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LA CIVILTÀ CATTOLICA 1894: FRATERNITÀ CRISTIANA E FRATERNITÀ UMANITARIA



La Civiltà Cattolica anno XLV, serie XV, vol. IX, Roma 1894 pag. 5-15.

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

I.

Nel santuario di quel tempio della menzogna, che è il liberalismo, arde sempre il candelabro dai tre bracci, esprimenti i tre così detti immortali principii, della libertà, della egualità e della fraternità, che compendiano le dottrine della democrazia, sorta in Francia nel 1789. Al lume di questa triplice fiaccola, gli adoratori del dio-umanità s'inchinano venerabondi e sciolgono gl'inni ed i cantici, che rintronano ovunque la civiltà moderna ha soppiantata l'antica.

Ma le plebi, avvistesi che, dopo un secolo di prova, la libertà dura ad essere una chimera e l'egualità un sogno, si sono date a credere che dalla fraternità si possa trarre qualche costrutto che non riesca, come la libertà e l'egualità, ad una beffa crudele. Ed i custodi del tempio e del candelabro, gelosi che la luce non finisca di spegnersi a loro danno, alimentano in queste plebi viva speranza, che conseguiranno e libertà ed egualità appunto per mezzo di quella fraternità, la quale deve accomunare a ciascuno i diritti di tutti, e coi diritti i beni materiali del mondo.

Per tal guisa dalla fratellanza civile, che inventò la ghigliottina in Francia e bagnò di sangue gran parte dell'Europa, siamo passati alla fratellanza sociale od umanitaria, che forse presto la farà danzare a suon di scoppii di dinamite, secondochè i Congressi de' suoi apostoli e gli esperimenti del Ravachol e del Vaillant fanno presentire.

Come dunque abbiamo, l'una in contrasto coll'altra, due civiltà, la nuova e l'antica, così abbiamo due fratellanze che le rappresentano, o più tosto le costituiscono, la cristiana e la umanitaria; e dal finale prevalere dell'una o dell'altra dipenderà senza dubbio l'ordine od il disordine, la pace o lo scompiglio delle nazioni.

Se non che l'esperienza sinora fattane indica già a qual termine ambedue conducano. La storia dei venti secoli di cristianesimo e dell'appena unico di liberalismo umanitario parla da sè. Questa pratica lezione avrebbe da bastare al disinganno delle turbe, ignoranti sempre ed insaziabili di ciurmerie, che faccian loro vedere la luna nel pozzo. Eppure non è così. La ignoranza e la melensaggine odierna raggiungono un tal grado, che rende necessario dimostrare proprio quello che, per la sua fulgidezza, è indimostrabile.

II.

La fraternità cristiana si fonda primieramente nella comunanza della natura, la quale a tutti e singoli gli uomini proviene dagl'identici progenitori, da Adamo e da Eva. Questo fatto, rivelato da Dio, nel libro della Genesi, affinchè non se ne perdesse giammai la memoria, comprova il vincolo di sangue che lega ogni uomo coll'altro; giacchè per molto che le generazioni, coll'andare dei secoli, si siano discostate dal primitivo ceppo e variamente si sieno propagate, sta sempre fermo che tutta intera la umana famiglia, da queste generazioni formata, risale ad un unico padre e ad un'unica madre; la quale altresì fu tratta dalla carne e dalle ossa di colui che fu primo padre, acciocchè da lui solo tutta quanta la umana stirpe, senza niuna eccezione, procedesse.

Per lo che la verità cristiana c'insegna, che non pure ciascun uomo partecipa per l'essere suo della medesima specie, nel che è naturale somiglianza; ma vi partecipa per la originale derivazione da un unico individuo, nel che è naturale fratellanza.

Or ecco il liberalismo umanitario levarsi contro questo fatto indubitato, per addietro non mai controverso, e nel nome di una scienza da gabbamondo oracolare: — Favole! ciance! Gli uomini non sono fratelli in Adamo, supposto padre comune di tutti; ma fratelli, per la similitudine che hanno fra loro, in virtù della legge di progresso o di trasformativa selezione, che dal mollusco ha fatta uscire la scimmia e dalla scimmia la specie perfezionata, che si chiama uomo. Quanti sieno i progenitori della umana massa vivente, niuno può dirlo, come niuno può assegnare il numero dei secoli trascorsi, a fare che il mollusco a grado a grado diventasse uomo. Il caso è che tutti gli uomini al presente sono simili, quale che sia l'antichità delle stirpi che popolano il globo, e la quantità delle coppie, dalle quali successivamente le stirpi sono state prodotte. Alla fraternità umanitaria basta il fatto di questa loro coesistenza e di questa rassomiglianza: dell'origine non si cura, in quel modo che non si cura di dommi, nè di mitologie.

Bene sta: ma intanto il liberalismo non bada che esso, colla genesi della sua fraternità, propone a credere il domma più assurdo che cervello di mentecatto potesse creare, e la mitologia più futile che esporre si possa ai bimbi. Non si tratta qui per noi di andar fuori del seminato, provando la fatuità di tanto paradosso. Si tratta solo di far toccare con mano che, surrogandolo alla verità del fatto storico, presentato dal Cristianesimo, annienta il natural vincolo della umana fratellanza, che è la partecipazione dell'identica specie, per l'identico ceppo d'onde si è propaginata. Quindi al posto della fratellanza di natura mette la fratellanza di chimera.

III.

Partendo dal vero fatto dell'origine primitiva, il Cristianesimo, con ben altro nodo che il naturale, stringe gli uomini in nobilissima fraternità. Mostratili decaduti, per colpa dei progenitori, dallo stato sovranaturale in cui erano costituiti, li mostra pure rilevati alla pristina condizione dall'opera di Dio medesimo che, assunta la loro natura, in questa si affratella con essi; e morendo per essi li torna capaci dell'eterna eredità, per la propria sua figliuolanza adottiva che loro ridona. Il Dio creatore vuol essere anche riparatore, ut familiarius diligatur, come nota il grande Agostino; affinchè in lui gli uomini abbiano il centro di una più famigliare fraternità. Di fatto, in virtù di questa riparazione, essi divengono tutti fratelli nel Dio-Uomo redentore, novello Adamo che li rigenera: fratelli nel suo Padre celeste, alla cui adozione li sublima: fratelli nella Vergine sua Madre, Eva novella, alla quale li commette in figliuoli; accomunando così a loro, in diverso modo, e il Padre divino e la Madre umana: fratelli per la partecipazione dei medesimi beni, nell'ordine della grazia e nell'ordine della gloria: fratelli per l'incorporamento alla medesima Chiesa, famiglia sua nella terra, della quale egli resta sempre l'invisibile Capo, rappresentato dal Capo visibile, Padre al tempo stesso di tutti: fratelli finalmente pel legame della carità, la quale egli vuole che tutti li unisca fra loro, mettendo sè nella persona di ciascuno, affinchè ciascuno fraternamente ami lui negli altri e gli altri in lui rispetti, benefichi e soccorra.

Questa è sommariamente la fratellanza dal Cristo Uomo-Dio, colla sua venuta, introdotta fra gli uomini e col suo Vangelo stabilita. Che altro di più eccelso può divisarsi? Che di più vantaggioso al vivere sociale nella terra ed al vivere beato oltretomba?

Eppure il liberalismo umanitario, che pazzamente pretende sciogliere nella umanità, fin dalla origine sua, qualunque vincolo di naturale attinenza, molto più stoltamente rigetta questo vincolo di soprannaturale fraternità. Nega quindi, non che l'Uomo-Dio e tutta l'opera della redenzione, ma Dio stesso; in cui luogo pone non sa nemmen esso che, la materia bruta, le forze cieche, il caso, il nulla, quel che garba al cervello di ognuno; solo che non sia il Dio vero, il Dio vivo, il Dio personale, il Dio Autore e Signore del creato. E con tutto ciò predica la fraternità, esalta la fraternità, e si arroga di potere ordinare un mondo felice, perchè tutto raccolto nell'amore di una sua nuova fraternità.

E quale sarà mai questa? La cristiana quale sia e quai beni d'inestimabile pace abbia fruttati e frutti all'umana generazione lo sappiamo, lo vediamo, lo palpiamo. Ma quali l'umanitaria le abbia fatti godere, proprio non si sa.

IV.

Si tolse da principio ad incielarla cogl'idillii, colle egloghe e coi madrigali. L'amore universale e l'universale tenerezza si magnificarono con clamorosa pompa di frasi. Si finse che i popoli, liberi da ogni impaccio di fede religiosa, si sarebbero, per effetto di un attraimento quasi magnetico, gittati gli uni nelle braccia degli altri. Questo scoppio di amoroso delirio fu un'arte del giudaismo, ispiratore della potenza occulta che commoveva la gente, per farsi comprendere nell'amplesso fraterno, dal quale sarebbe nata l'eguaglianza civile, e con essa quella emancipazione della sua stirpe, che diverrebbe poi fondamento del suo predominio sopra i cristiani. Di fatto tra quegli sdilinquimenti e struggimenti dei cuori, si gridava sì: — Tutti gli uomini sono fratelli: — ma se ne eccettuavano i tiranni. E questi chi erano poi alla fine? Erano i re, erano i principi, erano i nobili, erano i preti. Questi venivano esclusi dall'abbracciamento fraterno, perchè s'avevano a mettere al bando dell'umanità; s'avevano a riguardare per nemici dell'uomo. Erano essi l'ostacolo più poderoso, che il giudaismo incontrasse ad ottenere la sospirata emancipazione.

L'ostacolo fu vinto. I giudei, nella Francia ove sbocciò la nuova fraternità, sortirono l'intento e furono civilmente affratellati ai cristiani; o per meglio dire fecero sparire dalle leggi la fratellanza cristiana, ed intronizzarono la moderna e massonica, come corollario della nuova libertà e della nuova eguaglianza. Ma non appena si videro così affratellati ai cristiani, tutte le dolcezze e le teneritudini cessarono. La fraternità non si volle più persuadere colla rettorica, ma imporre colla forza. I giacobini se ne fecero apostoli, usando il dilemma: — O fraternità, o morte: o l'amplesso fraterno, o la ghigliottina. Voi sarete nostri fratelli; intimarono ai ritrosi; purchè operiate come noi, e pensiate come noi. Siete tutti liberi, siamo tutti uguali: ma se non aderite a noi, voi ci divenite sospetti, e perciò vi mettiamo a discrezion del carnefice — Ecco in qual guisa la fraternità umanitaria entrò nel mondo, a cacciarne la cristiana. Vi fu guidata dal giudaismo, accompagnata dall'impostura e coronata per man del boia.

V.

Via via che si è impadronita dei popoli cristiani e vi ha dilatato il suo regno, questa fraternità, spentovi ogni senso di carità, non vi ha disseminato se non l'odio, l'invidia e la discordia. «Nè c'è da meravigliarsi; scriveva testè un ebreo in Roma. Questa fine di secolo è tutta una ipocrisia. C'è chi predica l'amore del popolo, e lo sfrutta; c'è chi parla di patriottismo, e per interesse lo rinnega; c'è chi invoca l'onestà, e mercanteggerebbe le cose più nobili e sante per trarne denaro [1].» Dopo cent'anni d'influssi costanti e crescenti, perfino i giudei che ne godono l'utile migliore, sono sbigottiti delle sue conseguenze. Politicamente la fraternità umanitaria ha prodotta la pace armata, che tiene le nazioni l'una in ira all'altra, ed in procinto sempre di azzuffarsi insieme e di recarsi l'ultimo sterminio. Socialmente poi ha causata la così detta lotta per l'esistenza, per cui virtù si avvera alla lettera l'homo homini lupus, stimato già paradosso di fantasia immalinconita.

Di fatto noi abbiamo due terzi della società civile in punto sempre di scagliarsi contro l'altro terzo, del quale agogna appropriarsi gli agi o le ricchezze. Ed i due terzi stessi, d'accordo nel proposito di spossessare l'altro terzo, sono poi tra loro in perpetua gara e inimicizia.

Appunto nei giorni dell'andato agosto, nei quali il Congresso umanitario dei socialisti di Zurigo ribadiva la massima che, se non i borghesi, certo gli operai dell'universo mondo si hanno da considerare come fratelli e debbono concorrere alla comune redenzione, ecco avvenire il fraterno macello di Aigues-Mortes e sorgere in Francia la controversia, se si abbiano o no da far partecipare al lavoro dei francesi gli operai stranieri.

Osservava giustamente il giornale dei Débats che, quasi per uno scherno della sorte, «questa levata di scudi contro il lavoro dei forestieri, si faceva nell'ora stessa in cui i caporioni politici del partito operaio andavano in solluchero, perchè mai la fraternità tra i lavoranti europei non era stata più stretta, nulla ostante le frontiere e le idee antiquate di patria [2]

Guerra dunque e non altro che guerra fratricida è germogliata dalla fratellanza del liberalismo umanitario: guerra tra un ordine ed un altro di cittadini d'un medesimo paese, e guerra tra i membri di uno stesso ordine di cittadini. L'ironia più strana di questa fratellanza, che subito dopo le stragi d'Aigues-Mortes siasi ammirata, è quella dello strepitoso Congresso dei lavoratori, celebratosi il settembre scorso in Reggio-Emilia. Per ricordo di esso, si è coniata una medaglia di piombo, da una cui parte è posto in rilievo un uomo di forme erculee, armato di accetta, che ne calpesta un altro; e sottovi scritto: Lavoro ed eguaglianza. L'uomo calpestante rappresenta l'operaio, e l'uomo calpestato rappresenta il borghese. Questo lavoro di calpestamento mostra l'eguaglianza, a cui la fraternità umanitaria finalmente aspira.

VI.

E si noti, che la bella fratellanza, così al vivo espressa in tale simbolo, non solo è stata generata dal liberalismo ripudiatore della fratellanza cristiana, ma da esso è stata nutricata, co' suoi metodi di malgoverno dei popoli delusi. Questo liberalismo, da un secolo in qua, è il palladio della borghesia, la quale se ne serve per guastare ed opprimere le plebi, che si è studiata di tener quiete e soggette a sè, coll'offa [= compenso offerto a persona avida per ottenerne il silenzio e la complicità N.d.R.] appunto di una fratellanza, la quale avrebbe la libertà e l'equità per legami. La stirpe dei ciurmadori che l'ha composto, con finte di plebisciti e di elezioni, si è fatta anima delle turbe nella scelta dei Governi, che poi ha presi per sè; e quindi, ingrassata e contenta, ha dato un calcio al popolino che, come scala, gli è valso a salir sublime; ed ha calpestate quelle turbe, delle quali aveva sollecitato il suffragio. Ma il giuoco non è riuscito a bene.

Ora il popolino sta giurando di calpestare alla sua volta la borghesia traditrice; ed a quest'uopo, invoca i tre mistici bracci del candelabro ardente nel tempio dell'umanitarismo, nei quali appoggia il suo diritto.

Napoleone Gioacchino Pepoli, il 23 giugno del 1868, chiariva al senato questa verità, con chiedere: «Che è l'arte della finanza oggi, e non soltanto dell'Italia io parlo? Essa è l'arte di saccheggiare i popoli, sotto la ditta: Libertà, fratellanza ed uguaglianza [3].» Per confessione dunque di chi ha saputo maneggiare da maestro la menzogna liberalesca, i grandi principii di quella rivoluzione, che ha mirato a demolire il Cristianesimo, non sono stati se non un'arte infame di saccheggiare i popoli. Al presente i popoli l'hanno inteso: quindi agli arruffoni ed ai farabutti della borghesia si preparano a rendere pan per focaccia, ed a ricambiar loro, in nome dell'eguaglianza, quelle carezze di fraternità, che fin qui ne hanno ricevute. E ciò spiega il come dagli entusiasmi per la fraternità dei liberali, siasi giunto al ricordo della fraternità umanitaria, fuso nella medaglia dei socialisti di Reggio-Emilia

La fraternità suppone la famiglia, e la famiglia suppone una paternità comune. Il liberalismo, colla sua scienza, ha negata la comune paternità, tanto nell'ordine originale della natura umana, quanto nell'ordine soprannaturale divino. Ha creduto possibile mantenere congiunta o congiungere l'umanità in una unica famiglia, togliendole il padre terreno, da cui tutta per generazione discende, ed il Padre celeste da cui ogni paternità deriva. Questa scienza così fatta, in cambio di congiungere i fratelli, li ha divisi tra sè in lotta per l'esistenza: invece di ingentilirli colla carità, li ha armati di mannaia: invece di nobilitarli negli affetti, li ha trasnaturati in bruti, che si sbranano per litigarsi il pasto. Così la scienza umanitaria ha introdotto nel mondo cristiano la fratellanza delle tigri, per non dire dei demonii dell'inferno.

VII.

La medesima scienza, strumento mendace dell'umanitarismo, non si è appagata di abbuiare, insieme colla fede, il concetto della fratellanza cristiana, ma è proceduta oltre; e dovunque ha potuto e per quanto ha potuto, ne ha annichilati gli effetti sociali e cancellate le tracce.

Tra i popoli cristiani, i monumenti più belli della santa fraternità erano quelle infinite istituzioni di carità vera, che, sotto nome di Opere pie, in mille modi spandevano i benefizii, a sollievo di ogni genere di bisognosi. Da per tutto fiorivano con incessante rigoglio, argomento manifesto della vita, che, dalla fraternità degli uomini in Cristo Dio-Uomo, perennemente promana. I poveri, gl'infermi, gli orfani, i derelitti, gl'infelici di qualunque sorta erano, come fratelli, fatti partecipi del censo e della eredità dei ricchi, i quali, vivendo e morendo, li riconoscevano per fratelli. Le meraviglie di queste universali ed ingegnose larghezze erano gloria unica, nella storia del mondo, di quel Cristianesimo cattolico, che forma ed alimenta la fraternità dei credenti nel Redentore.

Or che ha fatto il liberalismo umanitario? Col pretesto che tali istituzioni non erano più adatte ai tempi nuovi, i quali richiedevano filantropia e non carità, le ha distrutte; e dove se n'è ingoiati i capitali, dove ne ha stornati i redditi a mali fini. Non contento di avere immiserito il popolo saccheggiandolo per via di leggi, lo ha gittato nella disperazione, rubando o sperperando patrimonii, che erano suoi pel sacro diritto dei testatori. Del quale immane e scellerato latrocinio ove si hanno a cercare i rei, se non in quella borghesia liberalesca e massonica, che pure tanto ha decantata e decanta la fratellanza umanitaria, contrapposta alla cristiana? Essa ha le mani grondanti del sangue e delle lagrime del popolo: e ad essa il popolo, che nell'anima e nel corpo ha assassinato, per giusto giudizio di Dio, dimanda un conto che si riduce ad una pena del taglione.

Chi colla menzogna in bocca ha calpestato i miseri, dai miseri furibondi, e colla scure in mano, sarà calpestato. Chi, per affamarle, ha scristianizzate le plebi, sottostarà alla ferocia delle plebi disumanate.

VIII.

Maggiormente che, per ultimo ludibrio della sua fratellanza, questa borghesia umanitaria, colla sua spietata ingordigia, provoca le plebi ad estremi eccessi. Fa riprezzo leggere la descrizione dello stato di compassionevole indigenza in cui, verbigrazia, i contadini ed i braccianti della Sicilia, dai possidenti di fondi e dai lor fittaiuoli, sono posti e tenuti.

Ecco il quadro, che uno dei capi dei fasci dei lavoratori, i quali per tutta l'isola si sono oggi formati in una rete che l'avvolge, riferì di avere rappresentato al direttore della polizia di Palermo; e lo riferì al corrispondente del giornale La Tribuna di Roma, ove fu con fedeltà riprodotto.

«Gli disse come il ricco signore, al quale piace vivere in città e divertirsi, affitta le terre al gabellotto, che non volendo badare alla cultura, suddivide il terreno fra sub-gabellotti, che alla loro volta suddividono la propria quota fra i contadini, con un sistema di contratti, con cui sono riusciti a sopprimere il lavoratore campagnuolo indipendente. Gli raccontò come, per esempio, nella coltura del frumento, il contadino faccia la semina, l'aratura, la sarchiatura, la raccolta, il trasporto sull'aia, la trebbiatura, e poi egli riceva una sola quarta parte del raccolto: tre parti vanno al padrone. Sulla sua quarta parte il contadino paga poi: la semenza, il terrizzuolo, il diritto di sfrido, il diritto di cuccia o del maccherone, il diritto del galletto ed altri minuti diritti ed angherie. E questi infami furti legali, esercitati dai padroni, non sono i soli dolori del nostro contadino. Durante l'inverno, non bastandogli la sua piccola parte di frumento, dedotti i santi diritti, per mantenere la famiglia, e non avendo denari, egli è costretto a fornirsene a credito pressa le arpie del paesello: e quando viene il raccolto deve pagare in frumento, computandolo, si noti bene, ad un prezzo prestabilito, che è sempre inferiore al corrente. Che cosa credete che possa rimanere al contadino pei bisogni del futuro inverno? Meno che nulla: egli resta eternamente in debito. E i giornalieri o braccianti? Privi di lavoro quando piove, e costretti a lavorare mezza giornata in estate, essi guadagnano da venti a trenta soldi, per un lavoro medio di dodici ore. Quasi sempre vengono pagati, in buona parte, con cattivissimo pane e pessimo vino, e nei giorni in cui il lavoro manca, chiedono ai padroni un prestito in frumento, computandolo ad un prezzo esorbitante ed aumentandolo dell'interesse del 25, dico venticinque, ogni sei mesi [4]

Ogni commento a questi fatti è superfluo. Il programma dell'esercito dei lavoratori siciliani, raccolti in fasci, ottimamente li illustra. «Noi vogliamo; così lo ha esposto il capo predetto al mentovato corrispondente; noi vogliamo e combattiamo per l'abolizione del salario, e come mezzo adottiamo la lotta di classe, cioè degli sfruttati contro gli sfruttatori. Noi diciamo alla borghesia: al vostro interessato patriottismo noi contrapponiamo l'internazionalismo; e mentre voi aizzate i popoli, perchè si scaglino l'uno contro l'altro, noi cantiamo inni di pace, sorpassiamo le frontiere e diciamo: Ov'è uno sfruttato, ivi è un nostro fratello [5]

I fatti ed il programma parlan da sè, e provano quali necessariamente debban essere le conseguenze finali della nuova fraternità, scientificamente umanitaria e diabolicamente anticristiana. Dissolvendo tutti i legami d'ordine naturale e divino, che annodano gli uomini in una sola famiglia, e surrogando ad essi l'ipocrisia di un egoismo colorito di filantropia, il quale ad ogni uomo dà a divedere in ogni altro uomo un nemico del proprio ben essere, genera in sostanza quell'amor di fratelli, che il proverbio ha definito amor di coltelli.

Fonte: Progetto Barruel

NOTE:

[1] Nella Tribuna, num. del 7 settembre 1893

[2] Num. del 4 settembre 1893.

[3] Atti uffic. pag. 697.

[4] Num. del 10 ottobre 1893.

[5] Ivi, num. degli 11 ottobre 1893

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