LA CIVILTÀ CATTOLICA: LA RESISTENZA ALLE LEGGI INGIUSTE SECONDO LA DOTTRINA CATTOLICA - PARTE I
Civiltà Cattolica
Vol . III, quaderno 2258
Roma, 1944
L'ubbidienza leale al potere civile è per il cittadino un dovere, che deriva dalla stessa legge naturale. Diritto e dovere sono infatti termini correlativi. Quando la legge naturale concede all'autorità politica il diritto di comandare, impone nello stesso tempo ai sudditi il dovere di ubbidire, non potendo il diritto di una parte esistere senza il dovere dell'altra.
Ma il dovere dell'ubbidienza ha dei limiti nel suo esercizio, limiti che l'autorità deve rispettare, affinchè si ottenga l'armonia e l'equilibrio sociale e l'ubbidienza non sia avvilita e snaturata nel suo concetto. Al Cristianesimo sopratutto spetta il merito di avere determinato con chiarezza e precisione questi limiti. La dottrina del Vangelo, proclamando i doveri dei cittadini verso l'autorità, affermava pure i loro doveri. Bisogna ubbidire all'autorità, affinchè essa possa compiere la sua missione; ma l'ubbidienza deve essere decorosa e nobile, come si addice ad una virtù, deve mantenersi nel giusto mezzo ugualmente distante dagli atteggiamenti servili delle anime abbiette, sempre disposte all'adulazione, sempre pronte a curvarsi davanti ai capricci del potere politico, e dalle irrequietezze degli spiriti ribelli, sempre in opposizione alle misure stabilite dalla legittima autorità. Non ubbidienza adulatrice nè superbia indocile; non partito preso di approvare tutto, nè partito preso di tutto criticare , ma sottomissione docile alle prescrizioni legittime dell'autorità, ma resistenza ferma e risoluta alle sue leggi, quando esse attentino alle libertà individuali inviolabili, ai diritti imprescrittibili della coscienza e di Dio. Ecco il pensiero cattolico quale risulta dagli insegnamenti del Vangelo e del magistero ecclesiastico . La Chiesa predica ai sudditi il rispetto alle legittime autorità e l'ubbidienza alle giuste leggi ; ma avverte pure i poteri pubblici che vi sono delle barriere, oltre le quali essi non possono andare senza perdere ogni diritto all'ubbidienza dei loro sudditi.
Quest'insegnamento divino e apostolico non si smentisce mai lungo i secoli cristiani, ma si tramanda con perenne fedeltà negli scritti degli Apologisti, dei Padri e dei Dottori, negli atti del magistero ecclesiastico, e risuona solenne nella voce dei successori degli Apostoli, i Romani Pontefici. S. Giustino ricordava agli imperatori, con nobiltà e sincerità di linguaggio, che i cristiani dimostravano in ogni cosa un'esatta sottomissione agli ordini emanati dall'autorità, « cercando di pagare i tributi e le tasse prima di ogni altro, a coloro che hanno la missione di riceverle » (6), e riserbandosi una sola libertà, quella della coscienza. « Noi adoriamo un Dio solo, aggiungeva, ma in tutto il resto vi ubbidiamo con gioia riconoscendovi come re e capi degli uomini e domandando con le nostre preghiere che con il supremo potere clteniate anche un'anima retta » (7) . E l'Apologista poteva giustamente conchiudere che i cristiani « sono i sudditi più devoti dello Stato e anche i suoi più utili aiuti, quelli che insegnano che nessuno sfugge all'occhio di Dio, il cattivo, l'ambizioso, il cospiratore, come pure l'uomo virtuoso, e che tutti ricevono un, castigo eterno secondo le loro opere » (8).
Oggi, come sempre nel passato, la Chiesa afferma che « è sacro per i cristiani il nome dell'autorità, nella quale, anche quando è impersonata in un uomo indegno, essi riconoscono una certa immagine e somiglianza della maestà divina. e stimano essere giusto e doveroso il rispetto alle leggi, imposto non dalla forza e dalle minacce, ma dalla coscienza del dovere » (9). Ai cristiani dei nostri tempi la Chiesa ripete invariato il precetto che gli Apostoli davano ai cristiani dei primi tempi : « I cittadini siano soggetti e ubbidienti ai principi come a Dio non tanto per timore delle pene, quanto per riverenza alla maestà, non già per motivo di adulazione, ma per coscienza di dovere » (10).
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Ma il dovere dell'ubbidienza ha dei limiti, che sono segnati dall'esatta nozione del fine dell'autorità e dalla natura delle leggi da essa emanate. Lo scopo dell'autorità è il bene sociale, cioè il bene di tutti e di ciascuno, lo sviluppo più compiuto delle facoltà umane, una più grande somma di felicità e di virtù mediante l'azione comune sotto una direzione comune. L'autorità quindi non può legiferare a capriccio, fuori dell'ambito della prosperità pubblica e dell'esigenza morale di giustizia : tutto ciò che tende al male è evidentemente fuori del fine sociale e per conseguenza anche del diritto dell'autorità. Al di sopra delle leggi civili dettate dall'uomo, c'è la legge naturale, che il Creatore ha scritto nella coscienza di ogni uomo e che è la regola e il limite delle decisioni del potere. Ogni legge civile riceve la sua moralità dall'essere conforme alle prescrizioni della legge naturale, ai suoi dettami immutabili e universali ; perde invece la sua moralità, se non si fonda su questa base, se non germoglia da questa radice di giustizia (11).
La conformità delle leggi civili con la legge di natura o la loro discrepanza da essa, decide non solo della loro equità o ingiustizia, ma anche del loro valore o nullità. Qualunque legge umana, che sia difforme dalla legge naturale, che sia contraria ad altre leggi superiori, che non abbia di mira il bene comune, ma il bene privato, che violi i diritti inalienabili dei cittadini, della famiglia e della Chiesa, diviene una legge ingiusta, perchè è ingiusto tutto ciò che si oppone alla suprema legge della giustizia naturale. Ora una legge ingiusta è una legge nulla : lex iniusta non est lex, e perciò non obbliga, perchè nessuno può essere obbligato ad ubbidire all'ingiustizia comandata.
Una legge ingiusta cessa infatti di essere una prescrizione ordinata secondo ragione per il bene della comunità, ordinatio rationis ad bonum commune, e diviene un atto arbitrario, un atto di comando a capriccio. Ma le leggi civili fatte ad arbitrio e per capriccio e che aggravano i cittadini senza pubblica necessità, non appartengono più all'ordine sociale, perchè esigono quello che quest'ordine non prescrive, e perciò non possono avere nè valore nè forza obbligante. La legge ingiusta esce fuori dalla sfera del vero interesse del cittadino, impone quello che non è richiesto dalla reale necessità di raggiungere lo scopo della società e restringe senza bisogno la libertà naturale. Essa è dunque una violenza e una rapina, perchè esige quanto non è dovuto.
I governanti sono, secondo il pensiero di S. Paolo, « i ministri di Dio per il bene dei cittadini » . Ma se essi impongono una legge ingiusta, perdono questo loro titolo, perchè non possono evidentemente rappresentare Dio ed essere da Lui delegati per il male e per l'ingiustizia. La loro autorità legislativa quindi viene privata dell'unico suo stabile fondamento su cui deve appoggiarsi e del vero e naturale principio donde attingere la forza delle leggi, affinchè siano norme valevoii nell'ordine giuridico e impongano alla coscienza morale del cittadino un'obbligazione veramente efficace.
La legge ingiusta non può pertanto pretendere l'ubbidienza del cittadino. Noi dobbiamo « renderc a Cesare ciò che è di Cesare » , ma dobbiamo anche « rendere a Dio ciò che è di Dio » . E se Cesare pretende di sostituirsi a Dio. se si arroga il diritto di prescrivere ciò che Dio proibisce o di proibire ciò che Dio comanda, noi abbiamo allora il dovere, e per conseguenza il diritto, di ricusare la nostra ubbidienza. La ragione è perentoria. L'autorità pubblica riceve da Dio stesso il potere di comandare e di fare leggi. Nel comando ingiusto c'è una deviazione e un'abuso dell'autorità. Sarebbe assurdo che Dio ci imponesse l'obbligo di coscienza di ubbidire alle leggi civili, quando per compiere quest'atto fosse necessario contraddire ai suoi stessi ordini, quando l'ubbidienza all'autorità umana importasse la disubbidienza all'autorità divina.
Non possiamo nasconderci che ci fece veramente meraviglia e anche pena il vedere ultimamente, in un articolo del Corriere della Sera ( 24 maggio 1944 - Anno XXII) dal titolo Disciplina, misconosciuta e impugnata da V. Rolando Ricci questa norma fondamentale di etica naturale. Lo scrittore, dopo aver osservato che con le nostre teorie si corre pericolo «di retrocedere alla teocrazia di Gregorio VII e di Bonifacio VIII, anzi persino a quella di Gelasio I », afferma : « Qualunque sia il motivo, anche soltanto spiritualissimo, da cui un cittadino sia persuaso a non ubbidire o peggio ad insorgere contro una legge che il governo emani, quel cittadino va considerato come un ribelle e trattato come tale. La di lui convinzione religiosa può essere tanto sublime da meritargli poi dalla Chiesa le palme del martirio ; ma ciò non può impedire che nell'ora attuale del tempo su questa terra, egli non venga dichiarato un cattivo italiano e punito come tale, in quanto egli nuoce, con il suo comportamento pratico, all'interesse supremo del suo Paese. Conosco le riserve di Tommaso d'Aquino : "principibus saecularibus in tantum homo obedire tenetur in quantum ordo iustitiae requirit. Et ideo si non habent iustum principatum, vel si iniusta praecipiant, non tenentur eis subditi obedire, nisi forte per accidens propter vitandum scandalum vel periculum ". E' superfluo che io professi la mia decisa negazione di una siffatta teorica, demolitrice, dalla base, di ogni disciplina politica e di ogni autorità di un Governo civile : ma nelle contingenze attuali nostre, posto che dalla non piena ubbidienza al governo deriverebbe evidentemente «periculum » per la Patria in guerra, parmi che anche i tomisti possono insegnare a tutti gli Italiani essere doverosa la più assoluta obbedienza a qualunque legge o comandamento del Governo d'Italia » . Tornaconto o servilismo di Stato?
Per procedere con ordine e chiarezza nel fissare l'atteggiamento pratico della coscienza morale del cittadino davanti ad una legge evidentemente abusiva e ingiusta, bisogna distinguere la resistenza passiva e la resistenza attiva. La resistenza passiva non è altro che la semplice inosservanza delle leggi. Il cittadino resiste passivamente quando si astiene con deliberazione di sottomettersi alle prescrizioni tiranniche del legislatore e considera come inesistenti le sue esigenze o proibizioni, a dispetto di qualsiasi conseguenza penale. La resistenza attiva importa invece un'opposizione positiva alla legge, un movimento per lo più organizzato per fare ostacolo all'applicazione effettiva della legge e combatterla. E ciò in due modi : o con mezzi legali o con la forza armata.
Esaminiamo dapprima la questione della resistenza passiva. Essa si presenta sotto due aspetti diversi, secondo che si tratta di leggi ingiuste, perchè comandano qualcosa di peccaminoso in sè, qualche atto intrinsecamente cattivo, o di leggi ingiuste unicamente, perchè oltrepassano il diritto del legislatore, comandando egli, per esempio, una cosa, a cui non ha diritto.
In questo secondo caso, quando cioè il legislatore impone ai cittadini una cosa che non è intrinsecamente cattiva, ma la impone ingiustamente, contro ogni diritto, come sarebbe l'obbligo di pagare un tributo non dovuto, la resistenza passiva è sempre permessa. Ai cittadini è lecito non sottomettersi, perchè la legge emanata non ha valore, non è legge, ma corruptio legis, secondo l'energica espressione di S. Tommaso. Qualche volta però una saggia prudenza potrà consigliare di adattarsi alle esigenze della legge ingiusta per evitare danni più gravi che non i rigori della stessa legge (14) .
Quest'atteggiamento di ubbidienza ad una legge ingiusta, che prescrive cose non intrinsecamente cattive, non è tuttavia imposto dalla legge ingiusta, ma dal pericolo dei mali, che potrebbero derivare dalla disubbidienza ; è piuttosto la legge naturale che in questo caso obbliga ad ubbidire. Al contrario può anche accadere che speciali circostanze ci persuadano di usare del nostro diritto di resistenza. Se per esempio anteriori sottomissioni a leggi ingiuste non fecero che incoraggiare i legislatori a commettere nuove ingiustizie, tale fatto costituisce per i cittadini una ragione che li autorizza a trascurare i danni e i turbamenti sociali e impone loro l'obbligo di disubbidire.
La resistenza passiva bene organizzata, e praticata da un gran numero di persone e da collettività e classi di cittadini, renderà qualche volta molto difficile l'applicazione di certe leggi e obbligherà il legislatore a ritirarle.
Spesso solenni bandi legislativi furono colpiti di impotenza e caddero in desuetudine, grazie all'astensione calcolata di persone e di gruppi, che il legislatore avrebbe voluto colpire.
La resistenza passiva diventa invece sempre obbligatoria nel caso in cui si tratti di leggi che ordinano un'azione o un'omissione intrinsecamente cattiva. Ad un comando, contrario alla legge naturale o alla legge positiva di Dio, non è mai lecito ubbidire. L'insegnamento cattolico è chiarissimo su questo punto e non ammette alcuna distinzione tra obbligo giuridico e obbligo morale. Uno solo è l'cbbligo vero : l'obbligo di coscienza la cui trasgressione è peccato (15) . « Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini » in queste parole pronunziate da S. Pietro davanti al Sinedrio, è tracciata la condotta che devono tenere i cattolici di fronte a leggi peccaminose (16) . Così agirono gli Apostoli e , dietro il loro esempio, i martiri cristiani di tutti i secoli, che affrontarono i tormenti e la morte stessa anzichè operare contro i dettami della coscienza. « Qualche volta, dice S. Agostino, le potenze della terra sono buone e temono Dio ; altre volte esse non lo temono. Giuliano era un imperatore infedele a Dio, un apostata, un perversɔ, un idolatra. I soldati cristiani servirono questo imperatore infedele. Ma appena si trattava della causa di Gesù Cristo, più non conoscevano se non Colui che è nei cieli . Giuliano loro intimava di onorare gli idoli e incensarli : essi mettevano Dio al di sopra del principe » (17).
S. Tommaso esprime il pensiero dei teologi cattolici quando afferma risolutamente che « tales leges nullo modo observare licet » : in nessun modo è permessa l'osservanza di leggi che vanno contro la coscienza (18) . Il pensiero della Chiesa è riassunto magistralmente da Leone XIII nelle sue classiche Encicliche. Se si pretende, dice egli, qualche cosa dai cittadini, che apertamente ripugni al diritto naturale o divino, essi non devono ubbidire, « perchè in tutte le cose neile quali si viola la legge di natura o la volontà di Dio, è ugualmente iniquità tanto il comandarle quanto l'eseguirle. L'autorità è nulla quando non vi è giustizia » (19). E altrove ripete : «Quando manchi il diritto di comandare o il comando si opponga alla ragione, alla legge eterna, al comando divino , allora il disubbidire agli uomini per ubbidire a Dio, diventa un dovere» (20). E più fortemente ancora insiste nella Enciclica Sapientiae Christianae : « Se le leggi dello Stato apertamente siano contrarie al diritto divino, se impongano offese alla Chiesa e contrastino con i doveri religiosi, o manomettano l'autorità di Gesù Cristo nel suo Vicario, allora è dovere il resistere, è colpa l'ubbidire» (21).
Gli stessi popoli pagani riconobbero, per mezzo dei loro più autorevoli interpreti, questa verità. Sofocle ci tramanda l'episodio di Antigone, la quale si rifiuta di eseguire l'ordine di Creonte che le proibiva di seppellire il fratello Polinice, perchè tale comando era contrario alla legge naturale e al volere eterno degli dèi. « Queste tue leggi , dice Antigone al sovrano, non furono proclamate nè da Giove nè dalla giustizia coabitatrice delle divinità infernali... Ed io non pensavo che i decreti di un mortale, come sei tu, potessero avere tanta forza da prevalere contro le leggi non scritte, opera immortale degli dei. Perchè queste leggi non sono nè di oggi nè di ieri, ma sempre esistono e vivono, e nemmeno si conosce la loro origine. «Dovevo io, per timore delle minacce di un uomo, trasgredire queste leggi e incorrere nella vendetta degli dèi?» (22) . Socrate, nella sua difesa, afferma che l'attività del suo insegnamento è una vocazione impostagli da Dio, al quale egli non può mostrarsi infedele per ubiridire a leggi umane. Secondo Cicerone, la legge naturale nɔn può essere abolita ‹ eliminata da alcun voto del senato o da qualsiasi plebiscito ad essa devono sottostare tutti i popoli di tutti i tempi (23). In generale dalla sapienza profana antica si riteneva come massima suprema quella di «ubbidire a Dio» e di non fare nulla, anche nella vita pubblica, che si opponesse alla volontà degli dèi» (24).
Più complessa appare la questione della resistenza attiva, non tanto dal punto di vista teoretico quanto nel suo esercizio e nella sua pratica attuazione. Essa può prendere, come abbiamo detto , due forme diverse, può essere cioè legale o violenta. Conviene studiarle separatamente.
La resistenza legale si compie sul terreno e nell'ambito delle leggi, con mezzi onesti, in quei modi che sono permessi dai poteri pubblici. Non può sorgere alcun dubbio sulla legittimità e spesso sul dovere di tale resistenza. E' legittimo e doveroso cercare d' impedire o di eliminare le ingiustizie della Jegge, con pubbliche riunioni, con petizioni e proteste, con energico interessamento elettorale, ricorrendo anche, quando è possibile, ai tribunali. La stampa quotidiana e periodica, gli articoli di giornali e gli opuscoli di propaganda, sono mezzi di una speciale efficacia per illuminare l'opinione pubblica, per far conoscere il carattere iniquo della legge e mostrarne gli effetti funesti alla pace della società, alla libertà degli individui, alla religione e alla morale. Purtroppo non di raro il trionfo di una legge ingiusta e la conseguente oppressione di un popolo sono dovuti all'indifferenza e all'inerzia dei cittadini che non sanno o non vogliono organizzarsi e lottare, che rifuggono per timore e viltà dall'affrontare generosamente i sacrifizi imposti da ogni nobile causa e da ogni santo apostolato.
Questa resistenza attiva legale entra nel programma dell'azione sociale dei cattolici e spesso viene loro ricordata e raccomandata dall'autorità della Chiesa, specialmente nell'imminenza di qualche sopruso da parte del potere politico e quando incombe la minaccia di leggi sovversive dei principii di moralità e di religione. Leone XIII nell'Enciclica Sapientiae Christianae, esortando i cattolici a valersi dei loro diritti e ad opporsi alle ingiustizie delle leggi, deplorava giustamente la condotta di coloro che « non vorrebbero resistere a fronte scoperta, temendo che la resistenza inacerbisca gli animi degli avversari » . E soggiungeva : « Quelli che amano la prudentiam carnis, la falsa prudenza del mondo, che fingono di ignorare che ogni cristiano deve essere buon soldato di Cristo e presumono conseguire i premi dovuti ai vincitori per sentieri fioriti e senza combattere, lungi dal tagliare la via ai mali, non fanno che spianarla » . E quando i cittadini esercitano questo loro diritto di opposizione e si uniscono per combattere con tutti i mezzi legali e onesti una legislazione ingiusta, nessuna persona onestà li potrà biasimare o accusare di ribellione e di mancanza di rispetto all'autorità. Essi compiono allora un atto altamente lodevole e patriottico, perchè la grandezza e l'onore della patria dipende dalla onestà e giustizia delle sue leggi. « Spiegare la propria attività, dice ancora Leone XIII, e giovarsi della propria influenza per condurre i governi a cambiare in bene le leggi inique o insipienti, lungi dall'indicare ombra di ostilità verso i poteri incaricati di reggere la cosa pubblica, è per l'opposto dare prova di un amore alla patria non meno intelligente che coraggioso. A chi cadrebbe in animo di tacciare i cristiani dei primi secoli di nemici dell'impero romano, solo perchè non si curvavano dinanzi alle prescrizioni idolatriche, ma si sforzavano di ottenerne l'abolizione ? » (25).
Più delicato e difficile è il problema della resistenza attiva armata, di quella resistenza che ricorre alla forza per opporsi e difendersi da leggi ingiuste e per abbattere un potere oppressore e tirannico. E' lecito, secondo la dottrina cattolica, questa resistenza ? Una società sfruttata e spossata da oppressori svergognati, da reggitori crudeli, ha il diritto di difendersi, come un viandante assalito da una banda di malfattori? Se ad un uomo si mette ingiustamente un piede sul collo e si tiene schiacciato a terra, egli ha certamente il diritto di alzare il capo e buttare all'aria chi lo calpesta. Non potrà la società oppressa valersi dello stesso diritto e scuotere il giogo dell'oppressione, liberandosi di ccloro che ne conculcano i più sacrosanti diritti e la tengono miseramente schiava? La risposta ad un prossimo articolo.
P. A. ODDONE S. I
Note:
(1) Matteo, XXII, 21.
(2) Rom., XIII, 1-7 .
(3) I Tim. , II, 1-2.
(4) Tito, III, 1.
(5) I Pet. , II, 13-17.
(6) I Apol. , n. 17.
(7) I Apol. , n. 17.
(8) ALLARD, Storia delle persecuzioni, Vol. I, cap. V, p. 266.
(9) LEONE XIII , Sapientiae christianae.
(10) LEONE XIII , Diuturnum.
(11) « Omnis lex humanitus posita in tantum habet de ratione legis in quantum a lege naturae derivatur. Si vero in aliquo a lege naturae discordet, iam non erit lex, sed legis corruptio ». ( S. TOMMASO, I - II , q. XCV, a. 2) . ,
(12) Nel dubbio sull'ingiustizia di una legge, la presunzione è in favore del legislatore (SUAREZ, De Legibus, I , cap . IX, 11 ) .
(13) Civ. Catt. , Serie V, Vol. 8, p. 29.
(14) Unde tales leges (injustae) non obligant in foro conscientiae, nisi forte propter vitandum damnum vel turbationem: propter quod etiam homo iuri suo debet cedere » (S. TOMMASO, I - II, q. XCVI, a. 4).
(15) CATHREIN, Filosofia Morale, Vol. I , p. 504.
(16) Atti, V. 29.
(17) Enarr. in Psalm. CXXIX, n. 7.
(18) S. TOMMASO, I - II , q . XCVI, a. 4. Cfr. SUAREZ, De leg. , 1. I, c. 9. n . 16.
(19) Enciclica Diuturnum.
(20) Enciclica Libertas.
(21) Questa resistenza alle leggi ingiuste presenta esempi illustri anche nell'Antica Legge. Si ricordino, tra gli altri, gli uomini giusti che si rifiutarono di adorare la statua del re Nabuchodonosor, il vecchio Eleazaro, i gloriosi fratelli Maccabei.
(22) Antigone, vv. 450-460 . Cfr. Ediz. ROCCI.
(23) De Leg. , 1. II , c. 4. Cfr. LATTANZIO, Institutiones, VI, 8.
(24) CATHREIN, Filosofia Morale, Vol. I , p. 505.
(25) Lettera Notre consolation ai Cardinali francesi, 3 maggio 1892. Nell'Enciclica Officio sanctissimo lo stesso Pontefice scrive : « No, non sarà giusto accusare nessuno e biasimare i cattolici, che ricorrono a simili mezzi. Degli stessi mezzi si valgono i nemici del nome cattolico per ottenere dai governi leggi contrarie alla libertà civile e religiosa : perchè non sarà permesso ai cattolici servirsene nella maniera più onesta, nell'interesse della Religione e per la difesa dei beni, dei privilegi e dei diritti, che sono stati divinamente concessi alla Chiesa cattolica e che devono essere rispettati da tutti, governanti e sudditi ? ».
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