CARDINALE PIE DI POITIERS: GESÙ CRISTO È RE, ED IL SUO REGNO È NEL MONDO - SECONDA PARTE
Discorso per la solennità del ricevimento delle reliquie di sant'Emiliano, Vescovo di Nantes, pronunciato nella Chiesa Cattedrale di Nantes l'8 Novembre 1859. (II)
Cardinal Louis-Édouard Pie
SECONDA PARTE
Gesù Cristo è re, Miei Carissimi Fratelli; egli è re non solamente del cielo, ma anche della terra, e gli è proprio l'esercitare una vera e suprema regalità sulle società umane; questo è un punto incontestabile della dottrina cristiana che in questo secolo è utile e necessario ricordare. Si accetta Gesù Cristo redentore, Gesù Cristo salvatore, Gesù Cristo sacerdote, cioè sacrificatore e santificatore; ma di Gesù Cristo re ci si spaventa, vi si sospetta un qualche sconfinamento, una qualche usurpazione di potere, una qualche confusione di attribuzioni e di competenze. Stabiliamo dunque rapidamente questa dottrina, determiniamone il significato e la portata e comprendiamo qualcuno dei doveri che essa c'impone nel tempo in cui viviamo.
Gesù Cristo è re; non v'è nemmeno uno dei profeti, uno degli evangelisti e degli apostoli che non gli garantisca la qualità e le prerogative di re. Gesù è ancora nella culla e già i Magi cercano il re dei Giudei: Ubi est qui natus est, rex Judaeorum? [1] Gesù è alla vigilia della sua morte, e Pilato gli domanda: Dunque voi siete re: Ergo rex es tu? [2] Voi l'avete detto, risponde Gesù; e una tale risposta è data con un tono d'autorità tale che Pilato, nonostante tutte le scene fatte dai Giudei, consacra la regalità di Gesù con una scrittura pubblica ed un cartello solenne [3]: «Scrivete dunque, esclama Bossuet, scrivete, o Pilato, le parole che Dio vi detta e di cui voi non intendete il mistero. Qualunque cosa si possa allegare e rappresentare, guardatevi dal cambiare ciò che è già scritto nei cieli. Che i vostri ordini siano irrevocabili, perché eseguono una sentenza immutabile dell'Onnipotente. Che la regalità di Gesù Cristo sia promulgata nella lingua ebraica, che è la lingua del popolo di Dio, e nella lingua greca, che è la lingua dei dotti e dei filosofi, e nella lingua romana, che è la lingua dell'impero e del mondo, la lingua dei conquistatori e dei politici. Avvicinatevi ora, o Giudei, eredi delle promesse; e voi Greci, inventori delle arti; e voi Romani, padroni della terra; venite a leggere questo mirabile cartello: piegate il ginocchio davanti al vostro Re [4].»
Questa regalità universale del Salvatore, Fratelli Miei, risale ad assai vecchia data: Gesù Cristo, in quanto Dio, era re da tutta l'eternità, e di conseguenza, entrando in questo mondo, portava già con sé la regalità; ma questo stesso Gesù Cristo, in quanto uomo, ha conquistato la sua regalità col sudore della sua fronte ed a prezzo di tutto il suo sangue. «Cristo, afferma san Paolo, è morto ed è risuscitato al fine di acquistare il dominio sui morti e sui viventi»: In hoc Christus mortuus est et resurrexit, ut et mortuorum et vivorum dominetur [5]. Il grande apostolo fonde in un medesimo testo sia il mistero della resurrezione sia il titolo dell'investitura regale del Cristo anche in ciò che segue: «Il Signore ha risuscitato Gesù, come sta scritto nel salmo secondo: Voi siete mio Figlio; io oggi vi ho generato [6]», il che significa: Da tutta l'eternità io vi avevo generato dal mio proprio seno; nella pienezza dei tempi io vi ho generato dal seno della Vergine vostra madre; oggi io vi genero ritraendovi dal sepolcro, e questa è una nuova nascita che avete ancora una volta da me. Primogenito dei viventi, ho voluto che voi foste anche il primogenito dei morti, affinché deteneste ovunque il primo posto: Primogenitus ex mortuis, ut sit in omnibus ipse primatum tenens [7]. Voi siete dunque mio Figlio, lo siete a tutti i titoli perchè vi ho triplicemente generato, e dal mio seno, e dal seno della Vergine, e dal seno della tomba; ora, a motivo di tutti questi titoli, voglio che voi abbiate parte della mia sovranità, voglio che ormai ne prendiate parte in quanto uomo, così come ne avete partecipato eternamente in quanto Dio. «Chiedete dunque, e io vi darò le nazioni per eredità, e stenderò i vostri possessi fino alle estremità della terra [8].»
E Gesù Cristo ha chiesto, e suo Padre gli ha dato, e tutte le cose gli sono state consegnate [9]. Dio lo ha reso testa e capo di tutte le cose, afferma san Paolo [10], e di tutte le cose senza eccezione: In eo enim quod omnia ei subjecit, nihil dimisit non subjectum [11]. Il suo regno non è certamente di questo mondo, cioè non proviene da questo mondo: Regnum meum non est de hoc mundo; non est ex hoc mundo[12]; e proprio perché viene dall'alto, e non dal basso: regnum meum non est hinc [13], nessuna mano terrestre potrà strapparglielo [14]. Ascoltate le ultime parole indirizzate ai suoi apostoli prima di risalire al cielo: «Ogni potere mi è stato dato nel cielo e sulla terra. Andate dunque ed insegnate a tutte le nazioni [15]». Notate, Fratelli Miei, Gesù Cristo non dice a tutti gli uomini, a tutti gli individui, a tutte le famiglie, ma a tutte le nazioni. Egli non dice solamente: Battezzate i bambini, catechizzate gli adulti, unite gli sposi in matrimonio, amministrate l'olio santo ai moribondi, date la sepoltura religiosa ai morti. Senza dubbio la missione che conferisce loro comprende tutto ciò, ma comprende anche di più: essa ha un carattere pubblico, un carattere sociale. E come Dio inviava gli antichi profeti alle nazioni ed ai loro capi per rimproverar loro l'apostasia ed i crimini di cui si erano macchiati, così Cristo invia i suoi apostoli ed il suo sacerdozio ai popoli, agli imperi, ai sovrani ed ai legislatori, per insegnare a tutti la sua dottrina e le sue leggi; il loro dovere, come quello di san Paolo, è di «portare il nome di Gesù Cristo davanti alle nazioni, ai re ed ai figli d'Israele»: Ut portet nomen meum coram gentibus, et regibus, et filiis Israel [16]. Ma vedo sollevarsi una volgare obiezione, e sento opporre alla mia dottrina un'accusa oggi di moda: la tesi che voi andate sviluppando, si esclama, è quella della teocrazia nuda e pura. La risposta è semplice, e la formulerò così: «No, Gesù Cristo non è venuto a fondare la teocrazia sulla terra, ma al contrario è venuto a por fine al regime più o meno teocratico che sempre costituì il fondo del mosaismo, sebbene tale regime fosse stato notevolmente modificato sostituendo agli antichi giudici d'Israele i re». Tuttavia, per far sì che tale risposta possa essere compresa dai nostri contraddittori, occorre anzitutto che sia definita l'espressione di cui si tratta; assai spesso tra gli uomini del nostro tempo scoppia con successo la polemica a causa di locuzioni il cui senso è indeterminato. Cos'è dunque la teocrazia? La teocrazia è il governo temporale di una società umana da parte di una legge politica divinamente rivelata e da parte di un'autorità politica costituita sovrannaturalmente. Ma, stando così le cose, siccome Gesù Cristo non ha imposto alcun codice politico alle nazioni cristiane, e siccome non si è incaricato di designare lui stesso i giudici ed i re dei popoli della nuova alleanza, ne consegue che nel cristianesimo non v'è traccia di teocrazia. La Chiesa, è vero, ha potenti benedizioni e consacrazioni solenni per i principi cristiani, per le dinastie cristiane che vogliono governare cristianamente i popoli; ma ripeto, nonostante una tale consacrazione dei poteri umani da parte della Chiesa, dopo Gesù Cristo non c'è più una teocrazia legittima sulla terra. Anche qualora l'autorità temporale fosse esercitata da un ministro della religione, la sua autorità non avrebbe nulla di teocratico perché essa non sarebbe esercitata in virtù del carattere sacro, né in conformità ad un codice ispirato. E allora basta, per riguardo alla lingua francese ed alle nozioni più elementari del diritto, basta con quest'accusa di teocrazia, che si ritorcerebbe in accusa d'ignoranza contro coloro che persistessero a ripeterla.
Il contraddittore però insiste, e mi dice: Tralasciamo la questione di parole; sempre si verifica che, nella vostra dottrina, l'autorità temporale non può scuotersi di dosso il giogo dell'ortodossia, ma rimane sempre subordinata ai principî della religione rivelata come pure all'autorità dottrinale e morale della Chiesa, e questo è ciò che noi definiamo regime teocratico. Definiamo al contrario regime laico o regime secolarizzato quello che può affrancarsi a piacere da questi ostacoli, e che dipende solamente da sé medesimo. — Questa confessione è preziosa, Miei Carissimi Fratelli; significa che la società moderna intende riconoscere come re e principi solo coloro «che hanno preso le armi ed hanno fatto lega contro Dio e contro il suo Cristo», coloro che hanno proclamato: «Spezziamo i loro legami e gettiamo il loro giogo lontano da noi [17]». Ciò significa che bisogna eliminare la nozione secolare di Stato cristiano, di legge cristiana, di principe cristiano, nozione sì magnificamente stabilita già a partire dagli albori del cristianesimo e specialmente da sant'Agostino [18]. Ciò significa anche che, col pretesto di sfuggire ad un'immaginaria teocrazia della Chiesa, è necessario proclamare un'altra teocrazia altrettanto assoluta quanto illegittima, la teocrazia di Cesare capo ed arbitro della religione, oracolo supremo della dottrina e del diritto: teocrazia pagana rinnovata e più o meno già realizzata all'interno dello scisma e dell'eresia, in attesa che si verifichi il suo pieno avvento con quel regno del popolo sommo sacerdote e dello Stato-Dio che è l'utopia dell'implacabile logica socialista. Occorre dire infine che la filosofia senza fede e senza legge è passata ormai dalle speculazioni teoriche al piano pratico, si è costituita regina del mondo, dando alla luce la politica senza Dio. Nel Vangelo la politica in tal modo secolarizzata ha un nome: è detta «il principe di questo mondo [19], il principe di questo secolo [20]», oppure anche «il potere del male, il potere della Bestia [21]»; e questo potere ha ricevuto un nome anche nei tempi moderni, un nome formidabile che da settant'anni risuona da un polo all'altro della terra: si chiama la Rivoluzione. Con una rapidità di conquista che non fu propria neppure dell'islamismo, tale potere emancipato da Dio e dal suo Cristo ha soggiogato quasi tutto al suo dominio, gli uomini e le cose, i troni e le leggi, i principi ed i popoli; tuttavia gli resta da forzare un'ultima trincea: la coscienza dei cristiani. Coi mille mezzi di cui dispone, la Rivoluzione è riuscita a sviare l'opinione di un gran numero di persone, a scuotere persino le convinzioni dei dotti; ha avuto ausiliari insperati che, non solamente nell'ambito dei fatti ma anche in quello dei principî, hanno accettato e siglato con essa alleanze; alcuni altri, che persistono a farle una meschina opposizione, si allineano abbastanza chiaramente alla sua opinione quanto al fondo delle cose. Non sembra forse che per la Rivoluzione sia venuto il momento di sferrare un assalto decisivo? Sapete, Fratelli Miei, a quale suprema tentazione sia stato sottoposto il Cristo; Satana lo trasportò su di una alta montagna e gli disse: «Vedi tutte queste cose? Ebbene! Io ti darò tutto questo se prostrato ai miei piedi mi adorerai»: Haec omnia tibi dabo, si cadens adoraveris me [22]. Dio grande, verrà un giorno nella sequenza dei secoli in cui la stessa prova sarà inflitta alla vostra Chiesa dal principe di questo mondo? Il potere del male s'accosterà mai ad essa per dirle: Ti darò e ti conserverò tutti questi possessi terreni, tutta questa pompa e questa gloria esteriore se t'inchinerai davanti a me, sancirai le mie proposizioni adottandole, e mi renderai omaggio: Haec omnia tibi dabo, si cadens (che caduta!) si cadens adoraveris me? Alla frase del seduttore Cristo aveva risposto: «Indietro, tentatore, poiché è scritto: Adorerai il Signore e servirai lui solo». Ed il tentatore si era allontanato da Gesù, e gli angeli avvicinatisi lo servivano [23]. Fratelli Miei, la Chiesa, posta nelle medesime condizioni in cui fu il suo Maestro, non darebbe una risposta differente; nessuna potenza certamente ha imparato meglio di lei a tener conto delle difficoltà dei tempi ed a piegarsi alle esigenze della situazione. Sacrifici ne ha fatti tanti nel lungo corso della sua esistenza! Non sa forse che, ad esempio del grande apostolo, essa è debitrice verso tutti, nei confronti degli ignoranti e degli insensati come pure nei confronti dei saggi [24]? Però vi è un limite che la Chiesa non può valicare: il confine tra le cose umane ed i titoli inalienabili dell'elevato dominio di Dio e del suo Cristo sulle società della terra; di fronte a certi principî fondamentali del diritto pubblico cristiano essa sarà sempre irremovibile. La Chiesa non sostituirà mai, anche nelle sue istituzioni puramente temporali, i pretesi diritti dell'uomo ai diritti imprescrittibili di Dio; e se per la sua fermezza invincibile fosse privata di ogni appoggio terreno, di ogni aiuto umano, ebbene! Vi sono ancora angeli nel cielo, sarebbero loro ad avvicinarsi ed a servirla: Et accesserunt angeli, et ministrabant ei.
Miei Carissimi Fratelli, io non mi sto allontanando dal tema del mio discorso. Al tempo del vostro vescovo Emiliano il nemico più grande del nome, del regno e della legge di Dio era l'islamismo; Emiliano ed i vostri padri hanno avuto la gloria di arruolarsi contro di esso, di resistergli e di combatterlo, sacrificando così nobilmente la loro vita. Oggi il nemico capitale del nome, del regno e della legge di Dio s'è rivestito di un'altra forma e porta un altro nome, ma tende allo stesso scopo: la sua divisa è sempre quella del popolaccio deicida: Nolumus hunc regnare super nos: «Non vogliamo che Cristo regni su di noi [25]». Il nostro dovere, di noi che riconosciamo Gesù Cristo come nostro re e che diciamo ogni giorno a Dio: «Sia santificato il vostro nome, venga il vostro regno, sia fatta la vostra volontà sulla terra come in cielo», il nostro dovere è di opporci con tutta la nostra energia all'invasione del potere del male. Non si tratta ancora, almeno attualmente, di prendere le armi; la lotta è principalmente una lotta dottrinale. La vostra resistenza, Fratelli Miei, consisterà nel mantenere ferma la vostra intelligenza contro la seduzione di tutti i principî falsi e mentitori; e perciò formerete sempre la vostra coscienza alla scuola della fede, alla scuola della Chiesa, alla scuola dei vostri pastori. Giungo ora a dei consigli pratici; datemi ancora per un momento la vostra attenzione.
Quando chiedo ai dotti contemporanei quale sia la maggiore piaga della società attuale, sento rispondere da ogni parte che è il deperimento del carattere, il rammollimento dell'anima; riguardo a ciò esistono frasi fatte e che tutti usano. Ma una tale risposta provoca essa stessa una questione ulteriore; infatti alla fin fine la stirpe francese è profondamente energica, è coraggiosa per sua natura, non ha perduto il suo temperamento nativo al punto da poter essere accusata con grande leggerezza di mollezza e di codardia, ed oggi proprio come in passato non le manca il valore sul campo di battaglia. Da dove viene allora un sintomo così grave come questo deperimento caratteriale? Ah! non è forse vero che esso sia conseguenza naturale ed inevitabile del deperimento dottrinale, del deperimento del credere e, per usare il termine proprio, del deperimento della fede? Il coraggio, dopo tutto, ha la sua ragion d'essere solo qualora sia al servizio di una convinzione; la volontà è una potenza cieca se non è illuminata dall'intelligenza, e non si marcia con passo fermo se si marcia nelle tenebre, o anche solo nella penombra. Ma se la generazione attuale possiede tutta l'incertezza e l'indecisione di colui che avanza tastoni, forse non sarà, o Signore, perché la vostra parola non è più la fiaccola che guida i nostri passi, né la luce che illumina i nostri sentieri [26]? I nostri padri in ogni cosa ricercavano nell'insegnamento del Vangelo e della Chiesa la guida che li dirigesse: i nostri padri camminavano in pieno giorno, sapevano cosa volere, cosa rigettare, cosa amare, cosa odiare e, a causa di ciò, erano energici nell'azione. Noi, noi camminiamo nella notte, non abbiamo più nulla di definito, nulla di deciso nello spirito, e non ci rendiamo più conto del fine a cui tendere; di conseguenza siamo fragili, esitanti. E come potrebbe esserci nella volontà l'ardore della risoluzione e nel braccio il vigore dell'esecuzione, quando nell'intelletto vi è, invece della chiara luce del sì, solo la nube o la nebbia del forse? Credetemi, il sangue francese non s'è congelato nelle nostre vene; per volere ci manca solo il vedere. Ritroveremo tutto il coraggio del cuore quando la nostra intelligenza non sarà più colpita da una irrimediabile codardia.
Irrimediabile, no, ritratto quest'espressione; il rimedio, al contrario, è a portata di mano, si tratta solo di sapere come impiegarlo. — Il nostro secolo è in mille modi industrioso, è fecondo di invenzioni di ogni genere; ha scoperto ingegnosi procedimenti per comunicare ad un legno d'essenza tenera e penetrabile le proprietà delle essenze più dure e più compatte, ed è giunto a conferire ad una pietra friabile e porosa la saldezza della selce: ah! peccato che questo stesso secolo non possa offrirci il segreto d'iniettare l'energia morale nelle anime per silicatizzare [*], come dice, quei caratteri che si polverizzano al primo soffio di vento ed al primo contatto con l'aria! Tuttavia ciò che vanamente si richiederebbe ai procedimenti umani ci è procurato dalla religione, la quale fa discendere nel nostro spirito fragile ed inconsistente lo Spirito stesso di Dio [27]; questa compenetrazione da parte della virtù proveniente dall'alto dà all'anima umana come un'altra natura ed un'essenza nuova. Per conferire e mantenere al cristiano la durezza della quercia o quella del granito c'è solo bisogno dell'infiltrazione completa e permanente nel suo essere morale dell'acqua battesimale nella quale egli è stato rigenerato. Sì, l'anima che si compiace e si diletta di quest'elemento soprannaturale, l'anima che si bagna, che si si rituffa per così dire ad ogni istante nella fontana del proprio battesimo, l'anima che mantiene tutte le sue condotte aperte all'irrigazione di una tale onda impregnata di sali divini, quest'anima è d'acciaio, è dotata di una tempra a tutta prova.
Così, Fratelli Miei, siano altri a profondersi in vane doglianze e sterili lamentazioni; io assumerò gli accenti del profeta per dire: La terra è desolata di una grande desolazione perché non vi sono quasi più battezzati che si ricordino come si deve del proprio battesimo, che abbiano la coscienza delle grandezze e delle energie conferite dal proprio battesimo. «Non avevo mai incontrato un cristiano così fiero», esclamava il sultano dopo aver ascoltato san Luigi. Dio grande! questa razza di fieri cristiani, non siamo forse sul punto di non trovarli più in nessun luogo sulla terra? Ma, Fratelli Miei, è necessario a qualunque prezzo che questa schiatta non si estingua tra noi: l'umanità avrebbe troppo da perderne. E se altrove essa si perdesse ovunque, sarebbe la Francia, e dirò sarebbero le nostre religiose provincie occidentali a rimanere il suo ultimo asilo. Rendete dunque, Fratelli Miei, rendete alla vostra anima tutta la vita, tutta l'espansione, tutta la fioritura del suo battesimo; tornate ad essere come i vostri padri, veri cristiani, cristiani fieri; ed allora, colle risorse inestinguibili del vostro temperamento nazionale, non vi costerebbe alcuno sforzo l'essere, come loro, degli eroi e se necessario dei martiri. Ma per far ciò, attingete alle pure sorgenti, alle fonti zampillanti della fede cristiana; non fermatevi a quelle dottrine del compromesso, di non so qual terza posizione nata da un capriccio di ieri che s'inventa ogni giorno in materia religiosa. Forse che un tale cristianesimo impoverito, debilitato, il solo che trova grazia presso certi saggi della moderna Stoa, riprodurrà mai i vigorosi caratteri, i temperamenti fortemente inquadrati dei tempi antichi? No; con le dottrine ridotte, con le verità sminuite si otterranno solo mezzi cristiani, e con questi mezzi cristiani né la società religiosa né quella civile avranno mai ragione del temibile nemico di cui vi ho parlato.
Sento anche alcune obiezioni che mi vengono fatte: Bisogna essere persone del proprio paese e del proprio tempo. Non bisogna cozzare contro l'impossibile.
Bisogna essere persone del proprio paese: Sì, e mille volte sì soprattutto quando tale paese è la Francia. Ma voi sarete ancor più persone del vostro paese, Fratelli Miei, quanto più sarete cristiani. Forse che la Francia non è legata al cristianesimo con tutte le sue fibre? Non avete letto, in cima alla prima carta francese le parole così spesso ripetute dall'eroina d'Orléans: «Viva Cristo re dei Franchi»? Non avete letto il testamento di san Remigio, padre della nostra monarchia e di tutte le sue stirpi regnanti? Non avete letto i testamenti di Carlo Magno e di san Luigi, e non ricordate come essi si esprimevano a proposito della santa Chiesa romana e del vicario di Gesù Cristo? Il programma nazionale della Francia è tutto là; si è francesi quando, attraverso le vicissitudini dei tempi, si rimane fedeli a questo spirito. I farisei, tristi cittadini, forse che non osarono un giorno negare il sentimento patriottico di Gesù Cristo? «Erano loro invece, riprende sant'Ambrogio, ad abdicare all'amor di patria coll'invidiare Gesù»: Sed et ipsi se caritate patriae, qui Christo invident, abdicarunt [28]. Giro audacemente questa risposta a tutti i detrattori del nostro civismo: coloro che hanno apostatato dalla Francia sono proprio i nemici di Gesù Cristo; si faccia ciò che si vuole, ma in Francia non vi sarà mai un che di nazionale che non sia cristiano.
Bisogna essere persone del proprio paese: Sì, ancora una volta; però la Francia è il paese della verità, il paese della sincerità, e se la Chiesa, che è profondamente liberale [**], pone delle riserve a certi principî moderni, ciò avviene perché tali principî, oltre a non essere conformi all'ordine divino, sono nello stesso tempo inganni dati in pasto alla moltitudine, paroloni sonori, e la realtà che ad essi corrisponde deve essere soppressa con ogni genere di espedienti, con mille misure di compressione e repressione. E in definitiva l'inganno, che non si confà né alla maestà della Chiesa, né alla sua coscienza, né al rispetto che professa per gli uomini ed i popoli, non si confà nemmeno al carattere francese; non sarà certo la Bretagna a smentirmi quando affermo che niente sarà mai più propriamente nazionale in Francia di ciò che è franco.
Bisogna essere persone del proprio paese e del proprio tempo: forse che ho detto qualcos'altro dall'inizio del mio discorso? Non sono forse i nostri avversari che ci contestano in continuazione il diritto di cittadinanza, che ci proibiscono fuoco ed acqua [cioè ci bandiscono dal focolare e ci impediscono il culto. N.d.R.], e vogliono colpirci con l'ostracismo? A sentir loro, a noi appartiene il cielo, a loro la terra; il tempo appartiene a loro, e noi dobbiamo pensare solo all'eternità. Il cristiano, il sacerdote, il vescovo che escono dal tempio, che mettono piede negli affari del loro paese e della loro epoca, violano l'ingresso d'un terreno proibito: ecco cosa ci è ripetuto a sazietà. E noi, noi rispondiamo che, poiché la Chiesa è stata posta da Dio sulla terra e non su un altro pianeta, non potremmo abdicare alle cose della terra; rispondiamo che, poiché i destini temporali della religione sono legati a quelli di questo mondo, niente ci farà accettare la sentenza di bando e d'esilio che ci viene notificata; infine rispondiamo che, fintanto che non ci avranno separati dal Padre Nostro, manterremo il diritto ed il dovere di apprezzare le cose del nostro paese e del nostro tempo nei loro rapporti di convenienza o di opposizione con la glorificazione del nome di Dio sulla terra, con l'avanzare del suo regno, con il trionfo della sua legge; ed aggiungiamo che il cristiano, ponendosi da questo punto di vista, porterà un giudizio sempre più fermo e più sicuro di quello dell'uomo del secolo. Infatti alla fin fine Dio rapporta tutto alla sua Chiesa, e dirige tutti gli avvenimenti in vista dei suoi eletti [29]. L'uomo perfezionato dalla grazia ed istruito dalla lunga esperienza della Chiesa, ben lungi dal soffrire d'incapacità, possiede un tatto più fino, un senso più sicuro per discernere il bene ed il male [30]; nessuno giudica meglio le cose secondo il loro vero valore di colui che le soppesa sulla bilancia della fede e coi pesi del santuario. In mancanza di questo regolatore, lo vediamo tutti o giorni, le persone più abili e più rinomate non sono ahinoi né all'altezza dei destini del loro paese né a livello dei bisogni e delle difficoltà dei loro tempi.
Infine, si soggiunge, vi sono dei fatti compiuti a cui occorre sapersi rassegnare; lo spirito moderno non consente più di sperare giammai il trionfo sociale dei principî cristiani: Non bisogna cozzare contro l'impossibilità. — Impossibilità? Si fa presto a dirlo. La Chiesa, che ha a proprio favore quella grande risorsa che si chiama il tempo, non accetta assolutamente questa parola. Il divin Salvatore G. C. ha pronunciato quest'oracolo: «Ciò che è impossibile agli uomini non è impossibile a Dio [31]»; e la sposa di G. C., durante la sua carriera di diciotto secoli ha spesso sperimentato il compimento di queste parole. Sarebbe lunga l'enumerazione di quelle repentine variazioni d'opinione, di quei cambiamenti inattesi delle situazioni, di quei manifesti interventi della provvidenza che hanno fatto rivivere improvvisamente, all'interno della società cristiana, le istituzioni ed i principî il cui ristabilimento era considerato impossibile. In particolare la Chiesa, quando al giorno d'oggi s'interroga e si confronta con l'attualità, sente in sé una vitalità, una fecondità, una forza d'espansione ed una ricchezza d'avvenire che altrove non percepisce.
Impossibilità? Ah! ciò che potrebbe crearla quaggiù a vantaggio del male è quella facilità dei buoni a credersela e ad esagerarsela, è quella disposizione a dubitare di se stessi e del valore dei propri principî, è quella prontezza a cedere le armi di fronte al nemico di Dio e della Chiesa, anzi, è quella fretta di proclamare il trionfo della Chiesa stessa quando è ancor ben lungi dall'essere definitivo. Lo voglio proprio proclamare con forza, Fratelli Miei: oggi più che mai la principale forza dei malvagi è la debolezza dei buoni, ed il nerbo del regno di Satana fra noi è l'enervazione del cristianesimo nei cristiani. Se potessi introdurre nel bel mezzo di questa assemblea la persona adorabile del Salvatore Gesù e domandargli come al profeta: Che sono queste ferite di cui siete coperto, questi colpi da cui siete straziato: Quid sunt plagae istae in medio manuum tuarum? La sua risposta sarebbe indubitata. Ah!, direbbe, non è per mano dei miei nemici, ma è nella casa dei miei amici che sono stato così maltrattato: His plagatus sum in domo eorum qui me diligebant [32]; dei miei amici che non hanno saputo osare nulla per difendermi, e che si son fatti ad ogni piè sospinto i complici dei miei avversari.
Non bisogna cozzare contro l'impossibilità, dite? Ed io vi rispondo che la lotta del cristiano contro l'impossibile è una lotta dovuta, una lotta necessaria; infatti che cosa dite ogni giorno: «Padre nostro che siete nei cieli, sia santificato il vostro nome, venga il vostro regno, sia fatta la vostra volontà sulla terra come in cielo»: Sicut in coelo et in terra? Sulla terra come in cielo, ma è impossibile! Sì, è l'impossibile, e bisogna lavorare quaggiù, ciascuno secondo le proprie forze, per ottenerne la massima realizzazione che possiamo. Una sola generazione non compie tutto quanto, e l'eternità sarà il complemento del tempo. I nostri padri, gli antichi Galli, avevano una tale fede nella vita futura che accadeva loro di rinviare la conclusione dei loro affari all'altro mondo, e di prestare danaro recuperabile dopo la morte [33]; ciò che essi facevano in quanto pagani vediamo di farlo noi che siamo cristiani. Ancora una volta, ciò che noi cominceremo, altri lo continueranno, e l'epilogo finale lo porterà a termine; e fu così che Emiliano ed i suoi nantesi hanno cozzato contro l'impossibile, sono periti in una lotta contro l'impossibile ma, dopo di loro, altri campioni hanno preso in mano la stessa causa; ed ecco che il nemico sempre rinascente contro cui la cristianità ha combattuto per quasi dodici secoli giunge alfine alla sua agonia. Dopo di allora il male si è prodotto e si produrrà fino alla fine sotto mille forme differenti; vincerlo interamente quaggiù, distruggerlo da cima a fondo e piantare sulle sue rovine lo stendardo ormai inviolabile del nome, del regno e della legge di Dio è quel trionfo definitivo che non sarà concesso ad alcuno di noi, ma al quale nondimeno ciascuno di noi deve tendere sperando contro la stessa speranza: Contra spem in spem [34].
Sì, sperando contro la stessa speranza. Infatti voglio dirlo a quei cristiani pusillanimi, a quei cristiani che si rendono schiavi della popolarità, adoratori del successo e che sono sconcertati dai più piccoli progressi del male: Ah! Leziosi come sono, piaccia a Dio che siano loro risparmiate le angosce dell'ultima prova! Che questa prova ultima sia prossima o remota, nessuno lo sa ed io non oso prevedere nulla a questo proposito, perché condivido l'impressione di Bossuet che diceva: «Je tremble en mettant les mains sur l'avenir [35]» [«Tremo nell'occuparmi dell'avvenire.» N.d.R.] Tuttavia è certo che, mano a mano che il mondo si avvicinerà al suo termine, i malvagi ed i seduttori avranno sempre più il sopravvento: Mali autem et seductores proficient in pejus [36], non si troverà quasi più la fede sulla terra [37], cioè essa sarà quasi completamente scomparsa da tutte le istituzioni terrene, ed i credenti stessi a malapena oseranno fare professione pubblica e sociale di quello in cui credono. La scissione, la separazione, il divorzio delle società da Dio, che san Paolo offre come segno precursore della fine: nisi venerit discessio primum [38], andrà consumandosi di giorno in giorno, e la Chiesa, società indubbiamente sempre visibile, sarà sempre più ricondotta a proporzioni meramente individuali e domestiche; essa, che ai suoi albori affermava: «Sono allo stretto, dammi spazio dove abitare»: Angustus est mihi locus, fac spatium mihi ut habitem [39], si vedrà disputare il terreno da ogni parte, sarà accerchiata, stretta da ogni parte; quanto i secoli l'avevan fatta grande, tanto ci si impegnerà a restringerla. Infine la Chiesa della terra subirà come una vera e propria disfatta: «sarà dato alla bestia di far guerra ai santi e vincerli [40]»; l'insolenza del male sarà al culmine.
Tuttavia, una volta giunti all'estremo, in questo stato disperato, su questa terra abbandonata al trionfo del male e che sarà prossima ad essere invasa dalle fiamme [41], che cosa dovranno fare ancora tutti i veri cristiani, tutti i buoni, tutti i santi, tutti gli uomini di fede e di coraggio? Ostinandosi in un'impossibilità più palpabile che mai, diranno raddoppiando le energie e con l'ardore delle loro preghiere e con l'attività delle loro opere e con l'intrepidezza delle loro battaglie: O Dio, nostro Padre, che siete nei cieli, sia santificato il vostro nome sulla terra così come nel cielo, venga il vostro regno sulla terra così come nel cielo, sia fatta la vostra volontà sulla terra così come nel cielo: Sicut in coelo et in terra! Sulla terra così come nel cielo...! Essi mormoreranno ancora queste parole, e la terra si occulterà sotto i loro piedi. E come un tempo si vide il senato di Roma e tutti gli ordini dello Stato, a seguito di uno spaventoso disastro, andare incontro al console vinto felicitandosi con lui per non aver disperato della repubblica [42], così il senato dei cieli, tutti i cori degli angeli, tutti gli ordini dei beati verranno al cospetto dei generosi atleti che avranno sostenuto il combattimento fino alla fine, sperando contro la stessa speranza: Contra spem in spem. Ed allora questo ideale impossibile, che tutti gli eletti di tutti i secoli avevano ostinatamente perseguito, diverrà infine una realtà. In questo secondo ed ultimo avvenimento il Figlio rimetterà il regno di questo mondo a Dio suo Padre, mentre la potenza del male sarà stata evacuata per sempre nel fondo degli abissi [43]; tutto ciò che non avrà voluto assimilarsi, incorporarsi a Dio per mezzo di Gesù Cristo, per mezzo della fede, per mezzo della carità, per mezzo dell'osservanza della legge, sarà relegato nella cloaca delle immondizie eterne. E Dio vivrà, e regnerà pienamente ed eternamente non solo nell'unità di sua natura e nella società di tre persone divine, ma nella pienezza del corpo mistico del suo Figlio incarnato, e nel perfezionamento dei suoi santi [44].
Allora, o Emiliano, noi vi rivedremo, voi e la vostra magnanima falange; e, dopo aver lavorato come voi quaggiù, nella misura delle nostre forze, alla glorificazione del nome di Dio sulla terra, all'avvento del regno di Dio sulla terra, al compimento della volontà di Dio sulla terra, eternamente liberati dal male, diremo con voi l'eterno Amen: «Così è, così è». Ecco la grazia che auguro a tutti, Miei Carissimi Fratelli, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. [Traduzione: C.S.A.B.]
Fonte: Progetto Barruel
Da: Oeuvres de Mgr. l'évêque de Poitiers [Cardinal Louis-Édouard Pie] (7e éd.) tome III Paris 1884 (Discours pour la solennité de la réception des reliques de Saint Emilien) pag. 511-529.
NOTE:
[1] Matth. II, 2.
[2] Joann., XVIII, 37.
[3] Joann., XIX, 19-22.
[4] Bossuet, 1e discours pour la Circoncision. Édit. Lebel,T. XI, p. 467.
[5] Rom. XIV, 9.
[6] Act., XIII, 33.
[7] Coloss., I, 18.
[8] Ps. II, 8.
[9] Luc., X, 22.
[10] Ephes., I, 22; — Coloss., II, 10.
[11] Hebr., II, 8.
[12] Joann., XVIII, 36.
[13] Ibid.
[14] Monuit Pilatum ipse Christus Dominus, regnum suum non esse ex hoc mundo, hoc est, minime ex hoc mundo, qui et conditus est et interiturus, ortum habere; nam eo modo dominantur imperatores, reges, reipublicæ duces, omnesque ii qui, vel expetiti ac delecti ab hominibus, præsunt civitatibus atque provinciis, vel per vim et injuriam dominatum occupaverunt. Catech. Concil. Trid. P. IV, c. XI. n. 15. [«Cristo Signore medesimo ha detto a Pilato che il regno suo non è di questo mondo (Giov. XVIII, 36), che cioè non ha la sua origine in questo mondo, il quale fu creato ed avrà una fine; infatti in quel modo dominano imperatori e re, e repubbliche e duci, e tutti quelli che o per desiderio o per elezione degli uomini stanno a capo del governo nelle città e nelle provincie, o che con la violenza e con l'ingiustizia si impadronirono del potere.» N.d.R.]
[15] Matth., XXVIII, 18, 19.
[16] Act., IX, 15.
[17] Ps. II, 2, 3.
[18] Aug. De civit. Dei, L. V, c. 24. — Epist. 185 ad Bonif., c. V, n. 19. «Quod enim dicunt... non petiisse a regibus terrae apostolos talia, non considerant aliud fuisse tunc tempus,et omnia suis temporibus agi, etc... In hoc ergo serviunt Domino reges, in quantum sunt reges, cum ea faciunt ad serviendum illi, quae non possunt facere nisi reges.» [«Quando (gli eretici) ... ci portano come argomento che gli Apostoli non reclamarono tale intervento delle autorità civili, essi non considerano che i tempi erano diversi e ogni cosa deve attuarsi al tempo opportuno... In ciò dunque servono a Dio i Re come Re, in quanto volgono al servizio di lui quelle cose, che non possono fare se non i Re.» N.d.R.]
[19] Joann., XII, 31; — XIV. 30.
[20] I Corinth., II, 6, 8.
[21] Apoc., XI, 7; XIII, 4.
[22] Matth., IV, 9.
[23] Ibid.,10, 11.
[24] Rom., I, 14.
[25] Luc., XIX, 14.
[26] Lucerna pedibus meis verbum tuum et lumen semitis meis. Ps. CXVIII, 105.
[*] [La silicatizzazione era l'applicazione del vetro solubile di Fuchs (silicati solubili di potassio e di sodio) per il consolidamento delle pietre porose, aumentandone la solidità ed assicurando la conservazione di marmi, pietre, smalti, cementi e stucchi per costruzione. N.d.R.]
[27] Act., I, 8.
[28] Exposit. in Luc., L. IV, n. 47.
[**] [La Chiesa può dirsi liberale in quanto ha sempre sostenuto il vero concetto di libertà, tutt'altro da quello delliberalismo che ha trasformato la libertà in licenza. Tuttavia al giorno d'oggi, siccome il falso sistema propugnato dalliberalismo ha avuto il sopravvento, riteniamo più opportuno evitare di attribuire alla Chiesa il termine liberale, dato che il concetto corrispondente non è ormai più conosciuto nella sua vera accezione. Si veda a questo proposito l'Enciclica di Papa Leone XIII Libertas, 20 giugno 1888: «La libertà, dono di natura nobilissimo, e proprio unicamente degli esseri intelligenti o ragionevoli, conferisce all'uomo questa dignità, di essere in mano del suo consiglio ed avere intera padronanza delle sue azioni. — La qual dignità però importa moltissimo come sia sostenuta, perchè dall'uso della libertà derivano del pari e sommi beni e sommi mali. Può infatti l'uomo obbedire alla ragione, seguire il bene morale e tendere diritto all'ultimo suo fine: e può invece mettersi in tutt'altra via, e correndo dietro a false immagini di bene, turbare l'ordine debito, ed esporsi da sè stesso a inevitabile ruina. — Il nostro Redentor Gesù Cristo, restaurando ed elevando la dignità primitiva di natura, recò alla volontà grandissimo giovamento; e parte con gli aiuti della grazia, parte con la promessa della felicità eterna del cielo, la innalzò a più nobile segno. Per la stessa ragione assai benemerita di sì eccellente dono di natura fu e sarà sempre la Chiesa cattolica, come quella che ha per officio di propagare a tutti i secoli i benefizi recatici da Gesù Cristo. — Eppure questa Chiesa è tenuta da tanti per nemica dell'umana libertà. Il che proviene da una falsa e strana idea della libertà medesima, che costoro o snaturano nel suo essenziale concetto, o allargano oltre il dovere, estendendola a cose, nelle quali di ragione l'uomo non può esser libero.» N.d.R.]
[29] Rom., VIII, 28.—II Timoth., II, 10.
[30] Hebr., V, 14.
[31] Matth., XIX, 26.
[32] Zach., XIII, 6.
[33] Pompon. Mela, De situ orbis, L. III, n. 2.
[34] Rom., IV, 18.
[35] Explication de l'Apocalypse, ch. 20. Edit. Lebel, T. III, p. 478.
[36] II Timoth., III, 13.
[37] Luc., XVIII, 8.
[38] II Thessal., I, 3.
[39] Is., XLIX, 20.
[40] Apoc., XIII, 7.
[41] II Petr., III, 10, 11.
[42] Tit.Liv., L. XXII, n. 61.
[43] I Corinth., XV, 24.
[44] Ephes., I, 12.
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