MONS. PIER CARLO LANDUCCI: IL SESSO IN TEILHARD DE CHARDIN
L'APPROFONDIMENTO TEILHARDIANO PANSESSUALISTA
Teilhard affrontò il problema della donna, della sessualità, dell'amore, fin dai primissimi scritti in appunti del tempo di guerra, e poi, nel 1918, a trentasette anni, in un breve poema, relativo alla emissione dei suoi voti, alla verginità e alla Madonna: L'Éternel Féminin (cfr. Écrits du temps de la guerre, 249-257).
Poi seguitò a parlare largamente della sessualità e dell'amore in tutti i suoi saggi più importanti, inserendo nel suo quadro cosmico di timbro rmonista, evoluzionista e panpsichista, una specie di pansessualismo.
In tale quadro e in senso generico per Teilhard, v'è un solo amore, il quale è «la più universale, la più formidabile e la più misteriosa delle energie cosmiche» (L'Énergie Humaine, 1937, pubbl. 1962, p. 40). «Sotto la forma più generale e dal punto di vista della Fisica, l'amore è la faccia interna, sentita, dell'affinità che lega e attira tra loro gli elementi del Mondo, centro a centro... esso varia costantemente con la perfezione dei centri da cui emana. Nell'Uomo, per conseguenza (il solo elemento conosciuto dell'Universo nel quale la Noogenesi abbia tanto progredito da comparire come un focolare chiuso, riflesso su se stesso)... le sue proprietà unitive... operano con una chiarezza eccezionale... L'Uomo... nella misura in cui arriva ad amare è il più magnificamente sintetizzabile di tutti gli elementi che mai siano stati costruiti dalla Natura» (L'Activation de l'Énergie, 1953, pubbl. 1963, p. 77 s.).
Più particolarmente, in relazione all'uomo e a se stesso, egli espose tale confusionaria e aberrante ideologia e prassi in due testi, uno L'Évolution de la Chasteté, scritto in Cina, durante un ritiro spirituale, nel 1934 e l'altro Le Féminin ou l'Unitif, scritto a Parigi nel 1950 (come una specie di appendice al Coeur de la Matière). Questi due gravi testi erano restati inediti fino al 1968 (essendo stati ritirati, come pare, dai legittimi editori, dalla tipografia), quando furono pubblicati in Francia, abusivamente, con buona garanzia di autenticità e poi, in buona parte, da me in Italia in Orientamenti di Palestra del Clero. Nell'ultimo libro del P. de Lubac S.J. (1968), L'Éternel Féminin, al solito di piena difesa, è stato poi largamente citato il primo e solo un poco il secondo.
Alcune riflessioni del T., ora pubblicate, da appunti fin del 1916, completano i pretesi approfondimenti teilhardiani su questo delicato argomento.
Gli aspetti più ingannevoli e pericolosi del problema, che hanno alquanto invaso il moderno campo cattolico, trovano, come era da aspettarsi, nella concezione del T. il solito precursore.
Come dimostra il titolo stesso del suo speciale studio: L'Evoluzione della Castità, T. interviene con la abituale ostilità alla dottrina tradizionale e con l'illusione di dire la preziosa parola di approfondimento: «E' uno sforzo assolutamente leale e disinteressato per cercare di andare in fondo ad una questione che mi sembra terribilmente vitale [questo è vero] e terribilmente oscura [per il suo occhio ostile alle, in realtà, chiare posizioni tradizionali]. Ho qui riunito tutto quello che ho potuto trovare in fondo alle mie evidenze [dunque fuori discussione: il consueto assolutismo teilhardiano], di fronte a questioni e a sfide che non avevano niente di astratto, per costituire la difesa e soprattutto per definire il valore o l'essenza della castità» (A L. Zanta, 24 giugno 1934: in de Lubac, o. c., 74).
Secondo de Lubac (ivi) T. dice tuttavia apertamente di voler difendere con tutte le sue forze «la posizione tradizionale della Chiesa»: ma, al solito, sono proteste di ben poco valore obiettivo, di fronte ai fatti contrari.
Inserito nella preconcetta visione cosmica monistica evolutiva, l'amore teilhardiano non avrà da rifiutare e da rinnegare nulla per sollevarsi al superiore stato verginale, né avrà da attingere a superiori aiuti soprannaturali. Tale stato non sarà che la naturale elevazione evolutiva della immanente sessualità cosmica, corrispondente a una fase progredita della sfera umana per la quale la finalità procreatrice avrà perduto valore e la cui culminante espressione sarà la Vergine Maria. La realistica ribellione dei sensi, il dualismo paolino coniugale (1 Cr 7) di contro all'unità verginale, la trascendenza della verginità soprannaturale, si dissolvono.
Invano T. appella inizialmente (1916) alla rivelazione: «La Verginità: certa intrusione del Rivelato nel Cosmo»; aggiungerà infatti: «la Verginità è, da un lato, uno sboccio naturale» (de L., o. c., p. 9). Sempre alla stessa epoca, proseguendo in questa contraddittoria concezione della rivelata superiorità della verginità cristiana, che tuttavia sarebbe sbocciata naturalmente, si chiede: «Ciò indica che la Vita naturale ha raggiunto uno stadio definitivo, essendo ormai l'espansione della razza superata dal perfezionamento degli individui? E' [invece] ciò semplicemente una nuova componente destinata a coesistere con l'istinto sessuale, per correggerlo, senza minimamente proscriverlo, restando ancora alla vita naturale un essenziale lavoro da compiere?» (ivi 11). Nell'Evoluzione della Castità, T. non solo pretenderà di superare gli insegnamenti che sarebbero empirici e invecchiati del pensiero cattolico, ma anche quelli di S. Paolo a cui oppone il rilievo che Dio non è «del medesimo ordine» [che profondo rilievo!] di noi, per cui ogni amore umano «non cade sotto il rimprovero [ma non è per niente un rimprovero; è una costatazione circa l'amore coniugale, del resto santo] fatto dall'Apostolo di dividere» (in de L., o. c., 78). Già T. aveva dato un saggio della sua concezione irenica sulla stessa sessualità, osando presentare, in una conferenza, il vergognoso libro dell'invertito Gide, Nourritures terrestres, osservando che «la spiritualità cristiana poteva trovare il suo bene anche in quell'elogio del mondo della carne» (G. Vigorelli, Il Gesuita proibito, 92).
La concezione della sessualità quale fondamentale ed universale energia cosmica, evolutivamente vibrante e ascendente anche nell'uomo, presenta un forte timbro freudiano. Essa non sorprende minimamente in chi ammette che «non vi è, concretamente, Materia e Spirito: ma esiste solamente Materia che diviene Spirito... : la Stoffa dell'Universo è lo Spirito-Materia. Nessun'altra sostanza fuori che questa saprebbe produrre la molecola umana» (1936: L'Énergie Humaine, 74).
Ogni sbocciamento di vitalità umana sarebbe, secondo T, radicato nella sessualità, ossia nel femminino. Al che, tra l'altro, verrebbe subito da obiettare: e le vitalità della donna? Giacché T, con strana unilateralità, considerando l'uomo parla quasi sempre del maschio, a cui servirebbe la donna, trascurando, il caso inverso. Egli considera come radicato nel Cosmo l'«istinto sessuale e materno» (de L., o. c., 11) visto, in generale, di fronte all'uomo, maschio.
Le gravi implicazioni pratiche di questa concezione, specialmente per lo stato verginale, sono intuibili. Alcune citazioni faranno meglio risaltare la gratuità e la portata di tale concezione. Gli aspetti più concreti si riferiscono direttamente alla stessa esperienza personale del T, come egli spesso dichiara esplicitamente.
L'«istinto umano... sessuale e materno [detto così come generatore di energie, ma che poi T. concretizza nell'attrazione della donna, trascurando il caso reciproco]... è contemporaneamente: 1 - il segno più sperimentale del dominio degli individui da parte di una corrente vitale estremamente vasta; 2 - la sorgente, in qualche modo, di tutto il nostro potenziale affettivo [ottimo pretesto per l'oggi sbandierato bisogno della integrazione affettiva sacerdotale, in contrasto con tutta la migliore ascetica sacerdotale]; 3 - e infine un'energia eminentemente atta... ad arricchirsi di mille sfumature sempre più spiritualizzate, a riversarsi su molti oggetti, e soprattutto su Dio [il medesimo istinto sostanziale!]» (1916: ivi, 11). Ciò corrisponde a quanto poco prima aveva scritto: «Tutti i grandi e puri amori, quello di Dio, quello della speculazione, quello del Cosmo, non sono infatti che trasformazioni dell'amore fondamentale, cosmico (= sessuale), che l'individuo volge su degli oggetti particolari?» (ivi, 10).
D'altra parte «ogni unione amorosa deve cominciare sul terreno materiale della presenza e della conoscenza sensibile [anche dunque l'amore verginale, anche l'amore di Dio?]» (Écrits... guerre, 192-94: ivi, 14). «Ogni unione deve cominciare sul terreno materiale» (1917: ivi, 17).
Radicalmente: «Verso l'Uomo, traverso la Donna, è in realtà l'Universo che avanza... La Donna è davanti all'uomo come l'attrazione e il Simbolo del Mondo. Egli non saprebbe stringerla che ingrandendosi, a sua volta, alla misura del Mondo... nell'Unione universale consumata. L'Amore è una riserva sacra di energia, e come il sangue stesso dell'Evoluzione spirituale [sessualità coincidente con la sacralità]» (1931: L'Énergie Hum., 41 s.).
Più tardi (1936) insisterà sulla sua concezione assoluta della sessualità: «La mutua attrazione dei sessi è un fatto così fondamentale che ogni spiegazione (biologica, filosofica o religiosa) del Mondo che non condurrà a trovargli nel suo edificio un posto essenziale per costruzione, è virtualmente condannata (ivi, 91)... Per mezzo della donna, e solo per mezzo della donna, l'uomo può sfuggire all'isolamento nel quale la sua perfezione stessa rischierebbe di rinchiuderlo (ivi, 93)... sessualità [intesa, innanzi tutto, ovviamente in senso pieno coniugale], energia terribile nella quale passa traverso noi, in linea retta, la potenza che fa convergere su se stesso l'Universo [le solite grandiose immagini teilhardiane ricche solo di fantasia]... Quindi la gravità delle colpe contro l'amore non è di offendere non so quale pudore o quale virtù. Essa consiste nello sperperare, per negligenza o per voluttà, le riserve di personalizzazione dell'Universo. E' questa dispersione che spiega il disordine della impurità (ivi) [sicché un libero amore o una relazione coniugale onanistica che si sentissero idonei a sviluppare la personalità, non sarebbero condannabili]... Qui si manifesta una grande differenza... con le regole ammesse dalle antiche morali [che imponevano le necessarie rinunzie]. Per esse, purità era generalmente sinonimo di separazione dei sessi. Per amare bisognava lasciare [s'inserisce qui anche la prospettiva dello stato verginale, che T. non sa considerare come specificamente diverso bensì come vertice di trasformazione, al termine della stessa linea]... Il binomio uomo-donna era rimpiazzato dal binomio uomo-Dio (o donna-Dio): tale era la legge della suprema virtù [pienamente, nello stato di consacrazione verginale]... La purità, diremo [invece] noi [senza far distinzione di stato coniugale o verginale], esprime semplicemente [illusoriamente escludendo alcun necessario rinnegamento] il modo più o meno distinto da cui si esplicita, al di sopra dei due esseri che si amano, il Centro ultimo della loro coincidenza [Dio]. .. congiungersi in un più grande di sè. Il mondo non si divinizza per soppressione, ma per sublimazione. La sua santità non è eliminazione, ma concentrazione delle linfe della Terra... nuova ascesi [derivante da] la nozione di Spirito-Materia» (ivi). «Sublimazione... e più ancora trasformazione [prosegue ora la visione unitaria, astratta e sognatrice, ignara della vera analisi psicologica, spirituale e realista]. Se è vero, dunque, che l'uomo e la donna si uniranno tanto più a Dio quanto più si ameranno l'un l'altro... più aderiranno a Dio, più si vedranno condotti ad amarsi in modo più bello... verso una diminuzione graduale... della riproduzione... [e accrescimento della] personalizzazione [della Terra!]... Non è semplicemente questione... di controllare le nascite, ma di... dare piena espansione alla quantità di amore liberata dal dovere della riproduzione... [distaccandosi] da ciò che ha dovuto essere in altro tempo l'organo di propagazione, la carne. Senza cessare di essere fisico... l'amore si farà più spirituale. Il sessuale, per l'uomo, si troverà appagato dal puro femminino. Non vi è là, nella sua real tà, il sogno stesso della castità?» (ivi, 96).
Come si vede, la castità è dunque considerata, nel senso anche verginale, nel pieno appagamento della sessualità, salvo la liberazione dal «dovere della riproduzione». E allora, a rigore, perché escludere il commercio carnale, che (onanisticamente) eviti la procreazione e miri solo alla «piena espansione» dell'«amore e della personalità»? Non basterà evitare l'uso della carne quale «organo di propagazione»?
L'EVOLUTION DE LA CHASTETÉ
Ed ecco ora questa aberrante dottrina esposta ne L'Évolution de la Chasteté (1934): «L'uomo, come ogni altro animale [considerato quindi anche nell'attività carnale], è essenzialmente una tendenza all'unione completiva [coniugale, carnale], un potere di amare. E' a partire da questo slancio primordiale che si sviluppa e sale e si diversifica la lussureggiante complessità della vita intellettuale e sentimentale [proprio tutto: la fissazione freudiana]. Per quanto siano alti e larghi, i nostri rami spirituali affondano nel corporale [in quell'amore unitivo carnale]. E' dalle riserve passionali [nella pienezza, carnali] dell'uomo che salgono, trasfigurati, il calore e la luce della sua anima. Là, come in un germe, si concentrano inizialmente per noi la punta più fine, la molla più delicata di tutto lo sviluppo spirituale» .
E cosa sarà, in una prospettiva di castità, tale «punta più fine» e tale «molla più delicata»? Ecco, in sostanza, la risposta: «Al termine della potenza spirituale della materia, la potenza spirituale della carne e del femminino». E questo come potrà agire? Ecco come: «Contatto dei due elementi, nell'amore umano [senza distinzione]. Poi ascensione a due, verso il più grande centro divino»; o meglio: «Non contatto immediato [ma però contatto], ma la convergenza [per realizzarvi il contatto] in alto. L'istante del [mutuo] dono totale [quindi anche carnale]coinciderà allora con l'incontro divino». (Invano si cercano questi gravi testi integri nella elaborata parafrasi del de L.: cfr. o. c., 81). E' ciò potrà avvenire, nel processo evolutivo, perfettivo dell'umanità, come possibilità comune, quando l'appello del Centro personale divino sarà sentito tanto fortemente da dominare la mutua attrazione dei sessi; infatti «l'Amore è in cammino verso un [tale] cambiamento di stato, in seno alla Noosfera».
Non mi fermo a rilevare il solito metodo teilhardiano di risolvere i problemi con illusori inquadramenti puramente immaginari, senza consistenza reale. Quella generale ascensione a due, quella convergenza in alto, quel dono totale nell'incontro divino, sono fantasie che sostituiscono la realistica analisi psicologica e spirituale, che non c'è.
E' importante invece rilevare l'indeterminatezza da un lato e la generalizzazione dall'altro lato delle affermazioni del T., che non permettono di precisare ciò a cui propriamente egli si riferisce. Ma è chiaro che tale indeterminatezza deriva dalla concezione monistica, ossia fondamentalmente indifferenziata (e senza alcuna esigenza di rinnegamento), dell'amore cosmico, e dalle contraddizioni che ne derivano.
T. riconobbe bensì un superiore valore della verginità, come «punto singolare», ossia vertice trasformativo nella linea ascendente della castità, secondo la sua generale concezione evolutiva cosmica: «La Verginità si pone sulla Castità come il pensiero sulla vita», come cioè - dice T. - il pensiero è sbocciato al vertice dell'itinerario evolutivo della vita. Ma in realtà, ai fini essenziali del teilhardiano contatto «in alto» e dell'attrazione del «Centro personale divino» che «domini l'attrazione mutua» dei sessi, e tenuto conto soprattutto che «l'aspetto materiale della verginità» avrebbe «completamente finito d'interessarci», che «l'unione dei corpi» ha una sua «qualità spirituale» che «alimenta, dopo averla preparata», il «tipo di unione più alto» e che proprio «dalle riserve passionali dell'uomo... salgono, trasfigurati, il calore e la luce della sua anima», le differenze tra i due stati, verginale e coniugale, sfumano.
Siamo cioè di fronte a un altro caso degli affastellamenti, delle confusioni e delle contraddizioni teilhardiane. E infatti, quanto a quell'incontro «in alto», parlando proprio esplicitamente dei coniugi, T. ugualmente disse: «Senza uscire da sé, la coppia non trova il suo equilibrio che in un terzo avanti a lei [Termine finale, Centro Totale, Dio]»; l'amore umano è «una funzione a tre termini: l'uomo, la donna e Dio» (1936: L'Energie Hum., 94 s.); «voi non sarete felici... che se le vostre due vite si incontrano e si propagano, avventurosamente protese verso l'avvenire, nella passione di un più grande di voi» (ivi, 71 s.). Questo «più grande» è «Dio, come egli deve e vuole manifestarsi incomunicabilmente a voi, se soltanto obbedirete fino alla fine alla forza interiore che agisce in questo momento per avvicinarvi [l'un l'altro]» (1948: ivi, 73).
Teilhard ammette bensì - con poca coerenza, in realtà, in questo contesto - la superiorità della mancanza di contatto corporale nella verginità. Ma, tolto tale contatto, tutta la restante complementarità sessuale dell'amore coniugale trova strada libera, in questa concezione teilhardiana dell'amore, nello stato verginale, con ben gravi e pericolose implicazioni pastorali e ascetiche. Nell'ultimo paragrafo le vedremo nello stesso Teilhard.
Questa monistica presentazione dell'amore, di timbro freudiano e gnostico, si conclude con queste esaltate e significative parole: «Un giorno, dopo l'etere, i venti, le maree, la gravitazione, raccoglieremo, per Dio, le energie dell'amore. E allora, una seconda volta nella storia del mondo, l'Uomo avrà trovato il fuoco».
Ecco le grandi idee che fanno cadere, entusiasti, in ginocchio, gli ammiratori.
LE FÉMININ OU L'UNITIF
Ed ora ecco, quasi totalmente, il secondo testo (appena accennato dal de Lubac), ancor più significativo e impressionante.
Nella prima parte vi sono già delicati accenni personali che completerò nel seguente paragrafo.
«Ciò che è più vivo nel Tangibile [quel tangibile delle cose materiali, che affascinava T. fin da fanciullo: cfr. Mon Univers, 1918], è la Carne. E, per l'uomo, la Carne è la Donna».
«Partito, fin dall'infanzia, alla scoperta del Cuore della Materia, era inevitabile che mi trovassi, un giorno, faccia a faccia con il Femminino». T. precisa che ciò avvenne a «trenta anni». Tale ritardo fu utile - aggiunge - affinché «la nuova energia non corresse il rischio di deviare o di disperdere le sue forze [senza un accenno al preciso pericolo di peccato]». Così invece «la nuova energia... cadeva, appuntino, su un mondo di aspirazioni spirituali la cui enormità, ancora un po' fredda, non attendeva che essa [essendo la radice di tutto nella materia J per fermentare e organizzarsi fino in fondo».
«Dunque... mancherebbe un elemento... essenziale se io non citassi, terminando, che, a partire dal momento critico in cui, rigettando tanti vecchi stampi familiari e religiosi, ho cominciato a svegliarmi e ad esprimermi veramente a me stesso, niente s'è sviluppato in me che sotto uno sguardo e sotto un'influenza di donna». L'affermazione, per un religioso, anche escludendo ogni disordine peccaminoso, è di una gravità particolare. Ma v'è di più: «Qui non si attenderà evidentemente da me che un ossequio generale, quasi olezzante, montante dal profondo del mio essere, verso quelle, delle quali il calore e il fascino sono passati, goccia a goccia, nel sangue delle mie idee più care...».
T. passa poi a «testimoniare» «con la piena serenità e imparzialità che viene con l'età [aveva sessant'anni] una doppia convinzione progressivamente nata in lui, a contatto dei fatti».
«In primo luogo... nell'uomo - anche se votato al servizio d'una Causa o di un Dio [quindi anche consacrato] - non è possibile alcun accesso alla maturità e alla pienezza spiritttale al di fuori di qualche influenza sentimentale, che in lui venga a sensibilizzare l'intelligenza e ad eccitare, almeno inizialmente, la capacità di amare [seguirà ora l'indicazione di quale «sentimentalità» si tratta]. Non più di quanto possa fare a meno della luce, dell'ossigeno o delle vitamine, qessun uomo può (è d'una evidenza ogni giorno più clamorosa) fare a meno del femminino». - Un gran crocione dunque su tutto il classico insegnamento ascetico, su tutte le esperienze dei santi, su tutta la grandezza del tradizionale, più puro celibato ecclesiastico; e grande ignoranza del superiore sviluppo della personalità mediante il rinnegamento di una fondamentale tendenza, per la piena donazione e unione verginale a Dio.
«In secondo luogo... tra un matrimonio socialmente polarizzato verso la riproduzione [fine solo primario e da realizzare solo, nel rispetto dell'ordine morale, prudentemente, il che T. non precisa], e una perfezione religiosa sempre presentata, teologicamente, in termini di separazione [ma per la superiore unione a Dio, come spiega S. Paolo in 1 Cr. 7], una terza via (non dico media, ma superiore) non manca certamente: via reclamata dalla trasformazione rivoluzionaria ultimamente compiuta [dal T.] nel nostro pensiero della nozione di spirito... non più di smateri erializzazione, ma di sintesi. Materia matrix [il suddetto «spirito-materia, stoffa dell'Universo»]. Nient'affatto fuga (per soppressione), ma conquista (per sublimazione) delle insondabili potenze spirituali ancora addormentate sotto l'attrazione mutua dei sessi [esse debbono cioè essere ancora scoperte e sprigionate, alla luce delle nuove concezioni, mediante il contatto elevante dei sessi]: tali sono, ne sono sempre più persuaso, l'essenza segreta e il magnifico compito futuro della Castità». - La coerente conseguenza dunque del sistema teilhardiano è la drammatica incapacità di comprendere la superiore conquista, dignità e fecondità della castità verginale classicamente ed evangelicamente intesa «in termini di separazione», per una vera superiore unione. Contaminazione ideologica freudiana e gnostica.
Si sa come tali disgregatrici concezioni stiano più o meno apertamente divulgandosi, anche indipendentemente dal T., soprattutto con la scusa del male inteso sviluppo integrale della personalità. Non c'è errore moderno che non trovi nel clima teilhardiano qualche alimento.
T. cerca di riattaccare poi la sua doppia affermazione al suo sistema, radicalizzando così ancor più la sua dissolvente concezione «rivoluzionaria».
«Ho soprattutto insistito... nella mia interpretazione della Noogenesi [movimento che sfocia nella Noosfera, Umanità] sopra il fenomeno della sopra-concentrazione individuale, che conduce la coscienza corpuscolare [delle monadi iniziali: secondo un'aberrante e confusa concezione pampsichista] a ripiegarsi e a rimbalzare su di sè in forma di pensiero. Ora ecco, per questo grande avvenimento cosmico della Riflessione si scopre un complemento essenziale, a chi sa vedere [!],... che si potrebbe chiamare il Passo dell'amorizzazione [da notare che T. soleva attribuire invece al sommo centro Omega l'azione amorizzante, cfr. Le Phén. H., 293 ss.; inoltre essa deve far confluire tutti gli individui, mentre l'attrazione amorosa sessuale congiunge solo due, separandoli dagli altri: il solito mucchio di confusioni e di contraddizioni teilhard iane]. Anche dopo il lampo dell'individuo improvvisamente rivelato a se stesso [con lo sprigionarsi del pensiero], l'Uomo elementare resterebbe incompiuto se, nell'incontro con l'altro sesso, all'attrazione centrica di persona-a-persona, egli non s'infiammasse [passionalmente e carnalmente, non esclusa la procreazione: sarebbe il modo più completo e quindi più efficace]. L'apparizione di una monade riflessiva [l'individuo] è compiuta con la formazione di una diade affettiva. E... solamente... a partire da questa prima scintilla, tutto il seguito... cioè la graduale e grandiosa elaborazione d'un Neo-cosmico, d'un Ultra-umano, e d'un Pan-cristico [contraddicendosi, come ho detto, perché la "diade" sessuale crea i binomi e non la universale convergenza] ...non solamente illuminati radicalmente d'Intelligenza, ma anche impregnati nella loro massa intera, come da un cemento unitivo, dell'Universale Femminino».
E' sorprendente che vi siano lettori che davanti a questi altisonanti e vuoti accavallarsi di immagini [che sostituiscono le idee e nascondono le incoerenze] parlino di profondità di pensiero. Si parli piuttosto di fervida fantasia. E in questo caso essa è anche, purtroppo, di bassa lega.
Ma, a parte questo, è chiara la coerenza di base d'una concezione che parte dalla Materia matrix. In tale concezione - per non dire altro - non si vede come trovare posto alla spiritualità verginale e, in particolare, al celibato ecclesiastico, soprannaturalmente e coerentemente intesi.
VITA INTIMA DI TEILHARD
Si riveda la prima parte del paragrafo precedente. Essa contiene già la fondamentale confessione del T.
Non poniamo per T. un problema di moralità (che abbiamo ragione di supporre risolto dal T. in modo sostanzialmente onorevole, in grazia del suo speciale temperamento), ma un problema di spirito ecclesiastico e religioso.
Nella sua avversione antievangelica ad ogni separazione dalla materia e dal mondo sensibile, T. si è rifiutato di vivere la religiosa mortificazione del cuore. E lo ha fatto con vera cosciente ribellione agli insegnamenti avuti, cioè, come egli dice, «rigettando tanti vecchi stampi familiari e religiosi». Tale mortificazione fu distrutta da questo suo principio: «La Purità non è nella separazione, ma in una penetrazione più profonda dell'Universo» (1919: Écrits... , 141).
E' l'equivoco fondamentale di vedere il valore positivo della rinuncia celibataria nell'unione alle creature, prima che nella unione a Dio. E' il suo pensiero già radicato nel 1918, quando pronunciò i suoi voti solenni, come li espresse più tardi a un interlocutore. In particolare, quando fece il voto di castità, «mai aveva meglio compreso a quale punto l'uomo e la donna possono completarsi per elevarsi a Dio» (C. Cuénot, P. Teilh. de Ch., 44).
Né intese seguire la sua concezione e la conseguente prassi a metà: «L'ho seguita fino al massimo possibile. Vi ho trovato, bene inteso, dei passi difficili. Non mi ci sono mai sentito né diminuito, né perduto» (1934: L'Evolution de la Ch.: in de L.., o. c., 93). Egli rivendica il principio di «impadronirsi della passione per farla servire allo spirito» (ivi), senza tener presente che in anime consacrate il vero modo di impadronirsi di quella specifica passione è di rinnegarla, donandosi totalmente a Dio.
Egli ha inteso sviluppare le amicizie spirituali, utilizzandole per la ricerca di Dio. Ma quanto è facile l'equivoco di chiamare spirituali le amicizie che escludono i contatti carnali, mentre sono ancora animate da quella attrazione e complementarità psicologica che le rende ancora sessuali e quindi, eccetto il contatto corporale, coniugali! Tanto più nella concezione unitaria dell'amore, di tipo teilhardiano. Non poteva mancare naturalmente nel commentatore de Lubac il solito appello all'esempio del Sales e della Chantal (78), esempio che non prova niente perché di carattere eccezionale, in due soggetti eccezionali, per altissima e ben provata santità. E comunque S. F. di Sales era ben lontano dal concepire l'amore al modo cosmico teilhardiano.
Amore spirituale, dice il T. Egli dichiara però che «mai lo spirito è libero... Ogni unione deve cominciare sul terreno materiale» (1917: de L., o. c., 17); «ogni unione di amore deve cominciare sul terreno materiale della conoscenza e della presenza sensibili... presuppone una coincidenza delle basi» (Ecrits de Guerre, 192-194).
Ecco infatti il modo di sprigionarsi del suo amore spirituale: «... tre cose piccole e brevi: un canto, un raggio, uno sguardo... Per la punta acuta delle tre frecce con cui egli mi ha dardeggiato, il Mondo stesso ha fatto irruzione in me... sotto lo sguardo che mi aveva toccato il bozzolo dove sonnecchiava il mio cuore è scoppiato... una energia novella è penetrata in me...» (Ecrits... , 137-138). «Il Femminino non è la sensibilità e la fiamma del mio essere?» (1918: ivi, 300). «Un certo amore dell'Invisibile non ha mai cessato di funzionare in me: più o meno eccitato e alimentato dall'influenza del Femminino» (1950: Le Coeur de la Matière).
Ancor più in concreto sono note le sue espansioni affettive verso la cugina: «Potessimo incontrarci spesso... Benedirò Dio quando finalmente verrà il momento lento e sereno di rivederci... » (1916: Vigorelli, o. c., 21). «Non dubitare mai della gioia e del bene che mi ha dato la tua conoscenza in questi quattro anni. Con tutta l'anima credo che sia stato Nostro Signore che ha fatto incrociare o più esattamente confluire le nostre strade... rimpiango, quanto te, la difficoltà in cui ci troviamo per unirci... mi fa male ogni volta che vedo un treno passare sulla strada per Parigi» (1917: ivi 21 s.), «La nostra amicizia è preziosa. Io la considero un poco come una nota di musica che dà tono a tutta la nostra vita» (1917: de L., o. c., 97).
Siamo ancora agli anni di guerra, ben distanti dalla nota sopra riportata del 1950. Teilhard aggiunge bensì piamente: «Che Nostro Signore ci aiuti a renderla... una forza che ci meni a Lui, non essendovi perduto niente in vane mutue compiacenze» (ivi). Ma la nobilissima intenzione ben difficilmente armonizza con la confessione precedente, secondo cui quella amicizia dava addirittura il tono a tutta la loro vita.
Un'anima consacrata deve ricevere il proprio tono da ben più alta Fonte di vita.
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