LA CIVILTÀ CATTOLICA: LA PACE DI CRISTO E LA PAROLA DEL PAPA PIO XI
La prima 'allocuzione, cioè, rivolta direttamente all'eminentissimo Collegio dei Principi della Chiesa, ma in essi. a tutto il resto del popolo cristiano -esordisce con affettuoso e commovente richiamo alla memoria del compianto antecessore, di cui ristringe, con forte sintesi, in poche frasi lapidarie, i meriti immensi e il programma grandioso, che la morte gli troncava sul meglio, ma che il successore ha ripreso e viene continuando con indefessa fedeltà. Quindi il Papa ricorda le sue ansie precipue, e con esse le principali opere e fatiche richieste da questi inizi del suo Pontificato, che sono in parte quelle stesse del predecessore: questione gravissima di Terra Santa, condizioni tristissime delle popolazioni orientali, desolazione estrema, per ogni rispetto, spirituale e materiale, della Russia sconquassata dalla rivoluzione, decimata dalla fame, dalle epidemie, dalle altre miserie di ogni fatta; soqquadro infine persistente e rivalità accanite dei popoli, anche dopo le tante riunioni dei loro rappresentanti per l'universale riordinamento e la sincera pacificazione. E per ogni punto la parola del Papa accenna il rimedio tentato e la norma seguita, ma sopra ogni altra cosa insiste, su quello che è il riparo unico e universale a tante calamità e miserie: «l'impero della giustizia e della carità»; volendo contemperate con questa le ragioni di quella. a comune vantaggio di tutti.
A tanto mira la missione di carità e di giustizia appunto, perciò di ristaurazione e di pacificazione insieme, tutta propria della Chiesa; e il Santo Padre lo ripete alto, sul conchiudere la sua nobile allocuzione, mentre proclama che di essa, congiungendo insieme i due programmi dei due suoi immediati predecessori, egli ha fatto e farà sempre la divisa dell'opera tutta del suo Pontificato, opera pacificatrice e ristauratrice, espressa nel motto più comprensivo: «La pace di Cristo nel regno di Cristo». Pax Christi in regno Christi.
Ma il concetto qui accennato Egli svolge largamente, secondo la promessa, nell'Enciclica, che seguì indi a pochi giorni (23 dicembre) , ed è tutta, come enuncia il titolo, «della pace di Cristo da cercarsi nel regno di Cristo» . E le tre parti del grandioso documento descrizione vivissima dei mali presenti, diagnosi profonda delle loro cause, proposta risoluta e pratica dei rimedii atti a risanare e pacificare sia gli individui, come le famiglie e la stessa società civile concorrono del pari a lumeggiare la tesi medesima, sotto ogni rispetto, e a dimostrarne, con sempre più fulgida evidenza, le pratiche e benefiche applicazioni.
La pittura delle condizioni miserrime della società contemporanea - moltiplicità, gravità, estensione dei mali di ogni ordine, privati e pubblici, individuali e sociali, materiali e spirituali, su cui si distende l'Enciclica con mesta e accorata rassegna ci scopre a nudo, in tutta la sua crudezza, l'abbiezione e l'infelicità che è lo stato naturale di una società in cui non regna Gesù Cristo. Essa ha una corrispondenza spaventosa, non solo con le parole del profeta ricordate dal Pontefice sull'esordire della sua dimostrazione mirum quam apte quadrant-ma con la società pagana o paganeggiante di quell'età medesima, o anche delle età susseguenti per secoli, fino al trionfo, almeno parziale, della «Città di Dio» , all'avvento sociale del «regno di Cristo» . Così, mentre crollava quel regno antico del mondo pagano e sotto «il calpestio dei barbari cavalli» sembrava rovinare il colosso medesimo dell'impero e di Roma la gran mente del Dottore africano contemplava le miserie del passato e le rovine del presente, descrivendo con tutta l'irruenza del suo stile rovente il disordine e l'infelicità di quella «città del secolo», di quel «regno di Satana» . Ma da quel mondo di rovine il suo sguardo di aquila si alzava a speculare l'avvenire, e con mirabile intuito presagiva e con più mirabile ardore auspicava l'inizio e l'ampliazione non lontana della «città di Dio» con la sua pace divina, ch'egli descriveva, del regno di Cristo. Al dimani, delle innondazioni dei barbari che avevano alzato monti di rovine e di stragi, alla vigilia di altre invasioni di popoli, che avrebbero dato l'ultimo crollo alla vecchia civiltà, si manifestava, più che mai, la missione costante della Chiesa, come l'opera sua e la sua parola, tutta di pacificazione e di ristaurazione insieme: preparare nel mondo l'avvento del regno di Dio e della sua pace, anche terrena, ma come preludio della celeste.
Allo stesso alto concetto s'innalza, e con pari sicurezza di volo, il pensiero del Papa, appunto perchè ispirato allo stesso annunzio di pace e di avvento del regno, che è la preghiera quotidiana della Chiesa di Dio. Ma lo richiamavano, senza dubbio, anche le condizioni non dissimili della società. E non è questa, ai nostri giorni pagana, o paganeggiante, in molte parti, anche peggio che nell'età dell'ultimo tramonto della civiltà romana, su cui meditava Agostino? Non ha essa gridato, almeno implicitamente, talora anche esplicitamente, per la bocca dei suoi legislatori , reggitori, consiglieri, politici, statisti e somiglianti; non ha gridato con le grandi voci quotidiane, della stampa, della scuola, dei tribunali e dei parlamenti, del pari immemori o negatori di Dio, non ha gridato a Dio : Non serviam ? Non ha protestato contro il Cristo di Dio : Nolumus hunc regnare super nos? «Non vogliamo che Cristo regni !» . Così si agitarono i popoli, e le nazioni cospirarono invano : insorsero i re della terra, e i principi congiurarono insieme contro Dio e il suo Cristo» . E ne venne quello che il Salmo medesimo (Salmo II) descrive : «Rise di loro chi nei cieli è assiso: il Signore si beffò di loro con scettro di ferro li spezzò, quale vaso di creta li frantumò. Così mandò infranta le stessa baldanza dei vincitori nonchè la potenza dei vinti, e l'orgoglio di tutti, « quando divampò l'ira di lui» , come sonava la minaccia: cum exarserit in brevi ira eius ...
Ma è questo un argomento che richiede più attento studio e pacata considerazione, su cui perciò converrà al nostro periodico di ritornare più posatamente, quando daremo ai nostri lettori anche l'accurata versione italiana, che per le angustie dello spazio non ci è possibile dare, tutta insieme, questa volta.
Solo una cosa ci piace notare fin d'ora, come l'osserviamo con la più viva compiacenza; ed è il plauso unanime, caldo entusiastico, onde vediamo accolta la parola del Papa e la pace da lui propugnata, che è infine la pace di Cristo. Ed esce questo plauso dalle file altresì dei nemici della Chiesa e del Papato, dalle file del giornalismo stesso liberalesco, scettico, irreligioso, indifferente, il quale, fatte poche eccezioni, parve quasi percosso, attonito, raccogliersi a meditarla, a sforzarsi di comprenderla, di giudicarla serenamente. Il sentimento di tutti, e parliamo dei più profani, fu bene espresso da un Giornale di Roma, il giorno seguente (1), con queste sincere parole, che sono una confessione:
«Fuori dalle competizioni di parte, lontano da questa faticosa opera che consuma le anime in un perpetuo distruggere e rigenerare, gli accenti della Enciclica papale suonano con un timbro soavemente sereno. E noi, uomini oppressi dalla necessità giornaliera e non immuni dalla passione politica, tendiamo gli orecchi al richiamo remoto e pieghiamo la fronte in silenzio».
Speriamo che queste disposizioni siano costanti, come le crediamo sincere, affinchè siano davvero fruttuose, e per il bene degli individui e per quello delle famiglie e della società tutta quanta; poichè solo per questo unanime e continuato concorso potrà aversi quella ristaurazione e pacificazione vera, che su questa alba dell'anno nuovo tanto più vivamente auguriamo a tutti, secondo la parola del Papa : pace di Cristo nel regno di Cristo.
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