MONS. TISSIER, FSSPX: ATTUALITÀ DELLA PASCENDI: L'IDRA MODERNISTA SEMPRE VIVENTE, 2007
Simposio Pascendi : 9, 10 e 11 novembre 2007
Sotto la Presidenza di Mgr Tissier de Mallerais
Trascrizione della conferenza di Mons. Bernard Tissier de Mallerais (FSSPX)
”Attualità della Pascendi: l’idra modernista sempre vivente”
(traduzione non ufficiale, titoletti aggiunti dal sito Progetto Barruel)
Signori e signore, cari fedeli cattolici,
Siete venuti per ascoltare la voce del magistero della Chiesa tramite San Pio X dalla sua enciclica Pascendi. L’8 settembre 1907, cento anni or sono, Il Papa San Pio X, con una fine analisi, ha condannato con la sua enciclica Pascendi una nuova e singolare eresia. Questa eresia non consiste, come in quelle precedenti, nel negare questa o quell’altra verità della Fede, nel fare una scelta tra le verità proposte a credere (dato che la parola eresia, in greco, significa fare una scelta), ma il modernismo è un’eresia che consiste nel cambiare e pervertire la nozione stessa della Fede “Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli – dice San Pio X - ; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde.”( Pascendi n° 1).
Questa mia esposizione vuole mostrare le origini del modernismo. Di seguito vedremo il modernismo quale S. Pio X l’ha condannato, le implicazioni attuali del modernismo, specialmente l’esegesi, lo storicismo, cioè l’evoluzione del dogma ed infine la revisione e la rilettura moderna dei grandi dogmi dell’Incarnazione, della Redenzione e di Cristo Re. Si tratta di un’esposizione a modo storico ma nello stesso tempo molto attuale e credo che sia vantaggioso trattare dell’attualità del modernismo piuttosto che dell’attualità della Pascendi.
1. Origine del Modernismo
Si può dire che l’origine del modernismo è l’idealismo kantiano. L’origine della fede soggettivistica dei modernisti è l’idealismo di Emmanuel Kant (1724-1804)
1.1. Kant: la negazione della realtà dell’essere
Per il filosofo di Königsberg, Prussia Orientale, che è stato contemporaneo di Jean-Jacques Rousseau, le nostre idee generali, i nostri principi non prendono la loro necessità dalla natura delle cose, che è inconoscibile (l’intelligenza è incapace di conoscere la natura delle cose: questo è un gatto, questo un cane, questo è l’uomo, l’intelligenza non li può conoscere).
Da dove vengono le nostre idee generali e necessarie? Esse vengono dalla sola ragione e non dalle cose. Esse vengono dalla nostra ragione e dalle sue categorie soggettive innate. Per esempio l’idea di sostanza, l’idea di causa sono delle categorie soggettive della mia intelligenza e non piuttosto dei generi dell’essere reale. La ragione sola struttura il reale e gli dona la sua propria intelligibilità.
Se noi possiamo comprendere una cosa, non è perché questa cosa è intelligibile, ma perché noi la strutturiamo, noi la facciamo rientrare nei ranghi delle nostre categorie soggettive. C’è da dire che la scienza fisica moderna ha seguito questo idealismo con successo ritenendo che il mondo fisico resta opaco alla ragione, che noi non possiamo conoscere la natura o il senso delle cose, che noi non possiamo avere che rappresentazioni matematiche del mondo fisico o simboliche, con nozioni di energie, onde, e cose come queste che sono simboli matematici.
E non abbiamo altro che teorie scentifiche verosimili e mai adeguate al reale e sempre perfettibili. Vedete dunque il successo di Kant nell’ordine delle scienze fisiche. Il brutto è che questo lo si va ad applicare alla filosofia ed alla religione.
1.2. Kant professa l’inconoscibilità degli esseri immateriali
Kant non vuole che gli esseri reali, l’essenza delle cose per esempio, oppure l’essere medesimo, l’esistenza, o ancora l’Essere primo, la Causa prima, Kant non vuole che queste realtà siano al contrario sovranamente intelligibili in se stesse e ancor più intelligibili quanto più questi esseri sono immateriali. La conseguenza di questa non conoscenza, che si chiama propriamente agnosticismo (non si può conoscere l’essere delle cose, non si può conoscere l’essere in quanto tale, quel che si chiama l’essere in quanto essere, quello che esiste non lo si può conoscere, dice Kant) è che l’analogia dell’essere è indecifrabile. Non c’è tra tutti gli esseri che esistono un rapporto d’analogia che possa aiutare a passare razionalmente dall’uno all’altro
1.3.La rovina del principio di causalità, della teodicea.
Allo stesso modo il principio di causalità (ogni effetto si spiega con una causa) non ha alcun valore metafisico, cioè ontologico, la conseguenza è che una qualche analogia tra le creature ed il creatore è inconoscibile. Voler risalire dalle creature al creatore per dire qualcosa di Dio è impossibile, perché l’analogia dell’essere non vale più. Dire che Dio è l’Essere Primo non ha alcun senso e sarebbe quasi una blasfemia per Kant. L’analogia dell’essere non esiste. E così anche l’analogia tra il bene sensibile oggetto del desiderio ed il bene onesto, oggetto della ragione: non c’è alcun rapporto, non c’è alcun processo razionale che a partire dal desiderio naturale delle cose sensibili possa spiegare il desiderio naturale spirituale del bene. Dunque, la ragione non può conoscere in Kant né l’esistenza né le perfezioni di Dio. Significa distruggere ciò che si chiama la teologia naturale, la teodicea, la conoscenza di Dio tramite la semplice ragione. E perciò il Concilio Vaticano I ha ben ricordato che possiamo conoscere l’esistenza e le perfezioni divine a partire dalle creature. Ebbene questo Kant lo nega. Noi non possiamo tramite la nostra ragione conoscere né l’esistenza né le perfezioni di Dio.
Da ciò stesso, altra conseguenza, le analogie rivelate dal Vangelo, dalla Bibbia, che Dio ha utilizzato per svelare i suoi misteri soprannaturali, sono fatalmente delle metafore, poiché non v’è alcun rapporto tra Dio e la sua creatura. Tutto ciò che Dio ci dice sono metafore. Di conseguenza tutta la parola di Dio non può essere che allegorica e tutto il discorso umano su Dio inversamente non può essere che mitologico. Questa è l’applicazione alla religione.
1.4. L’applicazione alla morale: la finalità soprannaturale negata. Dio diventa un’aggiunta alla morale.
Infine, l’applicazione alla morale di questo agnosticismo kantiano: in morale l’atto buono, virtuoso, non è quello che possiede un oggetto ed un fine conformi alla natura (inconoscibile), ma è l’agire nell’indipendenza da ogni oggetto e da ogni fine, per puro dovere, per rispettare in se stesso l’umanità, dice Kant. E siccome una tale virtù agisce per puro dovere, per rispetto verso l’umanità in sé, siccome una siffatta virtù è quasi stoica e non coincide con il bene di quaggiù (l’uomo virtuoso non è veramente felice) allora egli postula l’esistenza di un Dio remuneratore nell’al di là e dunque l’esistenza di Dio proviene semplicemente da un bisogno di una ricompensa o di una sanzione eterna della virtù.
Dunque Dio non è la chiave della morale. Dio è una aggiunta accidentale alla morale. La natura umana è inconoscibile, non ne conosciamo le leggi, non ne conosciamo l’autore, Dio non è l’autore della natura umana, Dio non è più l’autore della legge morale, Dio sarebbe come un’aggiunta accidentale alla morale.
Ecco dunque l’origine del modernismo: l’idealismo kantiano.
2. Il modernismo come san Pio X l’ha condannato
Veniamo ora al modernismo, condannato da S. Pio X
2.1. San Pio X svela i due principi di Kant che sono alla radice del modernismo
L’idealismo di Kant dunque consiste di due principi coerenti fra loro: l’inconoscibilità metafisica e morale che si chiama agnosticismo (non si può conoscere la natura delle cose, non si può conoscere ciò che è l’azione buona) e d’altra parte, secondo principio, l’autonomia della ragione teorica e della ragione pratica che si chiama immanentismo, cioè tutta la conoscenza esce dal soggetto e tutta la bontà morale viene dal soggetto e non dall’oggetto. Dunque i due principi della filosofia kantiana sono l’agnosticismo (l’ignoranza delle nature e di Dio) e l’immanentismo (tutta la conoscenza viene dal soggetto, dalle sue categorie soggettive).
Questi sono i due principi che S. Pio X scopre nel modernismo, nella concezione puramente soggettiva della Fede. Per la fede cattolica, il proprio oggetto è proposto dall’esterno. Parlo della Fede cattolica. L’oggetto è presentato dall’esterno dall’autorità divina, esso è presentato dal magistero della Chiesa. E questo oggetto esterno , il mistero divino, s’impone alla mia intelligenza in ragione dell’autorità di Dio che rivela e non per l’autorità della mia ragione. Dunque la Fede cattolica viene dall’esterno, i misteri divini che ci sono presentati dall’esterno, da Dio e dalla chiesa, ed ai quali io aderisco con la mia intelligenza a causa dell’autorità di Dio che rivela e che è sovranamente verace, che non può né ingannarsi né ingannare.
2.2 L’immanentismo della fede modernista
Al contrario, la fede modernista viene dal didentro di me stesso, da cui la parola immanenza o immanentismo (in manere = rimanere dentro), viene dall’interno, ecco la differenza.
La Fede cattolica viene dall’esterno, da misteri oggettivi che io non ho creati, che si impongono a me stesso. Al contrario la fede modernista viene dalla mia interiorità, essa è immanentista, essa è l’emanazione del bisogno religioso dice San Pio X, o ancora questa fede modernista è l’espressione della mia esperienza religiosa di credente. Dunque alla radice del modernismo c’è l’esperienza religiosa. Ciascuno deve nel suo cammino fare un’esperienza originale salla quale scaturisce la sua fede. Vedete l’errore. Chi farà un’esperienza originale?
Ci sono delle grazie mistiche, ma non è la norma dei fedeli. Dunque la Fede, per i modernisti, è l’emanazione del bisogno religioso o l’espressione dell’esperienza religiosa del credente.
Poi, seconda tappa, la fede va ad “oggettivizzarsi”, scusatemi il barbarismo, od obbiettivarsi, ma diciamo meglio “oggettivizzarsi”. La fede si oggettivizza e concretizza la sua esperienza soggettiva tramite dei simboli immagini che sono i racconti evangelici. Per esempio il racconto dellAscensione di Nostro Signore Gesù Cristo che rende immagine e descrive il potere di sovrano giudice di Gesù: egli è salito al cielo per essere nostro sovrano giudice, ad esempio.
Dunque la mia esperienza originale viene oggettivizzata tramite dei simboli immagini che sono i racconti evangelici, poi le formule rappresentative di questi simboli che sono i dogmi. Ecco come i modernisti esprimono le origini dei Vangeli e dei Dogmi.
2.3. Il doppio movimento della fede modernista: dal dentro (creazione vitale) verso il simbolo, ed in senso inverso dal simbolo-dogma verso l’interpretazione vitale
Questi [simboli e dogmi] sono puri simboli della mia fede soggettiva. Dunque se volete, detto in un altro modo, la fede modernista ha un doppio movimento. Dapprima storicamente un movimento centrifugo, che va dall’interno verso l’esterno, un movimento di creazione vitale, di trasformazione della mia esperienza originale, in simboli espressivi di questa esperienza, e la Chiesa di questi simboli ha fatto dei dogmi. Poi, di seguito, un secondo movimento centripeto, che va dall’esterno verso l’interno secondo i tempi, per il quale il credente si muove verso un’interpretazione vitale dei simboli e delle formule dei dogmi che mi dona la Chiesa per vivere la mia fede. Per vivere la mia fede devo interpretare i dogmi vitalmente, per viverli, per interiorizzare ciò che credo e che diviene così fonte della vita interiore. Notate bene che il principio è corretto, la mia Fede deve essere fonte della vita interiore, solo che il modernismo intende con questa interiorizzazione una deformazione. Vediamo.
2.4. L’essenza del modernismo: i dogmi non sono che simboli
E’ ciò che si chiama l’interiorizzazione dei dogmi per viverli. San Pio X ha analizzato questo doppio processo centrifugo e centripeto, ed ha messo a nudo l’essenza del modernismo che è, come mi pare, d’affermare che i dogmi non sono che simboli. Qualche citazione può far risaltare questa verità che completa ciò che i miei confratelli hanno detto sul modernismo. Cito San Pio X nella Pascendi:
Ora, è questo il compito dell'intelletto; (dapprima c’è il sentimento e poi l’intelletto. Il sentimento è l’esperienza e di seguito l’intelletto farà i dogmi) di cui è proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l'uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. (E’ l’intelletto che interpreta i miei sentimenti per farne dei simboli) Di qui il detto volgare dei modernisti, che l'uomo religioso deve pensare la sua fede.
Dunque il prodotto di questo pensiero consta delle formule della fede. Cito: Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma. Fine citazione, n° 12.
Altra citazione, n° 13 Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto
Dire che Gesù è il Figlio di Dio è un segno inadeguato della realtà. Volgarmente si tratta di simboli. La nozione di Figlio di Dio è un simbolo di una realtà che non è necessariamente la divinità di Gesù. Continuo la citazione del n° 13: Non è lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verità assoluta: essendoché, come simboli, sono semplici immagini di verità
Conseguenza: n° 16: Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell'esperienza unitamente all'altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl'idolatri, deve ritenersi siccome vera. Poiché tutte le religioni fanno delle esperienze religiose che hanno dei dogmi. L’Islam ha i suoi dogmi, l’Islam ha i suoi simboli. Dunque ogni religione che ha un’esperienza ed un simbolismo, ogni religone è vera. Traggo qui da questi testi di san Pio X che l’essenza del modernismo è l’esperienza religiosa ed il simbolismo.
Alla radice c’è un’esperienza religiosa e ciò dà luogo a dei simboli. I dogmi non sono che simboli che mi aiutano a… Ma lo vedremo, non andiamo troppo veloce.
I simboli hanno un doppio ruolo: esteriorizzare la fede soggettiva rendendola oggettiva, comunicabile nella Chiesa, ed il magistero consisterà nel controllare e verificare ed unificare l’esperienza comune dei fedeli nella Chiesa. Ad esempio, nel corso della celebrazione eucaristica: esperienza comune. Il magistero controllerà ed unificherà l’esperienza comune attraverso l’unico soggetto Chiesa, come dice il cardinal Ratzinger. E reciprocamente i simboli possiedono un altro ruolo d’interiorizzare le credenze comuni (divinità di Gesù Cristo) grazie al loro potere d’evocazione degli stati d’animo del credente. Gesù Cristo Figlio di Dio, e beh questo mette in atto, in attività il mio stato d’animo di considerarmi anche come figlio di Dio, per esempio. I simboli aiutano ad evocare i miei stati d’animo. E’ sufficiente decrittare il senso metaforico dei simboli dogmatici. San Pio X fa un esempio: Il Cristo della storia è il Cristo della fede. Riassumo: il Cristo della storia , il Cristo storico che è realmente vissuto, è stato un mero uomo. Ma un uomo di natura eccezionale, dice san Pio X per spiegare il modernismo (cfr. N° 11) Questo semplice uomo d’una natura eccezionale è stato sublimato dalla fede dei primi cristiani in un Cristo della fede che è il figlio di Dio e che fa miracoli (cfr. n° 10)
2.5 L’invenzione modernista: il Gesù della storia e il Cristo della Fede
Dunque c’è un doppio Cristo: il Cristo reale, storico, che non era Dio, che è stato un po’ straordinario, e poi il Cristo della Fede, che è Dio e che ha fatto dei miracoli. Si possono conciliare i due? Il modernista, se è filosofo e storico, negherà che secondo la verità storica il Cristo sia Dio e se è esegeta sospenderà il suo giudizio sulla divinità di Cristo. Non possiamo dir nulla. Sono tutti simboli. Ma se il modernista è credente, perché si dice credente allora affermerà la divinità di Gesù perché egli considererà la vita di Gesù Cristo vissuta di nuovo per mezzo della fede da lui stesso credente.
Dunque vedete questa dicotomia di Gesù Cristo: il Cristo della storia ed il Cristo della fede che il modernista riconcilia. Se l’esegeta dirà : non si può dir nulla, e se egli è credente o si pretende credente, dirà sì, io credo nella divinità di Gesù Cristo perché questo mi aiuta a vivere interiormente la mia fede. In fondo, poco importa al modernista la realtà extra-mentale di quello nel quale crede, l’importante è che egli creda, il fatto che conosca i simboli l’aiuta ad evocare i suoi problemi psicologici, a situarli ed a risolverli.
2.6. Applicazione di Husserl alla Fede: il dato reale rivelato svuotato e sostituito dal vissuto della Fede
Qui facciamo una piccola applicazione alla fede della teoria del filosofo tedesco Edmund Husserl, fondatore della scuola fenomenologica. C’è, si dice, una somiglianza. Per Husserl il mondo esterno tale qual è non importa. Ciò che conta è il vissuto esistenziale, il vissuto rappresentativo, la forza della rappresentazione delle idee. L’importante è quello che si vive. Poco importa l’esistenza o la non esistenza di una cosa. E’ la teoria della fenomenologia che si disinteressa, che mette fra parentesi la realtà del mondo esterno, senza negarla la si mette fra parentesi, dunque essa non ci interessa più , l’importante è studiare le condizioni del vissuto esistenziale . Una piccola citazione di Husserl se può interessare: “ Il dato (quel che è dato alla mia coscienza , il mio vissuto) è esattamente lo stesso che l’oggetto rappresentato esista o che sia immaginato o che esso sia pure assurdo.”
Avete qui un’applicazione al modernismo: il mio vissuto interiore è l’essenziale, poco importa che ciò che io chiamo la divinità di Gesù Cristo sia una verità o un errore o una immaginazione.
Si vede in Husserl, contemporaneo di Loisy, vissuto dal 1859 al 1938, che non ha mai applicato tutto ciò alla fede. Era ebreo, non applicò mai questo alla fede, era un mero filosofo, ma si può vedere una convergenza di idee. E’ interessante.
2.7. Il modernista si stacca dalla realtà per conoscere i suoi problemi psicologici tramite dei simboli
Si vede che in quest’epoca è nell’aria disinteressarsi del reale per interessarsi solamente del fenomeno interiore della coscienza. Ora è questa filosofia che consente il modernismo. Dunque al termine ripeto la mia prima conclusione di questa parte filosofica e storica, l’origine del modernismo: poco importa al modernista la realtà extra mentale, esterna, di ciò in cui crede, anche l’esistenza di Dio, l’importante è quello in cui io credo, cioè i simboli che mi aiutano a evocare i miei problemi psicologici, a situarli ed a risolverli. Vi sembrerà inverosimile ma questo è quel che è attualmente.
3. In 3 articoli di Fede Ratzinger nega la realtà del mistero
L’esegesi del Vangelo secondo il teologo Joseph Ratzinger (quando era teologo) ecco come il teologo di Tubinga in Germania nel suo libro “Fede cristiana ieri ed oggi” del 1968, riedito senza cambiamenti nel 2005 dicendo che non c’è nulla di sostanziale da cambiare, e non ha cambiato nulla, interpreta tre articoli della fede del nostro credo che sono contenuti nel Vangelo, “discese agli inferi , il terzo giorno è risuscitato dai morti, è salito al cielo”: il primo non è contenuto nel Vangelo ma è nella Sacra Scrittura altrove. Vediamo il commento di Joseph Ratzinger; che a quel tempo era solo sacerdote; su questi tre fatti della vita di Gesù. Come in quanto esegeta, commentatore della Sacra Scrittura, egli ha interpretato questi tre fatti della vita di Gesù.
3.1. “discese agli inferi”: il simbolo dell’abbandono moderno per l’assenza di Dio
Dapprima “discese agli inferi”. Sapete che Gesù è disceso al limbo per liberare le anime dei patriarchi dell’antico testamento, dei giusti che attendevano la liberazione per salire al cielo con lui. Dunque Gesù ha visitato le anime del limbo. Cito Joseph Ratzinger: “ Nessun articolo della fede è così estraneo alla nostra coscienza moderna” (questa è la maggiore, la tesi). Antitesi: ma no, mica eliminiamo questo articolo della fede, esso rappresenta l’esperienza del nostro secolo, l’esperienza dell’abbandono per l’assenza di Dio di cui Gesù Cristo fa l’esperienza sulla croce. “Mio Dio perché mi hai abbandonato” ha detto Gesù sulla croce. Egli ha fatto l’esperienza dell’abbandono per l’assenza di Dio. Ebbene, la discesa agli inferi è questo. E’ un simbolo per esprimere il nostro abbandono moderno a causa dell’assenza di Dio.
Dunque, questo articolo di fede esprime, cito, che “Gesù ha superato la porta della nostra ultima solitudine, che Egli è entrato tramite la sua passione nell’abisso della nostra derelizione.” Fine citazione. Ed allora il limbo, visitato da Gesù , ebbene è il segno di quello che, cito. “Là dove nessuna parola saprebbe raggiungerci, c’è Lui. Così l’inferno è superato o piuttosto la morte, che prima era l’inferno, non lo è più dopo che presso la morte abita l’amore.” Fine citazione. Pag. 213
Dunque ecco un’interpretazione della discesa agli inferi. L’esperienza psicologica dell’abbandono per l’assenza di Dio che va ad essere superato dall’amore, è la discesa agli inferi.
3.2. “è risuscitato dai morti”: la rianimazione del Corpo di Gesù sostituita dalla sopravvivenza mediante l’amore
Secondo, “è resuscitato dai morti”. Lo spiego: l’uomo è votato alla morte, Gesù come uomo è stato votato alla morte? O Gesù può fare eccezione? Ed io stesso potrei fare eccezione? Questa è la tesi. Antitesi: in effetti, questo articolo di fede corrisponde al desiderio dell’amore che tende all’eternità perché l’amore è più forte della morte dice il Cantico dei Cantici (cap. 8). Ora l’uomo non può sopravvivere, (desiderio di eternità: sopravvivere) che continuando a sussistere in un altro. Sia nei nostri figli, sia nella buona reputazione, sia in un altro, un altro che E’: il Dio dei viventi. Dunque io non posso sopravvivere che continuando a sussistere in Dio. Continuo riassumendo Joseph Ratzinger: “Sono maggiormente infatti me stesso in Lui che quando cerco di essere semplicemente me stesso”, fine citazione. Guardate il platonismo: io sarò più reale in Dio che in me stesso. Questo sarebbe un po’ esagerato. Cito: Gesù presentandosi realmente al di fuori ai discepoli s’è mostrato abbastanza potente per provare loro che in Lui la potenza dell’amore s’è avverata più fortemente che la potenza della morte” fine della citazione. Dunque trionfo dell’amore sulla morte.
Conclusione: la rianimazione del corpo di Gesù al momento nel quale Egli è uscito dalla tomba. La sua uscita dalla tomba il mattino di Pasqua non è necessaria. E’ sufficiente professare la sopravvivenza di Cristo tramite la forza del Suo amore. E questa sopravvivenza è garante della mia sopravvivenza dopo la morte tramite l’amore. Ciò non mi rassicura sulla realtà della mia resurrezione futura. Dunque riguardo alla parola resurrezione, si professerà sempre: Gesù è resuscitato dai morti, ma lo si intende come una sopravvivenza di Gesù tramite l’amore.
3.3. “è salito al cielo”: l’Ascensione nel Cosmo ricondotta ad un luogo psicologico
Infine “è salito al cielo”. Cito Ratzinger: “parlare di ascensione al cielo o di discesa agli inferi riflette agli occhi della nostra generazione risvegliata dalla critica di Bultmann (un protestante liberale) questa immagine del mondo a tre piani che noi chiamiamo mitica e che consideriamo come definitivamente scaduta (pag. 221)”. (questa è la tesi: è ridicolo credere che Gesù è “salito”. Un mondo a tre stadi, l’inferno, la terra ed il cielo è sorpassata dalla concezione di noi contemporanei. E’ scaduta. Questa la tesi. Attenzione, c’è sempre un’antitesi per completare la tesi). Ma io continuo la tesi: “Secondo la relatività (di Einstein, che ha ragione) non c’è né un alto né un basso”. Continuo la tesi, cito Ratzinger: “questa concezione scaduta ha certamente fornito delle immagini con le quali la fede si è rappresentata i suoi misteri.” Dunque, al fondo c’è un mistero in quanto la fede ha espresso questo mistero tramite queste immagini di Gesù che sale. Gesù che sale al cielo, nelle nubi, è un’immagine che la fede ha utilizzato per esprimere un mistero. A noi decrittarlo, questo mistero. Noi abbiamo il simbolo, la salita di Gesù sulle nubi, un simbolo, sta a noi decrittare questo simbolo per raggiungere il mistero: movimento centripeto, movimento d’analisi o ermeneutico. L’antitesi: la realtà, il mistero, ciò che ha due poli nell’esistenza umana: il basso e l’alto. Sintesi: dunque l’ascensione di cristo non è nelle dimensioni del cosmo, ma nelle dimensioni dell’esistenza umana. Sono io che lo dico. Allo stesso modo che la discesa agli inferi rappresenta l’immersione nella, cito: “la zona della solitudine dell’amore rifiutato” , ebbene “allo stesso modo l’ascensione del Cristo”, sto citando, ”evoca l’altro polo dell’esistenza umana, il contatto con tutti gli altri uomini nel contatto con l’amore divino sebbene l’esistenza umana possa trovare in qualche modo il suo luogo geometrico nell’intimità di Dio.” Dunque, l’ascensione di Cristo nel cosmo è un simbolo che esprime il luogo geometrico psicologico d’un’anima che si unisce a Dio. Vedete, non c’è nulla di soprannaturale, è tutto psicologico.
4. Il metodo modernista in Ratzinger- Benedetto XVI: ermeneutica e storicismo
4.1. L’occultamento di Ratzinger della realtà fisica del mistero, il senso letterale essendo ignorato.
Conclusione di questa esegesi del Papa Joseph Ratzinger di questi tre articoli del Credo, di questi tre fatti evangelici, è una conclusione che tiro io: la realtà fisica del mistero non è affermata, né descritta, né commentata. In questo libro non ci viene spiegato come, sotto gli occhi dei discepoli, Gesù si è innalzato ed è sparito fra le nubi, come dice il Vangelo, non si fa alcuno sforzo per affermare o descrivere o commentare la realtà fisica del mistero. Il senso letterale della Scrittura è passato sotto silenzio. E’ messo tra parentesi; poco importa la realtà storica, l’importante è che i simboli scritturali, poi dogmatici elaborati dall’evangelista, poi creduti dalla Chiesa, che questi simboli possano rappresentare l’esperienza interiore del credente del XX o XXI secolo. La verità dei fatti della Scrittura, la verità del dogma, è la loro potenza d’evocazione dei problemi esistenziali dell’epoca presente. La verità è la potenza di evocazione […].
4.2. Il recente “Gesù di Nazareth” di Ratzinger afferma la nozione d’evoluzione nell’interpretazione delle Sacre Scritture
Cito Joseph Ratzinger nell’introduzione al suo “Gesù di Nazareth” che è apparso quest’anno, questo è Benedetto XVI. Riassumo:”Del resto”, dice, “ ogni parola umana di un certo peso reca in sé una rilevanza superiore all’immediata consapevolezza che può averne avuto l’autore al momento, Questo intrinseco valore aggiunto della parola, che trascende il momento storico, vale ancora di più per le parole che sono maturate nel processo della storia della fede. L’autore non parla solamente di se stesso, da se stesso, ma parla con potenza in una storia che va a seguire, in una storia comune, che la porta e nella quale sono segretamente presenti le possibilità del suo avvenire (a questa parola). Il processo di rilettura e d’amplificazione delle parole non sarebbe stato possibile se esse non fossero state già presenti nelle parole stesse tali aperture intrinseche. Dunque c’è un’altra nozione, la nozione di evoluzione nell’interpretazione delle sacre Scritture.” [N.d.T.: qui la citazione è presa per intero dalla traduzione italiana del testo Ratzingeriano, Gesù di Nazaret, Milano 2007.]
4.3. L’esegesi diventa un’arte ermeneutica che riduce i fatti favolosi a fenomeni psicologici
L’esegesi, cioè lo studio e l’interpretazione della Sacra Scrittura diviene un’arte divinatoria. Si può indovinare ciò che lo scrittore sacro non ha mai voluto dire e mai ha detto, è sufficiente immaginare che la sua parola contiene l’evoluzione ulteriore che essa subirà nella Chiesa. L’esegesi diventa un’arte divinatoria, l’esegeta indovina ciò che l’autore sacro non ha mai né pensato né espresso.
L’esegesi perciò è un’arte ermeneutica di rilettura e d’amplificazione, ci ritorneremo sopra. E’ soprattutto un’ arte di creazione libera di un senso spirituale della Scrittura che non è fondato sul senso letterale, perché il senso letterale è messo tra parentesi. Ma c’è ancora e sempre la via dell’immanenza descritta da San Pio X nella Pascendi, c’è sempre la trasfigurazione da parte dello scrittore sacro dei suoi sentimenti in fatti favolosi, i miracoli di Gesù Cristo, la Sua resurrezione, la sua ascensione: fatti favolosi, Sono io che dico questo ma c’è anche questo. E come ritorno c’è la demitologizzazione di questi fatti favolosi per ridurli tramite la riduzione antropologica e naturalista a dei fenomeni interiori della coscienza. Ecco l’esegesi di Benedetto XVI.
4.4. Ratzinger attinge da Dilthey, il padre dell’ermeneutica e dello storicismo
Questo dunque il metodo modernista. I dogmi non sono che simboli, i fatti evangelici non sono che simboli che evocano i miei problemi psicologici. Poi, per giungere a questa evoluzione dei dogmi, occorre far intervenire un filosofo tedesco ispiratore di tutta la teologia tedesca e che dunque ha influito su Ratzinger: si tratta di Wilhelm Dilthey (1833-1911), il padre dell’ermeneutica e dello storicismo.
L’ermeneutica è l’arte di interpretare i fatti o i documenti. Storicismo significa il ruolo della storia nella realtà. Per Dilthey come per Schelling e Hegel, idealisti, la realtà non si comprende che nella sua storia, ma mentre per Schelling ed Hegel la verità si sviluppa da se stessa mediante un processo dialettico che abbiamo già spiegato, per Dilthey la verità si sviluppa mediante un processo di reazione vitale dal soggetto all’oggetto, secondo il rapporto di reazione vitale tra lo storico che si china su dei fatti storici e l’urto della storia.
Così la ricchezza emotiva dello storico o di colui che legge la storia, la sua ricchezza emotiva va ad arricchire l’oggetto dello studio. In ciascuna epoca la storia si carica dell’energia, delle emozioni dei lettori e così i giudizi del passato sono senza posa colorati dalle reazioni vitali dello storico o del lettore. Così i giudizi del passato secondo Joseph Ratzinger che si ispira a questa tesi, cadono al termine di ciascuna epoca storica (secondo Dilthey) per esempio al termine dell’epoca moderna , 1962, l’arrivo del concilio Vaticano II è stato il termine d’una epoca, e dunque si poteva e si doveva rivisitare, rivedere tutti i fatti storici, i giudizi sul passato, specialmente sulla religione, per svincolare i fatti significativi ed i principi permanenti.
Questa retrospettiva purifica necessariamente il passato da quello che si è aggiunto al nucleo della fede e questa revisione, questa retrospettiva aggrega necessariamente alla verità il colorito delle preoccupazioni del presente, Dunque c’è un doppio processo nella rilettura del passato che è la purificazione del passato, dalle aggiunte, dalle reazioni emotive del passato o dalle filosofie del passato e d’altra parte, in un secondo tempo, un arricchimento dei fatti storici mediante la reazione vitale attuale.
4.5. Il discorso del 22 dicembre 2005 di Ratzinger: illustrazione dello storicismo e dell’ermeneutica
Così crescono le scienze umane e la fede non fa eccezione secondo la scuola di Tubinga. La fede deve essere sottomessa a questo pensiero storicista del quale Joseph Ratzinger è un erede. Ecco cosa dice nel suo discorso del 22 dicembre 2005, il discorso inaugurale del suo pontificato, cito: “ La fede esige una nuova riflessione sulla Verità ed un nuovo rapporto vitale con essa”. E’ la stessa cosa: rapporto vitale, è Dilthey. Egli continua: “questa interpretazione (ermeneutica) è stata quella del Vaticano II, cercare un nuovo rapporto vitale con la verità rivelata e questa interpretazione vitale deve guidare la recezione del concilio”. Dunque il concilio è stato una interpretazione vitale della fede tradizionale e si deve continuare a praticare ancor ora, per la recezione del concilio, si deve continuare a fare questa interpretazione vitale. Con quali strumenti? Con le filosofie moderne che sarebbero, diceva Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura del concilio Vaticano II, che sono tramite i loro metodi di investigazione di grande aiuto per esprimere la fede nella sua purezza lineare (sono io che lo dico) e in un linguaggio adatto a noi contemporanei.
E’ il fine di Giovanni XXIII nel suo discorso del concilio dell’11 ottobre 1962 che Benedetto XVI cita nella sua “quasi” enciclica inaugurale, il suo discorso del 22 dicembre 2005. Dunque il concilio Vaticano II aveva un doppio fine e noi siamo del tutto d’accordo: occorreva purificare la fede da tutti i suoi artefatti dei secoli passati (noi non siamo d’accordo certamente. L’analisi è giusta. L’analisi del modernismo, è il modernismo puro) e arricchirlo delle nostre proprie esperienze attuali. Dunque vedete il soggettivismo. Si offendono i nostri padri nella Fede dicendo che essi hanno fatto a brandelli la Fede con la loro soggettività, cosa che è falsa, e si va a tradire la Fede se si aggiunge ad essa il nostro proprio soggettivo. Ecco il metodo dell’immanenza, del modernismo. Dunque Giovanni XXIII voleva questo, è stato il fine del concilio: purificare la Fede ed adattarla. Due movimenti contraddittori, è la quadratura del cerchio. Purificare la Fede da tutti i suoi artefatti passati e arricchirla di tutte le nostre esperienze moderne.
5. Ratzinger applica il metodo modernista ai 3 dogmi: Incarnazione, Redenzione, Cristo Re.
Vediamo come Joseph Ratzinger applica questo metodo a due o tre grandi dogmi della fede cattolica. E’ l’attualità del modernismo. E’ attuale.
5.1. Il dogma dell’Incarnazione riveduto da Ratzinger alla luce dell’esistenzialismo di Heidegger
Per prima cosa il dogma dell’incarnazione riveduto alla luce dell’esistenzialismo. Ci si serve dell’esistenzialismo e si va a praticare il metodo dell’immanenza e il metodo dello storicismo. Il principio dell’immanenza che dice che tutto viene dall’interiorità (la fede viene dalla nostra interiorità) ed il metodo dello storicismo che dice che c’è stata un’evoluzione del dogma, una trasformazione del dogma. Ecco come si presenta il dogma dell’incarnazione.
Il teologo Joseph Ratzinger nel suo libro “Fede cristiana” del 1968: la tesi, antitesi, sintesi. La tesi. Il filosofo Boezio che è vissuto dal 480 al 526, alla fine dell’antichità ha definito la persona, la persona umana, come la sussistenza di una natura intellettiva, permettendo di sviluppare il dogma delle due nature di Gesù Cristo in una sola persona definita al concilio di Calcedonia del 451. Ecco la tesi, è un classico. Boezio, filosofo cristiano, ha chiarito la nozione di persona ed ha aiutato a sviluppare il dogma di Calcedonia. Bene. Antitesi: oggi Boezio è sorpassato da Martin Heidegger, esistenzialista tedesco nato nel 1889 che vede nella persona l’auto- superamento di se stessa che è più conforme all’esperienza che la sussistenza di una natura intellettiva. Lui preferisce l’auto-superamento. Noi realizziamo la nostra persona nel superarci da noi stessi, ecco la definizione di persona secondo Heidegger.
Conclusione, sintesi: il Cristo, l’uomo-dio, di cui noi professiamo la divinità nel credo, non ha più bisogno di essere considerato come il Dio fatto uomo.Egli è l’uomo che, cito: “tendendo infinitamente al di là di se stesso s’è totalmente superato e per questo si è veramente trovato. Egli è Uno con l’infinito, Gesù Cristo”. (pag. 159). Lo ripeto perché vale la pena di essere letto. Dunque si deve credere nella divinità di Gesù Cristo ma non c’è più bisogno di considerarlo come il Dio fatto uomo. No, bisogna considerare che, tendendo infinitamente al di là di se stesso, Gesù si è totalmente superato e per questo si è veramente trovato. Egli è Uno con l’infinito, Gesù Cristo. Dunque è l’uomo che si supera, che diventa il superuomo e che diventa divino. Ecco il mistero dell’incarnazione reinterpretato alla luce dell’esistenzialismo e nello stesso tempo dello storicismo.
Ci vien detto che Boezio è sorpassato e che bisogna preferirgli Heidegger perché l’esperienza di Boezio è sorpassata, l’esperienza di Heidegger corrisponde ai nostri problemi attuali, ai nostri problemi psicologici attuali: l’auto-superamento. L’egoismo sconfitto dall’auto-superamento. Gesù Cristo ha sconfitto l’egoismo, radicalmente, nell’autosuperarsi infinitamente, unendosi all’infinito.
5.2. Il dogma della Redenzione, riveduto da Ratzinger secondo la dialettica di Hegel e l’esistenzialismo di Gabriel Marcel
Secondo: il dogma della Redenzione, riveduto dialetticamente secondo Gabriel Marcel, dunque si va ad utilizzare il metodo della dialettica di Hegel e nello stesso tempo l’esistenzialismo cristiano di Gabriel Marcel. Si applica il metodo di Hegel ed il principio di Marcel e sempre di sicuro il principio dell’immanenza. Lo vedrete.
I Sant’Anselmo vede nella croce un sacrificio espiatorio.
Allora la tesi (…)cattolica: dopo sant’Anselmo, che ha vissuto dal 1033 al 1109, Sant’Anselmo di Canterbury, la pietà cristiana vede nella croce di Gesù Cristo un sacrificio espiatorio.
II Negazione oggi del sacrificio della Croce
Antitesi: ma il nuovo testamento non dice che l’uomo si riconcilia Dio, ma che Dio riconcilia l’uomo. E dunque che Dio esige da suo Figlio un sacrificio umano, questo non è conforme al messaggio dell’amore del nuovo testamento. Dire che Dio ha voluto da Suo Figlio un sacrificio umano non è conforme al messaggio dell’amore del nuovo testamento. Dio non ha potuto esigere da Suo Figlio un sacrificio umano. Del resto l’antico testamento proibiva i sacrifici umani.
Detto altrimenti, oggi non possiamo più accettare che la croce sia un sacrificio espiatorio. Andava bene per S. Anselmo, ma oggi è impossibile perché la nostra conoscenza del nuovo testamento, il messaggio d’amore del nuovo testamento ci dice che Dio non poteva esigere il sangue del suo Figlio come un dio moloch assetato di sangue. Scusate la blasfemia, scusate, non sono io che lo dico, sono dei vescovi che dicono questo, mons Huyghe, vescovo d’Arras, 20 anni or sono, applicando Ratzinger.
Allora, ecco, questa negazione, la croce non è questo sacrificio d’espiazione offerto da un uomo a Dio, dall’uomo Gesù cristo a Dio suo Padre. La croce non è un sacrificio espiatorio, questa negazione nel suo assoluto per il suo assoluto, è talmente assoluta che essa ingenera la sua obiezione, cioè l’antitesi, secondo il metodo di Hegel. Tutta una serie di testi del nuovo testamento affermano al contrario la soddisfazione penale offerta da Gesù al nostro posto a Dio suo Padre. Si può citare lo stesso Isaia nell’antico testamento che descrive l’uomo dei dolori che porta i nostri peccati e che paga l’espiazione dei nostri peccati: “sono i nostri crimini che Egli porta, è per i nostri crimini che è stato sfigurato, che è stato percosso”. Sant’Isaia descrive la passione di Gesù come un sacrificio espiatorio e tutta l’epistola agli Ebrei proclama il sacrificio espiatorio di Gesù sulla croce.
1. La Croce diventa: “Gesù ha amato per noi”
E dunque Joseph Ratzinger è obbligato dall’assolutezza stessa della sua negazione, deve porre l’obiezione. C’è tutta una serie di testi della Sacra Scrittura che affermano malgrado tutto che la croce è un sacrificio espiatorio. Ecco il problema, come uscire dalla contraddizione? Infine (…) la croce è una soddisfazione per i nostri peccati, un’opera di giustizia operata da Cristo al nostro posto per la giustizia divina, per fare giustizia a Suo Padre, per il peccato dell’uomo.
Sintesi di Joseph ratzinger: Sulla croce Gesù s’è sostituito a noi, è vero. Non per pagare un debito, o pagare una pena, ma per amare per noi. Dunque Gesù sulla croce si sostituisce a noi, per amare per noi. La croce è: Gesù ha amato per noi. Per noi che non potevamo più amare (non si sa perché, noi siamo stati lontani da Dio, non potevamo più amare). Sulla croce Gesù ha amato per noi. E dunque così la tesi si riacquista arricchita dell’antitesi. E’ la dialettica di Hegel. La verità deve progredire nella storia mediante una tesi che con la sua affermazione genera la sua contraddizione e questa contraddizione arricchisce la tesi in una sintesi. Dunque la sintesi, vedete, c’è una sostituzione di Gesù Cristo al nostro posto sulla croce, semplicemente per amare per lui. E voi vedete assai bene che in questa filosofia di Hegel applicata alla Fede, la tesi e l’antitesi entrambi sebbene contraddittorie sono vere e tutte e due sono parte della verità. Dunque la negazione del punto di partenza, Gesù non ha offerto un sacrificio espiatorio e poi in secondo luogo ci sono tutta una serie di testi che dicono che la passione è sacrificio espiatorio, questo concorda, questo va quantomeno insieme, la sintesi, Gesù ci rimpiazza, Egli ama per noi.
Egli si sostituisce per amare per noi. Il che non è falso, Gesù ha una carità infinita, ma non è tutto, Gesù ha pagato duramente la pena dei nostri peccati, dunque l’eresia consiste nella negazione. L’affermazione è giusta: Gesù ha amato per noi, ma questo non è sufficiente, l’eresia consiste nella negazione della pena subita da Gesù volontariamente per noi sulla croce.
2. La croce diventa una pura esemplarità
E così vedete, secondo Hegel, secondo Joseph Ratzinger, questa sintesi, in futuro, nulla impedisce che diventi una tesi che, nella sua assolutezza, ingeneri una nuova antitesi, che esigerà una nuova sintesi e così il dogma potrà evolvere. La nostra concezione della redenzione potrà ancora evolvere, indefinitamente.
Risultato: vado a citare un po’ Joseph Ratzinger sulla redenzione: “il sacrificio cristiano non è altro che l’esodo (…) consistente nell’uscire da sé, adempiuto a fondo nell’uomo che è tutto interamente esodo, superamento di sé tramite l’amore. (Queste sono categorie esistenzialiste: l’uscita da sé, l’esodo) Dunque la passione di Cristo non opera la nostra salvezza né in modalità di merito (non si parla dei meriti di Gesù Cristo né delle sue sofferenze), né in modalità di soddisfazione (non si parla della pena di Gesù, della remissione ottenuta dei nostri peccati), né in modalità di sacrificio (non si parla del sacrificio della croce)né in modalità d’efficienza, d’efficacia, al modo di una causa efficiente, nulla di tutto ciò che pure san Tommaso d’Aquino proclama nella sua summa teologica. No, la passione di Gesù Cristo ha operato la nostra salvezza per pura esemplarità del dono di sé assoluto. Ciò significa che è un esempio straordinario di dono di sé assoluto. Dunque in tanto che esempio di dono di sé, la passione opera la nostra salvezza.
3. La croce è smaterializzata, essa diventa un’idea platonica, Gesù è “de-crocifisso”
Ecco il dogma della redenzione, la croce è un’idea platonica, puramente esemplare. Esmplare di che? Di qualche cosa di interiore a me: il dono di me; non è falso, il dono di sé, è la carità, ma vedete l’errore, la croce diventa solamente un esempio del dono di sé. La croce è spogliata di tutta la sua componente di sofferenza (…) subita da Gesù. La croce è smaterializzata. Gesù è de-crocifisso. Non resta che l’amore. La croce è un simbolo del dono di sé, poco importa la materialità delle sofferenze di Gesù, l’importante è il valore d’evocazione del mio dovere del dono di me stesso. La croce diventa un’idea platonica. E continuo citando Ratzinger: “A partire da questa rivoluzione nell’idea di espiazione (Gesù non espia pagando una pena ma amando al nostro posto, è una rivoluzione, lui dice, in questa idea d’espiazione, non si parla più di pena o di penitenza o di sacrificio, solo di dono di sé e d’amore, è pure più “valutante” e positivo) e dunque nell’asse stesso della realtà religiosa il culto cristiano e tutta l’esistenza cristiana ricevono anch’essi un nuovo orientamento”.
Il culto cristiano e l’esistenza cristiana dunque tutta la vita cristiana e tutta la liturgia saranno infettate da queste idee platoniche. Vi citerò qualcosa a questo proposito, è la nuova messa dove l’abbé Knittel ieri ci ha mostrato che tutte le orazioni del nuovo messale non parlano più del combattimento cristiano contro i nemici, contro se stessi, non c’è più penitenza, più espiazione, c’è solo d’amare. Resta l’amore. Non è falso, l’amore è l’anima della penitenza ma non si può smaterializzare la vita cristiana e dimenticare l’aspetto penitenziale, l’aspetto quotidiano, l’aspetto di vincere se stessi , di portare la propria croce al seguito di Gesù: è quello che Gesù ha detto nel Vangelo.
4. Il sacerdozio è ridotto al potere d’insegnamento
Dunque vedete, tutta l’esistenza cristiana riceve un nuovo orientamento ed il culto cristiano, è la nuova messa. La nuova messa diventa la celebrazione comune della fede. Non c’è più sacrificio, è la celebrazione comune della fede, la celebrazione delle grandi gesta di Gesù. Il sacerdozio così è riveduto nella sua essenza da Joseph Ratzinger. Cito: “Il Vaticano II, per fortuna, ha superato il livello della polemica che aveva ridotto la visione del sacerdozio al concilio di Trento e nel vedere solamente un mero sacrificatore nel prete”. Il concilio di Trento aveva ristretto la visione totale e globale del sacerdozio, il Vaticano II ha allargato le prospettive. Allora, cito Ratzinger: “ Il vaticano II ha per fortuna superato il livello della polemica ed ha tracciato un quadro positivo completo della posizione della chiesa sul sacerdozio dove si sono accolte così le richieste della Riforma che vede il prete come l’uomo della parola di Dio, della predicazione dell’evangelo”.
Così dunque, dice Joseph Ratzinger, la totalità del problema del sacerdozio si riconduce in ultima analisi alla questione del potere d’insegnamento nella Chiesa in generale. Dunque, egli riconduce tutto il sacerdozio al potere d’insegnamento nella Chiesa. Egli non nega il sacrificio, semplicemente dice: “tutto si riconduce al potere d’insegnamento nella Chiesa”. Dunque la stessa offerta della messa da parte del prete all’altare deve essere riletta in una prospettiva d’insegnamento della parola di Dio. Occorre rivedere il sacerdozio, lo stesso sacrificio, la stessa consacrazione, non c’è nulla se non la celebrazione delle grandi gesta di Cristo, la Sua Incarnazione, la Sua Passione, la Sua resurrezione, la Sua Ascensione, vissute in comune sotto la presidenza del prete. Si è riveduto il sacerdozio. Non è che una parentesi, questa, per mostrarvi come le idee di Joseph Ratzinger del 1968 sono state effettivamente applicate , sono state applicate al concilio Vaticano II, perché tutto questo voi lo trovate nel decreto del concilio sul sacerdozio.
5.3. La regalità politica e sociale di Nostro Signore Gesù Cristo riveduta da Ratzinger a partire dal personalismo di Emmanuel Mounier
Vediamo ora il Cristo Re, la sua regalità sociale: Gesù che ha il diritto d’imporre la sua legge alle leggi civili. Che lo stato, la società civile debba seguire la legge di Gesù Cristo, la sua regalità sociale. Ebbene, il Cristo Re deve essere purificato anche lui con una visione storicistica e con il personalismo. Non è più l’esistenzialismo, è il personalismo, filosofia moderna con Emmanuel Mounier. Personalista cristiano francese che ha vissuto tra il 1905 e il 1950.
Allora la tesi: il personalismo di Mounier, ecco lo strumento che mancava a Lammenais nel XIX secolo per introdurre la libertà dei culti nel cristianesimo. Lamennais voleva introdurre la libertà dei culti nella dottrina cristiana. Fu condannato da Gregorio XVI nel 1850. Lamennais è stato condannato; perché, si chiede Yves Congar? Perché non ha saputo e non ha avuto lo strumento che Emmanuel Mounier ha apportato un secolo più tardi: il personalismo. Lo strumento gli è mancato per introdurre la libertà dei culti nel cattolicesimo. Antitesi: è sufficiente oggi utilizzare questo strumento per purificare e correggere questo valore, la libertà religiosa, questo valore di due secoli di cultura liberale come dice Joseph Ratzinger nel 1984.
Si fa basare la libertà religiosa non sulla verità del culto dicendo che solo la vera religione ha il diritto alla libertà, ma si fa basare la libertà religiosa sul solido fondamento della dignità della persona umana. Sulla realtà (…) della persona come diceva Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor.
Dunque, la libertà dei culti non si basa più sulla verità del culto, la realtà oggettiva del culto esercitato: c’è un vera o una falsa religione; ma essa si basa sulla verità della persona, cioè sull’agire libero e responsabile di ciascuno in virtù delle sue proprie opzioni, come diceva Mounier.
Il concilio si è ispirato a Mounier nel proclamare la libertà della persona, oggi senza tregua presa in coscienza, attualmente dai nostri contemporanei e ciascuno rivendica il vantaggio di agire in virtù delle proprie opzioni. E’ quasi una citazione letterale di E. Mounier e se ne fa la base della libertà religiosa, del diritto alla libertà religiosa.
Dunque si è rimpiazzata la verità oggettiva del culto, cioè del vero culto cattolico, che è la sola vera religione e poi le altre religioni che non sono religioni, dunque non hanno diritti. La si è sostituita con la sedicente verità della persona, cioè la soggettività della persona. La libertà che la persona rivendica d’agire in virtù delle sue proprie opzioni, secondo l’immanenza. Per Mounier, io mi realizzo, realizzo la mia propria persona con le mie proprie opzioni, con le mie proprie scelte di vita, indipendentemente dalla verità e dall’errore nel quale io potrei essere perché l’importante è agire in virtù delle mie proprie opzioni, ecco qui Mounier. Si mette fra parentesi la verità o l’errore. Non si va a negare che ci sia una vera ed una falsa religione, semplicemente questo non ci interessa. E’ sempre lo stesso metodo. Si considera solamente l’interiorità. Agire in virtù delle mie proprie soluzioni. Dunque vedete bene come si rivede il Cristo Re che non ha più nulla da dire, che è “de-coronato” perché ora c’è la persona umana che agisce secondo le sue proprie opzioni che fonda il diritto alla propria libertà religiosa, di praticare nella società civile il culto di sua scelta. E’ quello che il Vaticano II ha insegnato nella dichiarazione sulla libertà religiosa, la Dignitatis Humanae.
6. Conclusione: un super-modernismo scettico, per Ratzinger i dogmi non sono che dei simboli
Veniamo alla nostra conclusione. Io direi un modernismo perfezionato, un super modernismo scettico. Non si nega la verità, non si diventa francamente atei, no, semplicemente si mette fra parentesi il buon Dio, l’Incarnazione reale, la Redenzione reale, il Cristo Re, si mette tutto ciò fra parentesi. Quel che ci interessa è che questi simboli evochino i miei problemi psicologici e mi aiutino a risolvere i miei problemi esistenziali. Allora, provo a concludere brevemente.
6.1. Il Dio di Emmanuel Kant
Cento anni prima della Pascendi, Kant vedeva già nei dogmi (se voi leggete Kant è interessante, ha scritto una piccola opera intitolata “La religione nei limiti della semplice ragione”), Kant vedeva già nei dogmi dei puri simboli di idee morali. Vi do un esempio: la trinità per Kant simbolizza l’unione in un solo essere di tre attributi: la santità, la bontà e la giustizia. Vedete la reinterpretazione della Trinità di Kant. Un puro simbolo morale, di cose morali: la santità, la bontà e la giustizia. Allo stesso modo per Kant il Figlio di Dio incarnato (interessante) non è un essere soprannaturale, è un ideale morale, quello di un uomo eroico. E’ del tutto l’ispirazione di Ratzinger: l’uomo che supera se stesso ed arriva all’infinito; un ideale morale. E l’idea dell’inferno, dice Kant, non è altro che un valore regolatore delle mie azioni, sia pure per la paura (…) ma questo non significa che l’inferno esista. Lo si mette tra parentesi. Vedete, per Kant i dogmi sono dei meri simboli; ecco l’essenza del modernismo. Dunque cento anni prima del modernismo esisteva già, solo all’esterno della Chiesa. Kant era un protestante, non un cattolico. Cento anni dopo vi furono i teologi modernisti, Loisy, che svilupparono le medesime teorie.
6.2. Il Dio di Kant è il Dio di Ratzinger
E poi cento anni dopo la Pascendi, nel 2007 non sono più solo i protestanti, non sono più solo dei semplici teologi, non sono più i più alti gradi della gerarchia che confessano questo… questo modernismo alla luce dei nomi celebri della filosofia moderna: Hegel (…) Dilthey, Husserl (…) Heidegger, Gabriel Marcel e Emmanuel Mounier e lo stesso Jacques Maritain. Chi è che lo fa? Questi super modernisti attuali arricchiti di tutta la filosofia del XIX secolo, essi hanno “dis-incarnato” Gesù Cristo. . Et Verbum caro factum est. Dio si è fatto carne: no, no non ne abbiamo bisogno! Che Dio si è fatto carne! No, no, l’uomo si supera, l’uomo si supera perfettamente. Hanno “dis-incarnato” Gesù Cristo, hanno “de-crocifisso” Gesù Cristo, l’amore puro, all’estremo, ed infine hanno “de-coronato” Gesù Cristo con maggiore brio di Loisy; ma la loro fede soggettiva alle prese con le onde del dubbio di cui parla Ratzinger nella sua opera “La fede cristiana”, questa fede soggettiva, alle prese con il dubbio del quale Joseph Ratzinger dice che il credente come il non credente sono sempre nel dubbio delle loro posizioni (il credente come il non credente sono sempre nel dubbio delle loro posizioni!) un tal credente non può più proporre ad un mondo senza Dio, un mondo senza Dio in pericolo di perdersi, come mezzo di salvezza, non può proporre che un Dio ideale ed ipotetico: il Dio di Emmanuel Kant.
L’uomo dovrebbe cercare di vivere e di organizzare la sua vita come se Dio esistesse, scrive Joseph Ratzinger nella sua conferenza a Subiaco il 1 aprile 2005, poco prima di essere eletto Papa. Ecco la soluzione sociale per portare l’ordine nel mondo: “L’uomo dovrebbe cercare di vivere e di organizzare la sua vita come se Dio esistesse”, secondo l’adagio dei filosofi illuministi e di Kant, che hanno ricercato sempre di trovare delle regole universali per il mondo intero che fossero valide anche se Dio non esistesse: trovare una morale universale anche se Dio non esistesse. Ebbene direbbe Joseph Ratzinger, trovare oggi, cercare di organizzare la sua vita come se Dio esistesse. E’ uno scetticismo spaventoso che ci indica la meta ultima del modernismo. Il modernismo conduce allo scetticismo, cioè a dei cristiani che non sono più sicuri di quello in cui credono; essi dubitano di quello che credono.
6.3. Di fronte al super-modernismo, il rimedio si trova in San Tommaso d’Aquino
Ecco dunque cari amici l’attualità massima della Pascendi di fronte a questi eccessi del modernismo che affliggono ora la sede di Pietro stessa. Ebbene la Pascendi ci ha messo in guardia, pastori e fedeli, contro questo contagio mortale e la Pascendi ci indica il rimedio a tutta questa falsa filosofia, che è san Tommaso d’Aquino.
Il gran rimedio che protegge a guardia della Fede sana, la vera nozione di fede soprannaturale, assentimento vero dell’intelligenza alla verità divina ricevuta dall’esterno (dell’uomo) a causa della autorità di questa divina Verità, è san Tommaso d’Aquino che ha richiamato queste verità. E noi abbiamo in lui il grande strumento che protegge la nostra Fede. In effetti è perché questa Fede oggettiva cattolica concorda perfettamente con la filosofia di san Tommaso d’Aquino che san Pio X prescrisse ai futuri sacerdoti lo studio della filosofia che ci ha lasciato il dottore angelico. E dunque concludo: a questa febbre scettica che affligge le più alte autorità della Chiesa d’oggi noi preferiamo il fervore tomista.
ANNESSO – Programma del Simposio Pascendi
Vendredi 9 novembre 2007 :
Ouverture à 9 h 00 et début des conférences à 9 h 30.
1er exposé : « Les documents traitant du modernisme de Léon XIII à Pie XII ». Comment les papes parlent ou ne parlent pas, beaucoup ou peu, du modernisme (abbé Vincent Robin)
2e exposé : « Problématique du modernisme : modernisme historiographique, modernisme réel ». L’historiographie du modernsime est faite par des personnes engagées dans la problématique : Rivière, Poulat, Colin etc. Cette historiographie correspond-elle à la vision de saint Pie X ? (abbé Grégoire Celier)
3e exposé : « Réaction à L’Evangile et l’Eglise et/ou élaboration des deux documents antimodernistes » (abbé Nicolas Portail).
Vendredi après-midi : début à 14 h 00
4e exposé : « Au coeur de l’antimodernisme : La Sapinière » (abbé Nicolas Pinaud)
5e exposé : Le postulat de l’immanence, soubassement de la nouvelle théologie de la foi, du magistère et de la Tradition (abbé Philippe Toulza)
6e exposé : Le postulat personnaliste, soubassement de ce que l’on pourrait appeler la nouvelle théologie morale : conception de la morale personnelle, conception de la famille et du mariage, conception des rapports entre l’Eglise et l’Etat (abbé Jacques Mérel)
Samedi matin 10 novembre 2007 : début 9 h 30
7e exposé : La nouvelle christologie : Incarnation et Rédemption (abbé P. de La Rocque)
8e exposé : La nouvelle théologie de la messe et du sacerdoce (abbé F.-M. Chautard)
9e exposé : La nouvelle théologie des sacrements et de la liturgie (abbé François Knittel)
Samedi après-midi : début 14 h 00
10e exposé : La nouvelle ecclésiologie et l’oecuménisme (abbé Jean-Michel Gleize)
11e exposé : La nouvelle méthode historique (abbé Christian Thouvenot)
12e exposé : La nouvelle exégèse (abbé Vincent Callier)
Dimanche matin 11 novembre 2007
10h 30 : Messe pontificale à Saint-Nicolas-du-Chardonnet
Dimanche après-midi à l’ASIEM : début 14 h 30
M. l’abbé Thouvenot - Pascendi : le centenaire d’un combat toujours actuel.
Mgr B. Tissier de Mallerais - Actualité de Pascendi : l’hydre moderniste toujours vivante.
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