 2° Congresso del Partito Comunista Italiano, nel 1964, di cui riparleremo.
Qui, noi siamo di fronte ai motivi immediati della crisi all'interno della Chiesa, nella seconda metà del ventesimo secolo. Ricordiamo che « le grandi ri­voluzioni - e di rivoluzione si tratta! - non scop­piano spontaneamente, ma sono preparate da precur­sori; spesso, nel segreto. I suoi profeti spargono i semi della ribellione; poi, sorgono i capi ed i gregari che le attuano. Precede una fase sotterranea; poi, quella dell'incubazione »; infine, l'esecuzione aperta.
Con questa nostra osservazione abbiamo già ri­sposto a un'obbiezione che si potrebbe fare a riguardo di certe Società segrete e dei loro araldi nel 19.mo secolo. È vero, molti di questi nomi non si trovano in alcun lessico; ma ciò non cambia il fatto che il seme avvelenato continui a germogliare e venga alla superficie, per la prima volta, nel principio del 20.mo secolo, sotto la forma del « Modernismo », subito estirpato dalla mano robusta di San Pio X.
È merito, soprattutto, di Pierre Viron l'avere attirato l'attenzione sulle Società segrete, coi suoi scritti. Se si legge anche solo una piccola parte di tutto quanto Viron ha raccolto dagli scritti segreti, ormai più o meno spariti, dei capi, si resta stupefatti, sorpresi e indignati nel constatare che, alla fine del secolo passato, erano emerse già tutte quelle idee che oggi stanno lacerando la Chiesa post-conciliare. Bi­sogna anche tenere a mente che tutti questi concetti distruttivi mirano, in fondo, a raggiungere un solo scopo: creare una contro-Chiesa o « nuova » Chiesa, minando il fine e modificando le funzioni dell'antica Chiesa. E questo, non con assalti esteriori, ma con una « marcia attraverso le Istituzioni », come si usa dire, oggi, in politica.
Abbiamo menzionato già il nome, coniato in Francia, che caratterizza tutti questi tentativi: s i - n a r c h i a. Si tratta di un'addizione di poteri occulti di tutti gli « Ordini » e di tutte le « Scuole », uniti insieme per formare un indivisibile Governo del mondo. Politicamente, la sinarchia tende ad integra­re tutte le potenze sociali e finanziarie, destinate a formare e promuovere questo governo mondiale sotto la guida socialista. Il Cattolicesimo, come tutte le altre religioni, verrebbe assorbito dal sincretismo universale. Non si penserebbe di soffocarlo, ma di integrarlo. E questa tendenza è già stata delineata chiaramente nel principio della « Collegialità ».
Chi non vede la gravità delle conseguenze che potranno avere questi nuovi termini?
Infine, la sinarchia significherebbe l'anti-Chiesa, se fosse pienamente realizzata. Qui, dobbiamo nuo­vamente confutare l'obbiezione di coloro che dicono che i rapporti si esauriscono in una somiglianza o in una uguaglianza linguistica puramente esterna, per cui, oggettivamente, non combaciano. Ma sentia­mo, piuttosto, ciò che ne dice Alfonso Rosenberg: « ...Tutti questi gruppi (questi ed altri) esercitano il loro influsso, per lo più invisibile, sull'andamento della Riforma Ecclesiastica. Al solito, i loro pensieri sfociano, senza che lo si dica apertamente, nel si­stema circolatorio della Chiesa, per via dell'evolu­zione e con l'aiuto di una cauta scelta, fatta dai teo­logi e dai pastori(!)... ».
Valorizziamo le sue parole come una delle pro­ve più forti e univoche dei metodi d'infiltrazione usati dai nemici. Bisogna tirarne le conseguenze! Ma chi lo fa?
Il piano, che è alla base della sinarchia, fu ela­borato negli anni 1880-1890. Senza fare l'analisi dei diversi gruppi, come, per es., l'Ordine cabalistico dei Crociati della Rosa, dei Martinisti e dei Simbolisti, menzioniamo unicamente che i gesuiti Riquet e Alec Mellor, che s'impegnano per un riavvicinamento tra Chiesa e Massoneria, mantengono stretti rapporti con essi. Del resto, esiste un « Inno a satana », composto dal fondatore del primo gruppo, l'ex-prete Stanislao de Guaita (1861-1897).
L'ex-canonico Roca (1830-1893) merita un ac­cenno particolare, benché il suo nome non si trovi né nel lessico teologico-ecclesiastico, né in quello massonico. Nato a Perpignan, in Francia, frequentò la scuola dei Carmelitani; ricevette gli Ordini nel 1858 e divenne Canonico onorario nel 1869. Viaggiò in Spagna, negli Stati Uniti d'America, in Svizzera e in Italia. Versatissimo in scienze occulte, le propagò con zelo, specialmente in mezzo alla gioventù. E così, entrò in conflitto con Roma. Ma, ad onta della sco­munica, egli continuò la sua attività; predicò la rivo­luzione ed annunciò l'avvento della « sinarchia », sotto un Papa che sarebbe un convertito a un cristia­nesimo scientifico. Egli parla di una C h i e s a illu­minata, influenzata dal socialismo di Gesù e degli Apostoli. Secondo il giudizio di Virion, Roca è « un apostata della peggior specie »; e si potrebbe credere persino profetiche le sue previsioni.
Per comprendere alquanto il suo linguaggio, bisogna sapere che egli conservò la terminologia cat­tolica più in uso, dandole però un senso diverso; (come si fa oggi!).
Egli dichiara con franchezza: «Il mio Cristo non è quello del Vaticano ». Parlando di Dio, intende l'u o m o che prende il suo posto. La parola « rifor­ma », significa « rivoluzione ». Non già una riforma ma - quasi non oso pronunciarla, perché si tratta di una parola tanto contestata... - una « r i v o 1 u z i o n e » ! « Il nuovo ordine sociale si consoliderà all'infuori di Roma; anzi, malgrado e contro Roma ». Ed ecco una sua enunciazione che - come qualcuno ha detto - ci turba e ci spaventa: « La nuova Chiesa che, forse, non potrà mantenere niente della dottrina scolastica e della forma originale della Chiesa di una volta, avrà, nondimeno, la sua benedizione e la giu­ridizione canonica da Roma ». Pochi anni fa, sem­brava del tutto impossibile immaginare tali cose; ma oggi?...
Continuiamo a citare alcune frasi, tutte dalle opere del Roca, che gettano una chiara luce sulla crisi attuale. Riferendosi alla Liturgia futura, egli crede « che il culto divino, come lo regolano la litur­gia, il cerimoniale, il rituale e le costituzioni della Chiesa romana, sarà, prossimamente, tramite un Con­cilio Ecumenico(!), sottomesso a un cambiamento totale che restituirà la venerabile semplicità dell'epo­ca d'oro degli Apostoli, corrispondente alla coscienza e alla civiltà moderna ». E Roca continua: «Si de­linea un sacrificio che sarà una solenne riparazione... Il Papato cadrà; morirà sotto il sacro coltello che i Padri dell'ultimo Concilio forgeranno. Il Cesare-Papa è un'ostia coronata per il sacrificio»".
È scioccante constatare che già ai suoi tempi si invocasse un Concilio. Il crociato della Rosa, Ro­dolfo Steiner, fondatore della Società antroposofica, dichiarava, nell'anno 1910: « Abbiamo bisogno di un Concilio e di un Papa che lo convochi». L'entusia­smo, nato alla notizia della convocazione del Con­cilio, avrà avuto qui il suo nutrimento? Il concetto dominante sta nella parola « nuovo ». Roca annuncia una «nuova religione», un «nuovo dogma», un «nuovo rituale», un «nuovo sacerdozio». Egli chia­ma «progressisti» i «nuovi sacerdoti»; parla della «soppressione» della veste talare e del «matrimonio dei sacerdoti» e la sua predizione culmina nella confessione: «Il. redentore religioso, politico e so­ciale, regnerà sugli uomini attraverso istituzioni impersonali». Si è visto l'interpretazione di que­sta espressione nella collegialità, nella stragrande quantità di «conferenze, commissioni, comitati e se­dute che si succedono senza posa». Si sarebbe ten­tati di dire che la persona viene eliminata per farvi regnare l'anonimato. Il piano di Lucifero si mostra in tutta la sua chiarezza. Non più la persona umana che riceve la sua più alta consacrazione dalla Trinità e dall'Uomo-Dio, ma la persona soffocata nel col­lettivo; non importa sotto quale forma.
Facciamo un'osservazione: sarebbe falso credere che si tratti dei pensieri di un uomo solo, di un soli­tario, come Roca. No! Le stesse cose si leggono in un'infinità di altri scritti, che erano allora a disposi­zione di tutti. Le stesse cose furono pronunciate da tutta una vasta schiera di persone. S'impone, perciò, la domanda: perché la Chiesa non ne ha preso co­scienza di questo? Certo, Pio X l'ha fatto. Ma questo è tutto !
Nel libro dell'abbé Melinge (più noto sotto lo pseudonimo di dott. Alta): « L'Évangile de l'Esprit­-Saint, Jean, traduit et commenté », espone tutto quanto il programma, secondo il quale si sta ora « lavorando ».
1) Appello all'esoterismo;
2) La ribellione contro le strutture della Chiesa;
3) La sostituzione del Papato romano con un ponti­ficato « pluriconfessionale », capace di conformar­si a un ecumenismo polivalente, di cui vediamo oggi il principio nella concelebrazione di sacer­doti cattolici e di pastori protestanti;
4) La glorificazione di Cristo con una «nuova» umanità;
5) L'inversione di tutte le verità insegnate da Cri­sto.
Non si può essere più espliciti. Il dott. Alta rimase, tuttavia, nella Chiesa. Si diceva di lui: « In­vece di fuggire dalla Chiesa, come Lutero, le rimase unito, per cominciare la riforma nel seno della Chiesa stessa ».
Tutto si ripete !
Ma torniamo a Roca. Le citazioni da noi ripor­tate - che si potrebbero aumentare facilmente, fino a riempire dei libri - rivelano la tattica prescelta. E cioè: togliere il suo carattere sovrannaturale alla Chiesa; amalgamarla col mondo; fare delle parallele confessionali un confuso miscuglio ecumenico; e pre­parare, infine, l'unica Religione mondiale nell'unico Stato mondiale. Il predicato della Chiesa che « sola dà la salvezza » è sparito nel « dialogo », come un conferenziere gnostico l'aveva formulato: « Offriamo l'ultima occasione (chance) alla Chiesa di allinearsi con le altre religioni ». Naturalmente, ciò comporta la « déprêtrise » (la desacralizzazione del sacerdozio) in favore di una Chiesa laica e, come forma inter­mediaria, o - sempre secondo Roca - la coesi­stenza di preti celibatari e di preti sposati.
Ebbene, la desacralizzazione del sacerdozio è già cominciata, e in misura cosi vasta da farne spa­vento. Non è più necessario che contiamo i preti che hanno seguito la via di Roca (e di Loisy). Virian si domanda: « Quanti preti restano ancora, ostentativa­mente, nella Chiesa per la sola ragione di seminare segretamente il virus della rivoluzione»? Roca, che ama esagerare, dice: « mille ». Ma Saint-Ives dice più modestamente: « Conosco molti preti, anche buo­ni preti, che s'incamminano (per ignoranza) sulla strada di un Cristianesimo sincretizzato ».
Un'altra idea moderna, già allora accarezzata nei cerchi dell'occultismo, rappresentava una specie di mistica democratica. Già allora, cioè, si predicava un « Cristo socialista »; e Roca scriveva: « Credo che la redenzione sociale del popolo, nella nuova società, sia stata compiuta con l'intronizzazione della demo­crazia ». E il 26 luglio ripeteva, in forma anche più violenta: « Il puro cristianesimo è il socialismo » - (le christianisme pur, c'est le socialisme) -. Egli attende, perciò, dal grande « Convertito del Vatica­no » la dichiarazione, Urbi et Orbi, che « la civiltà attuale è la figlia legittima del santo Vangelo della redenzione sociale ».
Tutto ciò si completa nel libro, importante, del massone Ives Marsaudon: « L'Oecuménisme vu par un Franc-Maçon de Tradition », che egli ha dedi­cato, in termini ditirambici, a Papa Giovanni XXIII, e che dovrà servire a costruire un ponte tra Chiesa e Massoneria. La svolta della strategia la si può datare dall'anno 1908-12. «La distruzione della Chie­sa non e più l'obbiettivo verso il quale si tende; ma si cerca di servirsene, penetrandovi ». Con Papa Gio­vanni XXIII si è fatto il primo passo. « Con tutto il cuore noi ci auguriamo che la rivoluzione di Gio­vanni XXIII abbia a continuare ». «La Chiesa dog­matica deve sparire, o conformarsi; e per confor­marsi, dovrà ritornare alle sorgenti ». I preti mo­derni ne danno già la prova. « Il sacerdote non è più un essere particolare, oggi...; al contrario, egli tende progressivamente ad unirsi alla società moderna ». In questo processo d'amalgama, la Massoneria ha una parte importantissima. « Noi, massoni della tra­dizione, ci permettiamo di interpretare e di accen­tuare (transposer) la parola di un celebre statista, uniformandola alla situazione: per noi, il cattolico, l'ortodosso, il protestante, il maomettano, l'induista, il buddista, il libero pensatore e i pensatori credenti non sono altro che nomi. Il nostro cognome suona: « Massoneria »!.
A questo punto, si vede benissimo che il vero e il falso vengon messi insieme. Che cosa possiamo desiderare più fervorosamente dell'ecumenismo indi­cato da Cristo con la parola « ut sint unum » (Giov. XVII, 21)? Eppure, una parete sottilissima lo separa dall'ecumenismo sincretizzato, per il quale la verità è relativa e che conduce, in ultima analisi, verso una Super-Chiesa, la grande meta delle Società segrete.
Ma siamo già andati troppo lontani; dobbiamo tornare indietro, per analizzare un altro fenomeno dei nostri giorni: la demoralizzazione sessuale, per non dire la distruzione della morale. In un'istruzione segreta del lontano 1819, leggiamo: «Favorite tutte le passioni, le peggiori e le più generose... ». E in un'altra lettera del 9 agosto, vi si legge: «Non dob­biamo individualizzare il vizio, ma, al fine di farlo ingigantire nelle proporzioni di patriottismo e di odio contro la Chiesa, noi dobbiamo cercare di renderlo generale. Il Cattolicesimo, come la Monarchia, non temono più un pugnale affilato, ma queste due fortezze principali dell'ordine sociale possono essere at­terrate solo dalla corruzione. Noi, però, non ci la­sciamo corrompere. Non vogliamo più creare dei martiri; ma dobbiamo rendere popolare il vizio tra le masse. Tutto ciò che i loro sensi bramano, sia sod­disfatto! Radicate il vizio nei cuori e non vi saranno più cattolici. Questa è la corruzione, in grande stile, che noi abbiamo intrapresa: la corruzione del po­polo, attraverso il clero; la corruzione del clero, fatta da noi; la corruzione, insomma, che ci aiuterà a far precipitare la Chiesa nella fossa ».
In quei tempi lontani, si è manifestato quel programma che si va realizzando solo oggigiorno. Per raggiungere questo nostro fine che vogliamo, noi dobbiamo « creare una nuova generazione, degna del regno che noi sognamo ». Lasciate da parte gli an­ziani e gli uomini maturi; andate verso la gioventù e, se possibile, verso i bambini. Quando la vostra riputazione avrà preso piede nei collegi, nei licei, nelle Università e nei Seminari, quando avrete otte­nuto la fiducia dei professori e degli studenti, abbiate cura che le persone che s'impegnano al servizio della Chiesa vengano volentieri alle vostre riunioni. Questa buona riputazione vi servirà per penetrare sia tra il giovane clero, quanto all'interno dei Monasteri. Tra qualche anno, per forza di cose, sarà il giovane clero ad avere in mano tutte le funzioni. Allora, voi pro­clamerete la rivoluzione della tiara e della cotta ...; una rivoluzione che avrà bisogno di essere appena appena attizzata per fare avvampare un gran fuoco nei quattro cantoni del mondo ».

SAN PIO X E IL MODERNISMO
Gettando uno sguardo indietro su questo 19.mo secolo, bisogna constatare che la Chiesa, nel suo in­sieme, si è ben poco occupata di tutti questi avve­nimenti. Il mondo era affascinato dalle scoperte delle scienze naturali e della tecnica. Persino adesso, dopo due guerre mondiali, c'è chi sogna ancora in una evoluzione eterna e in un paradiso terrestre. E la Chiesa? Era la casa costruita su solida pietra, difesa da torrioni massicci. La rocca di Pietro aveva rice­vuto, nel Concilio Vaticano primo, una cinta così salda che la difendeva da tutte le parti, sì che più alcuna bufera poteva scuoterla. Almeno questa era l'idea generale. Uno solo vide più lontano: il Papa S. Pio X.
Dobbiamo, ora, studiarne la figura, in maniera esauriente, ricordando che anche Paolo VI, nella sua prima Enciclica « Ecclesiam suam », ha scritto che noi, « oggi, abbiamo a che fare con una rinascita degli errori modernisti ».
Il giudizio sul Modernismo, oggi, è reso più arduo dal fatto che tendenze legittime e tendenze
false, desideri giusti di riforma e desideri pericolosi di rivoluzione distruttiva, si toccano molto da vicino. Assai istruttivo, per questo, può essere l'articolo del barone Giorgio von Hertling, pubblicato nel Hoch­land, col titolo: « Idies réformatrices romaines » 3. Nell'introduzione, egli espone: «Tra le carte, tro­vate, dopo la morte, del vescovo Ketteler di Ma­gonza - come afferma il suo biografo P. Pfülf. s. j. - vi era il piano, stilato con fretta, di una ri­forma. Ketteler lo destinava ai Vescovi tedeschi ed intendeva, poi, di promuoverne la realizzazione da parte di Roma: «La riforma dovrebbe abbracciare tutta la Gerarchia, a cominciare dall'elezione del Papa e dalle consuetudini romane, fino ai decani di campagna e ai parroci ». Nel corso dell'articolo, l'Autore dimostra come si doveva incominciare la critica e la riforma e ciò di cui si doveva tener conto. «Una critica che sa solo borbottare, che mina la fi­ducia nella buona volontà delle persone rivestite di autorità, che giudica con disprezzo le Istituzioni, che esagera i mali reali o immaginari, è ancora più no­civa nell'ambito ecclesiale che in quello statale. Il sag­gio solo non vi si perde, perché sa fare le distinzioni tra l'ideale e la realtà, tra le cose giuste e quelle desiderabili e le loro possibili realizzazioni tra gli uomini. Non dispera della verità della dottrina della salvezza cristiana, anche se esperimenta che qua e là vi sono pratiche superstiziose che la deformano e preti indegni che la disonorano e ne abusano per vile interesse. Sa che i legami che ci uniscono alla Tradi­zione, venuta dai Padri, sono fortissimi e che riesce difficilissimo l'abolire usanze sanzionate ormai dalla Storia; usanze che hanno il diritto all'esistenza, sia per l'origine che per l'abitudine acquisita. Ma non tutti se ne rendono conto; anzi, una tale visuale manca del tutto alla massa. Inoltre, la vita del mondo moderno segue, in gran parte, delle vie aliene alla fede cristiana sovrannaturale, per non dire che le sono ostili. Ecco perché gli uomini indecisi, titubanti e di poca fede, vengono subito soverchiati, senza avere alcuna possibilità di difesa contro le forti ac­cuse a personaggi ecclesiastici, o per le critiche spie­tate che si levino all'interna della Chiesa stessa e di Istituzioni esistenti o tollerate nel suo seno. L'ultimo legame che li teneva ancora attaccati alla Chiesa, così, si è spezzato. Credono di potere, ormai, con­dannare, indistintamente, tutta quanta la pietà cat­tolica, soltanto perché stupide invenzioni di devoti sciocchi l'hanno messa in ridicolo. Perché dico tutto questo? Perché vorrei esprimere la mia convinzione che la persona che vuole criticare o riformare la Chiesa non dovrebbe uscire in pubblico se non si sente sicura di avere forza e volontà per migliorare davvero le cose che le sembrano bisognose di riforma, o, almeno, di sottomettere i suoi dati e le sue pro­poste alle Autorità competenti. Altrimenti, con tutta la buona volontà, finirà con lo scandalizzare i pic­coli e col fare piacere ai nemici».
Purtroppo, sono parole poco ascoltate e poco o niente prese sul serio. Nel romanzo indiziato «Il Santo » di Antonio Fogazzaro (1842-1911) troviamo alcuni passi che mettono in luce i nostri giudizi sulle Società segrete. « Ecco - disse don Paolo – noi siamo parecchi, in Italia e fuori d'Italia, ecclesiastici e laici, che desideriamo una riforma dalla Chiesa. Ma la desideriamo senza ribellione, compiuta dalla legittima Autorità. Noi desideriamo riforme dell'in­segnamento religioso, riforme del culto, riforme della disciplina del clero, riforme anche nel supremo go­verno della Chiesa. Per questo, abbiamo bisogno di creare un'opinione pubblica che induca l'Autorità legittima ad agire in conformità, sia pure tra venti, trenta o cinquant'anni (!). Ora, noi che pensiamo così, siamo degli isolati, che vivono separati gli uni dagli altri. Noi non sappiamo niente l'uno dell'altra, eccetto i pochi che pubblicano articoli o libri. Oggi, probabilmente, vi è nel mondo cattolico una grande quantità di persone religiose e colte che pensano come noi. Io ho pensato che sarebbe utilissimo, per la propaganda delle nostre idee, almeno di cono­scerci. Stasera, riuniamoci, sia pure in pochi, per una prima intesa'... ». « Egli aggiunse, parlando più alto e più lento, tenendo gli occhi fissi sull'abate Marinier, che, per ora, egli stimava prudente che non si divulgasse né sulla riunione, né sulle delibe­razioni che si sarebbero prese, e pregò tutti a consi­derarsi legati al silenzio da un impegno d'onore. Quindi, espose di nuovo l'idea che aveva concepita e lo scopo della riunione; e questo un po' più diffu­samente che non l'avesse fatto durante la cena». Citiamo anche il discorsetto dell'abate: «Noi siamo d'accordo probabilmente in questo: che la Chiesa cat­tolica la si può somigliare a un tempio antichissimo che, all'inizio, fu di grande semplicità, di grande spiritualità, ma che il seicento, il settecento e l'ottocento l'hanno deteriorato e infarcito di ornamenti fasulli. Forse, i più maligni tra voi, diranno che vi si parla forte solamente una lingua morta; che le lingue vive vi si possono parlare appena piano e che il sole vi prende alle finestre un colore falso. Ma io non posso credere che noi siamo tutti d'accordo nella qualità e nella quantità dei rimedii. Prima, dunque, di ini­ziare la fondazione di questa f r a m m a s s o n e r i a cattolica, io credo che ci converrebbe intenderci circa le riforme. Dirò di più: io credo che anche quando fosse tra voi un pienissimo accordo nelle idee, io non vi consiglierei di legarvi con un vincolo sensibile, come propone il signor Selva. La mia ob­biezione è di natura molto delicata. Voi pensate, certo, di poter navigare sicuri sott'acqua, come pesci cauti, ma non pensate che un occhio acuto di Sommo Pescatore, o dei suoi rappresentanti, vi potrà scoprire benissimo e che un ben assestato colpo di fiocina vi potrà cogliere. Ora, io non consiglierei mai ai pesci più fini, più saporiti, più ricercati, di legarsi insieme. Voi capite cosa può succedere, quando uno è preso e tirato sù. E voi lo sapete bene che il grande Pesca­tore di Galilea metteva i pesciolini nel suo vivaio, mentre il grande Pescatore di Roma li frigge ».
L'obbiettivo è, dunque, l'unione di tutti quanti pensano in questo modo, per formare una « masso­neria cattolica » di cui si ebbe a dire, quasi profeti­camente: « Le riforme si faranno un giorno, perché le idee sono più forti degli uomini e camminano ».
Hanno camminato, infatti, per cinquant'anni. Si e avverato, però, anche altro. Il grande Pescatore ha tirato i pesci alla superficie. È stato S. Pio X, il quale, con l'Enciclica « Pascendi » dell'8 settembre 1907, ha pronunciato la condanna contro il Modernismo. È un gran peccato che questa Enciclia non venga riedita, per dare agio ai lettori di rendersi conto che tutte quelle cose che si vogliono far passare, oggi, come « nuove » o come un risultato del progresso, erano già dette fin d'allora, per cui non sono né nuove né un segno di progresso.
Cominciamo col riassumere brevemente l'Enci­clica.
Il Papa si lamenta che « i fautori degli errori si celino nel seno stesso della Chiesa... e nello stesso ceto sacerdotale. I nemici della Chiesa si vantano di essere riformatori della Chiesa medesima..., non ri­sparmiando la persona stessa del Redentore divino che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di puro e semplice uomo». Perciò, i modernisti sono « i più dannosi nemici della Chiesa..., poiché pongono la scure alla radice medesima della fede e alle fibre più profonde di lei... Nessuno li su­pera in accortezza e in astuzia, giacché agiscono contemporaneamente e da razionalisti e da cattolici, con sì fine simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto... ». Essi non riconoscono più alcuna autorità « e non vogliono più ammettere alcun freno ». La stessa fede cattolica è in pericolo.
« È, dunque, necessario uscir da un silenzio che ormai sarebbe una colpa, per strappare loro la ma­schera in faccia a tutta la Chiesa » (...).
Dopo l'introduzione, piena di vivacità, il Papa enumera i singoli errori.
Dicono i Modernisti che non si può riconoscere Iddio nelle cose visibili, e così vengono a mancare anche i cosiddetti « motiva credibilitatis » (come ven­gono taciute anche adesso). La storia, poi, è da essi spiegata « come se, in realtà, Dio non fosse mai inter­venuto ». Anche dalla storia della vita di Cristo è bandito « tutto quanto sa di divino ». « Sono uomini cattolici - scrive - anzi, sono sacerdoti - e non pochi! - che così parlano, pubblicamente, e che con siffatte follìe si vantano di riformare la Chiesa... Le loro affermazioni sono il mezzo più adatto per sop­primere ogni ordine sovrannaturale ».
In quanto ai dogmi, «essi non sono che delle semplici immagini, dei simboli »,che in alcun modo «esprimono la verità in modo assoluto»... Devono essere, perciò, di possibile « variazione »; anzi, « sono necessariamente variabili e di corta durata ». «Per essere vivi, devono essere adattati tanto alla Fede che al credente ».
Il Papa termina questa parte con parole ener­giche: « Questi ciechi e conduttori di ciechi che, gonfi del superbo nome della scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l'eterno concetto di verità e il genuino sentimento religioso, spacciando un nuovo sistema, col quale attratti da una sfrontata e sfrenata smania di novità, non cercano la verità dove vera­mente si trova, ma, disprezzate le sante ed Aposto­liche Tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa; e con esse, da uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stes­sa verità ».
Ci sarebbe da stupirsi se i novatori di allora non avessero già affermato che « tutte le religioni sono vere ». E la stessa cosa è di sapere se « il Cristo ha fatto veramente miracoli, se ha previsto effettiva­mente l'avvenire, se è veramente risuscitato ed asceso al cielo ». Come adesso esattamente, anche loro ve­devano « Dio nell'uomo ». « Iddio è immanente nel­l'uomo ». E come prima si diceva dei dogmi, anche i Sacramenti non sono che « meri simboli e segni ». Il Papa, a questo punto, fa un'osservazione che potrebbe essere scritta ora: «Per dare un esempio del loro modo d'agire, essi si sforzano di spiegare con certe parole (oggi, si direbbero « slogans ») che si ha l'abitudine di pronunciare - perché di propa­ganda - con maggior forza, ed hanno in sé la gran­de forza motrice delle « idee entusiasmanti ».
Il parallelismo coi nostri tempi si manifesta, soprattutto, nei giudizi dei modernisti sulla Chiesa. « Fu errore volgare dell'età passata che l'autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio; e, perciò, era giustamente ritenuta autocra­tica. Ma queste sono teorie ormai passate di moda. L'autorità, come la Chiesa, nasce dalla coscienza religiosa e, perciò, resta soggetta alla medesima, per cui, se viene meno, essa diventa tirannìa. Nei tempi che corrono, il sentimento di libertà (" sensus liber­tatis ") è giunto al sino pieno sviluppo. Nello stato civile, la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare, la democrazia (" populare reginem "); quin­di, anche l'autorità della Chiesa deve piegarsi a forme democratiche (" auctoritae Ecclesiae officium inest democraticis utendi formis "); tanto più che, a negarvisi, sarebbe condannata al declino. È follìa il credere che si possa ancora tornare indietro nel sentimento di libertà, quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza, strariperebbe più potente, distruggendo insieme e la religione e la Chiesa ».
Ci sono, qui, raccolti già gli elementi dell'odier­na teologia della rivoluzione! Parrebbe strano se, fin da quell'epoca, non si avesse aperto guerra contro il sedicente « trionfalismo della Chiesa ». Si esige, difatti, che « la Chiesa disdica ogni esterno apparato di magnificenza con cui Essa si circonda agli occhi della moltitudine, poiché il fine della potestà eccle­siastica è tutto spirituale ».
Riassumendo, il Papa dice: « Qui, vale il prin­cipio generale: in una religione che vive, tutto è com­prensibile; è per questo che deve mutare. La quintes­senza - per così dire - del loro insegnamento fa capo all'evoluzionismo. Dogma, Chiesa, culto, Libri Sacri e la stessa fede, devono sottostare alle leggi del­l'evoluzione, se non vogliono diventare cose morte ».
Questa evoluzione nasce « dall'antagonismo di due forze; l'una, che spinge al progresso; l'altra, che è conservatrice e che frena». L'elemento conserva­tore è molto forte nella Chiesa e consiste nella Tra­dizione. La esercita propriamente l'Autorità religio­sa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il difendere la tradizione, sia di fatto, perché, sollevata al di sopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono al progresso. Per contrario, la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali; in quelle, soprattutto, che sono - come dicono - più a contatto con la vita: « i laici ».
Seguono osservazioni che s'adattano perfetta­mente ai fatti recenti: « È loro regola (dei moderni­sti) di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare, a poco a poco, la coscienza collettiva ».
Nel capitolo dedicato alle Sacre Scritture, vi si legge, testualmente: «Per i modernisti la differenza tra il Cristo storico e il Cristo della fede è un loro sentire comune ».
Ancora un cenno sui desideri di riforma dei Modernisti, che il Papa elenca in una specie di ca­talogo. Egli dichiara: «Già le cose esposte finora ci provano, abbondantemente, da quale smania di innovazione siano presi codesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel Cattolicesimo. Voglio­no riformata la filosofia, specialmente nei Seminari ecclesiastici; così che, relegata la filosofia scolastica nella storia della filosofia, assieme agli altri sistemi andati in disuso, si abbia ad insegnare ai giovani la filosofia moderna, unica rispondente ai nostri tempi: (oggi, l'esistenzialismo). I dogmi e la loro evoluzione devono accordarsi con la scienza e la storia. Per "catechesi" essi esigono che, nei libri catechetici, s'inseriscano solo quei dogmi che siano stati moder­nizzati e alla portata dell'intelligenza del volgo. Gri­dano perché il regine ecclesiastico (regimen) venga rinnovato in ogni verso, ma specialmente nel campo disciplinare e dogmatico. Perciò, pretendono che, dentro e fuori, si debba accordare con la coscienza moderna, che è tutta rivolta verso la democrazia; perciò - dicono - nel governo deve avere la sua parte anche il clero inferiore e il laicato, sì da decen­trare l'autorità, troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni Romane si devono svecchiare, spe­cialmente quelle del Santo Officio e dell'Indice.
In fatto di morale, danno voga al principio dell'Americanismo, che vuole le virtù attive antepo­ste alle passive; e di quelle vogliono promuoverne l'esercizio, a svantaggio di queste. Chiedono che il clero ritorni all'antica umiltà e povertà, come lo era in principio; ma lo vogliono, però, mente et opere, consenziente coi precetti del Modernismo. Final­mente, non mancano coloro che, obbedendo volen­tieri ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che cosa si lascia, dunque, intatto nella Chiesa che, da costoro e secondo i loro principi, non si debba riformare? ».
Il Papa, poi, fa una disanima delle cause del Modernismo e prosegue: « Tre sono i principali osta­coli che i modernisti sentono più opposti ai loro ten­tativi: il metodo scolastico di ragionare; l'autorità dei Padri e la Tradizione; il Magistero ecclesiastico. Contro tutto ciò, la lotta è accanita. Deridono, perciò, continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per igno­ranza, sia per timore, o, meglio, per l'una e per l'altra cosa insieme; certo si è che la smania di no­vità va sempre in essi congiunta con l'odio della sco­lastica; né vi e indizio più manifesto che uno cominci a volgersi al Modernismo di quando incomincia ad aborrire i metodi scolastici».
Ed eccovi un altro punto che crediamo di notare, spessissimo, anche ai nostri tempi: i mezzi di co­municazione. Essi esaltano con continue lodi quanti con loro consentono, ne accolgono ed ammirano, con grandi applausi, i loro libri, ricolmi di novità; e quanto più alcuno si mostra audace nel distruggere l'antico, nel rigettare la Tradizione e il Magistero ecclesiastico, tanto più gli danno lode di sapiente; e, per ultimo, ciò che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno viene condannato dalla Chiesa, non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come un martire della verità.
Da tutto questo strepito di lodi e d'improperi, gli animi giovanili, colpiti e turbati o per non pas­sare da ignoranti, o per parere sapienti, spinti inter­namente dalla curiosità e dalla superbia, si danno spesso per vinti e passano al Modernismo.
« Ma qui siamo agli artifici con che i Moder­nisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare seguaci? Nei Seminari e nelle Università, cercano di ottenere cattedre da mutare, a poco a poco, in cattedre di pestilenza. Inculcando le loro dottrine, anche se velatamente, predicando nelle Chiese; le annunciano più apertamente nei Con­gressi; le introducono e le magnificano negli Istituti di socialità... Insomma, con l'azione, con la parola, con la stampa, tutto tentano, sì da sembrar quasi colti da frenesìa ».
Studiando a fondo tutta l'Enciclica, si rimane colpiti dalla visione - che dovremo chiamare pro­fetica - di questo santo Papa che, gettando lo sguar­do sul suo tempo, ha predetto il nostro. Potrebbe, anzi, sembrare che la sua Enciclica sia stata conce­pita proprio per opporsi maggiormente al Modernismo odierno, più che a quello del principio del se­colo, non ancora così profondamente penetrato nel popolo credente. Le parole conclusive di S. Pio X, poi, l'ultimo suo giudizio, si sono avverate appieno solo ai nostri giorni: «Il Protestantesimo fu il primo passo; poi, seguì il Modernismo; la fine, sarà l'atei­smo». L'esperimentiamo, oggi, infatti, nella «teo­logia della morte-di-Dio». Paolo VI, quindi, ebbe ben ragione quando constatò che, oggigiorno, sono rinati tutti gli errori modernisti. Anche Papa Gio­vanni XXIII aveva visto chiaro quando, da giovane, ebbe a dire, nel 1907, a proposito del Modernismo: «Guai al giorno in cui queste dottrine prenderanno il sopravento! ».
Ma aveva detto bene Fogazzaro che ci sareb­bero voluti 50 anni all'incirca perché i pensieri, espressi allora in una cerchia ristretta di persone, avessero ad affermarsi, per sfociare, poi, in una crisi che ha superato di gran lungo l'altra, scoppiata nei tempi della Riforma protestante.
L'eco destata da quell'Enciclica risuonò nella Lettera Pastorale dei Vescovi tedeschi, radunati a Colonia il 10 dicembre 1907. Vi leggiamo, tra l'altro: « A tali e simili sintomi del Modernismo, che si af­facciano talvolta anche da noi, dobbiamo unire la smania, purtroppo crescente, di critica e di riforma, senza esservi chiamati, senza un saldo giudizio e senza conoscenze sufficienti; una smania che è la ma­lattia dei nostri tempi, che non arretra davanti ad alcuna Autorità, che vuole ritoccare le Istituzioni più venerabili, secondo il criterio " della coscienza moderna "; una smania che vuole introdurre nell'or­ganizzazione e nell'amministrazione della Chiesa un parlamentarismo e un democraticismo incompatipili con Essa; una smania che non si vergogna di smer­ciare su giornali e su Riviste, anche ostili alla Chiesa, le loro trovate e i loro giudizi impietosi verso Supe­riori ed Istituzioni ecclesiastiche ».
Tutto ciò non è, forse una pennellata sicura sui mali del nostro tempo?
Il Sillabo « Lamentabili » del 3 luglio 1907, aveva preceduto l'Enciclica « Pascendi ». Sotto forma di Sillabo vi sono enumerate 65 sentenze moderni­stiche, da rigettare. Ne citeremo solo alcune, ma che sono ancora di evidente attualità.
La prima proposizione dichiara: « L'interpreta­zione che la Chiesa dà dei Libri Santi non è da disprezzarsi, ma, ciò nonostante, essa deve essere sottomessa al giudizio e a spiegazioni più precise da parte degli esegeti».
La proposizione 30 dice: «In tutti i testi evangelici, il nome di «Figlio di Dio» è soltanto l'equivalente di Messia e non significa affatto che Cristo sia il Figlio vero e naturale di Dio».
La proposizione 36: «La risurrezione del Signore non è propriamente un fatto storico, ma un fatto d'ordine puramente sovrannaturale, né dimo­strato né dimostrabile; un fatto che la coscienza cri­stiana ha, poco alla volta, fatto derivare da altri fatti ».
La proposizione 37: «La fede nella ri­surrezione di Cristo, da principio, fu non tanto circa il fatto stesso della risurrezione, quanto circa la vita immortale di Cristo presso Dio».
La proposizione 49: «Poiché la "Cena cristiana", a poco a poco, assunse il carattere di un'azione liturgica, coloro che presiedevano abitual­mente alla cena acquistarono il carattere sacer­dotale ».
La proposizione 53: «La costituzione organica della Chiesa non è immutabile, ma la so­cietà cristiana è come l'umana società, soggetta a una continua evoluzione».
La proposizione 58: «La verità non è immutabile più dell'uomo stesso, in quanto si evolve con lui e per mezzo di lui ».
Può bastare. Se si dovessero citare tutte quante le 65 sentenze, ci prenderebbe una santa collera, vedendo che si osano presentare tutti questi aggior­namenti come novità modernissime e conforme allo spirito del Concilio Vaticano II, mentre, in realtà, non si tratta che di autentico Modernismo, vecchio di cinquant'anni; di cose rifritte, insomma, presen­tate con un linguaggio più moderno, ma il cui con­tenuto è identico.
È incomprensibile, perciò, che proprio ai nostri tempi si sia soppresso il « giuramento antimoderni­sta », prescritto fin dal 1° settembre 1910. E tutto questo si è fatto nonostante fortissime proteste. II teologo luterano, dott. Cornelio, barone von Heyl, ebbe a dire: « È innegabile che il Cattolicesimo sia sufficientemente protetto contro il fanatismo e il sog­gettivismo, per opera del Magistero; eppure, non pochi Autori cattolici, oggi, parlano delle decisioni anti-modernistiche di Pio IX e di Pio X come cose degne di disprezzo. lo, al contrario, approfitto della occasione per dire che sarei ben felice se le formule antimodernistiche più importanti fossero ancora ri­conosciute e difese ovunque, anche nelle Chiese non cattoliche. Può darsi che io sia più cattolico dei cat­tolici d'oggi; difatti, io sono lieto per le dichiarazioni della Curia Romana contro Teilhard de Chardin... Nella misura in cui la forza interna della struttura papale è antimodernista; nella misura in cui è salva­guardato il concetto di obbedienza nella Chiesa, il Cattolicesimo è certamente più vicino ai Vecchi-Lu­terani, ai Vecchi-Riformati, a una parte degli Angli­cani e alle Sette fondamentalistiche, che non a quelle altre Chiese e Comunità coi loro lussureggianti prin­cipi di libertà e d'individualismo illimitato ».

CRIPTO – ERESIA
Fu così, dunque, - secondo le parole del Papa - che « il nemico del genere umano » è pene­trato nel più intimo della Chiesa, nel « Sangue stesso della Chiesa, fin nel più profondo ». Il santo Papa aveva visto lucidamente il pericolo e, riconosciuto l'immenso pericolo, aveva atterrato l'avversario. Ma si è ripetuto quello che S. Luca dice alla fine del racconto delle tentazioni: «finite le tentazioni, il diavolo si partì da lui sino ad altro tempo» (Luca IV, 13).
Fino ad altro tempo! E questo tempo, ormai, è venuto. Ciò certo, durante il mezzo secolo tra Pio X e Paolo VI, le dottrine modernistiche hanno fatto capolino un po' ovunque. Basta ricordare, ad esem­pio, il libro dal titolo «Il Cattolicesimo: la sua mor­te e la sua risurrezione», pubblicato nel 1937 da teologi e laici anonimi, che s'informa in tutto allo spirito del Modernismo, e la risposta dei teologi di Paderbon: «Cattolicesimo riformato», al quale, i primi, replicarono con un altro scritto: «Il Cattolicesimo dell'avvenire; struttura e difesa critica ». In quest'ultimo volume, viene attaccato con violenza Pio X; vi si accenna ad intrighi degli integralisti, verso la fine del suo regno, dei quali si può vederne i particolari nella « Storia dei Papi » di Schmidlin.
Ma le correnti intente a criticare le forme di devozione e ad introdurre uno stile di vita cristiana più facile, davano ancora più a pensare. Qui, è bene che citiamo due libri preziosi: il « Sentire cum Ec­clesia » di August Doerner e « Vie errate e fuori strada nella devozione attuale ». Fatali, poi, furono le limitazioni poste alla devozione mariana. Si mise in silenzio Fatima; si mise in dubbio « l'opportunità » del dogma dell'Assunzione corporale di Maria; anche la consacrazione della Germania al Cuore Immaco­lato di Maria trovò aspre critiche. Il Papa mariano, Pio XII, presagi il male che covava sotto le ceneri e che avrebbe preso consistenza. Tentò di imbri­gliarlo pubblicando, nel 1950, l'Enciclica « Humani generis », dove addita, quasi in previsione della crisi che andava preparandosi, l'importanza del Magistero ecclesiastico. Circa le Encicliche papali, dichiarava: « Non si deve ritenere che gli insegnamenti delle En­cicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero supremo. Infatti, questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, di cui valgono pure le parole: " Chi ascolta voi, ascolta Me " (Luca X, 16). Per lo più, quanto viene proposto e incul­cato nelle Encicliche, è già, per altre ragioni, patri­monio della dottrina cattolica. Che se poi i sommi Pontefici, nei loro atti, emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l'intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costi­tuire oggetto di libera discussione tra i teologi ».
E siamo giunti ai tempi del Concilio Vaticano Secondo. Quasi fosse un riassunto delle correnti sot­terranee, alla vigilia del Concilio apparve - sotto la direzione di Anton Bdhm - un libro che riunisce diversi saggi sulle « Eresie del nostro tempo; un libro di discernimento degli spiriti ». È un'opera comple­tamente dimenticata, che potrebbe aiutare, però, an­cora oggi, a tracciare una giusta strada attraverso la confusione attuale.
Nessun altro che Karl Rahner poteva coniare la nozione di cripto-eresia, che si è propagandata ben più ampiamente oggigiorno, che in passato. Rahner dice testualmente: « Tutto il nostro "spazio vitale" è ormai in parte formato da atteggiamenti, da dottrine, da tendenze che si devono qualificare come contrari al Vangelo; vere eresie! ».
È certo cosa ardua individuarle; come, per esempio, il « rispetto del corpo e la sua deificazione, che, nella loro obiettivazione, sono difficilmente superabili l'uno dall'altro ». Si può anche dire che « cia­scuno, oggi, è infetto di batteri e di virus di cripta eresia, anche se non si deve necessariamente ritenerlo ammalato d'eresia ».
«Questa cripto-eresia» vuol accordarsi con la «ortodossia». Cioè: l'eresia tenta di uscire all'aperto sì da poterla afferrare e definire. Ma «l'uomo d'oggi teme ogni netta determinazione nelle questioni reli­giose». E allora c'è da chiedersi in che cosa consista la tattica di questa eresia «per mantenersi latente». Rahner risponde: «Spesso, consiste semplicemente in un atteggiamento di diffidenza e di risentimento verso il Magistero. È un sentimento così diffuso che dif­ficilmente può essere controllato dal Magistero».
Questa cripto-eresia esiste «là dove si evita, per esempio, con cura, la parola «inferno»; dove non si parla più, o con imbarazzo, dei « consigli evangelici », dei Voti, dello Stato Religioso; o, tutt'al più, vengon trattate senza alcun riguardo, come di cose incerte, se non peggio. Quando mai, oggi, nelle prediche per persone colte, nei nostri paesi, si parla ancora di castighi temporali dei peccati, di indulgenze, di An­geli, di digiuno, di diavolo (tutt'al più si parla di « demoniaco » nell'uomo!), di purgatorio e di altre cose che vengono stimate vecchie? ». Ma l'eresia nuo­ce ancora di più se ammantata di « indifferenza ».
Riflettendo su questi esempi, ci balza davanti agli occhi l'immagine perfetta dell'attuale situazione. Nell'assieme, il Magistero può fare relativamente poco contro il pericolo di questa cripto-eresia. Il Ma­gistero può annunciare la verità; può indicare queste tendenze ereticali, come ha fatto, per primo, con l'Enciclica sul Modernismo, S. Pio X; ma non può fare molto contro l'eresia muta, in se. Per circoscri­verla sufficientemente si dovrebbe superarla «nella sua stessa natura » più che con mezzi amministrativi. È questa la ragione perché il Modernismo dei tempi di Pio X non fu mai superato interiormente. Comun­que, il problema è di sapere se tali cripto-eresie possano essere vinte, appunto, nella loro stessa na­tura.
Karl Rahner deduce che la lotta contro questa cripto-eresia è da farsi nella coscienza delle persone singole. Egli è d'avviso che «la cripto-eresia, per rimanere latente, ama atteggiarsi ad eresia sì, ma con dosaggio falso, un po' esagerato, unilaterale »; e siccome « è importante, oggi, trovare il giusto ac­cento, la giusta dose e la giusta distribuzione dei pesi, il Magistero si trova di fronte a un compito difficilissimo ».
Questo è il tono della sua prefazione. Ma Rahner è un vero camaleonte. Anche in lui si sono infiltrati i batteri ed i virus delle « cripto-eresie », e con tanta subdola forza che, ormai, non è soltanto totalmente infetto, ma è anche un pericolo per tutte le persone che lo leggono. Nel suo caso, non è più possibile parlare di «eresia nascosta», perché la sua, ormai, è visibilissima.

IL SECONDO CONCILIO VATICANO
Così, siamo arrivati al Concilio Vaticano Se­condo. Ci siamo già resi conto con quanto fervore desideravano un Concilio le Società segrete. Nella euforia dei primi tempi conciliari, pochi vi badarono, e pochissimi fecero attenzione ai giudizi, dati dagli avversari, sugli avvenimenti conciliari in corso.
Certo, tali cose si giudicano spesso con mag­giore sagacia dal di fuori che non dagli attori me­desimi. È assai istruttivo, perciò, un quaderno della rivista « Probleme d'Orient », in cui c'è un articolo del « Kommunist » di Mosca sul «rinnovamento religioso e la Chiesa cattolica». Anche i sottotitoli dell'articolo meritano attenzione. Per esem­pio: « La crisi attuale delle religioni »; « Il Moderni­smo (!) nella politica della Chiesa e nella teologia »; «La funzione sociale del rinnovamento».
Il tenore del lungo articolo, poi, è questo: esso presenta i cambiamenti nella Chiesa come una « tattica opportunistica degli uomini di Chiesa e dei loro intrighi ».
A noi interessa, soprattutto, il fatto che si vide chiaramente, dall'altra sponda, l'entità della c r i s i conciliare, tanto da numerarne, con minuziosità, tutti i sintomi che la caratterizzavano. Difatti, vi si parla della « crisi dell'ideologia religiosa », del « ri­modernamento della posizione ecclesiale, sia a ri­guardo dei problemi in stretto senso teologico e re­ligioso, sia a riguardo dei problemi attuali della po­litica mondiale ».
« Nell'ambito inter-ecclesiale, propriamente reli­gioso, si svolge una modernizzazione di tutto l'arse­nale ideologico, del culto e degli stessi quadri orga­nizzativi. Il processo di una s t r a n a r i f o r m a pro­gredisce spedito, cercando nuove possibilità per con­servare l'influsso della religione nella nostra epoca di ateismo crescente, di anticlericalismo vigoroso e di libero pensiero ». «Col cuore che piange, i teologi si sciolgono dall'oscurantismo tradizionale e militan­te e cercano di mettere in nuova luce i problemi delle relazioni tra fede e ragione, tra scienza e reli­gione». «La dialettica del processo di rinnovamento religioso, che si svolge sotto i nostri occhi, consiste in questo; che tale rinnovamento è un segno della debolezza della religione, ma, nello stesso tempo, un mezzo per rafforzare il suo influsso. Quin­di, occorre rinforzare i metodi, più aggiornati, di difesa della teologia religiosa reazionaria. Ora, que­sto, esige sforzi energici da parte di tutti gli aderenti alla concezione materialistica del mondo e da parte di tutti i fautori dell'ideologia scientifica».
L'ultima frase dovrebbe essere letta, riletta e meditata con attenzione da tutti coloro che vorreb­bero ottenere, col loro «aggiornamento», una svolta intrinseca delle ideologie atee. L'attività di Giovanni XXIII e del Vaticano Secondo fu giudicata come una «via per rovesciare i valori»; ma è un esprimersi che ci invita a pensare.
Così fu nel 1964. Il Partito Comunista Italiano si pronunciò, ancor più chiaramente, nel suo undi­cesimo Congresso. Nell'introduzione al numero spe­ciale di «Propaganda», «dedicato al dialogo coi cattolici», si parla, in termini che non danno luogo a interpretazioni sbagliate, della « crisi » della Chiesa. La straordinaria apertura del Concilio, giustamente comparata agli Stati Generali del 1789, ha mostrato a tutto il mondo che la vecchia Bastiglia politico-reli­giosa è stata scossa nelle sue fondamenta. Così è nata una nuova situazione, alla quale bisognerà far fronte con mezzi appropriati. È sorta una possibi­lità, finora imprevista, di avvicinarci, con manovre adatte, alla nostra vittoria finale.
Questa introduzione delinea, poi, i diversi ca­pitoli della edizione speciale. Per esempio, nella « Documentazione », si legge che « bisogna mettere bene in luce tutte le possibilità che l'interna evolu­zione (della Chiesa) offre ». Il capitolo « Dialogo » dimostra che la « pratica » ha superato di già le pro­gnosi teoretiche più ardite e che si sta già di fronte a un fenomeno che va realizzandosi di giorno in giorno. Alcune personalità cattoliche in vista, hanno svelato apertamente i risultati ottenuti dal Concilio e stanno facendo del « dialogo » una forma inattesa per un nuovo U m a n e s i m o. Paolo VI riceve il «compagno » Gromyko in Vaticano e parla con lui dei problemi della pace. Il Marxismo-Leninismo si adatta alla nuova situazione ed è - secondo i bi­sogni - arrendevole o violento... Il capitolo «Argo­menti», contiene molti accenni alle risoluzioni prese dal Concilio. «Lo stesso Concilio ci dà, in questo modo, gratis, i mezzi migliori per raggiungere l'opi­nione pubblica cattolica ». E, alla fine, si legge: « Mai la situazione c'è stata così favorevole».
Bisogna pur ammettere che i testi parlino un linguaggio chiaro.
Illumina e spaventa, nello stesso tempo, la com­parazione che si è fatto del Concilio con la presa della Bastiglia del 1789; quindi, con la Rivoluzione francese; e noi abbiamo già mostrato che questa non è del tutto erronea. Ad ogni modo, le idee-basi della rivoluzione: «Libertà, Uguaglianza, Fraternità», si sono talmente impresse nella coscienza del popolo, che non è più possibile restringerne o modificarne il contenuto. Certo, è troppo presto per dare un giu­dizio conclusivo sul Concilio, nell'essenziale e nella misura. Ma è fatale che degli avvenimenti sì grandi tocchino diversi livelli e si svolgano a diversi livelli. Senza dubbio, i testi sono ortodossi, e, in parte, la loro formulazione può dirsi classica; ma noi, però, per molto tempo ancora, dovremo lottare con le pa­role stesse del Concilio, contro il suo sabotaggio, specialmente contro l'ormai famoso « spirito del Con­cilio ». Siccome il Concilio volle, prima di tutto, essere «pastorale », rinunciando alle enunciazioni dogmatiche; siccome non ha voluto porre dei confini esatti, con anatemi precisi, contro gli errori e le eresie, molti problemi sono stati rivestiti di una chiara ambivalenza che ha dato, in un certo senso, il diritto a parlare di questo « spirito del Concilio ». Per di più - come abbiamo già notato - sono venuti alla ribalta una schiera di concetti, come: col­legialità, ecumenismo, libertà religiosa, che, anche se fondati, sono stati facilmente trasformati in veri " bumerang ".
Ma torniamo al concetto di « cripto-eresia ». La « collegialità », per esempio, non fu, forse, l'occasio­ne anche di un indiretto attacco alla « vecchia ba­stiglia politico-religiosa » del Papato? La lotta contro la « nota explicativa praevia », aggiunta alla Costitu­zione sulla Chiesa, non ne è, forse, una prova?. Su questo punto, gli avversari ci danno una spiega­zione che è chiara e decisiva.
Le « Stimmen der Zeit » pubblicarono un arti­colo dal titolo: « Si sono cambiati i Massoni? ». L'Autore si riferisce al giornale europeo della Mas­soneria che, nel suo numero di settembre 1964, esa­mina il problema del Papato, in cui dice, parlando del Concilio di Costanza (1414-1418): « I Riforma­tori non la spuntano; la struttura gerarchica della Chiesa, con a capo il Papa, resiste fino ad oggi ». Poi, ritornando al Concilio Vaticano Secondo, l'Au­tore aggiunge: « 1 presupposti per una " Unio Sancta " e per una riconciliazione delle Chiese, si trovano nella distruzione del Primato personale del Papa.
Noi crediamo di poter dire, con abbastanza certezza, che l'Infallibilità del Papa e il suo Primato sul Con­cilio non saranno aboliti neppure nel 1964. Il Me­dioevo continuerà, grazie alla Costituzione ecclesia­stica, anche nei nostri tempi; ma questo non sarà per il bene della Chiesa né dei problemi moderni che chiedono di essere risolti. Finché non sarà soppresso il Primato personale di un solo uomo nella Costitu­zione ecclesiastica, ogni altra riforma, in qualsiasi campo, naufragherà. II potere costituzionale del Papa e dei Cardinali eletti da lui è l'impedimento istitu­zionale per ogni miglioramento e per ogni riforma. D'altra parte, la Chiesa non potrebbe irradiare il suo influsso e la sua suggestione sulla moltitudine dei credenti, qualora venisse abolito il potere e l'infalli­bilità papale. La Chiesa e il Concilio si trovano, quindi, in un dilemma insolubile. Noi non crediamo che il Concilio Romano, quest'anno, saprà risolvere questi problemi, nonostante i sintomi che vi si pos­sono leggere ».

E OGGI?
Dieci anni fa, si poteva ancora fare un punto interrogativo su questi problemi, ma d'allora essi hanno preso contorni ben precisi. Il Primato del Papa è già stato intaccato e «le porte dell'inferno», che si levano contro la rocca di Pietro, lambiscono già, con la schiuma dei loro marosi, la porta di bronzo del Vaticano. Paolo VI ha ragione: il diavolo ha fatto irruzione nella Chiesa. Ci manca solo l'analisi com­pleta dei suoi metodi, ma si possono conoscere age­volmente se ci si attiene alle nozioni che il Nuovo Testamento ci offre. Ne numereremo solo poche. Maestro nel mascherarsi in « Angelo di luce » (II Cor. XI, 14), satana si serve del dono di Dio, qual è la nostra ragione, per gettarlo sulla sua bilancia. Tutto quanto succede, oggi, nella Chiesa, si basa, infatti, su criteri di ragione. Di più: la miseria del tempo contribuisce a fare accettare e cambiare, man mano, abitudini; come le «eccezioni», concesse per i paesi di missione, che sono diventate, invece, abitudini per noi. E perché? Al solito, gli avversari evitano con cura la lotta aperta contro le verità della Fede. Hanno scelto una via più elegante: non ne parlano più o le tollerano come mezze verità, ben consapevoli che le mezze verità sono peggiori delle bugie. Infine, con arte fine, accostano le «nuove» alle «vecchie» verità, sì che ci vuole molto acume spirituale per distinguerle. Ci vuole, cioè, la d i s c r e t i o spiri t u m, (1 Cor. XII, 10) per separare le cose vere dalle false e le genuine dalle imitazioni.
Studiando tali metodi, ci si persuade che, oggi, il diavolo non ci tiene più neppure a rimanere sco­nosciuto e «critico» per la sua opera di distruzione; anzi, desidera manifestarsi apertamente e pubblica­mente.
La Rivista del Grand Orient de France, « L'Hu­manisme » 1, nel 1968, scriveva con molta sincerità: «Tra le colonne che crollano più facilmente noi no­tiamo il Magistero; l'infallibilità, insomma, che si credeva così ben salda dopo il Concilio Vaticano I e che ora, invece, deve sostenere la tempesta scate­natasi contro di essa, in seguito all'Enciclica " Huma­nae vitae ", da parte delle persone coniugate. Così la " reale presenza eucaristica ", che la Chiesa ha im­posto alle masse del Medio-Evo, ma che dovrà spa­rire col moltiplicarsi dell'inter-comunione e dell'inter­celebrazione dei sacerdoti cattolici e dei pastori pro­testanti. Così il carattere sacro del " sacerdozio ", che dipende dal Sacramento dell'Ordine, lascerà il posto alle nomine, a tempo, dei " presidenti " delle comu­nità. Così la distinzione tra la " Chiesa docente " e il basso clero "nero", che sarà cancellata, perché il movimento si farà dalla base (!) verso l'alto, come in ogni democrazia. E così cesserà anche, poco alla volta, il carattere ontologico e metafisico dei Sacra­menti; e presto verrà la morte della confessione sa­cramentale, dopo che i nostri tempi hanno conside­rato il peccato come una nozione interamente anacronistica, trasmessaci dalla severa filosofia medioe­vale, quale eredità, originata dal pessimismo bib­blico ».
Evviva la sincerità! Ma questa sincerità ci met­te davanti agli occhi tutta la strategia adottata dal Maligno. E ci impone una domanda: perché si fa così poco per consolidare le colonne della Chiesa, onde evitarne il crollo? Se vi è ancora una persona convinta - dopo tali confessioni univoche - che gli avvenimenti che si sviluppano nella Chiesa siano marginali, o che si tratti di difficoltà transitorie, vuol dire che è irrecuperabile. Ma la responsabilità dei capi della Chiesa è ancora più grande, se essi non si occupano di questi problemi o se credono - ricor­dando quanto fu detto prima - di rimediare al male con qualche lavoretto di rattoppo. No. Qui si tratta del tutto; qui si tratta della Chiesa; qui si tratta - come scrisse la rivista «L'Humanisme » (maggio-ot­tobre 1968) - di una specie di « rivoluzione coper­nicana», scoppiata nel seno stesso della Chiesa; una «rivoluzione gigantesca nella Chiesa» che porta già in se, (per i suoi nemici), « il preludio della vittoria ».
È il colmo! Noi ci auguriamo che la seguente citazione, tolta da « L'Humanisme », sia compresa dai lettori in tutta la sua portata. « Quando le s t r u t t u r e t r a d i z i o n a 1 i crolleranno, tutto il resto se­guirà. La Chiesa non ha previsto una simile conte­stazione; Essa non è preparata a ricevere né ad assi­milare questo spirito rivoluzionario... Non è la ghi­gliottina che aspetta il Papa, ma sarà lo stabilirsi delle Chiese locali, che si organizzeranno democrati­camente e rifiuteranno di riconoscere i confini tra chierici e laici, che si costruiranno i propri dogmi e che vivranno in completa indipendenza da Roma ».
Torniamo ancora al principio. Atanasio, nella sua Lettera Pastorale, enumera le cose accadute ad Alessandria: « rapine di Chiese, incendi, bestemmie, violenze fatte alle vergini, fustigazioni ed assassini ». Ma tutto questo è un niente se lo paragoniamo ai mali che affliggono, oggi, l'intera Chiesa, senza che Essa se ne renda molto conto. Le «Chiese partico­lari » non sono, forse, già in pieno sviluppo e in piena attività, quando, nei Sinodi, esse si sottomettono alle consultazioni democratiche, alla maggioranza, quan­do si sottomettono, cioè, più al numero capriccioso che alla verità?
La Rivista da noi citata prosegue: «Presto, il Vaticano non avrà più la possibilità di controllare i movimenti di un gran corpo che si credeva omo­geneo... Non sarebbe venuto il tempo di tornare alle Chiese "nazionali"? Il Papa non si aspetti la ghi­gliottina, perché divenuto più umano il nostro tempo; ma le "Chiese locali" lo aspettano, e sarà necessario che Egli si accordi con esse.
Sarebbe facile ricordare certi episodi del pas­sato, come, ad esempio, la Chiesa gallicana.
Finita l'evoluzione, il Papa diventerà s u p e r f 1 u o, poiché le Chiese locali " vivranno in piena indipendenza da Roma. È dunque la ghigliot­tina, ma sotto altra forma: l'annichilamento! ». Siamo grati di un linguaggio così franco. Ora sappiamo a cosa ci troviamo di fronte. Il « piano di Lucifero » ci è stato chiaramente e apertamente ri­velato.

CONCLUSIONE
di Atanasio
...« Ma voi non dovete temere la loro malvagità; al contrario, voi dovete sollevarvi contro i nuovi intrighi di cui siamo bersaglio. Allorché soffre un membro, soffrono tutti gli altri e, secondo la parola dell'Apostolo, bisogna piangere con chi piange. La grande Chiesa soffre e tutti devono soffrire con Essa e subire la propria punizione... C'è un Redentore per tutti, che e disprezzato da voi. Tutte le leggi sono state distrutte da voi... Per queste ragioni, vi prego... di condannare gli atei, affinché anche i preti ed il popolo, vedendo la vostra retta fede e il vostro rifiuto al male, si rallegrino della vostra unità nella fede in Cristo e coloro che hanno tanto peccato contro la Chiesa siano sollecitati - per quanto tardi - a convertirsi. Salutate la comunità dei fratelli presso di voi! Tutti i fratelli con me raccolti vi salutano.
Il Signore vi conservi illesi e, assieme ai vostri fedeli, ricordatevi di noi... ».

di Gorres
« La terra trema sotto i nostri piedi; gli stru­menti di cui ci siamo fidati non ci servono più; una catastrofe - chissà quale inattesa catastrofe! - è vicina; e tutto l'edificio, da tempo minato, crollerà. Si può presagire con certezza che la Chiesa uscirà incolume da una tale rovina, ma nessuno può dire e congetturare chi e che cosa sopravvivrà. Noi, dun­que, avvisando, raccomandando, alzando le mani, vorremmo impedire il male, mostrandone i segni. Persino i giumenti, che portano i falsi profeti, s'im­pennano, arretrano e rinfacciano con linguaggio umano la loro ingiustizia a chi li batte e non vedono la spada sguainata che chiude loro la strada... (Num. XXIII, 22-35). Operate, dunque, finché è giorno, perché di notte nessuno può operare. Non serve a nulla l'aspettare; l'attesa non ha fatto che aggravare tutte le cose. Che la lotta sia ineguale non ci può essere alcun dubbio; basta guardare ai pochi com­battenti che sono con noi. Si può discutere su dei principii, qua o là, ma quando tutte le magagne e tutte le male passioni si stringono attorno a una stessa bandiera, come gli avvoltoi si radunano attorno al cadavere che sta sulla via, allora non è certo il La­baro sotto cui si deve combattere la buona battaglia. Il male ha i suoi istinti, che non gli fanno smarrire la propria strada. Ma un'autorità che vede che tutti assieme si drizzano contro di lei, ha motivo di spa­ventarsi e di riflettere subito quale via d'uscita le resta.
La Chiesa, comunque, è nel suo puro e lucido diritto; può stare tranquilla. Sullo scudo che la pro­tegge si legge: " C h i è c o m e D i o ? "; ed è scritto con lettere di fuoco; e davanti a quel motto impalli­disce e s'annienta ogni splendore e ogni potenza terrena vien meno ».

(Dall'epilogo della IV edizione di "Atanasio " - Pasqua 1838).

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