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LA CIVILTÀ CATTOLICA: IL VANGELO DI ALFREDO LOISY E I FONDAMENTI DELLA FEDE



La Civiltà Cattolica
Quaderno 1289, Vol. I
Roma, 1904


I. PER LO STATO DELLA QUESTIONE.

Il nome di Alfredo Loisy richiama alla mente quel che v' ha di più nuovo e di più ardito ne' concetti stessi fondamentali del Cristianesimo. Ah! il Cristianesimo è pur sempre quel che più appassiona le anime ; la buona novella, recata da Gesù Cristo al mondo, agito ed agiterà sempre lo spirito umano il quale, non appagato, anzi giustamente stanco delle apparenze fenomeniche del mondo sensibile, vuol sapere quel che si cela attraverso la cortina de' sensi . E torna quindi, sempre con nuovo ardore, sia col nome di gnosi, come ai primi tempi cristiani, sia col nome di teologia, come ai tempi de' Padri e della scuola, sia col nome di critica, come ai tempi nostri, torna sempre, diciamo, a studiare e ruminare la parola di Cristo consegnata alle carte del breve volume degli Evangeli; poichè tutti credono che ivi sia contenuta l'unica parola di conforto, l'unico raggio di speranza che brilli pe' mortali. Il che sarebbe davvero consolante, se quello studio si facesse a dovere. Ma qui è la difficoltà; poichè, ritenuti i concetti del Loisy, si può veramente dubitare se con essi si è ancora cristiani. Il Loisy, dopo l'Harnack, anch'esso si è accinto ad una quasi revisione totale de' fondamenti del Cristianesimo. Mal'ha fatto egli a dovere ? Ecco la dimanda che giustamente si fa da tutti, e che vogliamo fare ancor noi, come scrittori cattolici . L' Harnack concluse che il Cattolicismo era una giunta arbitraria all'Evangelo, il Loisy lo dice solo un sèguito necessario; l'Harnack trovò la quintessenza del Cristianesimo nella paternità di Dio, il Loisy sembra trovarla nel regno messianico futuro, dopo la risurrezione. Che cosa sono questi ed altri enigmi ?

 

I libri del Loisy sono stati condannati da Roma ; ma la condanna suppone l'errore. Fa d'uopo additarlo a chi la debolezza della vista intellettuale impedisse il vederlo; affinchè non si verifichi il malefico augurio che faceva, poco dopo la condanna, un seguace della scuola del Loisy: « Il pensiero che egli ha seminato cosi largamente nei solchi della gioventù ecclesiastica contemporanea maturerà in seguito (1) .» Il far conoscere l'errore è impedire che germogli. Dunque esaminiamo. E, sopratutto, cerchiamo prima di intender bene la mente dell'autore e lo stato della questione.


II

Loisy, innanzi tutto, si dice storico, e ripetutamente afferma volersi occupare solo di storia o esegesi storica. - Ma no; come tutte le anime non volgari, egli è, al contrario, appassionato per il sistema che si sprigiona dalla storia, il quale nel caso nostro è la teologia. Anzi, una specie d'istinto lo tira alla specolazione filosofica, e i suoi due ultimi libri toccano indubitatamente quel che v'ha di più fondamentale e teologico nella Religione cristiana. « Basta aver letto due linee del Loisy, dice egregiamente il p. Lagrange, per vedere il fascino invincibile che l'attira verso i problemi teologici (2).» Basta legger la prefazione all'ultimo suo libro (3), per iscorgervi come la sua mente è travagliata non per semplici fatti storici, che non abbiano nulla a fare coi problemi teologici (com'egli talora affetta di dire) , ma proprio per questi problemi stessi, p. es . dello svolgimento de' dogmi, delladi- vinità di Gesù Cristo, della redenzione, della certezza dei fatti evangelici, dell' istituzione della Chiesa (p . XXIII, XXIV). La storia, di fatto, non è per lui se non un antecedente per arrivare alla conseguenza teologica. È ben vero che egli parla spesso di pura storia, di volere stare sul campo storico, di impensierirsi solo della storia e punto della teologia e ripete che « come il naturalista non nega Dio, raccontandoci il mondo, cosi lo storico non distrugge la divinità di Gesù... raccontando il suo ministero nelle umili condizioni della sua realtà » (p. 11) .

Ma elleno son parole, poichè spesso la teologia e la storia si confondono in una sola cosa reale, restando solo la distinzione de ' concetti ; altre volte poi è cosi breve il passo che la mente lo trascorre quasi per istinto, per legge di logica inerente all' intelletto. In fatti, se voi dite che Gesù di Nazareth secondo la storia è un semplice uomo (p. 111-114), la mente conclude subito : dunque non è Dio ; con tuttochè voi vi affanniate poi a dire che è Dio secondo la fede e che la divinità di Gesù Cristo « non è un dato della storia, ma un dato della fede » (p. 162). Se voi asserite che « la risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto d'ordine storico ... e che essa non è dimostrabile, nè dimostrata per la sola testimonianza storica » (p. 169), la gente, non avvezza alle sottigliezze, conchiuderà tosto col suo buon senso : dunque Gesù Cristo non è risuscitato ; e avete poi un bel gridare che però tal fatto si deve credere per la fede, e che voi parlate solo da storico, nè intendete affatto toccar la teologia. Ma chi vorrà mai una fede e una teologia che è priva di fondamento storico ? Questo sarebbe un mero Kantismo, in cui l' intelligibile è separato dal sensibile con una barriera insormontabile. Se voi dite che la Chiesa, storicamente considerata, « è stata fondata dalla fede a Cristo » (p. 172) e che « per lo storico la Chiesa fa seguito al Vangelo di Gesù, ma non è formalmente nel Vangelo » (p. XXVI), molti concluderanno subito: dunque la Chiesa non fu fondata da Gesù Cristo stesso. Se voi dite che Gesù s'inganno, predicando imminente il regno escatologico (p. 68), tutti concluderanno: dunque per il Loisy è finita la scienza divina di Gesù e la divinità stessa di lui ; nè vi suffragherà il dire che voi parlate da storico .

III 

Quindi l'affermazione ripetuta tante volte dall'esegeta fran cese, Io mi occupo solo di storia, può essere uno scherzo di cattivo genere. E fu un vero scherzo, anzi scherno, quando, per tutta sottomissione alla condanna del suo primo libro fatta dal Cardinale di Parigi, egli scrisse : « Quello che non v'era nel mio libro non poteva essere ritrattato. Io però condanno ben volentieri tutti gli errori che altri avevano de dotto dal mio libro, ponendosi, nell'interpretarlo, in una vi suale differente da quella in cui mi era posto io nel comporlo » (VII) . Ah ! egli condanna volentieri gli errori degli altri, non i suoi ! Come ? Tu dai coll'accetta al tronco del l'albero, e a chi muove lamenti del susseguente disseccarsi delle foglie, rispondi: Che colpa ne ho io, se neppure ho toccato le foglie? Tu levi la base marmorea ad una statua, e a chi muove lagnanze della caduta di questa, rispondi: Io mi occupo solo di trasportare marmi, non di tener in piedi le statue ? Tutto ciò non è serio. Fuori di metafora : le basi del Cristianesimo sono alcuni fatti storici ; base della divinità di Gesù Cristo è il fatto storico che egli s'è annunziato Figlio di Dio comprovandolo co' miracoli ; base della fondazione divina della Chiesa è il fatto storico contenuto nei detti e nelle opere di Gesù narrati dai Vangelisti riguardo a tal fondazione ; base della fede nella risurrezione di Cristo è il fatto storico pur narrato dagli stessi Vangelisti. Togliere quindi quelle basi è togliere per conseguenza direttissima la credenza cristiana a que' dogmi, e non v'è scusa che valga.

Questa risposta dunque, con cui egli si afferma irresponsabile delle conseguenze delle sue asserzioni storiche, non regge, nè giustifica il Loisy ; e se egli l'ha data in qualche pagina del suo ultimo libro, pare che sia quasi soltanto per farsi beffa de' teologi e metterli un poco in impaccio, come chi si diverte nella scherma. Seppure non voglia dirsi che egli pro fessi, come accennammo, il più aperto Kantismo, in cui l'intelligibile non ha aicun legame col sensibile, e in cui la fede è separata dall'oggetto vero e reale. Il che ci darebbe una filosofia ed una religione incredibili .

Quindi, una sola risposta giustificherebbe il processo logico dell'erudito esegeta, e sarebbe questa : È vero, le mie ricerche storiche sui fondamenti del Cristianesimo riescono a tali risultati, donde apertamente consegue la falsità di que' supposti dogmi. Ma che colpa ne ho io? Non posso io cambiare i fatti e far si che non sieno tali. Che colpa ne ho io, se Gesù non sapeva di esser Figlio di Dio ? Se s'illuse sulla prossima venuta del suo regno finale ? Se non pensò a fondare la Chiesa? Se i Vangelisti in molti punti non ritrassero il pensiero di Gesù e in sua vece introdussero le idee della Chiesa nascente ? Se le prove della risurrezione non sono convincenti ? Un simile discorso in tal caso, non avrebbe, certo, la nota di ridicolo; anzi sarebbe grave e gravis simo. Ma allora il Loisy prenderebbe l'atteggiamento solenne di richiamare il Cristianesimo ad un severissimo esame, ed i suoi scritti, come altri disse, sarebbero una grande sfida. E, pur troppo, questo è veramente il significato latente e talora anche esplicito degli ultimi due suoi libri nominati di sopra. Questo si legge tra tutte le linee delle 234 pagine dell' Évan gile et l'Église e delle 290 pagine dell'altro, Autour d'un petit livre.

Posto cosi lo stato della questione, com'è veramente, si può dimandare : Ma quel che il Loisy chiama storia, è ve- ramente tale ? È egli storicamente vero che Gesù non si disse Figlio naturale di Dio ? che i Vangelisti non ritrassero fe- delmente i pensieri e i fatti di Gesù? che questi s'in- ganno sulla venuta del suo regno finale ? che sorpreso dalla morte, non potè neppure pensare a stabilire una Chiesa e i sacramenti ? che le prove della sua risurrezione non sono concludenti storicamente ? É egli vero tutto questo ? Ecco l'unica questione che da valore serio a chi legge il libro del Loisy ; questione però, la cui soluzione, lungi dal formare la sua difesa, formerà la sua condanna. Egli è come chi dicesse che, essendo caduto il sole, il mondo si è oscurato. Non abbiamo nulla a ridire contre il processo logico del discorso ; ma abbiam diritto di sapere, se l'asserzione dell'antecedente è vera. Ora, tornando al Loisy, rispondiamo che tali asserzioni del Loisy sono altrettante falsità storiche. Ne temiamo smentite, avendo dietro a noi diciannove secoli di studii. Che se il piglio de' razionalisti e de' semirazionalisti è nuovo, la sostanza è vecchia quanto il Cristianesimo. Si rinfranchino dunque i semplici, chè non v'è nulla a temere .

Messo in sodo lo stato della questione, che è una revisione totale del Cristianesimo, entriamo dentro alle secrete cose: 1º) ricostruendo fedelmente il Vangelo dell'esegeta francese : 2°) confrontandolo col Vangelo di Gesù Cristo, ove si con tengono i fondamenti della Fede.

IV.


1. IL VANGELO DELL'ABATE LOISY. - 1. Il Regno de' cieli. Il punto di partenza della nuova interpretazione del Vangelo è il modo d'intendere il Regno de' cieli o Regno di Dio.

Il concetto del Regno de' cieli, secondo il Loisy, è tutto escatologico ; ossia, è quell'impero di Dio sugli uomini che comincerà colla gloriosa venuta del Figlio dell'uomo ossia di Cristo sulla terra, quando, distribuiti a tutti il premio e il castigo, Dio regnerà co' suoi Santi. E tutta la predicazione di Gesù Cristo, a detta di lui, si riduce a questa : penitenza chè il regno de' cieli è vicino » (Matt. IV, 17 . « Quando il Salvatore, dice il Loisy, manda i suoi apostoli a predicare, gli evangelisti intendono la penitenza ; e il mes saggio loro affidato da Gesù non contiene altra formola che questa, Il Regno de' cieli è ricino, formola che sembra contenere tutta l'essenza del Vangelo (3). » E altrove : « L'idea del regno celeste non è altro che una grande speranza, e appunto in questa speranza lo storico deve mettere l'essenza del Vangelo, a costo di sbandire dal Vangelo ogni cosa sostanziale ; poichè nessun'altra idea prende tanto posto e un posto tanto alto nell'insegnamento di Gesù » (p. 7) (4).

-Ma, si dirà, il Regno di Dio o Regno de' cieli, predicato da Gesù Cristo, non comprende forse due stadii, come finora si era detto? cioè, uno iniziale qui in terra, e uno finale od escatologico oltre il giudizio ? No, risponde il Loisy; il Regno de' cieli è esclusivamente escatologico. « Si può parlare, dic'egli, della venuta del regno, come d'un fatto che corona la storia, e che non si confonde in niuna maniera colla conversione di coloro che vi sono chiamati » (p. 8). L'idea del regno de' cieli « riguarda e non può riguardare se non l'avvenire, come conviene alla sua natura di speranza ; e questo avvenire non è affatto la condizione prossima dell'uomo in questo mondo, ma il rinnovamento del mondo, il rinnovamento dell'uman genere nella giustizia e nella felicità eterna » (p. 8) .

 

Alla difficoltà che si può fare (e non è solo difficoltà, ma verità certa, come poi vedremo) che il regno de' cieli formalmente preso, anche nel concetto di Gesù, ha due stadii, uno in terra, l'impero spirituale di Dio sulle anime, l'altro escatologico, finale, l'impero di Dio giudicante e sanzionante, il Loisy risponde negando che questo stadio terreno sia propriamente il regno de' cieli o il regno di Dio, quello annunziato da Gesù Cristo, ma esso è solamente una « speranza » , « una preparazione immediata e diretta all'arrivo del regno » ; il regno propriamente detto, dic' egli, « non si confonde affatto con la conversione di coloro che vi sono chiamati » (p. 8); « Cristo non confonde mai il regno con la remissione de' pec. cati, chè è solamente la condizione per esservi ammesso>>> (p. 14) ; « il regno è propriamente la felicità eterna » (p. 11); « il regno è un fatto che corona la storia » (p. 8); esso è quel regno che intendevano i profeti e il popolo a cui parlava, e Gesù « non si è punto presentato qual rivelatore d'un principio nuovo » (р. 12, 13); « da per tutto, il Vangelo è subordinato al regno propriamente detto » (p. 76). Dunque, secondo il Loisy, il Regno de' cieli del Vangelo è un regno che comincia dopo la fine del mondo; questo, e non altro, insegnò e predicó Gesù Cristo ; questo fu, come a dire, anche la parola d'ordine data ai suoi apostoli.


V.


- 2. Gesù Cristo e la venuta del regno de' cieli. Dopo il detto, il Loisy passa ad un secondo punto, che egli, natu ralmente, chiama storico; ed è questo, che Gesin Cristo credeva esser prossima ed immediata la venuta di questo regno, cioè prima della sua morte, ma che fu sorpreso inopinatamente da essa ; e allora, perduta ogni speranza, si persuase che il detto regno verrebbe dopo la sua morte. Abbiamo sottolineato questa tesi complessa, che è secondo lui, un altro pezzo di storia evangelica, che egli trova bell' e fatta, e di cui, poveretto, non ha colpa alcuna, come vogliono il Card. Arcivescovo di Parigi ed altri Vescovi di Francia, i quali tirando delle conseguenze, condannarono il libro. Quanto a sė, egli scrive che « aveva analizzato l'insegnamento di Gesù riguardo al Regno de' cieli e la sua prossima venuta, e non tirava nessuna conclusione rispetto alla questione teologica sulla scienza di Cristo (5) . » Dunque la colpa non è sua se Cristo con quell' inganno fa la figura di un profeta da stra pazzo e se i teologi si veggono rovinare la loro teoria sulla scienza di Gesù .

Or come prova il dotto esegeta la sua tesi ? - Crede di provarla dalle parole di Gesù Cristo : « il Regno dei cieli è vicino » ; dalla sentenza di Lui onde assicurò i suoi discepoli << che molti di essi saranno ancora in vita, quando arriverà il regno » (p. 5) (5); dal non avere Gesù prescritto niuna norma disciplinare, appunto in vista della prossima fine del mondo (p. 24); dalla predicazione di Lui di lasciar tutto in effetto, non solo in affetto, come immaginarono poi, egli dice, gli asceti cristiani (p. 25). Gesù era in somma tutto preso dall'idea della prossima venuta del regno di Dio, donde derivo la sua « suprema indifferenza per tutti gl'interessi umani, che è il fondo stesso del Vangelo. Perchè mai impensierirsi d'un diritto quando si è così vicini alla giustizia eterna (p. 31) - Ma si dimanda : Come ! E la sublime morale del Vangelo ? E la conoscenza di Dio fornitaci da Gesù ? E la scienza e la civiltà provenienti dal Vangelo, come s'accordano con tali dottrine ? Ah! risponde l'esegeta francese. 

Ecco, secondo lui, il vero stato delle cose. « Lo storico, dice, deve resistere alla tentazione di modernizzare l'idea del regno de' cieli (modernizzare sarebbe fare del Regno di Dio due stadii, uno in terra e uno in cielo) . Se il teologo crede dovere interpretarlo in modo da adattarlo alle condizioni del tempo presente, padrone ; purchè non confonda il suo commento col senso primitivo de' testi evangelici>>> (p. 22) . Cosi, se, secondo l' Harnack (contro cui scrisse l'autore) l'essenza del Cristianesimo è la paternità di Dio ; se condo il Loisy, è l'annunzio del regno prossimo escatologico, annunzio che per giunta fu sbagliato, poichè quel regno ancora non è venuto . E metteva conto scrivere un libro contro l' Harnack? Affè che l'essenza del Cristianesimo proposta dal razionalista supera di molto quella proposta dal sacerdote che dicesi cattolico !

Freniamo ancora per poco lo sdegno che eccitano tali inaudite dottrine, le quali si spacciano per istoria, e vediamo ora che cosa insegni l'erudito esegeta sulla persona di Gesu Cristo; perchè finora noi non facciamo propriamente una confutazione, ma esponiamo solo il Vangelo del Loisy. Che se già l'esposizione arieggia a confutazione, è la natura delle cose che parla da sė .

VI.

 - 3. Gesù Cristo Messia. Nessuno finora ha dubitato che Gesù Cristo fosse il Messia e che egli si fosse creduto tale. Ma non è cosi nella radicale revisione del Cristianesimo fatta dall'abate Loisy. Gesù, al dir di lui, non era Messia in atto, ma solo in isperanza. « Nulla ci vieta il dire, egli afferma, che Gesù stesso, quando cominció a predicare il Vangelo, non si tenesse solo per messaggero e profeta del regno, ma di esserne altresi il principale agente e il capo predestinato » (p. 52, 53) ; cioè il Loisy accetta per grazia che Gesù potesse solamente dirsi un profeta, un precursore al regno messianico ; ma nega che potesse dirsi proprio Messia. Poichè, egli dice, « il ministero di Gesù era tutto cosa preliminare al regno de' cieli e al compito proprio di Messia » (p. 53) . Quindi spiega meglio la sua idea : « In un senso Gesù era il Messia e in un senso non era ancora. Egli era Messia in quanto che aveva la vocazione personale a reggere la nuova Gerusalemme (puta caso un pretendente che, non essendo ancora re, sarà re più tardi). Ma non era ancora Messia, perchè la nuova Gerusalemme non esisteva ancora e non v'era luogo all'esercizio del potere messianico. Gesù aveva dunque dinanzi a se la prospettiva della sua messianità » (p. 53). E a chi opponesse all'erudito esegeta la risposta di S. Pietro, in cui questi lo dichiarò Messia e Gesù l'approvò, egli risponde francamente che Gesù non volle già dire che egli fosse Messia in atto e « nell'esercizio del suo officio messianico, ma solo che egli era la persona designata a quell'officio » (p. 54). Ma, si dirà: E Gesù non fu già condannato per essersi dichiarato Messia dinanzi alla Sinagoga ? -Ah! risponde l'esegeta : Non per questo ; ma perchè « solamente die' a vedere ove tendeva la sua predicazione e qual posto egli rivendicava a se nel regno annunziato (futuro) » (p. 52).Altrove ripete la stessa dottrina, dicendo che Gesù Cristo non poteva dichiararsi Messia, perchè non era tale, e perchè « la sua predicazione non era affatto officio messianico, il quale officio, come tale, non doveva esercitarsi se non più tardi, al momento fissato dalla Provvidenza » (p. 55) . « Di qui s' intende, ragiona egli, come la Chiesa apostolica abbia insegnato che Gesù è diventato Messia (Cristo) e Signore per la risurrezione, cioè per il suo ingresso alla gloria celeste e che la Chiesa stessa abbia aspettato parimente non già il suo ritorno in terra, ma la sua venuta come Messia ; poichè il suo ministero terrestre non era ancora considerato come officio messianico » (p. 55) . Veramente, più sopra l'autore aveva detto che il regno messianico comincerebbe dopo il giudizio universale, essendo quel regno la corona della storia ; ora dice che cominciò dopo la risurrezione di Cristo. Però , maiora premunt, e tiriamo innanzi nella ricostruzione del nuovo Cristianesimo .

Assodato dal nuovo revisore del Vangelo che Gesù Cristo non era qui in terra un vero Messia, per la semplice ragione che qui in terra non esisteva nessun regno messianico, e che egli era un Messia solamente futuro o un pretendente al regno avvenire, l'esegeta dimanda quando nacque in Gesù la coscienza di esser Messia futuro. Chiediamo venia ai teologi di pur trascrivere simili dimande ; ma essi sanno bene che il Loisy nella sua strada non s'occupa nè di teologi, nè di teologia, anzi afferma di non voler cedere alla tentazione d'interpretare i testi « modernizzandoli », ossia spiegandoli come i teologi . Ora, alla dimanda ecco che cosa risponde: « La tradizione più antica sembra avere spiegata o figurata (la formazione della coscienza messianica di Gesù) per mezzo d'una rivelazione che sarebbe avvenuta all'occasione del battesimo là nel Giordano » (p. 55). Al momento del battesimo dunque, probabilmente, secondo lui, Gesù seppe la prima volta che egli nel regno messianico sarebbe per essere il Messia. E se lo seppe allora, ne segue che prima l'ignorava. Che se altri deduce da ciò che quindi, secondo tale esegesi, Gesù Cristo non era onnisciente e che non era Dio, il Loisy protesta contro tali conseguenze che gli si vorrebbero attribuire e contro coloro che « prendono per sistema teologico ciò che è semplicemente un modesto saggio di costruzione storica » (p . VII) (7) . È bene intanto far noto ai lettori quest'altro pezzo di storia.


VII.

4. Gesù Cristo, Figlio di Dio . Vediamo ora che cosa rimane a Gesù Cristo della sua figliuolanza da Dio e della sua divinità, nel Vangelo del Loisy. Egli dedica un capitolo a parte a tal questione, anch'essa fondamentale.

Purtroppo la figliuolanza di Gesù da Dio non ha avuta miglior sorte della sua messianità. Innanzi tutto comincia a dire che nel Vangelo il titolo di Figlio di Dio era, per i Giudei, per i discepoli e per Gesù stesso, eguale a Messia. « Si troverebbe nel Vangelo più d'un passo, donde vien fuori che il titolo di Figlio di Dio era per i Giudei, per i discepoli e per il Salvatore stesso l'equivalente di Messia » (p. 42). Quindi cita varii passi ove al titolo di Messia s'aggiunge subito quello di Figlio di Dio, il qual titolo sarebbe, al dir dell'autore, un titolo dichiarativo. Aggiunge inoltre che, come già disse della coscienza di Messia, cosi anche la coscienza della figliazione da Dio in Gesù fu frutto d'un lavoro interno : « Quale che sia stato il lavoro interno che ha prodotto questa coscienza della figliazione da Dio, è certo che tutti coloro che ascoltarono Gesù, amici o nemici, hanno identificata quella figliazione alla coscienza, ossia alla pretensione messianica. Ed è molto temerario sostenere oggi che il significato essenziale del titolo Figlio di Dio fosse stato per Gesù stesso altra cosa dalla suddetta » (p. 43). L'autore quindi segue a scandagliare quale delle due in Gesù sia stata prima o la coscienza della figliazione da Dio o quella della messianità (ossia, dignità di vicario del regno di Dio) ; e risponde cosi : « Il critico può congetturare che il sentimento filiale (comune) è preceduto ed ha preparata la coscienza messianica. Essendosi l'anima di Gesù elevata per mezzo della preghiera, della confidenza e dell'amore al più alto grado d'unione con Dio, ne sorse, come corona di questo interno lavoro, l'idea della vocazione messianica. Ma il titolo di Figlio di Dio (speciale) appartenendo esclusivamente al Salvatore, equivale a quello di Messia e si confonde con le qualità di Messia; cioè, appartiene a lui, non per ragione delle sue disposizioni interne e delle sue esperienze religiose, ma per ragione del suo compito provvidenziale e come all'unico agente del regno celeste... Gesù si dice unico Figlio di Dio in quel grado che si dice Messia. Lo storico concluderà da ciò, ipoteticamente, che egli si credeva Figlio di Dio (speciale) dopo che si crede Messia. L'idea della figliazione divina era legata a quella del regno; ella non ha significazione propria rispetto a Gesù, se non per riguardo al regno che doveva fondare. Cosi, anche quelli che credono al Vangelo, la qualità di Figlio di Dio non è senza riguardo alla speranza del regno che il Padre ha loro destinato ; molto più quando si tratta dell'unico ordinatore del regno » (р. 57) .

Ecco due primi passi nello studio o vogliamo dire ricostruzione storica evangelica della persona di Gesù Cristo, secondo il Loisy: a) Figlio di Dio è uguale a Messia ; b) la consapevolezza d'esser Messia sorse in Gesù per un interno lavorio.

Questi due punti e quel ripetersi dal Loisy con tanta insistenza che Gesù Cristo era Figlio di Dio solo in quanto era Messia, farà crollare il capo a più d'un teologo, che dimanderà: In somma, Gesù Cristo era o non era Figlio di Dio naturale, secondo il nostro esegeta ?

La risposta di lui non è categorica, ma neppure è difficile a capirla. Comincia con dire : Oh ! è inutile far certe questioni ; « non si tratta di metterci qui a fare una professione dottrinale riguardo alla persona di Gesù e al suo officio. Gesù, del resto, non ha mai enunziata una formola dogmatica, nè sul regno e molto meno sulla sua persona. Chi crede al suo messaggio, crede anche alla sua legazione, e la sua grandezza gli deve esser manifesta dalla grandezza del regno promesso. Era inutile di fare pompa d'una definizione teoretica » (p. 60). Inoltre, rispondendo all' Harnack il quale mette la figliuolanza divina di Gesù Cristo solo in ciò che Gesù conobbe meglio di tutti Dio e lo rivelò agli uomini, scrive : No, non è in questo la figliuolanza divina di Gesù, ma in ciò che egli è il vicario di Dio nel suo regno ; « Colui è il Figlio per eccellenza, non già perchè ha conosciuto la bontà del Padre e l'ha rivelata, si bene perchè è l'unico vicario di Dio per il regno de' cieli » (p. 57) .

Dunque, se, giusta l'esegeta francese, Gesù è Figlio di Dio solo per ragione dell'ufficio messianico, sembrano venirne due conseguenze : prima, che Gesù è un figlio adottivo, sia pure un figlio adottivo per eccellenza cosi detto per ragione d'un alto ufficio ; seconda, che questa figliuolanza comincerà alla venuta del regno, come alla venuta del regno comincia la messianità.

- A sfuggire queste conseguenze, che procedono immediatamente dalle asserzioni del Loisy, questi avrebbe un unico effugio, e sarebbe il dire, che la messianità futura di Gesù è solo il motivo per cui alla sua natura umana si fosse unita la persona del Figlio di Dio, non già che la messianità futura di Gesù sia la causa formale della sua figliuolanza di Dio.

Or che dice l'esegeta ? Non ispiega per nulla il suo pensiero ; quindi la sua teoria rimane molto sospetta. Già prima aveva detto che Gesù s'era ingannato sulla venuta del regno, avendolo creduto prossimo ; ora aggiunge (e lo ripete con molta insistenza) che la sua figliuolanza di Dio è un titolo dipendente dall'ufficio di Messia e che Messia non fu, se non dopo la sua morte. Ma queste due cose stonano e stridono immensamente in un Gesù, in cui la natura umana
fosse unita alla persona del Figlio di Dio. Quindi, a dir poco, nella ricostruzione storica evangelica del Loisy é cosa molto sospetta e dubbia se Gesù Cristo sia Figlio naturale di Dio..

VIII.


Però, v'è un altro modo per conoscere e sorprendere il pensiero del Loisy sul valore della figliuolanza divina che egli attribuisce a Gesù Cristo ; cioè, il vedere se egli ammette che, secondo il Vangelo, Gesù abbia la natura divina e quindi sia Dio. Poichè, chi dice Figlio naturale di Dio e natura divina, dice una cosa identica. -Or, che risponde egli a tal questione ? Nuovamente con dubbii e distinzioni. Ammette si che i cristiani credono che Gesù Cristo è Dio ; anzi di più ammette che Gesù si deve creder Dio per fede : « Cristo è Dio per la fede » (p. 155); « la divinità di Cristo è un dogma che è cresciuto nella coscienza cristiana » (p. 117) ; ma nega che nel Vangelo Gesù Cristo sia dato per Dio; cioè nega che il Gesù storico sia Dio. Ecco le sue parole: « La divinità di Gesù non è un fatto della storia evangelica, di cui si possa verificare criticamente la realtà ; ma... una credenza, intorno a cui lo storico non può far altro che verificare l'origine e lo sviluppo. Questa credenza apparterrebbe all'insegnamento di Gesù, e anche lo storico dovrebbe riconoscerla, se il quarto Vangelo fosse un'eco diretta della predicazione del Salvatore... Ma il quarto Vangelo è un libro di teologia mistica, ove si ode la voce della coscienza cristiana, non il Cristo storico ¹. » Dal che si vede ancora che, secondo il nostro esegeta, i Sinottici non ci danno Gesù Cristo per Dio e che il Vangelo di S. Giovanni non è storico : due errori palmari, specialmente il primo ; errori, non solo teologici, ma storici, che accenniamo solamente e tiriamo innanzi . Altrove insegna che Cristo è Dio per la fede>>> (p. 155), e che egli « è vissuto sulla terra nella coscienza della sua umanità, ed ha parlato secondo questa coscienza... I suoi discorsi, la sua condotta, l'attitudine dei suoi discepoli e quella de' suoi nemici, tutto mostra che Gesù Cristo era uomo tra gli uomini, in tutto simile ad essi, eccetto il peccato » (р. 116, 117) . Ma si dimanda: Fu uomo, eccetto anche la divinità?- Precisamente, ripiglia il Loisy, egli fu uomo « eccetto ancora, si deve aggiungere, il mistero intimo e indefinibile del suo rapporto con Dio » (p. 117) . Questo mistero della divinità, dunque, sembra alieno da Gesù, come il peccato, secondo il Loisy. « La divinità di Cristo, poi soggiunge, è un dogma che è cresciuto dopo nella coscienza cristiana » (p. 787) « Gesù è entrato nella storia degli uomini come uomo, non come Dio > (p. 11) .

 

Ma si chiederà : Come mai un Gesù, il quale essendo vivo qui in terra non fu Dio, divenne poi Dio dopo morte ? Dovrà forse dirsi che, morto Gesù, la sua natura umana si uni allora colla persona del Figlio di Dio e perciò divenne Dio ? Non crediamo che cosi l'intenda il nostro esegeta; perchè questa non sarebbe davvero storia, e sappiamo ch'egli per la storia sacrificherebbe la vita, nonchè ogni altra cosa. Ma allora, come potè quel Gesù, semplice uomo, esser creduto Dio dopo morte, se niuna storia ci narra che dopo morto quella natura umana sia stata unita ad una persona divina? Mistero...!


IX

Però il Loisy ci crede, e ne racconta anche la genesi; poichè ogni mistero alla fin fine è un fatto, soprannaturale, si, ma un fatto, del quale può narrarsi la storia della sua manifestazione. Eccola, secondo il nostro esegeta : « Progressivamente, ma assai presto, per lo sforzo spontaneo della fede, cioè per presentarsi al pubblico con una definizione di sè stessa e per l'esigenze naturali della predicazione, spunto l'interpretazione greca del messianismo cristiano ; e Cristo, Figlio di Dio (leggi: Messia) e Figlio dell'uomo, Salvatore predestinato, divenne Verbo fatto carne (9). » Ma ripetiamo : Come accadde che Gesù uomo divenne Verbo, ossia Figlio naturale di Dio ? Divenne forse incarnandosi dopo morte ? -Oibo, dice il Critico ; ecco come : I Greci, non intendendo nulla d'un Messia, interpretarono questo nome e quest'officio, imaginandosi che egli fosse un Dio o semidio ellenico, e gli affibbiarono il titolo di Verbo di Dio. « La divinità di Cristo, l'incarnazione del Verbo fu l'unica maniera conveniente per tradurre all'intelligenza greca l'idea del Messia>>> (p. 140).

Or questo è il più intollerabile razionalismo dell'Harnack e di tutti i razionalisti del mondo. Talchè il Loisy che non vuol credere alla storia di S. Giovanni, Et verbum caro factum est, crede poi alla favola razionalistica, che Gesù divenne il Verbo di Dio dopo morte, e quel che è peggio, Verbo di Dio di nome; e nega che durante la vita fosse il Verbo di Dio. Tanto è vero che egli scrive : « Dimandare al più credente de' critici se Gesù nel corso della sua vita mortale avesse coscienza di essere il Verbo eterno, consustanziale al Padre, è porgli una dimanda inutile... Perciò risponderà che Gesù non ha dato quest'insegname' o sulla sua persona (10) . » Or, non avendo Gesù Cristo nè parole nè a fatti dato, secondo il Loisy, l'insegnamento sè esser Dio, ne segue che, secondo il detto Loisy, Gesù Cristo non è Dio. Che se fu detto tale dopo morte, ciò fu solo, come insegna il Critico, per far capire ai Greci che cosa fosse mai il Messia; ma s'intende che quella maniera di spiegare la messianità non mutò nulla in Gesù ; poichè le definizioni non costituiscono i fatti , ma li rendono intelligibili. Non s' impermalisca il Critico di questa conseguenza ; perchè la logica non è nostra invenzione, essendo anch'essa un fatto storico psicologico, che noi non possiamo cambiare .

Altrove però il Loisy insegna che il dogma della divinità di Gesù Cristo fu rivelato dallo « Spirito » (sic) dopo la morte di Gesù (p. 118); e perciò dice anche che « Gesù Cristo è Dio per la fede » (p. 155). Ma, una delle due : Olo Spirito Santo riveló una cosa vera, e allora segue che Gesù Cristo è Dio e che l'esegesi del Loisy è una vera confusione ; o rivelò una cosa falsa, e allora si ritorna al detto fin qui, cioè che, secondo il Loisy, Gesù Cristo non è Dio. Lo stesso di lemma si può ripetere per l'espressione « Gesù Cristo è Dio per la fede » : O a questa fede risponde la realtà storica, e allora perchè egli insegna altro essere il Gesù storico, altro il Gesù della fede ? o non risponde alla realtà storica, e allora il Critico nega la divinità di Gesù Cristo. A lui la scelta.

Il Critico sceglie il secondo corno del dilemma come consta dalle sue parole finora riferite. Dirà e ripeterà per la millesima volta che non ha colpa se egli insegna quel che insegna il Vangelo. Dirà che i fatti sono fatti..., e che « una montagna di sillogismi non può nulla contro un granello naturale di sabbia » (p. 114). A cui rispondiamo : Anoi per ora basta di conoscere il Vangelo del Loisy ; vedremo più sotto quel che insegna il Vangelo di Gesù Cristo, e se egli ha colpa o no nell' interpretarlo a suo modo. Anche i colori non sono creazione del pittore ; ma la diversa disposizione loro data fa si che rappresentino cose ben diverse. E gli scrittori non possono far l'istesso co' fatti storici? E che cos'altro fanno tutti i razionalisti del mondo, quando scrivono di Cristianesimo?

(Continua)

 Note:

(1) Giornale d'Italia, 27 dec. 1903.
(2) LAGRANGE, Revue biblique, 1º apr. 1903, p. 92.
(3) A. LOISY, Autour d'un petit livre, Paris, Picard, 1903.
(3) L'Évangile et l'Église, Paris, Picard, 1903, p. 5.
(4) Le pagine si riferiscono sempre all'ultimo libro citato .
(5) Autour d'un petit livre, p. VIII.
(6) L'Évangile et l'Église.
(7) Autour d'un petit livre, p. 130.  
(8) Vedi E. POLIDORI S. I., L'autore del quarto Evangelo rivendicato, Roma, « Civiltà Cattolica » , 1903.
(9) L'Évangile et l'Église, p. 139 .
(10) Autour d'un petit livre, p. 137.


1904, vol. 1, fasc. 1287

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