LA CIVILTÀ CATTOLICA: L’UMANESIMO E GLI UMANESIMI
Tuttavia, è anche certo che l'umanesimo rinascimentale non si può connotare soltanto, facendo riferimento ai due nomi sopra citati. Altri atteggiamenti dai loro divergenti presenta la sua storia, come, ad esempio, quello tendenzialmente scettico di Erasmo e di Tommaso Moro, il primo dei quali, nonostante il suo cattivante scetticismo, si oppose all'eversione del domma compiuta da Lutero, mentre il secondo lo superò con l'attaccamento alla fede avita, per la quale non dubitò di soffrire il martirio. A questi si accosta, come rappresentante di un umanesimo rimasto nel fondo cristiano, il nostro Pico, il quale, nonostante gli ondeggiamenti di pensiero, l'attrazione sentita verso altre forme di cultura, cui si accostò durante gli anni passati allo studio di Padova, e le traversie incontrate per le sue note tesi, rimase un uomo di sincera professione cattolica. L'umanesimo del rinascimento fu, insomma, un movimento culturale complesso, paganeggiante in alcuni suoi esponenti, condito di amabile scetticismo in altri, cristiano in molti, come ha dimostrato il Pastor in un lungo capitolo della sua storia dei papi dedicato all'argomento.
Comunque sia di ciò, resta sempre che il pensiero rinascimentale nel suo fondo si può anche dire umanistico, perché si interessò dell'uomo e della vita terrena, in modo tale da aprire il varco alla susseguente speculazione, che, aggravando le sue iniziali deviazioni, sganciò poi l'uomo e la vita da ogni superiore collegamento col trascendente. Il De hominis dignitate di Pico della Mirandola rimane come un monumento a testimoniare la tendenza di questo periodo.
L'umanesimo moderno, oggetto di molti studi, come si è detto, si avvicina all'antico proprio sotto l'aspetto rilevato. Non è un vasto movimento culturale, quale fu principalmente quello, non comporta un ripiegamento sulle età passate e sulla loro storia, non è ottimistico o paganamente gioioso, non si adorna del culto entusiastico della classicità, ma unicamente rivolge, con particolare insistenza, l'attenzione alle condizioni di vita temporale, terrena e umana nel senso più generico del termine.
Questa è la ragione per cui sarebbe opera disperata darne una definizione contenutistica, rimanendo sul piano storico e contingente degli svariati atteggiamenti di pensiero, cui si attribuisce la denominazione di umanesimo. Dovunque, infatti, si nomini l'uomo e comunque la sua natura e il suo essere si concepiscano, salta sempre fuori il termine di umanesimo. Si ha l'umanesimo razionalista, il positivista, l'umanesimo esistenzialista e scientifico , come l'umanesimo laico, ateo, materialista o marxista e non manca quello industriale e aziendale, economico e sociale, come fa manifesto il movimento delle così dette relazioni umane, diramatosi dagli Stati Uniti e insediatosi anche in Italia, dove qualche convegno le ha prese ad oggetto di studio.
Questo intrecciarsi di ideologie astratte e di atteggiamenti sociali presenta, per lo meno, un dato positivo, in quanto così la speculazione come le scienze pratiche tengono fisso l'occhio sull'uomo e, se vogliamo, ritornano a interessarsi del soggetto principale, intorno al quale non può non muoversi ogni concezione del mondo e della vita, non appena discende dai cieli della pura astrazione alla discussione dei problemi dell'esistenza.Né tale convergenza si può dire nuova, giacché il pensiero si è sempre rivolto alla soluzione dell'enimma umano e non ha mancato, fin dalla remota antichità, di toccare a questo riguardo delle punte massime, come fece quando eresse l'uomo a misura del tutto. La tendenza umanistica moderna e il gran discorrere che se ne fa possono sembrare una novità di fronte al sistema capitalistico e mercantilistico degli ultimi tempi, che ebbe, ed ancora oggi ha in buona parte, come scopo il lucro e il maggior lucro, da ottenersi con l'espansione incessante della produzione, e trascurò l'uomo, considerandolo come uno strumento di lavoro, senza per nulla curarsi delle sue esigenze di vita così materiali come spirituali.
In sostanza però essa germoglia dalla medesima ansia del pensiero di indagare sul soggetto umano, per risolvere i problemi che esso presenta. È lecito conseguentemente affermare che ogni speculazione, pretenziosa di erigersi a sistema integrale, ha avuto sempre un certo contenuto umanistico, si è rivolta in un modo o nell'altro ai problemi umani, tentandone una soluzione. Si può concludere, dunque, che si danno tanti umanesimi quante sono le correnti ideologiche e sociali che dividono il campo della speculazione e della prassi.
Donde è facile rilevare l'estrema elasticità che così assume il termine diventato di uso corrente. Oltre a un riferimento generico all'uomo e alla sua posizione nel mondo, esso non dice nulla di preciso, giacché il suo contenuto dipende dalle particolari concezioni che si sostengono riguardo al soggetto umano, alla sua natura, ai valori con questa connessi, ai fini immanenti e insieme trascendenti verso i quali è protesa. Il termine umanesimo si rivela in tal modo come un vaso vuoto, nel quale ciascuno versa il liquido che meglio preferisce, sovente spumoso di apriorismi e torbido di false visioni del reale, che si risolvono non di rado in una negazione dello stesso significato generico, come è il caso del preteso umanesimo marxista, al quale competerebbe piuttosto l'appellativo di antiumanesimo. Ma di ciò meglio in seguito. Per ora determiniamo quale, secondo noi, ne dovrebbe essere il contenuto concettuale.
Sul piano pratico dei problemi della vita, così individuale come collettiva, sarà umanesimo quell'orientamento concettuale volto alla prassi, che, riconosciuti i valori umani fondamentali e universali, la dignità e i diritti del soggetto, si dirige, mediante l'azione, alla loro affermazione e difesa e al loro progressivo svolgimento, creandone i presupposti necessari e indispensabili. La descrizione fin qui fatta, movendo dall'etimologia, permette di estrarre ora un concetto sostanziale del termine. L'umanesimo include nella sua sostanza una concezione dell'uomo e un atteggiamento pratico circa l'affermazione e lo svolgimento dei valori connessi con la sua natura. Il secondo elemento non è che un riflesso del primo, giacché ogni atteggiamento pratico dipende da un precedente atteggiamento speculativo.
Una conseguenza importante si deduce da questi primi chiarimenti sul significato della parola, e questa consiste nell'affermazione, semplice ma categorica, che non si può dare se non un solo e vero umanesimo. La molteplicità degli umanesimi, ai quali sopra si è fatto un cenno sommario, è un controsenso nei termini. Si possono certamente dare parecchie concezioni dell'uomo e disparate visioni della vita e del mondo, come in realtà si danno, diversi orientamenti filosofici e pratici sul soggetto umano e sulla società, entro le quali si svolge la sua esistenza concreta, ma l'umanesimo vero, genuino e schietto non può essere che uno solo ; donde emerge la necessità di operare una selezione, per trovare quell'unica concezione nella quale esso sia contenuto.
Unica concezione, diciamo, e non più di una. L'esigenza ci sembra di palmare evidenza, giacché l'uomo, di cui l'umanesimo s'interessa, è oggetto di osservazione e d'indagine positiva, prima che speculativa, e si presenta a questa eguale nel tempo e nello spazio, identico lungo tutto il processo evolutivo della sua storia millenaria, nelle generazioni che lo hanno accompagnato, nelle stirpi e nei popoli in cui l'umanità si è frazionata. Sotto l'onda del divenire l'uomo è rimasto sostanzialmente immutato ; sotto il frazionamento delle stirpi, le differenze somatiche e psichiche che lo contrassegnano, la varietà delle lingue e delle culture, soggiace un dato immutabile che si perfeziona, ma non cambia nei connotati essenziali . Se l'uomo è identico e tale si presenta in ogni epoca e in ogni latitudine, l'umanesimo, costruzione concettuale che deve interpretare questo dato obiettivo, non può essere che uno solo. La conclusione sembra incontestabile come è incontestabile per la serena indagine scientifica l'unità specifica del genere umano. La molteplicità degli umanesimi non può, pertanto, derivare, salvo uno solo, se non da presupposti ideologici aprioristici, con i quali si violenta il reale o si deformano le conclusioni che dal suo esame dovrebbero dedursi.
Inoltre, pur nella policromia densa di sfumature, non sempre l'una dall'altra nettamente distinte, con la quale dalla natura e dalle civiltà è dipinto il quadro immenso del genere umano, la figura centrale, l'uomo, si mostra dotata delle medesime facoltà specifiche, in virtù delle quali quest'essere si distingue dagli altri, che lo circondano, e viene chiamato con un nome proprio. Si manifesta come fonte autonoma di attività, nella quale in parte è simile ai sottostanti organismi vitali e in parte supera, non solo di grado e d'intensità, ogni loro operare, con azioni irriducibili alle funzioni della vita materiale ; si presenta come soggetto che si protende verso finalità sue proprie, con piena consapevolezza dei traguardi che vuole conseguire e sorpassare, con stimoli profondi, in ogni elemento identici, che lo muovono e lo guidano, con leggi immanenti che egli sente come un imperativo cui deve conformare la propria condotta. Questa universale identità, che è un fatto accertato e ad ogni momento verificabile da chi ne ricercasse una prova sperimentale, di facoltà, di attività specifiche, di finalità, aspirazioni, leggi dell'essere e imperativi morali, dimostra ancora una volta che non si possono dare parecchi umanesimi, interpretazioni concettuali delle esigenze veramente e genuinamente umane e che, conseguentemente, l'umanesimo è uno e uno solo.
Se ne deduce ancora che, essendo l'umanesimo nel senso moderno una concezione volta alla pratica, ossia all'affermazione e allo sviluppo dei valori umani, l'unicità già dimostrata vale integralmente anche per questo secondo aspetto. Infatti, basta riflettere sui dati obiettivi appena schematicamente accennati, per accorgersi come ciascuno di essi è un valore umano, dal quale poi si diparte una ricca ramificazione di altri valori oggettivi, come, ad esempio, è quello ricchissimo e multiplo dalla libertà. L'identità messa in rilievo riguardo ai contrassegni, che connotano in modo inconfondibile l'essere umano e lo collocano in una categoria a parte nel seno dell'universo visibile, esiste inalterata sul piano dei valori fondamentali, oggetto di affermazione e di culto da parte dell'umanesimo. Se poi a ciò si aggiunge come il perfezionamento umano obbedisce a leggi di sviluppo tutte proprie, segue una traiettoria ascendente segnata dalle esigenze recondite dell'essere razionale e si proietta nella storia attraverso fatti, conquiste graduali, manifestazioni di pensiero e di arte, attuazioni scientifiche e tecniche, organizzazioni e istituzioni, ciascuno dei quali risponde a tendenze naturali e porta il sigillo indelebile dell'artefice, si potrà ancora meglio vedere come l'affermazione circa la possibilità di un solo umanesimo vero venga imposta dall'osservazione del reale e non è la conseguenza di un esclusivismo astratto, avulso dal piano della pura obiettività.
L'etnologia e la storia, la psicologia e le scienze sociali, finché le sovrastrutture ideologiche non ne viziano il responso, convergono nella dimostrazione di questa conclusione. Dagli albori dell'umanità, lungo tutto il variato e travagliato processo della storia, il fiume lento delle generazioni umane si assomiglia nelle ondate successive, cammina entro le medesime sponde, segnate dalla natura e dalle sue fondamentali proprietà. Indubbiamente il corso non è stato sempre lineare, non ha solcato col suo progressivo avanzamento una pianura eguale e piatta, ma ha attraversato gole, forre e sbalzi, e tuttavia, nonostante le difficoltà, gli intoppi e gli ingorghi, ha conservato sempre una sua direzione, che possiamo chiamare direzione umana. Tutto sta, dunque, a dimostrare come l'uomo è uno nel tempo e nello spazio e come la concezione della vita, alla quale si dà l'appellativo di umanesimo, non può essere che una.
Si naviga, pertanto, nell'ambiguità e si genera lo smarrimento e la confusione delle idee con l'uso indiscriminato del termine umanesimo, per designare concezioni e teorie, le quali poi negano l'uomo stesso, che dovrebbe essere il centro di irradiazione di tutta la sistematica individuale e sociale. Come esempio di questa pericolosa ambiguità, la quale rende vuoto persino il termine usato, si possono addurre le disquisizioni sull'umanesimo marxista. Di esso sarà questione più tardi. Momentaneamente ci preme di domandare quale senso abbia parlare di umanesimo marxista, quando una disamina oggettiva di questa ideologia deve forzatamente concludersi con un responso negativo, anche se si rimane sul semplice piano dell'indagine sperimentale e scientifica, e più ancora se si risale a quello speculativo di una sana filosofia. Che se poi lo scrittore è un cattolico e dalle altezze della verità trascendente volge lo sguardo all'ideologia marxista, non può non vedervi la negazione di tutte le note particolari, di cui il cristianesimo ha sigillato l'essere umano, svelandone la superiore dignità.
Che senso ha allora, domandiamo di nuovo, discorrere di umanesimo marxista, quando l'ideologia è intrinsecamente antiumana e la prassi, a quella conforme, si risolve in annientamento della persona, scoronata della sua aureola naturale e del suo nimbo soprannaturale e assorbita nella massa amorfa e materiale della collettività onnipotente? Evidentemente nessun senso, perché quello non è un umanesimo, come meglio sarà dimostrato, esaminando direttamente la concezione del Marx. Il solo appellativo di umanesimo, inizialmente dato alla più antiumana concezione della vita che la storia abbia conosciuto, sebbene poi lo studio si risolva in una critica a fondo, è già deviante per se stesso, giacché la colorisce di una certa ingannevole vernice a soffice sfumatura, che non manca di esercitare attrazione negli spiriti meno provveduti.
Ma ormai l'uso è invalso di chiamare umanesimo ogni concezione o teoria sociale che in qualsiasi modo si occupi dell'uomo, compreso il marxismo, sul cui fondo umanistico sono stati scritti discreti volumi. Bisognerà perciò adattarsi alla terminologia ormai corrente, mettendo l'accento sull'aggettivo che qualifica il significato vago e generico del sostantivo, sebbene ciò poco giovi a fugare l'ambiguità iniziale, di cui sopra si è fatto cenno.
Qualsiasi interpretazione dell'uomo e della vita umana, negli aspetti molteplici con i quali si presenta all'osservazione sperimentale, se non vuol peccare di vuoto astrattismo, deve appoggiarsi saldamente sul reale e dal reale muovere con metodo analitico, allo scopo di raccogliere i dati positivi che, riuniti insieme, dovranno poi comporre il mosaico che rappresenti l'uomo. L'umanesimo non può, in altri termini, prescindere da una previa esplorazione della natura umana, che dia una solida base alle sue ulteriori deduzioni, le quali, in tanto saranno vere, in quanto non si oppongono agli elementi cardinali dall'osservazione raccolti. E poiché l'uomo è un soggetto singolare, che mostra di avere, come oggi si dice, un'autocoscienza della sua stessa attività, ossia una consapevolezza riflessa del suo agire e dei moti della sua psiche, particolarmente superiore, la quale gli permette di analizzare il suo mondo interiore e di seguire le azioni, che da lui fluiscono come da centro autonomo di irradiazione vitale, acquista un valore particolare, in ordine alla raccolta dei dati positivi, dai quali dovrà poi scaturire la descrizione della sua immagine, l'esperienza interiore e soggettiva, il testimonio immediato della sua coscienza.
In realtà il metodo seguito dal pensiero cattolico, per stabilire i dati antropologici, sui quali poi fondare il suo umanesimo, non è stato diverso. Pensiero oggettivo, è partito dall'esame dell'oggetto, dai dati forniti dalla realtà e su di essi ha costruito, innalzandosi dal fatto alla costruzione ideologica, con l'innesto della riflessione razionale al fatto stesso, per dedurne le conclusioni che dalla sua valutazione obiettiva era lecito ricavarne. Ed eccoci al secondo passo che una vera antropologia deve fare, per conseguire un concetto adeguato del soggetto umano e fondare una concezione umanistica della vita. Ossia la fenomenologia descrittiva, per quanto possa essere rispettosa della realtà, non basta allo scopo che si vuole raggiungere, se non è integrata dalla riflessione razionale, che si ripiega sui dati forniti dall'esperienza esterna e interna, li rielabora, per così dire, sottoponendoli al vaglio della ragione e, con l'applicazione di alcuni principi di pensiero, logicamente li conduce a esprimere quanto in essi era implicito.
Nel conseguire il vero e unico umanesimo possibile, oltre alle scienze sperimentali, descrittive della realtà quale si presenta all'osservazione, occorre fare appello alla filosofia, il cui compito consiste proprio nell'innesto fecondo del raziocinio sui dati obiettivi, per risalire al piano superiore della speculazione. Si comprende allora come la filosofia, che possa compire questo lavoro di decantazione e di astrazione, deve avere una fondamentale tendenza oggettivistica . Solo un pensiero orientato in senso oggettivo è in grado di muovere dal reale, che è fuori di sé, da un dato che esso non crea, ma trova, scopre e sul quale ragiona, perché è già posto dalla natura e fa parte dell'universo sensibile.
Le filosofie a contenuto soggettivista, più o meno ancorate sull'evoluzione di uno spirito che pensa e crea, e, pensando, costruisce il mondo, come proiezione di sé fuori di sé, mediante la così detta oggettivazione, si precludono la via al conseguimento di una retta concezione dell'uomo e di un conseguente vero umanesimo. Vale, a questo particolare riguardo, l'osservazione generale, mossa al soggettivismo, che esso, una volta ammessine i principi, nega la scienza, e quindi nega i fondamenti sperimentali dai quali deve necessariamente muovere qualsiasi sistema, che si proponga di interpretare l'universo e l'uomo.
Si potrebbe a ciò aggiungere, se qui fosse il luogo di distendersi sull'umanesimo delle filosofie monistiche, a base idealistica e pertanto soggettivista, come col monismo il soggetto umano vada perduto, giacché verrebbe ad essergli sottratto quell'essere personale, che è il suo nucleo interno, per attribuirgli soltanto un essere fenomenico, manifestazione di quell'io universale e profondo, teorizzato come unico, e detto Spirito con l'iniziale maiuscola. Nell'unità dello spirito si dissolve l'uomo individuo, come soggetto distinto, fonte autonoma del suo pensiero e degli atti della sua volontà, e perciò cosciente e responsabile del suo operare. L'assorbimento, se si vuole essere coerenti col principio monistico soggettivista, non può intendersi che in forma totale e diventa allora vano, per la concorrenza del soggettivismo e del monismo, parlare di antropologia e discorrere di umanesimo. L'argomento richiederebbe più ampia discussione, nella quale non è il caso di addentrarsi.
Ma nemmeno sono in grado di compiere l'ufficio assegnato alla filosofia le opposte concezioni, che si sogliono raggruppare sotto il denominativo di positivismo. Queste, indubbiamente, hanno il culto del reale, sono di tendenza spiccatamente oggettivistica, si appoggiano sui dati sperimentali e alla scienza, intesa come ricerca e fissazione dei fenomeni, sono disposte a bruciare tutti gli incensi. Incorrono però in un doppio apriorismo sistematico, che preclude anche ad esse la via al conseguimento di una vera antropologia naturale e ad un vero umanesimo. Innanzi tutto, alcune correnti si chiudono ermeticamente dentro l'esperienza, assumendo come principio che la mente umana nulla può affermare che ne sorpassi i limiti. Accurate nell'indagine del reale, sostengono che si debba rimanere immersi nel reale, giacché, a loro dire, l'unica via per l'acquisizione delle conoscenze sarebbe quella sperimentale.
Non escludono che si possa arrivare a una certa visione unitaria della scienza, ma ad essa intendono pervenire col metodo scientifico, storico e sociologico, per successive e graduali semplificazioni ed ipotesi, dalle quali la filosofia deve essere esclusa. In tal modo, il così detto metodo positivo, tanto utile alla ricerca scientifica, si accartoccia su se stesso, si incapsula nell'esperienza e non lascia da questa evadere il pensiero, ansioso di scoprire le essenze e di ficcare lo sguardo nei nessi causali, per ascendere a deduzioni superiori, che la stessa esperienza porta implicite e rivela alla riflessione razionale che su di essa indugia.
In secondo luogo, quasi sempre a questo atteggiamento disdegnoso dell'indagine razionale, nel positivismo, si associa l'apriorismo materialista, che, a ben considerarlo, è poi una filosofia e sovente una metafisica bella e buona, cosicché, mentre si pretende di dare l'ostracismo alla filosofia, poi se ne costruisce una a proprio uso e consumo, fondata sopra una preconcepita interpretazione dell'universo e dei fatti attestati dall'osservazione. Il principio aprioristico consiste nell'affermare che tutto è materia e tutto si spiega con le forze insite nella materia. L'assioma pregiudiziale non è scoperto col metodo dell'indagine scientifica, giacché questa non va oltre la descrizione obiettiva dei fatti e al rinvenimento delle leggi che li dominano; la scienza, come oggi si intende, è descrittiva ; ma è un'asserzione dommatica che nessun argomento, né induttivo né deduttivo, suffraga. Tutto è materia e tutto si piega con le forze della materia, unicamente perché, per posizione mentale prestabilita, è così e deve esser così, e più non domandare. È ovvio allora che non saranno più i dati del reale a dettare le conclusioni, che la riflessione ha l'ufficio di rendere esplicite, ma la tesi dommaticamente stabilita suggerirà la loro interpretazione e, quando essi non s'inquadrano entro lo schema rigido da quella segnato, penserà il positivista a violentarli, affinché la cornice non venga rotta e il principio assiomatico messo in pericolo.
Il positivismo costruisce così una sua concezione dell'uomo, una sua antropologia e un conseguente umanesimo, manipolando a suo modo i presupposti obiettivi forniti dall'esperienza. Ad esempio, non può negare e non nega il dato incontrovertibile dell'ideazione e della coscienza riflessa ; ma poiché tutto deve spiegarsi con le forze della materia e con cause fisiche, affermerà che quella singolare attività, che pure non riscontra in nessun essere organico, fuori che nell'uomo, deve essere attribuita alle forze della materia. L'influsso del principio aprioristico è evidente e più ancora evidente la falsità dell'interpretazione di un fatto così significativo, qual è la formazione del pensiero e la coscienza riflessa del pensiero stesso.
A conclusione di questi rapidi cenni sulle due massime correnti moderne, diremo che né l'una né l'altra sono in grado di conseguire quell'unico e vero umanesimo, in cui l'osservazione sperimentale e la riflessione razionale, congiungendo il loro lavoro, devono confluire. Non la prima, perché assorbe la realtà nella soggettività dello spirito universale ; non la seconda, perché o disdegna l'innesto della speculazione filosofica sui dati sperimentali o vizia la loro interpretazione col principio aprioristico del materialismo. Il pensiero cattolico congiunge esperienza e raziocinio, dati obiettivi forniti dall'osservazione e riflessione razionale e, tenendosi lontano da ogni apriorismo, estrae dai fatti le conseguenze in essi implicite, con l'applicazione di alcuni principi universali indubitabili, qual è, per esempio, quello di causalità o di ragione sufficiente. Con questo metodo, proprio ad ogni concezione oggettivistica che si solleva al piano della vera filosofia, esso consegue i propri risultati, in un'antropologia naturale, alla quale poi aggiungerà, per avere una visione integrale dell'uomo e della vita, i dati fornitigli dalla rivelazione.
Pensiero e fede, natura e grazia, temporale ed eterno, esperienza del mondo umano e luce soprannaturale si fondono in unica sintesi, donde poi emergono le linee maestre dell'umanesimo cristiano. Questo non è pura natura né pura grazia, ma è grazia innestata nella natura, come nuovo principio vitale soprannaturale, che rigenera l'uomo e lo eleva all'ordine delle realtà sovrumane e trascendenti. E perciò stesso ha come base, sulla quale si appoggia e su cui edifica, la natura umana, l'antropologia naturale con tutti i suoi elementi costitutivi, che non nega, ma valorizza e trasforma col fermento del divino. Nell'economia della redenzione, le prospettive umane si distendono verso l'infinito e si allargano su orizzonti, dai quali l'uomo sarebbe rimasto escluso, se non fosse intervenuto l'Uomo- Dio a nobilitare la sua storia terrena e a sollevarlo al piano della soprannatura, dando un orientamento nuovo alla sua vita.
L'antropologia cristiana è un'antropologia soprannaturale; l'umanesimo cristiano è un umanesimo che si illumina dei riflessi del trascendente, e questo occorre tener bene presente, per non deformarlo con un naturalismo storicista, che si limiti a metter soltanto in rilievo i valori temporali e terreni. Esso è l'unico umanesimo valido : ai suoi margini l'uomo diventa una creatura incompresa e incomprensibile, atomo sperduto nell'universo che lo circonda.
P. A. MESSINEO S. I.
Commenti
Posta un commento