P. GARRIGOU LAGRANGE, O.P.: LA STRUTTURA DELL'ENCICLICA HUMANI GENERIS

 

Padre Reginald Garrigou-Lagrange, O.P.


 II principio generatore degli errori indicato dall'Enciclica.

Non si tratta di fare qui una semplice analisi di questo documento pontificio apparso il 12 agosto 1950, di numerare le tendenze dannose di cui parla, e ancor meno si tratta di citare quelli che li hanno ammessi secondo una gradazione diversa.

Si tratta di dare risalto all'errore principale da cui tutti gli altri derivano e, per la forza del contrasto, di mostrare quale è la verità fondamentale che permette di evitare queste deviazioni, poiché la Provvidenza non permette gli errori se non perchè sia messa in miglior luce la Verità, come in un chiaroscuro; cosi pure essa non permette il male e qualche volta dei grandi mali, se non per un bene superiore che scopriremo perfettamente solo in cielo.

Ora esaminando filosoficamente e teologicamente questa Enciclica, si vede che l'errore fondamentale da questa condannato è il relativismo filosofico, il quale conduce al relativismo dogmatico, da cui deriva necessariamente tutta una trafila di deviazioni qui ricordate (1). 

I - Il relativismo contemporaneo e i vari dogmi.

L'errore principale condannato dall'Enciclica è il relativismo, secondo il quale la conoscenza umana non ha mai un reale valore assoluto e immutabile, ma soltanto un valore relativo. E ciò si può intendere in vari sensi secondo la teoria della conoscenza che si ammette. 

Di dove ha origine questo relativismo che ha avuto il suo influsso questi ultimi tempi in certi ambienti cattolici? Esso deriva sia dall'empirismo o positivismo, sia dal kantismo, sia dall'idealismo evoluzionistico di Hegel.

L'empirismo non vede la differenza essenziale e la immensa distanza che passa fra l'intelligenza e i sensi, fra l'idea e l'immagine, fra il giudizio e l'associazione empirica, e per questo riduce fortemente il valore delle prime nozioni di essere, di unità, di verità, di bontà, di sostanza, di causa e il valore dei primi principi correlativi di identità, di contraddizione, di causalità, ecc. Secondo l'empirismo questi principi non hanno una necessità assoluta e sono semplicemente associazioni empiriche confermate dalla ereditarietà, nè superano l'ordine dei fenomeni. Il principio di causalità affermerebbe soltanto che ogni fenomeno suppone un fenomeno antecedente, ma non ci consente d'innalzarci alla conoscenza certa della esistenza della prima causa al di sopra dell'ordine fenomenico.

Il kantismo si oppone, è vero, all'empirismo inquanto riconosce la necessità dei primi principi, ma secondo questo sistema i principi sono solamente leggi soggettive della nostra mente, le quali vengono da noi applicate ai fenomeni, ma che non ci consentono d'innalzarci al di sopra dei fenomeni stessi. Da questo punto di vista secondo il sistema kantiano l'esistenza di Dio si può provare soltanto con una prova morale fondata sui postulati indimostrabili della ragione pratica, la quale prova ci dà soltanto una certezza oggettivamente insufficiente.

Quindi non si può ammettere, secondo il kantismo, la definizione tradizionale della verità, che invece tutti i dogmi suppongono. Non si può dire : « Veritas est adaequatio rei et intellectus », perchè la verità non sarebbe la conformità del nostro giudizio con l'essere e con le sue immutabili leggi di contraddizione, di causalità, ecc., ma bisognerebbe contentarsi di dire che la verità è la conformità del nostro giudizio con le esigenze soggettive dell'azione morale, espresse dai postulati indimostrabili della ragione pratica. Non si dà certezza metafìsica oggettivamente fondata, ma soltanto una certezza morale e pratica soggettivamente sufficiente. Non si esce dal relativismo.

E allora Hegel dice: Se non si può provare con certezza oggettivamente sufficiente l'esistenza di Dio realmente ed essenzialmente distinto dal mondo, è meglio dire che Dio si fa nella umanità che sta evolvendosi e nella mente degli uomini che passa continuamente da una tesi a un'antitesi, poi ad una sintesi superiore, e così via. Secondo i diversi momenti della evoluzione, oggi è vera la tesi, domani sarà vera l'antitesi, dopodomani la sintesi, e così sarà sempre. Non si dà verità immutabile, perchè Dio, verità suprema, si fa in noi e non sarà mai attuato in pieno, poiché il divenire non può arrestarsi. Questa ultima proposizione è la prima di quelle che sono state condannate dal Sillabo di Pio IX.

Contrariamente ai principi d'identità, di contraddizione e di causalità, il divenire è a sè stesso la sua propria ragione, senza una causa superiore. In questa ascendente evoluzione creatrice, il più perfetto è prodotto sempre dal meno perfetto, la qual cosa è evidentemente impossibile. E' la confusione universale dell'essere col non-essere nel divenire senza causa, confusione del vero col falso, del bene col male, del giusto coll'ingiusto, come afferma Pio IX in principio del Sillabo (Denzing., n. 1701).

Questi tre sistemi relativisti, l'empirismo, il kantismo e l'idealismo hegeliano hanno purtroppo allontanato molte persone intellettuali dalla loro salvezza. Non si può scherzare coll'«unico necessario ».

Per quanto possa apparire sorprendente, tale relativismo ha influito su alcuni teologi fino al punto che uno di loro, cioè Guenther, nel secolo XIX, disse che la Chiesa è infallibile quando definisce un dogma, ma la sua è una infallibilità relativa allo stato attuale della scienza e della filosofia al momento della definizione. Sotto questo aspetto Guenther ha messo in dubbio l'immutabilità delle definizioni del Concilio di Trento, sostenendo che non si può affermare se quel Concilio un giorno potrà essere sostituito da una enunciazione definitiva dei misteri del Cristianesimo.

Questo relativismo dogmatico apparve di nuovo all'epoca del modernismo, come dimostra l'Enciclica «Pascendi» del 1907. E tendeva ad apparire sempre di più ultimamente in alcuni saggi della « nuova teologia », in cui si diceva che le nozioni usate nelle definizioni conciliari a lungo andare invecchiano, non son più conformi al progresso delle scienze e della filosofia, e allora devono essere sostituite da altre dichiarate « equivalenti », ma che sono ugualmente instabili. Per esempio, la definizione del Concilio di Trento circa la grazia santificante, che è la causa formale della giustificazione, era una buona formula all'epoca del Concilio di Trento, ma oggi richiederebbe di essere modificala. Ma dal dire questo al dire che oggi non è più vera, la distanza non è molta. Sotto questo aspetto sulla terra ci sarebbero soltanto formule provvisorie.

Così pure spesso si è messo in dubbio l'evidenza necessitante del principio di causalità, il quale è il fondamento delle prove tradizionali della esistenza di Dio, come se fosse necessaria una scelta libera per ammettere il valore ontologico e l'assoluta necessità di questo principio, e ciò toglierebbe alle prove la loro efficacia veramente dimostrativa. Finalmente si è detta « chimerica » la definizione tradizionale della verità : (c « Adaequatio rei et intellectus », la conformità del giudizio con l'essere estramentale e con le sue immutabili leggi, e si è voluto « sostituirle » questa nuova definizione : Conformitas mentis et vitae, la conformità del nostro giudizio con la vita e con le sue esigenze soggettive, e questo conduce ad una « certezza oggettivamente insufficiente » circa l'esistenza di Dio, come nella prova proposta da Kant.

Alcuni hanno anche sostenuto che Gesù Cristo non ha insegnato una dottrina, ma che ha soltanto affermato con la sua vita e con la sua morte questo fatto, che cioè Dio ama l'umanità e vuole la nostra salvezza. Ma se Gesù non ha insegnato una dottrina, come avrebbe potuto dire : « La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato » (Giov., VII, 16). « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno » (Marc, XIII, 31)? Se non si può parlare di magistero della Rivelazione come si potrebbe parlare ancora di magistero della Chiesa per proporre a noi e spiegarci infallibilmente la dottrina rivelata?

Il relativismo contemporaneo nel campo religioso è apparso specialmente nelle applicazioni alle seguenti questioni: la creazione del primo uomo, la nozione del soprannaturale, il mistero dell'Incarnazione, della Redenzione e della Eucarestia.

Alcuni scrittori han proposto la questione seguente: Sebbene la S. Scrittura, tutta la Tradizione e i Concili considerino Adamo come un nome individuale, non si potrebbe considerare invece come un nome collettivo e per conformarsi maggiormente alla teoria della evoluzione dire che l'umanità non è cominciata con un primo uomo individuale, ma con molti uomini, con migliaia di uomini, ovunque primi esseri superiori sufficientemente evoluti han potuto produrre con un certo concorso di Dio un embrione umano? Questo richiederebbe certo, ci vien detto, una notevole modificazione dei canoni del Concilio di Trento circa il peccato originale, ma perchè la Chiesa non potrebbe correggerli? Anche questa è una chiara conseguenza del relativismo.

Si è anche sostenuto che la vita soprannaturale della grazia concessa all'uomo non è gratuita nel senso che comunemente s'insegna, e che Dio non poteva creare l'uomo senza dargli un fine soprannaturale, cioè la vita eterna ossia la visione beatifica. La grazia non sarebbe veramente gratuita come il nome fa pensare. Dio doveva a sè stesso il concedercela.

Anche il mistero dell' Incarnazione è stato proposto da alcuni come un momento dell'evoluzione, inquanto noi diciamo che le anime, ancor troppo legate ai sensi e alla vita animale, avevano bisogno dell'influsso del Cristo universale, del Cristo cosmico, capo dell'umanità che ha preceduto di molte migliaia di anni il progresso del mondo.

Inoltre anche la nuova interpretazione del peccato originale e del peccato in genere come offesa di Dio richiede che venga modificato l'insegnamento attuale della Chiesa intorno al mistero della Redenzione.

E finalmente è stato proposto di intendere la presenza reale del Corpo di Cristo nella Eucarestia non insistendo più sulla vecchia nozione di sostanza e non parlando più di transustanziazione nel senso ontologico della parola. Si afferma che basta dire che « il pane e il vino consacrati son divenuti il simbolo efficace del sacrificio di Cristo e della sua presenza spirituale; è cambiato il loro essere religioso ». Simbolismo, questo, molto simile a quello ammesso da Calvino per l'Eucarestia.

Qualche uno ha proposto una di queste innovazioni senza rendersi conto di quelle proposte da altri. Ora che l'Enciclica le ha raccolte come in un unico panorama, si vede meglio il principio radicale da cui procedono, cioè il relativismo accentuato da uno storicismo che vede soltanto il divenire, da un'esistenzialismo che non vede l'essenza delle cose, ma soltanto la loro esistenza, e da un « irenismo » voluto, che sembra credere alla conciliazione delle cose contradditorie fra loro.

II - Che cosa ci dice l'Enciclica intorno a questi diversi problemi?

Essa non solo ci mette in guardia contro pericolose tendenze, ma condanna anche molti errori, pur riconoscendo la legittima libertà delle scienze nel loro proprio campo.

Anzitutto che cosa ci dice riguardo al relativismo nel campo filosofico e poi in quello del dogma? Ci dice che « la ragione può arrivare a conoscere con certezza l'esistenza di Dio e i segni certi della divina Rivelazione (III, 1). « Ma essa non giungerà ad applicarsi con giusta sicurezza se non verrà formala come si deve, cioè se non sarà stata penetra !a da quella sana filosofia che abbiamo ricevuto dai precedenti secoli cristiani come un patrimonio; patrimonio costituito da lungo tempo e arrivato precisamente a questo grado superiore di autorità perchè il magistero stesso della Chiesa ha sottomesso alle norme della divina Rivelazione i suoi principi e le sue più importanti asserzioni che alcune grandi menti avevano poco a poco scoperto e definito. Questa filosofia ricevuta c ammessa comunemente nella Chiesa difende V autentico ed esalto valore della umana ragione, i principi saldi della metafisica, quali il principio di ragione sufficiente, di carnalità, di finalità e finalmente la capacità di arrivare ad unu verità certa e immutabile ».

Fra i primi principi della ragione S. Tommaso con Aristotele (Metafis., libri III, c. 4 sgg.) mette in luce l'evidenza necessitante del principio di contraddizione fondato sulla opposizione fra l'essere intelligibile e il non-essere. Dice continuamente S. Tommaso che l'essere intelligibile è il primo oggetto Conosciuto dalla intelligenza, come il colorato è l'oggetto proprio della vista e il sonoro è l'oggetto proprio dell'udito. Quando si presenta l'oggetto sensibile, mentre la vista afferra l'essere colorato inquanto colorato, l'intelligenza l'afferra come essere, ciò che è, e che si oppone al niente (2).

Così pure ciascuno di noi percepisce di esistere, di vivere, di pensare (I, q. 87, a. 1) e di esser distinto da ogni altro uomo.

Anche Protagora non può nello stesso tempo essere e non essere Protagora. Nota Aristotele che dire che una medesima realtà può nello stesso tempo esistere e non esistere, vuol dire distruggere ogni linguaggio, ogni realtà, ogni verità, ogni probabilità, ogni vero bene distinto da! male, ogni desiderio, ogni azione ed anche ogni movimento perchè il punto di partenza non si opporrebbe contradditoriamente al punto di arrivo e si sarebbe già arrivati prima di partire.

Inoltre contro l'evoluzionismo assoluto è del tutto evidente e certo che il più perfetto non può esser prodotto dal meno perfetto. Non si può immaginare una assurdità maggiore di quella di dire che la intelligenza dei massimi geni e la bontà dei maggiori santi provengono da una fatalità materiale e cieca, oppure da un'idea confusa e incosciente, la quale sarebbe l'infimo grado della vita intellettiva.

Il principio di causalità è il fondamento certissimo delle prove tradizionali della esistenza di Dio, e le prove sono così oggettivamente fondate.

L'Enciclica « Humani generis » aggiunge (III): « Alcuni ripetono oggi che a torto la nostra filosofia sostiene la possibilità d'una metafisica assolutamente vera... Essi pare che vogliano insinuare che qua- lunque filosofia, mediante correzioni e complementi, se è necessario, possa accordarsi col dogma cattolico. Ma ciò è assolutamente falso ».

Qualche volta si dice anche che bisogna battezzare i sistemi filosofici moderni come S. Tommaso ha fatto col sistema aristotelico. Ma per far questo sono necessarie due cose. Bisognerebbe anzitutto avere il genio di S. Tommaso e poi bisognerebbe che i sistemi filosofici moderni fossero capaci di esser battezzati. Per esser battezzato bisogna avere un'anima. Un sistema che si fonda interamente su un falso principio non può esser battezzato.

Tale giudizio sul relativismo in filosofia è completato da questa importante osservazione (III) : « Non si può attribuire alle facoltà volitive e al sentimento una certa potenza intuitila e pretendere clic l'uomo impotente a scoprire con certezza per mezzo della ragione il vero che deve abbracciare, debba volgersi alla volontà per scegliere fra le opinioni che tra loro si oppongono, perchè si mescolerebbe indebitamente conoscenza e atto volitivo ». Si arriverebbe così a dire (ibid.) che ce la teodicea non può stabilire con certezza l'esistenza di Dio, ma può soltanto dimostrare che questa verità è in perfetto accordo con le necessità della vita » per evitare la disperazione e conservare la speranza della salvezza.

In tal modo non si conserverebbe la definizione tradizionale della verità come conformità del nostro giudizio con la realtà estramentale, ma soltanto come conformità con le esigenze soggettive della vita e dell'azione.

Così parla l'Enciclica riguardo al relativismo in filosofia.

* * *

Ma non è meno esplicita riguardo al relativismo dogmatico. Vi si legge (II, 2) : « E' chiaro da quanto abbiamo detto che questi tentativi non solo conducono al relativismo dogmatico, ma lo contengono già di fatto. Il disprezzo per la dottrina comunemente insegnata e dei termini in cui questa viene espressa lo provano abbondantemente... Le espressioni che nel corso di molti secoli furono stabilite dal comune consenso dei Dottori cattolici per arrivare a conoscere e comprendere il dogma, senza dubbio non poggiano su un fondamento tanto fragile. Si basano invece su principi e nozioni dedotte da una vera conoscenza del creato, e nel dedurre queste conoscenze la verità rivelata ha illuminato come una stella la mente umana per mezzo della Chiesa. Perciò non c'è da meravigliarsi se qualcuna di queste nozioni non solo sia stata adoperata nei Concili Ecumenici, ma vi abbia ricevuto tale sanzione per cui non è lecito allontanarsene. Per tali ragioni è massima imprudenza il trascurare o respingere o privare del loro valore i concetti e le espressioni che da persone di non comune ingegno e santità, sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello Spirito Santo, sono state più volte con lavoro duraturo dei secoli trovate e perfezionate per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede, e sostituirvi delle nozioni ipotetiche e delle espressioni fluttuanti e vaghe della nuova filosofia, le quali a somiglianza dell'erba dei campi, oggi ci sono e domani seccano; a questo modo si rende lo stesso dogma simile ad una canna agitata dal vento. Il disprezzo delle parole e delle nozioni usate dai teologi scolastici, di per sè, conduce all'indebolimento della teologia speculativa, che essi ritengono priva di vera certezza in quanto si fonda sulle ragioni teologiche ».

Tutto ciò dimostra chiaramente quello che la Chiesa pensa del relativismo tanto in filosofia che in teologia relativamente al dogma stesso.

* * *

Che cosa ci dice delle applicazioni del relativismo alle più discusse questioni di questi ultimi tempi?

1) Che cosa dice riguardo alla creazione del primo uomo? - Si può ammettere che Adamo non sia un nome individuale, ma un nome collettivo che non indica semplicemente il primo uomo, ma migliaia di primi uomini, ovunque dei primi esseri sufficientemente evoluti han prodotto con un certo concorso di Dio un embrione umano? In altre parole, si può sostituire il poUgenismo al monogenismo?

L'Enciclica risponde (IV): I fedeli non possono abbracciare quella opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra dei veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini. Ora non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli Atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo pome suo proprio » (3). Riguardo a questo errore, « alcuni, dice di sopra l'Enciclica, si chiedono perfino se la materia sia essenzialmente diversa dallo spirito ».

L'Enciclica (IV, fine) sostiene che « gli undici primi capitoli del Genesi, benché propriamente parlando non concordino con il me- todo storico usato dai migliori autori greci e latini o dai competenti del nostro tempo, tuttavia essi appartengono al genere storico in un vero senso, ma che però deve essere maggiormente studiato e deter- minato dagli esegeti. I medesimi capitoli con parlare semplice e metaforico, adatto alla mentalità d'un popolo poco civile, riferiscono sia le principali verità che sono fondamentali per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare dell'origine del genere umano e del popolo eletto ».

2) - Si deve conservare la nozione tradizionale del soprannaturale e della gratuità della elevazione dell'uomo alla vita della grazia, che è il germe della vita eterna? L'Enciclica (II, fine) risponde con grande precisione : ce Altri deformano il concetto della gratuità dell'ordine soprannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica ». Nel qual caso la grazia non è propriamente gratuita, quantunque il nome stesso ne indichi la gratuità. Non c'è più natura in senso vero, nè quindi soprannaturale propriamente detto.

3) - Che cosa si deve pensare delle innovazioni relative alla nozione di peccato originale e al mistero della Redenzione? L'Enciclica dice (ibid.): Messe da parte le definizioni del Concilio di Trento, viene distrutto il vero concetto di peccato originale e insieme quello di peccato in genere, in quanto offesa di Dio, come pure quello di soddisfazione data per noi da Cristo ».

4) - Che cosa si deve finalmente pensare delle innovazioni di alcuni esponenti della nuova teologia intorno alla Eucarestia? Il Santo Padre risponde (ibid.): « Non mancano coloro che sostengono che la dottrina della transustanziazione, in quanto è fondata sopra un concetto antiquato di sostanza, deve esser corretta in modo da ridurre la presenza reale di Cristo nella Eucarestia ad un simbolismo, per cui le speci consacrate non sarebbero altro che segni efficaci della presenza spirituale di Cristo e della sua intima unione nel Corpo mistico con i membri fedeli ».

Il Concilio di Trento che ha definito infallibilmente la transustanziazione parla in modo affatto diverso.

Il Papa aggiunge (ibid.): « Alcuni riducono ad una vana formula la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere l'eterna salute ».

“E' noto che questi errori, conchiude l'Enciclica, ed altri del genere serpeggiano in mezzo ad alcuni Nostri figli, tratti in inganno da uno zelo imprudente e da una scienza di falso conio, e a questi figli siamo costretti a ripetere, con animo addolorato, verità notissime ed errori manifesti, indicando loro con ansietà i pericoli dell'errore ».

Per porvi rimedio il S. Padre (III) ricorda che si deve ritornare alla dottrina di S. Tommaso : « Se ben si considera quello che sopra è sìato esposto, facilmente apparirà chiaro il motivo per cui la Chiesa e«ige che i futuri sacerdoti siano istruiti nelle scienze filosofiche secondo il metodo, la dottrina e i principi del Dottore Angelico, giacché, come ben sappiamo dall'esperienza di parecchi secoli, il metodo dell'Aquinate si distingue per singolare superiorità tanto nell'ammaestrare gli alunni quanto nella ricerca della verità; la sua dottrina poi è in armonia con la divina Rivelazione ed è molto efficace permettere al sicuro i fondamenti della fede come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti di un sano progresso ».

Tutto questo ci mostra che il Salvatore non ha soltanto affermato il fatto che Dio ama gli uomini, ma che Egli ha insegnato una dottrina, quando diceva: « Vos me vocatis magister, et bene dicitis, sum etenim » (Giov., XIII, 13): ce Caelum et terra transibunt, verba autem mea non praeteribunt » (Marc, XIII, 31).

La Rivelazione ci è stata data per modum magisterii, come parola di Dio, come dottrina rivelata intorno a Dio, alla sua natura, alle sue infinite perfezioni, alla creazione libera, alla nostra ordinazione gratuita al fine soprannaturale, alla visione beatifica, e circa i mezzi per raggiungerla. Questo magistero della Rivelazione è il fondamento del magistero della Chiesa la quale difende l'integrità della fede.

* * *

Che cosa se ne deve conchiudere?

Anzitutto che l'Enciclica non si contenta di metterci in guardia contro pericolose tendenze, ma condanna anche degli errori, specialmente il relativismo filosofico e dogmatico e molte delle conseguenze che ne derivano, particolarmente l'errore che deforma la vera nozione della gratuità del soprannaturale e l'ipotesi poligenista, che è inconciliabile con la fede.

La Chiesa ammette certamente che c'è un progresso nella intelligenza del dogma mediante definizioni sempre più esplicite, ma essa difende la immutabilità del dogma, il quale è conosciuto sempre più esplicitamente, pur rimanendo sempre lo stesso.

Riguardo al poligenismo alcuni hanno obbiettato: Pare che la Chiesa non riconosca alla scienza la sua libertà, la quale invece è necessaria al suo progresso.

Invece è chiaro che l'Enciclica riconosce perfettamente la legittima libertà alle scienze, quando ciascuna rimane fedele nel proprio ambito ai suoi principi certi e al suo vero metodo. Per convincersene basta leggere nell'Enciclica stessa il paragrafo precedente a quello che riguarda il poligenismo. Quel paragrafo, circa l'origine del corpo del primo uomo, non respinge l'ipotesi dell'evoluzione, a condizione di conservare questo, che cioè Dio solo ha potuto creare l'anima spirituale ed immortale del primo uomo, e che è stato necessario un intervento specialissimo della Provvidenza perchè in un embrione animale apparisse la superiore disposizione richiesta dalla creazione dell'anima umana. Un animale d'una specie inferiore all'uomo non può, infatti, per sua propria virtù, dare all'embrione che da quello procede mia dispos zione superiore a quella della sua specie. Altrimenti il più verrebbe dal meno e il più perfetto verrebbe prodotto dal meno perfetto, e ci sarebbe maggiore perfezione nell'effetto che non nella causa, contrariamente al principio di causalità. L'Enciclica invece di limitare la libertà delle scienze, ne incoraggia il progresso ed invita a studiare da vicino gli errori per vedere la piccola parte di verità che vi può ancora restare e per vedere dove si trova precisamente la deviazione. Qualche volta in certi errori molto manifesti c'è anche una prova per assurdo delle verità che essi respingono. Così l'evoluzionismo hegeliano, il quale ammette un divenire universale senza una superiore causa e un Dio che si fa e che non sarà mai, è una prova per assurdo dell' esistenza del vero Dio, perchè Hegel non può negare il vero Dio senza negare anche il valore reale dei principi di contraddizione e di causalità. Parimenti oggi la disperazione e la nausea universale a cui conduce l'esistenzialismo ateo sono una prova per assurdo del valore della speranza cristiana. Tali prove per assurdo son preziose a modo loro. Son come delle confessioni formulate dalla coscienza dei maggiori avversari, come quando Proudon e Clemenceau parlavano della grandezza della Chiesa da loro combattuta.

* * *

Si è anche obbiettato : Ma l'Enciclica ci ricorda, quasi che l'avessimo dimenticata, l'importanza dei principi logici di contraddizione e di ragione sufficiente che quasi nessuno nega.

La risposta alla obbiezione è anche facile. L'Enciclica ricorda la importanza di tali principi non solo come leggi logiche della nostra mente, ma anche come leggi immutabili della realtà estramentale. Ricorda che il loro valore reale, ontologico e trascendente, è assolutamente certo, mentre invece il fenomenismo e specialmente il soggettivismo lo negano. Per la intelligenza naturale un circolo quadrato o un'elisse triangolare non sono soltanto inimmaginabili ed inconcepibili, ma anche inattuabili fuori della mente.

Per capire il senso e l'importanza dell'Enciclica bisognerebbe riflettere una buona volta seriamente e profondamente a quello che è l'oggetto proprio della intelligenza naturale, il quale oggetto è molto superiore, è immensamente superiore a quello dei sensi esterni ed interni come l'immaginazione. Mentre i sensi percepiscono soltanto i fenomeni sensibili esterni ed interni, l'intelligenza naturale percepisce l'essere intelligibile delle cose sensibili e le leggi immutabili dell'essere e della realtà estramentale, le quali leggi vengono ancor più approfondite dalla ontologia ossia dalla metafisica generale. Ora l'ontologia, la quale ha per oggetto l'essere estramentale, differisce essenzialmente dalla logica, perchè la logica ha per oggetto l'essere di ragione, che è concepibile, ma è inattuabile fuori della mente, come per esempio le leggi del sillogismo.

L'ontologia differisce essenzialmente anche dalle scienze positive e sperimentali che studiano i fenomeni e le loro leggi fenomeniche.

Coloro che non comprendono l'importanza di questa Enciclica, confondono più o meno la metafisica con la logica: per loro S. Tommaso non è altro che un grande logico, e fuori della logica essi non vedono, come accade ai nominalisti e ai positivisti, che le scienze positive di cui l'Enciclica, essi dicono, ritarda il progresso. In realta l'Enciclica ricorda il valore reale e assoluto dei primi principi della intelligenza naturale, che poi la metafisica approfondisce. Ora senza questi principi scomparirebbe ogni certezza (4).

« Nessun essere può nello stesso tempo esistere e non esistere » od anche, come si legge nel Vangelo : ce Ciò che è, è; ciò che non è, non è ». E' la legge fondamentale del reale. Perciò i teologi a Kant che dubita del valore reale del principio di contraddizione rispondono : « Ma forse Kant può nello stesso tempo essere Kant e non esserlo? » (5)

E' stato anche detto che l'Enciclica suppone la filosofia dell'essere, ma che non va contro coloro che ammettono la filosofia del bene.

Al che è facile rispondere che il bene suppone il vero, altrimenti non è un vero bene, e il vero consiste nell'affermare ciò che è e nel negare ciò che non è.

 * * *

 L'Enciclica « Humani generis » ci ricorda quindi, come essa dice, delle verità ben conosciute, l'importanza fondamentale delle quali è oggi disconosciuta. In altre parole, essa ricorda quello che non si può ignorare, cioè le verità fondamentali senza di cui si sbaglia completamente la strada e si portano fuori della verità gli altri con la pretesa di illuminarli. Si tratta dell'unum necessarium che è indispensabile alla vita dell'anima nel tempo e nella eternità.

Si dimentica che le più elementari verità, come il principio di causalità e come il Pater nell'ordine della Fede, sono le verità più vitali, le più profonde e le più alte. Ma per accorgersene bisogna meditarle spesso e metterle in pratica. Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo di Firenze riferisce in una pastorale, riguardo alla ignoranza religiosa, il fatto di un conte italiano il quale, vicino a morire, udì che sua moglie recitava vicino a lui con profondo raccoglimento il Pater noster, e le disse : « L'avete composta voi, Contessa, questa preghiera? ». L'aveva recitata spesso macchinalmente, e non ne aveva compreso ancora il senso profondo.

L'Enciclica ci ricorda quindi delle verità di cui dimentichiamo la profondità. Prima di criticare queste grandi dottrine tradizionali, come han fatto Kant, Hegel e i loro successori, bisognerebbe essere ben si- curi d'averle capite.

Se si cerca davvero sinceramente di ben capirle, saremo largamente ricompensati e rimarremo meravigliati della bontà con la quale il supremo Pastore ci parla in questa Enciclica.

In coloro che cercano la verità e che pregano per essere illuminati, si attua la ben nota parola : « Non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato ».

I gravi e solenni avvertimenti del Magistero della Chiesa ci son dati in nome di Cristo nella verità e nella carità. Questa verità non solo ci libera dagli errori e dal dubbio, ma unisce anche a Dio le menti, i cuori e le volontà nella pace di Cristo, di cui abbiamo tanto bisogno nel conflitto mondiale che non finisce ancora. Si degni il Signore di concedercelo per mezzo di Maria Immacolata, per la gloria del suo nome e per il bene di tutti.

Note:

(1) Nella Revue thomiste c'è un ottimo commento alla Enciclica scritto dal P. Labourdette, O. P. Si veda anche in Vita e Pensiero, ottobre 1950: Il significato dell Enciclica « Humani generis », del sac. Carlo Colombo.

(2) (X S. Tonini., De Anima, I. II, c. 6, lez. 13 - De Ventato, q. 1, a. 1; I, q. 5, a, 2. - Cmitr. Geni., 3. II. c. 83. Quando tratta di questi problemi S. Tommaso ripete sempre l'asserzione del De Veritate, q. 1, a. 1: « Illud quod primo intellectus cognoscit quasi notissimum et in quo omnes conceptiones resolvit est ens » et ejus oppositio ad non ens. Itera I, q. 5, a. 2: « Ens est proprium objectum intellectus et sic est primum intelligibile, sicut sonus est primum audibile ».

(3) S. Paolo nella Epistola ai Romani, V, 12-19, insegna per sette volte, in nome di Dio, che « per il peccato d'un soll'uomo il peccato e la morte sono entrati nel mondo ».

(4) Abbiamo sviluppato la difesa del realismo nell'opera Le Sens commun, la philosophie ,le l'étre et les formules dogmatiques, Parigi, Desclée de Brouwer, 5.a ediz., 1936 (esaurito).

(5) La nozione di sostanza poi non è una nozione vecchia e ormai priva di efficacia. Una sostanza è un essere che esiste in sè, uno e identico sotto i suoi fenomeni molteplici e transitori. Così per esempio la sostanza del pane è tutta in un pezzetto di pane e tutta in ciascuna parte. E la causalità efficiente è l'attuazione di quello che viene alla esistenza. Quindi la nozione di transustanziazione conserva il suo valore ontologico.

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