LA CIVILTÀ CATTOLICA: UNA REPLICA PROTESTANTE ALLA RECENTE ENCICLICA «MORTALIUM ANIMOS»

 



 

La Civiltà Cattolica
Anno 79 - Vol. III
Roma, 1928 

 

È un fatto strano, che dove per l'addietro le Chiese cristiane non cattoliche si sentivano trascinate fatalmente alla separazione , o per dirla più chiaramente, alla disgregazione, come n'è prova manifesta il numero esorbitante di confessioni protestanti chiese « ortodosse » autocefale ; adesso invece sembrano essersi accorte che tale molteplicità non risponde in verun modo all'unità della Chiesa voluta da Cristo. Di qui il vivo desiderio di ritornare all'unità, o meglio, ristabilire o creare la unione fra tutti i cristiani. L'Associazione anglicana ed orientale « The Anglican and Eastern Association », la Conferenza mondiale (« World Conference »>) degli episcopaliani nordamericani, con le sue riunioni prima a Ginevra, poi nel 1927 a Losanna ; la lega Vita ed Azione (« Life · and Work ») promossa dall'arcivescovo protestante di Upsala Söderblom, con il Congresso di Stoccolma del 1925 ; la Conferenza di vescovi anglicani celebrata nel 1920 a Lambeth, le Conversazioni di Malines ( 1921-1925) , non sono che altrettante manifestazioni dell'ansia di unione che agita le Chiese dissidenti da Roma, come i nostri lettori sanno da tante nostre precedenti trattazioni.

In questa corrente unionista si trovano due elementi , la cui confusione ha cagionato in taluno dolorosi abbagli : il desiderio di ristabilire l'unione e il modo di procurarla. Il primo è giusto e santo ; il secondo può scostarsi dal retto sentiero. Orbene, siccome molti, abbagliati dal fascino del ritorno all'unità, non si avvedevano degli inconvenienti che traeva seco il modo pratico di attuarla, era, nonchè opportuno, necessario che il Papa illuminasse i cattolici sul criterio da seguire intorno a un problema così grave e delicato. E a ciò appunto mira l'Enciclica Mortalium animos del 6 gennaio 1928, « sul modo di fomentare la vera unità religiosa ».

All'apparire del documento pontificio varie furono le impressioni nel campo eterodosso. I più sensati, comprendendo che il Papa non poteva parlare altrimenti, ammirarono la chiarezza e lealtà con cui aveva esposto il problema dell'unione e la logica forte e serena onde lo aveva risolto. Altri invece, forse perchè vistisi scoprire i disegni, accolsero malamente l'Enciclica e non dissimularono il dispetto provatone. Uno di questi è l'arcivescovo protestante di Upsala, Natan Söderblom ; il quale rispose con una specie di contro-enciclica, pretendendo di confutare le affermazioni dal documento pontifificio , ma con tale leggerezza ed incoerenza, che lungi dall'infirmare l'Enciclica non riuscì se non a metterne in maggiore rilievo l'intrinseco valore. E ciò apparirà dall'esame sereno della pretesa confutazione, divulgata dal contradittore protestante (1) . I nostri lettori conoscono, anche del nostro periodico che le riportò e commentò (2) , le argomentazioni dell'Enciclica « Mortalium animos » , nella quale Pio XI parla come Maestro consapevole della divina sua missione d'insegnare a tutte le genti la verità rivelata ; e come Maestro pienamente in possesso della verità che insegna, l'espone con nitidezza e profondità , con semplicità e dignità, con dolcezza ed autorità. Non così, nè per dottrina nè per intonazione, si può dire della replica pubblicata dall'arcivescovo di Upsala. Ora, come il Söderblom si credette in diritto di criticare l'Enciclica pontificia, così noi crediamo di non oltrepassare il nostro, esaminando serenamente la non benevola sua risposta.

 

Anzitutto esponiamone in compendio il contenuto .

 

Esaltata «l'importanza e necessità dell'opera di unità che il credo cristiano richiede » , l'A. narra alcuni precedenti storici dell'Enciclica della quale fa questa terribile sintesi : «I principii derivanti dal senso stesso del Vangelo ed espressi nelle ferventi orazioni dei cuori cristiani; principii che divennero di sempre maggior chiarezza cristallina, e manifestarono la loro forza al mondo intiero , specialmente nella loro ultima espressione a Stoccolma e a Losanna, sono condannati in tutta la loro ampiezza. L'Enciclica corrisponde a ciò che era da attendersi ». Indi ironicamente soggiunge: «Secondo l'opinione romana, l'unità si ottiene molto facilmente. La cosa non è punto così ardua come noi immaginiamo. Basta che le altre parti della Chiesa abiurino totalmente ciò che per esse è sacro e necessario, che si sottomettano al Papa e che adottino i principii cattolici romani».

Esposta poscia fedelmente l'intenzione dell'Enciclica, di dare cioè norme ai cattolici sul modo di favorire l'unione dei cristiani , e detto della meraviglia cagionata da un'Enciclica papale, suggerita dall'universale aspirazione dei cristiani all'unità, passa il Söderblom ad esporre con sufficiente ampiezza un punto da lui considerato importante ; vale a dire l'invito fatto a Roma, e da Roma ricusato , di assistere alla Conferenza di Stoccolma. Già nel 1920 « si discusse questo argomento vitale largamente e posatamente » . Tre ragioni si opponevano all'invito : «l'amor proprio e la tradizione di Roma » , «le false dottrine della Chiesa romana» e «il sistema morale romano» , che, secondo si diceva, « seppellisce addirittura il principale fondamento della vita sociale, toglie la fiducia » (3). Ciononostante «la decisione di invitare Roma fu approvata pieni voti meno uno» . Roma non accettò l'invito . Tuttavia per delicatezza nel Messaggio della Conferenza non si fece menzione dell' astensione di Roma. E qui il Söderblom avverte che quell'invito non si fece soltanto pro bono pacis ; non si pretendeva di occultare le differenze, sibbene di manifestarle schiettamente, posto che l'unità non può ottenersi passando leggermente sopra le nostre varie confessioni di fede , ma solo entrando nello spirito del credo cristiano ».

Gli appellativi di « acattolico » o il suo equivalente di « antiecumenico » ; quello poi di « pancristiani » , benchè modificato, viene da lui accettato con piacere come « un regalo » del Papa, « segnato dalla infallibile autorità della Sede papale» .

Il documento termina osservando che « l'Enciclica ha spiegato ed oltrepassato la differenza » fra Roma e i dissidenti « molto soddisfacentemente. I due punti di vista sono stati dati dal nostro Salvatore nel Vangelo di S. Giovanni. L'uno dice: Tutti adoreranno in Roma. E l'altro è : L'ora viene, quando nè in Gerusalemme, Roma o Costantinopoli, in Vittemberga, Ginevra o Canterbury, o Mosca, o Boston, adorerete il Padre ».

Tale è la risposta dell'arcivescovo di Upsala all'Enciclica pontificia. Il contrasto tra i due documenti non potrebbe essere più aperto. Pio XI, benchè, dirigendosi a cattolici , non avesse bisogno di dimostrare le sue affermazioni, pure le dimostra ampiamente e con la S. Scrittura; e riferendo gli errori dei protestanti , non dimentica di opporvi la testimonianza della Bibbia. Invece il Söderblom, pur sapendo di non possedere autorità dottrinale infallibile, si risparmia la fatica di provare i suoi asserti, ricanta le antiche querele protestanti , ma senza giustificarle con ragioni ; ribatte le affermazioni pontificie, da lui spesso sfigurate, ma opponendovi semplici affermazioni generali nè dimostrate nè dimostrabili.

Del contrasto fra il tono grave dell'Enciclica e il tono leggero e spesso ironico della risposta non diremo nulla, importandoci assai più vedere se il Söderblom abbia colto bene il problema dell'unione, e se nella sua soluzione proceda con giustizia e verità.

 

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Anzitutto l'Enciclica riconosce, come postulato comunemente ammesso, la necessità dell'unione. Ma non è qui la difficoltà del problema, sibbene nel modo di attuare questa unione. Per indicare la vera strada che conduca alla sospirata unità, l'Enciclica stabilisce un altro postulato evidente ed innegabile, vale a dire, non poter noi definire arbitrariamente le condizioni dell'unione, ma dover noi accettare docilmente le condizioni imposte da Gesù Cristo. Guidato da questo criterio, il Papa ricerca nella S. Scrittura il pensiero di Gesù Cristo, e conforme ad esso determina il modo concreto dell'unione. Questo è un procedere schietto, razionale, stando il punto capitale del problema nel conoscere il pensiero e i disegni di Cristo circa le basi dell'unione.

 

Orbene, che risponde a tutto questo l'arcivescovo di Upsala ? Semplicemente nulla. Non già che neghi il postulato stabilito nell'Enciclica, non potendo niun cristiano negarlo ; ma o per distrazione, o per incomprensione del problema, o per artificio dialettico , non lo tiene in verun conto. Sarebbe stato logico e naturale riconoscere lealmente tale postulato, e quindi dimostrare che il Papa aveva equivocato cercando nella Scrittura il pensiero e i disegni di Gesù Cristo sulla sua Chiesa. Nulla parimente dice il Söderblom per distruggere o infirmare l'argomentazione dell'Enciclica . Non si può dunque dire che il primate di Svezia abbia messo la scure alla radice. Che se non tocca per inavvertenza il punto fondamentale o lo schiva per paura, è chiaro che quanto egli dice non può che toccare cose secondarie.

Invece del postulato dell'Enciclica, il Söderblom presenta o sembra presentare come base dell'unione il «credo cristiano», che per ben tre volte nomina nel suo scritto. Molto ci sarebbe da dire circa l'indeterminatezza e inconsistenza di questo «credo cristiano». Sarà meglio lasciar parlare i fatti ; quei fatti di cui fu gran parte certamente lo stesso Söderblom.

Alla Conferenza di Losanna, in una delle prime tornate, si doveva mettere ai voti la dichiarazione o conclusione sul tema: Il Vangelo, messaggio della Chiesa al Mondo. Molti dei presenti, dissentendo dalla formola adottata dalla sezione speciale, risolvettero di astenersi in massa. Ciò sarebbe stato il fallimento della Conferenza ; per evitare il quale, il Söderblom, a capo dei luterani, propose che la votazione, invece che sulla formola stessa, cadesse sul rinvio di essa alle differenti Chiese, che avrebbero definito se accettavano o no la formola di Losanna. Ingegnoso espediente; il quale però se riuscì a salvare dal naufragio la Conferenza, non potè far si che essa nulla deliberasse di definitivo, anzi che i convenuti si mettessero d'accordo nemmeno su un solo punto del «credo cristiano». Vi fu anzi qualche cosa di più grave. La dichiarazione o conclusione sull'ultimo tema L'unità della cristianità e le Chiese esistenti, tra i proponenti del quale compariva in prima fila lo stesso Söderblom, non ottenne dall'assemblea neppure l'approvazione provvisoria concessa alle dichiarazioni precedenti. La dichiarazione «ortodossa» del metropolita Germanos fu il pomo della discordia. Questo disastro parlamentare del Söderblom, come il precedente suo trionfo, sono prova manifesta che non esiste fra i dissidenti un « credo cristiano » comune, che possa servire di base solida per una unione duratura. Reca dunque meraviglia come dopo tutti questi fatti il Söderblom si appelli con tanta insistenza e sicurezza al « credo cristiano » .

Parimente il Söderblom afferma, senza però allegarne veruna dimostrazione, come se si trattasse di cosa inconcussa e incontrovertibile, che i protestanti posseggono la verità del Vangelo, mentre i cattolici romani se ne trovano «molto lontano». E soggiunge enfaticamente : « Siamo assolutamente persuasi della verità del credo evangelico e dell'origine sacra delle Chiese evangeliche riformate » . « La vera Chiesa e società di Cristo non corrisponde a nessuna società organizzata esistente, ma novera membri nelle differenti comunità ecclesiastiche nei cieli e sulla terra ». Quindi la Conferenza, che si doveva riunire a Stoccolma, sarebbe « un'assemblea fondata sulla sacra verità eterna, come è espressa nelle Sante Scritture » . Per contrario, dei « dogmi e culti essenzialmente romani » afferma senza più «che alla luce della storia della Chiesa appaiono di nuovo conio e antibiblici», denunziando il «noto paganesimo del culto romano e le sue pericolose riforme e modernismi, contrari alla rivelazione della Bibbia». «Sarebbe interessante, soggiunge, per una storia della Chiesa, confrontare la purità della fede dell'antiecumenica Enciclica papale con la purità della fede quale viene professata dalle Chiese evangeliche ed ortodosse ».

A tante gratuite affermazioni si potrebbe semplicemente rispondere col noto assioma : Quod gratis asseritur gratis negatur. Sarà utile tuttavia indicare gli equivoci, le false interpretazioni e incoerenze in cui incappa di frequente il piccolo antagonista papale.

 

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Fa stupore l'astiosità nutrita contro il «culto romano» dal Söderblom , che parla «della magia dei culti romani» , del «noto paganesimo del suo culto» , riprovando il culto a «Maria come Madre di Dio» e «il culto delle immagini» e affermando con una sicumera che stordisce, essere questi culti «essenzialmente romani»; ai quali oppone «la purità della fede» non solo dei protestanti, ma ben anche delle Chiese «ortodosse» . Che un protestante inveisca contro il culto romano, si capisce ; ma che questo culto sia qualificato essenzialmente romano e si contrapponga a quello delle Chiese orientali , è un errore così enorme o una falsificazione così grottesca, che moverebbe a sdegno . Esclusivamente romano il culto alla Madre di Dio ! E non sa dunque nulla i Söderblom del culto degli Orientali e della venerazione e dell'amor loro alla Madre di Gesù Cristo ? Nè conosce gli scritti mariologici di S. Efrem, S. Cirillo Alessandrino , S. Proclo, S. Sofronio , S. Andrea Cretese, S. Germano di Costantinopoli, S. Giovanni Damasceno , dello stesso Fozio e di tanti altri Orientali che parlano così gloriosamente della Madre di Dio ? Circa poi il culto delle immagini, ignora forse che ne furono i più ardenti difensori gli orientali, come S. Andrea Cretese , S. Sofronio e sopratutto S. Giovanni Damasceno ? E non sa nulla del II Concilio di Nicea, VII fra gli Ecumenici , dove si approvò e raccomandò il culto legittimo delle sacre immagini ? Eppure anche oggidì questo Concilio è riconosciuto dalle Chiese «ortodosse » orientali . E la « magia » del culto romano non si trova pure nei riti orientali, assai più abbondanti di cerimonie che il rito latino ? Che se questa « magia » si riferisce ai Sacramenti, ricordi il Söderblom la terribile dichiarazione fatta a Losanna dal Metropolita Germanos: che non accoglierebbe nella sua comunione chi non ammettesse come tutti gli ortodossi i sette Sacramenti. Falsificazioni tanto mostruose potrebbero, in altri, attribuirsi ad ignoranza; ma nel Söderblom non si saprebbe a che attribuirle. A sventatezza ? a pregiudizi inveterati ? a mala fede? Dio lo sa.

Ci si permetta di rilevare qui di passaggio la frase da lui usata maliziosamente parlando di «adorazione di Maria come Madre di Dio», come se i Cattolici adorassero la Vergine SS.ma ; il che, per un teologo della forza di un Söderblom, non riesce soverchiamente di onore. Che dire poi dell'inciso « Madre di Dio », h'egli inchiuse fra virgolette ? Speriamo che ciò non abbia fatto per ironia ; che se così fosse, l'ironia colpirebbe altresì gli Orientali, non potendo l'arcivescovo di Upsala ignorare che la divina maternità di Maria fu dogmaticamente definita nel Concilio di Efeso e che tutti gli Orientali ortodossi chiamano ordinariamen te Theotokos la Madre di Gesù Cristo.

In punto di abbagli o falsificazioni , merita un esame speciale l'uso che fa il Söderblom del testo di S. Giovanni (IV, 31-24), che è poi anche l'unico testo biblico esplicitamente citato dall'arcivescovo luterano . Egli adunque così lo parafrasa : «L'ora viene, quando nè in Gerusalemme, Roma o Costantinopoli , in Vittemberga, Ginevra o Canterbury o Mosca o Boston, adorerete il Padre. Ma l'ora viene, ed è adesso, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità...» Secondo il Söderblom , questo testo si oppone al concetto romano che dice : «Tutti adoreranno in Roma». Ma esiste poi davvero tale opposizione ? Il Salvatore parla evidentemente di Gerusalemme e Carizim come di luogo esclusivo per adorare; senso che lo stesso Söderblom mostra di aver compreso con la sua parafrasi geografica. Chè, certamente, non intende dire che a Vittemberga non si adora il Padre in ispirito e verità, bensì che neppure la culla del luteranesimo è il luogo esclusivo di questa adorazione ; giacchè, senza dubbio, anche in Upsala si adora il Padre in ispirito e verità. Orbene, perchè il testo evangelico fosse opposto al concetto romano, bisognerebbe che il Papa dicesse che solo a Roma, p. es . a S. Giovanni in Laterano o a S. Pietro, si trova esclusivamente il luogo ove adorar Dio. Ma quando e chi mai sognò di affermare questo ? Il Papa dice bensì, come già aveva detto Gesù Cristo, che Pietro, e in lui i suoi successori, è la pietra fondamentale della Chiesa, il Pastore che per autorità ricevuta da Cristo deve pascere e guidare tutte le pecorelle del gregge di Cristo. E non potrebbe il Salvatore aver detto alcunchè di simile alla Samaritana nel versetto ommesso, forse per caso, dal Söderblom ? Disse infatti il Signore : «Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo perchè la salute viene dai Giudei» (Giov. IV, 22). Adunque, pur non essendo Roma il luogo esclusivo dell'adorazione, ben può essere il luogo donde viene la salute. Ond'è che l'autentico concetto romano, nonchè opporsi al pensiero di Cristo, concorda con esso pienamente. In breve : l'esegeta luterano, contrapponendo il testo biblico, che parla della universalità topografica dell'adorazione , alla pretensione romana, che riguarda Roma come centro di unione e capo della cristianità , è saltato dall'ordine topografico all'ordine giuridico. È legittimo questo ?.

 

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E giacchè parliamo di testi biblici, non possiamo tacere ell'allusione erronea fatta dal Söderblom ad alcune parole di S. Paolo. Scrive l'Apostolo ai Corinti : « Portiamo questo tesoro in vasi di argilla, perchè l'eminenza della forza sia di Dio e non nostra » (II Cor. IV, 7) . Scrive il Söderblom : « Noi sappiamo e conosciamo che i metodi d'insegnamento e le istituzioni della Chiesa contengono sapienza divina in vasi di creta ». Ognun vede come il teologo svedese deformi, per non dire che falsifica , il pensiero paolino. Per il Söderblom, la sapienza divina, con il rinserrarsi nei metodi d'insegnamento e nelle istituzioni della Chiesa , come in vasi di creta, può dissiparsi, disperdersi, patirne nella purità e integrità. Contrario è invece il pensiero di S. Paolo ; il quale riconosce per certo di essere un misero vaso di argilla, capace per parte sua di lasciar perdere il tesoro divino in esso racchiuso; ma sa altresì che questo tesoro, quantunque racchiuso in vaso si fragile e caduco, nulla perderà della sua incorrotta integrità. E Iddio ha per l'appunto voluto chiudere in vasi di creta il tesoro della sua divina parola, affinchè l'integrità, ch'essa ha da conservare perpetuamente, non possa attribuirsi ai vasi, sibbene all'eminenza della forza di Dio, la quale tanto più rifulgerà quanto più fragili sono i vasi che contengono il tesoro. E grazie all'eminenza della virtù divina, l'hanno conservata e la conservano sempre intatta e incontaminata, questa divina parola come insegna S. Paolo e con lui i cattolici.

Sul quale punto della conservazione della parola divina nella Chiesa è bene che ci fermiamo alquanto. Se tanta è la premura per ristabilire l'unità della Chiesa, segno è che il Söderblom, come del resto tutti i protestanti, suppone che sulla terra non esista ancora la vera Chiesa una ed unica ; e appunto perchè non esiste, essi cercano di stabilirla. Ma in ciò fare i protestanti non si accorgono quale addebito facciano all'opera di Gesù Cristo. Infatti, o Gesù Cristo volle che la sua Chiesa fosse una o no. Se la volle una, come di fatto la volle, e se inoltre le promise la sua continua assistenza sino alla fine dei secoli , è necessario che questa Chiesa una ed unica esista sopra la terra, se pure non si voglia dire che Cristo abbia mancato alla sua parola o sia stato impedito di mantenerla ; ipotesi ambedue ingiuriose alla fedeltà e onnipotenza delFiglio di Dio. Che se, per impossibile , non l'avesse voluta, a che affannarsi allora per dare alla Chiesa una unità che non entrava nei disegni del divino Fondatore ? Ma veramente Gesù volle che la sua Chiesa fosse una : e se ciò volle, questa Chiesa sulla terra deve esistere. Pertanto coloro che si lagnano di non possedere questa unità, danno per ciò stesso a divedere che non fanno parte della Chiesa una ed unica fondata da Gesù Cristo. Per conseguenza, il rimedio non consisterà nel riunire fra loro membri disgregati , che nè da soli nè congiunti formeranno giammai la Chiesa una di Cristo; bensì nel riconoscere l'errore di essersi un giorno separati dalla vera Chiesa e nell'entrar di nuovo a farne parte. Erra adunque il Söderblom quando afferma che « la vera Chiesa e società di Cristo non corrisponde a nessuna società organizzata esistente» ; perchè se così fosse, sarebbe miserevolmente perita l'opera di Cristo, opera alla quale Cristo stesso aveva solennemente promesso la sua divina assistenza sino alla consumazione dei secoli. Conchiudendo, i protestanti, movendo da un falso presupposto , cercano l'unità della Chiesa per vie sbagliate, laddove l'enciclica pontificia rettamente indica l'unica strada possibile per giungere alla sospirata unità di tutti i cristiani .

Ingiustamente perciò il Söderblom condanna l'atteggiamento della Sede Romana di fronte alle idee di unione proposte dai dissidenti. Altro è in fatti il desiderio dell'unità , altro il concetto che se ne forma e il modo pratico d'intenderla e di procurarla. Quello non fu mai condannato dalla Sede Romana ; quanto al modo di procurare tale unione proposto dai protestanti, essendo questo contrario al Vangelo, non poteva per conseguente venire accettato od approvato dal Papa. Supposta tale distinzione, che non è per nulla una sottigliezza scolastica, si giudichi con quale giustizia abbia il Söderblom potuto scrivere frasi come le seguenti: «Quando nel 1926 si riunì a Berna il Comitato della Conferenza di Stoccolma, si sparsero certi rumori di una Bolla che il Vaticano stava preparando contro l'unificazione della Cristianità Evangelica ed Ortodossa». «L'Enciclica adopera, o quasi inventa ( ! ) due appellativi (di acattolici e pancristiani) per i cristiani le cui aspirazioni condanna».

Parimente immaginaria è la divergenza , più volte indicata dal Söderblom, fra il sentire di molti cattolici e quello del Pontefice Romano. Certo, prima che il Papa abbia parlato, può darsi che cattolici, nell'apprezzare dottrine e fatti, sbaglino ; ma non appena il Papa ha parlato, ogni buon cattolico ne accetta docilmente gli insegnamenti, deponendo gli errori in cui fosse caduto ; chè perciò appunto Gesù Cristo istituì il magistero vivo ed infallibile del successore di S. Pietro; laddove i protestanti, che ricusano tale magistero infallibile, quando errano, mancano di ogni mezzo per correggere l'errore.

Notiamo un ultimo equivoco. Il Papa respinge la distinzione fra articoli fondamentali e non fondamentali, nel senso che quelli si debbano ammettere e questi possano ricusarsi . Ora ciò non è già, come afferma il Söderblom dell'Enciclica papale, un dare «speciale importanza a dogmi, come l'infallibilità del Papa, il valore delle sacre tradizioni come rivelazioni divine ...» ma è negare una distinzione che è contraria alla stessa ragione del credere.

 

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Dagli equivoci passiamo alle contraddizioni o, se si vuole, alle incoerenze. Dicono che una delle caratteristiche del genio latino sia la logica. Senza dubbio, l'eccesso di tale tendenza può talora degenerare in apriorismi biasimevoli ; ma non è meno certo che il mancarne conduce spesso all' incoerenza e alla contradizione. Davvero che il Söderblom in logica non pecca per eccesso, nè si avvede, pronunciando certe affermazioni, che le loro conseguenze si voltano contro di lui. Diamone per saggio alcuni esempi.

Già il fatto stesso che i protestanti vadano ora affannandosi per trovare l'unità dei cristiani , implica in sè una certa contradizione. Non hanno essi sempre detto, e non ripetono ancora, che la Chiesa di Gesù Cristo è invisibile e che l'unità , in mezzo a tutte le differenze esterne, anche dottrinali, dev'essere cercata nella sua esistenza invisibile ? Non insegnano che questa unità invisibile è quella voluta dare da Gesù Cristo alla sua Chiesa, non già l'unità esterna di dottrina e di governo, come vogliono i cattolici ? Orbene se questa è l'unità voluta da Gesù Cristo , e se già esiste , a che cercarne adesso un'altra esterna e differente se non contraria a quella stabilita dal divino Fondatore della Chiesa ? O forse per compire l'opera di Gesù Cristo quale ci si rivela nelle divine Scritture ?

Tali incoerenze appariscono evidenti nel seguente passo del Söderblom: « Solamente così (non nascondendo le differenze che esistono fra le Chiese) potrebbe esserci speranza di ottenere l'unità che esisteva nel migliore e più ampio senso della parola... » Se già esisteva, come mai era da ottenere ? Certo , in un senso esisteva e in un altro si doveva ottenere. Ma il dilemma riappare in tutta la sua forza. Perchè quest'altra unità che ora si cerca, o è evangelica o no. Se è evangelica, dunque le così dette Chiese Evangeliche finora non sono state tali integralmente ; e se non è evangelica, dunque ora pretendono mescolare il puro Vangelo con altri elementi non evangelici, e con ciò incorrono nell'anatema ch'essi lanciano contro i romani.

Circa questo punto capitale dell'unità, il Söderblom incappa in un'altra incoerenza . A ragione il primate svedese riconosce che le Chiese evangeliche ed ortodosse mancano della perfetta unità, che Gesù Cristo volle avesse la sua Chiesa. Se così è, non comprendiamo con quale logica il Söderblom chiami Lutero «il profeta tedesco». Perchè Lutero lo stesso dicasi di Fozio, di Enrico VIII , di Calvino - cominciò la sua opera evangelica - per antifrasi distruggendo l'unità che allora esisteva nella Chiesa . E quali credenziali di profeta potevano accreditare chi iniziava il minister o profetico introducendo nella Chiesa di Cristo la divisione e la disgregazione ? Come poteva essere il puro Vangelo quello che sovvertiva così dal fondo il Vangelo di Gesù Cristo ? Se ora si lamenta e condanna la mancanza di unità, condannisi ugualmente chi la introdusse nella Chiesa. È questione di logica.

Più incoerente e persino inconcepibile ci sembra la condanna che l'arcivescovo di Upsala fulmina contro le « pericolose riforme e i modernismi » della Chiesa romana. Se tale accusa fosse lanciata da qualche orientale « ortodosso » , tenace delle sue tradizioni, in qualche modo si spiegherebbe ; ma che declami contro le riforme e il modernismo di Roma un modernista riformato come il Söderblom (4) , questo rasenta l'inverosimile, l'assurdo . Medice, cura te ipsum, gli si potrebbe rispondere; come pure gli si potrebbe ricordare quell'antinomia apparente di «tradizione e mutabilità» da lui proclamata nel 1926 a Parigi nella chiesa di S. Giovanni. Ma lasciando l'argomento ad hominem, non sarà inutile ricordare la «dichiarazione » fatta l'anno scorso dalla Conferenza di Losanna: che « lo Spirito Santo, guidando la Chiesa alla verità integrale, può farla capace di esprimere le verità della Rivelazione, sotto forme addizionali, secondo che nuovi problemi rendano ciò necessario». Se è così, resta pienamente giustificato il procedere della Chiesa romana nel precisare e formolare la verità rivelata in dogmi accomodati alla necessità dei tempi ; e resta per ciò stesso provata l'ingiustizia e l'incoerenza onde il Söderblom condanna un procedimento da lui riconosciuto come legittimo a Losanna.

Più che a sdegno muove a riso un'altra accusa da lui lanciata contro l'Enciclica papale, la quale, a suo credere, isola Roma dal resto dei cristiani, e «in un modo che è in aperta contradizione, non solo col Vangelo, ma altresì con le migliori tradizioni della Chiesa Romana prima dell'ultramontano Concilio Vaticano, ed anche molto prima di quello di Trento ». L'allusione al primato di giurisdizione, riconosciuto dal Concilio Vaticano nel Vescovo di Roma, è manifesta. Ma l'affermare che tale riconoscimento è contrario alle migliori tradizioni della Chiesa Romana, in ispecie anteriormente al Concilio di Trento, è , a dir poco, una inconsideratezza, non potendosi attribuire ad ignoranza in un teologo come il Söderblom. Il quale non deve ignorare come tale primato rivendicassero ed esercitassero S. Clemente Romano nel I secolo, S. Vittore nel II , S. Callisto e S. Stefano nel III , S. Siricio nel IV, S. Innocenzo I , S. Zosimo, S. Leone Magno e S. Gelasio nel v, Pelagio I nel vi , ecc. Adunque il Concilio Vaticano, nonchè non contradire alle migliori tradizioni della Chiesa Romana, non fece che mantenerle con ogni fedeltà. Quindi se contradizione c'è, questa non è già tra l'Enciclica e le antiche tradizioni di Roma, bensì nel Söderblom, che loda e biasima allo stesso tempo la medesima cosa.

Una questione, che sembra di parole, trae seco una gravissima questione dottrinale, e, ciò che fa al nostro proposito, non va esente da contradizione. Ricordando una riflessione del protestante Zöllner, il Söderblom scrive: «Le parole del Sovrintendente generale (perchè non arcivescovo ?) Zöllner a Losanna, mi risuonano tuttora alle orecchie... », disapprovando con ciò il titolo di Sovrintendente generale usato dallo Zöllner e preferendo quello di arcivescovo. Eppure quegli appare più coerente seco stesso , adottando un titolo che è la traduzione moderna del termine biblico (episkopos), più o meno corrispondente, e che ha il vantaggio di distinguersi dai titoli cattolici di vescovo ed arcivescovo. Invece il titolo di arcivescovo, eredità della gerarchia cattolica medievale della Svezia e che inoltre non è biblico, non quadra troppo bene a un luterano, modernista per giunta. Tuttavia il primate svedese ha qualche ragione di preferire il titolo antico e tradizionale di arcivescovo a quello di Sovrintendente generale , che è di nuovo conio. Questa ragione, senza dubbio più nazionale che personale, è la successione apostolica di cui si gloria la Chiesa di Svezia. Ma questa ragione compromette seriamente la logica del Söderblom e di tutti gli episcopaliani, e anche, a suo modo, quella dei presbiteriani. Consultiamo il Nuovo Testamento. Ivi è registrata l'istitutuzione o creazione dell'episcopato cattolico ; ma è pure registrata l'istituzione del primato di Pietro nel collegio apostolico e in modo certamente non meno chiaro e categorico. Le parole : « Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa... Pasci le mie pecore », sono di una chiarezza non minore di quelle altre : « Come mio Padre ha inviato me, così io pure mando voi » . Ora chiediamo gli Apostoli vescovi e Pietro primate dovevano aver successori nel loro ufficio ? Certo che sì , se la Chiesa doveva durare sino alla fine dei secoli con la medesima struttura datale dal Fondatore. Orbene, è assai più evidente che Pietro doveva avere successori nell'ufficio di pietra fondamentale e di Pastore supremo, essendo questo un ufficio permanente, che non gli Apostoli nell'ufficio di inviati, che assolutamente parlando poteva essere stato provvisorio e transitorio . Per conseguenza, ammettere, come fanno gli episcopaliani e con essi il Söderblom, dei successori agli Apostoli e in pari tempo negarli a Pietro, è incoerenza o contradizione stridente. Se si ammette gerarchia nella Chiesa, bisogna ammetterla intiera, o meglio, quale la istitui Gesù Cristo. Se Pietro non ha successori, tanto meno ne hanno da avere gli altri Apostoli; quindi se vi sono vescovi, sucessori del Collegio apostolico, molto più ha da esserci un Papa, successore di S. Pietro. Gli episcopaliani, poco logicamente, si fermano dunque a mezza strada; la Chiesa romana in ciò , come nel resto , si mostra assai più logica e coerente .

 

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Varie altre osservazioni potrebbero farsi sulla replica dell'arcivescovo di Upsala, abbondando in essa le ingiuste recriminazioni e gli epiteti ingiuriosi contro la Sede romana, pur non mancando alcuni elogi delle « qualità della Chiesa papale, che formano la meraviglia degli estranei » e della « pietà che esiste in alcuni circoli romani e la grandezza di varii pensatori e pastori della Chiesa romana », elogi sempre conditi di amara ironia. Preferiamo tuttavia non discendere su terreno così scabroso, perchè al trar dei conti, le ingiurie e le ironie non provano nulla se non contro chi le adopera.

Al nostro scopo, che è illustrare la verità e mettere le cose a posto, basta quanto abbiamo detto, risultandone manifestamente che le gratuite affermazioni del dottore luterano non sono riuscite a minare o scuotere o scalfire in minima parte la rocca immobile su cui posa la Chiesa romana. Tutta la teologia e tutto l'artificio della replica, lungi dall'ecclissare, altro effetto non ha ottenuto che dare nuovo splendore all'Enciclica pontificia.

A questa Encielica , del resto, molto opportunamente saranno consecrati gli studi e le lezioni della prossima Settimana sociale, che si terrà in Milano all'entrare del settembre, esaminandola sotto tutti i suoi molteplici rispetti, come appare dal saggio programma, che n'è stato compilato. Essa varrà, speriamo, a chiarire le idee insieme ed a rinfervorare i propositi e le preghiere dei fedeli per la desiderata riunione dei dissidenti all'unica vera Chiesa di Cristo, secondo il voto espresso dal S. Padre nella lettera scritta in suo nome dall'E.mo Card. Segretario di Stato agli iniziatori e dirigenti della stessa Settimana sociale.

 

 

 Note:

(1) Il Söderblom ebbe a lamentarsi che della sua risposta, pubblicata in un giornale di Stoccolma, fosse diffuso un breve compendio che falsava in più di un punto il suo pensiero. Allora egli ne diede una sua versione in tedesco. La citiamo nel testo pubblicato dai Protestantische Studien, Berlin, 1928, p . 12 , p. 62 ss . Ora ne è stata data una parziale e imperfettissima traduzione italiana, in un libretto largamente diffuso, fra noi, dai soliti seminatori di zizzania, i quali pubblicano anche un periodichetto dal nome Fede e Vita. Il libello s'intitola Il movimento pan-cristiano . Storia e documenti. V. pp. 30-34. Ce ne occuperemo qui appresso. ]

(2) Cfr. Civ. Catt. , 1928, pag. 202 seg.

(3) Perchè si abbia un'idea della povertà delle cognizioni dei protestanti, intorno alle cose e persone cattoliche, vogliamo riferire intera la pretesa ragione :

«<< La terza obbiezione riguarda il sistema morale romano cui nessuno condannò più fieramente che la più grande personalità religiosa di Roma dopo la riforma, cioè Biagio Pascal. Quel sistema difficilmente si può conciliare con l'ossequio incondizionato dovuto alla verità . Perchè esso sopprime e seppellisce addirittura il principale fondamento della vita sociale, la fiducia » . È proprio il caso del coecus de coloribus.

(4) Come saggio, si legga quanto il Söderblom osa scrivere su Gesù Cristo nel suo Manuel d'Histoire des Religions, n. 46 (Paris, 1925 , Pp. 141-147). - Il modernismo dell'arcivescovo di Upsala pure nelle seguenti parole della sua risposta : « Verrà giorno si manifesta realtà il sogno dello Schleiermacher, che le Chiese trovino in cui sarâ sario mettere da parte risultati e tendenze non cristiane nel più necesche lottare l'una con l'altra in un inganno farisaico ? ». Ben loro credo, nome di sogno alla vaporosità sentimentale della concezione applicato il stica dello Schleiermacher circa il credo cristiano ; ma i sogni, anche modernise di un filosofo modernista, non sono il criterio per determinare il contenuto del credo cristiano. Qui non occorre meno della parola di Dio.

 

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