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SÌ SÌ NO NO - SAN PIO X: “RISPONDO PUNTO PER PUNTO”




 Il 14 ottobre del 1911 san Pio X scrisse una Lettera di risposta (intitolata “Rispondo punto per punto” al Vescovo di Cremona mons. Geremia Bonomelli[1], che per il suo 80mo compleanno aveva inviato (con una lettera di accompagnamento) in omaggio a san Pio X un suo recente libretto[2] su tre Senatori italiani:

Thaon di Revel, Tancredi Canonico e Antonio Fogazzaro, che era stato condannato per modernismo dallo stesso san Pio X.

Nella sua Lettera di risposta papa Sarto esprime stupore e disappunto per il fatto che il Vescovo di Cremona presenta la vita e le opere di tre personaggi in odore di modernismo, di cui uno condannato formalmente, senza esprimere nessun giudizio sulla loro ortodossia dottrinale. Quindi San Pio X rinnova la condanna del modernismo con parole molto forti e risponde all’accusa rivoltagli dal Bonomelli di essere troppo severo nei confronti del modernismo e dei modernisti. Infine affronta il problema della “Questione romana” sollevata dal Bonomelli nella sua lettera.

Vediamo il testo della Lettera di San Pio X.

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Innanzi tutto il Papa lamenta che nello scritto del Bonomelli sui tre Senatori, noti alla opinione pubblica e alla storia per le loro teorie liberali, filo/risorgimentali e modernistiche, “non si sia voluto fare apprezzamenti sui loro scritti e sulle loro opere”[3]. Il Papa osserva giustamente: “mi pare che specialmente un Vescovo dovrebbe dire qualcosa di più”[4]. Ossia è dovere del Vescovo prendere posizione sulla ortodossia o eterodossia dei personaggi che presenta al pubblico, altrimenti fa credere ai fedeli che nulla di inesatto vi sia nei loro scritti e nelle loro opere, mentre la S. Sede già si è pronunciata su di loro (e specialmente sul Fogazzaro) condannandoli per una forte venatura di modernismo.

 

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San Pio X, poi risponde al Bonomelli che ha avuto l’ardire di raccomandargli “moderazione nelle disposizioni contro il modernismo”[5].

Il Pontefice distingue “moderno come fonte di studi severi dal modernismo”[6], che è cloaca di tutte le eresie (Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907) e perciò “Mi meraviglio – continua papa Sarto – che voi troviate eccessive le misure prese dalla S. Sede per trattenere la fiumana, che minaccia di dilagare, mentre l’errore modernista che si vuol diffondere ai nostri giorni, è ben più micidiale di quello dei tempi di Lutero, perché tende direttamente alla distruzione non solo della Chiesa (come voleva Lutero), ma del cristianesimo”[7].  

Si noti, innanzi tutto, il verbo “trattenere” usato da San Pio X che è il medesimo impiegato da San Paolo nella 2a Epistola ai Tessalonicesi (II, 3-4) per indicare l’ostacolocolui che trattiene o il katéchon, la forza che trattiene l’Anticristo finale dal regnare sul mondo intero: «Nessuno vi inganni [come se la seconda venuta del Signore sia imminente]. Infatti prima dovrà venire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e si innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, sino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio».

Sant’Agostino dice che l’apostasia è la separazione da Roma dei popoli che prima tutti le erano soggetti e San Tommaso d’Aquino (Commento alla II Epistola ai Tessalonicesi II, 3-4 capitolo 2, lezione 1, n. 34-35) chiarisce che, come dice papa Leone nel sermone “de Apostolis", «l’ impero romano non è venuto meno, ma si è trasformato da temporale in spirituale. Perciò bisogna dire che l’ apostasia dall’ impero romano si deve intendere non solo da quello temporale, ma anche da quello spirituale, cioè dalla fede cattolica della Chiesa romana». Sempre San Tommaso d’ Aquino (opuscolo 68 De Antichristo, nell’edizione di Parma, 1864) riafferma che “l’ostacolo” alla manifestazione dell’ Anticristo è la sottomissione alla Chiesa romana e che “colui che lo trattiene” è il Papato.

Inoltre San Pio X mette ben a fuoco la gravità dell’apostasia modernista, che 1°) distrugge soggettivisticamente la natura stessa della religione cristiana; 2°) fa di Cristo un mito dei primi cristiani; 3°) del cristianesimo fa una ideologia inventata da Paolo di Tarso e dalle prime comunità fondate da lui; 4°) di Dio fa un ente logico cioè un’idea prodotta dal bisogno del sentimento religioso dell’uomo, mentre Egli è l’Essere perfettissimo realmente ed oggettivamente esistente al di fuori della mente umana.

“Di fronte ad un male così grave – riprende San Pio X – non sono mai troppe le precauzioni, che prevenendo mettono in guardia senza far male a nessuno ed applicando poi con indulgenza e benignità le pene dovute”[8].

In breve la S. Sede avvisa i fedeli di non aderire a certe teorie, li previene, li mette in guardia, di modo che solo colui che vuol disprezzare le ammonizioni della Chiesa viene poi condannato: le disposizioni contro il modernismo in sé “non fanno del male a nessuno”, soltanto i battezzati che aderiscono al modernismo sono condannati per loro colpa e non per la eccessiva severità della Chiesa.

 

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Bonomelli aveva scritto a papa Sarto: “con le vostre disposizioni così severe, farete o degli apostati o degli ipocriti”[9].

San Pio X ribatte: “abbiamo, purtroppo, degli apostati [i modernisti volontari e quindi colpevoli, ndr], ma non resi tali dalle leggi contro il modernismo, e li compiangiamo; avremo degli ipocriti, e peggio per loro; ma non avremo almeno nel Clero dei maestri e dei predicatori dell’errore modernista, che condurrebbero in breve tutto il mondo all’apostasia”[10].

Chi rende tale l’apostata e l’ ipocrita, dunque, non è San Pio X, ma la cattiva volontà del battezzato che abbraccia il modernismo apertamente e defeziona oppure colui che interiormente è modernista, ma non lo palesa in pubblico per restare dentro la Chiesa e modernistizzarla dal di dentro. San Pio X si preoccupa solo di non permettere al Clero di insegnare l’apostasia modernistica e quindi di traviare tutti i fedeli.

 

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Infine il Papa risponde ad una domanda sibillina del Bonomelli, che addolora San Pio X. Il Vescovo di Cremona ha chiesto di “mettere fine al dissidio che c’è in Italia, alla lotta tra Stato e Chiesa [dopo il XX settembre del 1870, ndr], aggiungendo che basterebbe una parola del Papa per salvare tante anime”[11].

San Pio affronta faccia a faccia mons. Bonomelli e lo fa uscire allo scoperto, scrivendogli: “qual è questa parola prodigiosa che vi attendete da me? […]. Per parlare in termini chiari: [vi aspettate] la rinuncia al potere temporale della Chiesa?”[12].

E qui richiama la dottrina della Chiesa sul potere temporale, ribadita costantemente da Pio IX e da Leone XIII in numerosissime Encicliche. Il potere temporale è un mezzo che la Provvidenza ha voluto assegnare alla Chiesa affinché potesse mantenere la sua indipendenza spirituale, dottrinale e morale di fronte ai poteri umani che si son succeduti nei secoli. Come l’uomo ha bisogno di una casa sua per non dipendere da altri, così la Chiesa ha bisogno di uno Stato suo proprio per essere padrona “a casa sua”. Quindi Pio X, come Pio IX, “non può, non deve e non vuole” rinunciare a ciò che Dio ha dato “per tanti secoli come baluardo alla libertà della Chiesa. […]. Perché non è al potere temporale che si fa la guerra, ma a quello spirituale”[13]. Questo ha insegnato costantemente il Magistero pontificio, al quale anche mons. Bonomelli deve dare il suo assenso[14].

Alla istanza del Bonomelli di fidarsi delle guarentigie (garanzie) che il Governo italiano ha promesso alla Chiesa, Pio X risponde che non ci si può fidare di garanzie “assicurate da un governo schiavo della setta [la massoneria, ndr] e che si cambia ogni mese”[15].

Quindi è il Papa che fa una domanda esplicita al Bonomelli: “Ora vi domando se nelle presenti circostanze dopo una prova di quarant’anni, nei quali tutti i Governi d’Italia che si succedettero, hanno trattato la S. Sede e il Papa peggio assai di quel che avrebbe fatto il più accanito avversario, sia possibile pronunciare la parola che voi suggerite”[16].

Per concludere San Pio X ricorda al Bonomelli che “nessuno più del Papa ama davvero l’Italia, ma l’Italia che non sia schiava delle sette, l’Italia che risponde alla missione che le ha data la Provvidenza di essere la prima Nazione del mondo, perché sa apprezzare come merita il privilegio di avere nel suo seno il Papato”[17].

La questione, per San Pio X, non è l’Italia, ma il Governo sabaudo, che è schiavo della setta massonica e persegue il fine di distruggere non solo lo Stato del Papa, ma, se fosse possibile, anche la stessa Chiesa di Cristo.

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Al termine di questa lettura ognuno potrà constatare quanta ragione ebbe San Pio X di lamentarsi, prima di morire, di non essere stato coadiuvato dai Vescovi nella sua lotta contro il modernismo. I Vescovi, infatti, erano o modernisti o filo modernisti oppure alcuni, come confessò poi di se stesso Benedetto XV, non avvertivano la gravità del pericolo (v. Disquisitio del francescano Ferdinando Antonello incaricato da Pio XII di far luce sull’ attività “repressiva” di cui San Pio X fu accusato anche durante il processo di beatificazione e di canonizzazione). È questo episcopato modernista o indocile ed incosciente che ha preparato il trionfo del Vaticano II.

Basilius

 

[1] Nato nel 1831 e morto nel 1914, fu Vescovo di Cremona. Nel 1904 inviò a S. Pio X un Memoriale in cui propugnava l’avvicinamento tra scienza e fede, tra Governo italiano e Chiesa. Nel 1889 aveva scritto un articolo intitolato Roma e l’Italia sulla Rassegna Nazionale in cui si pronunciava a favore di una riappacificazione tra Chiesa e Stato mediante la rinuncia della Chiesa al potere temporale. Il 13 aprile 1889 il suo articolo venne messo all’Indice degli scritti proibiti e mons. Bonomelli si sottomise (ma solo esteriormente come dimostrano le lettere poi inviate a San Pio X). Cfr. G. Astori, San Pio X e il vescovo Geremia Bonomelli, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, n. X, 1956, pp. 255-259.

[2] Profilo di tre personaggi italiani e moderni, Milano, Cogliati, 1911.

[3] Tutte le Encicliche e i principali Documenti pontifici emanati dal 1740, a cura di U. Bellocchi, vol. VII, Pio X (1903-1914), Città del Vaticano, LEV, 1999, p. 467.

[4] Ivi.

[5] Ivi.

[6] Ivi.

[7] Ivi.

[8] Ivi.

[9] Ivi.

[10] Ivi.

[11] Ivi.

[12] Ibidem, p. 468.

[13] Ivi.

[14] Cfr. Pio IX, Lettera Tuas libenter, 1863 sull’obbligatorietà del magistero costantemente insegnato.

[15] Ivi.

[16] Ibidem, p. 469.

[17] Ivi.

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