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LA CIVILTÀ CATTOLICA 1889: DIO E GESÙ SECONDO LA MASSONERIA E SECONDO LA CHIESA

 


La Civiltà Cattolica anno XL, serie XIV, vol. II (fasc. 932, 8 par. 1889), Roma 1889 pag. 129-151.

R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.

DIO E GESÙ SECONDO LA MASSONERIA E SECONDO LA CHIESA

I.

IL DIO E IL GESÙ DELLA GIUDAICA MASSONERIA NON E IL DIO E IL GESÙ DELLA CHIESA CATTOLICA.

Il Dio della Massoneria giudaica è quello che ammettono i panteisti, è la natura, è il mondo. Ma un orbo vede che questo non ha nessun carattere proprio della divinità, dunque il Dio della giudaica massoneria non è Dio e, in fatto, questa professa l'ateismo. Perciò non fa solo guerra alla religione cattolica, ma a qualunque religione, perchè vuol distruggere ogni concetto della divinità. Al Framassone va ciò che disse S. Paolo: Qui adversatur et extollitur supra omne quod dicitur Deus, aut quod colitur. (Ad Thessal. II, c. 2.)

Il Dio della Bibbia e della Chiesa Cattolica è l'Essere sussistente necessario, spirito purissimo, infinito nella perfezione, eterno, uno, creatore di tutte le cose, legislatore supremo, che ha creato l'uomo a sua imagine, lo ha destinato alla immortale felicità perfetta, che consiste nel possedimento di lui medesimo sommo bene. È Dio α e ω, principio e fine di tutto il creato, cui ha ordinato alla manifestazione della sua gloria, e regge con sapientissima providenza. È immenso, e in lui siamo, viviamo, ci moviamo: e onnipotente, e dà a tutte le cose fatte da sè le loro naturali virtù: è onnisciente, e manifeste a lui sono non solo le esterne nostre operazioni, ma ancora tutti i nostri pensieri e i moti del nostro cuore: è giudice giustissimo nel premiare i meriti e nel punire le colpe contratte da noi colla libera nostra volontà nella vita mortale presente. A lui dobbiamo dare culto supremo di adorazione, a lui volgere le nostre preghiere e amarlo qual padre che conoscendo le nostre afflizioni è pronto a tergere le nostre lagrime e a chetare i nostri sospiri. Il Dio della Bibbia e della Chiesa è il Dio della filosofia vera, comechè questa non ha luce sì acuta dal vedere in Dio quelle sublimi grandezze che alla Chiesa egli stesso rivelò.

Così il Gesù della Massoneria e un puro uomo. Si esalta per la sua singolare filantropia, e vien fatto banderaio dei comunisti e dei socialisti, che iniziò la guerra ai privilegi, che portò l'eguaglianza tra tutte le classi sociali; il promotore di una sconfinata libertà e assoluta indipendenza, un uomo che alle virtù umanitarie e filantropiche congiunge ignoranza, debolezze, difetti, inclinazioni, passioni della povera nostra carne.

Or è ben altro il Gesù della Bibbia! Questi è il Messia promessoci per francare il genere umano non dalla soggezione all'autorità, ma dalla schiavitù della colpa, nella quale era caduto pel peccato di Adamo. Gesù è vero Dio, perchè è il Verbo eterno congiunto nella unità di persona colla umana natura, acciò potesse essere adequatamente soddisfatta la divina giustizia, offrendo egli nella natura umana assunta in espiazione per le colpe degli uomini, le umiliazioni, i patimenti, il suo preziosissimo sangue, e la sua morte di croce di un merito infinito. Questi è quello che additava il Battista, l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Questi è la via, la verità e la vita, che insegna agli uomini il sentiero della virtù per andare al conseguimento dell'ultimo fine, che mostra la verità cui debbono credere, che infonde in loro la vita soprannaturale e divina della grazia, onde gli uomini sono fatti figliuoli adottivi di Dio, e, nella eterna vita avvenire, partecipi della sua felicità.

Il Messia promesso, il Gesù della Bibbia è il Redentore è il Salvatore: che non venne a recare la eguaglianza negli agi e nelle ricchezze, ma a porre negli animi il distacco da quelli e da queste: che non venne a torre le spine che in questa terra sono cresciute per colpa dell'uomo, ma a darci forza per tollerarne le punture, e crescere i nostri meriti appo Dio battendo il sentiero della umiltà e della mortificazione.

Il Gesù della Bibbia vero Dio e vero uomo è il centro di tutti i nostri cuori, dobbiamo amarlo con amore puro e intenso sopra tutto il creato, dobbiamo prestargli il culto di latria come a Dio. Egli è il Sommo Sacerdote della Sua Chiesa di cui il Papa è Vicario: e in questa Sua Chiesa tutta l'autorità da lui come da fonte deriva. Egli è l'autore dei sacramenti, che sono i canali onde la sua grazia alle nostre anime viene infusa: egli s'immola sui nostri altari e con eccesso infinito di amore ci nutre colla sua carne e col preziosissimo suo sangue. Egli santifica la nostra nascita, la nostra vita e la nostra morte e col divino suo nome in bocca e baciando la sua imagine noi moriamo nella speranza di una vita beata. Il Gesù della Bibbia e della Chiesa è la sorgente del ben essere dell'individuo e della società, la quale ora che si dibatte in convulsioni frenetiche e si vede minacciata da imminente sterminio, in questo solo Gesù può avere pace e salute. Ma Satana che si ribellò a Dio per non umiliarsi a Gesù Cristo, gli fa perpetua guerra e cercando di staccare da Gesù gli uomini, per mezzo della setta giudeo-massonica li vuol perdere e trarli alla sua stessa dannazione.

Queste parole con animo un po' concitato io diceva a Giovanni mio nipote, che, per buona ventura avea da poco fornito [= portato a termine, N.d.R.] lo studio della Università e presovi il grado di dottore. Temeva assai che qualche stilla di veleno non avesse penetrato nel suo cuore coll'insegnamento in parte irreligioso, in parte falso, nel resto superficiale e vano che a questi tempi si dà. Giovanni così riprese.

Giovanni. Capisco assai bene che il Dio della Bibbia e della Chiesa è diametralmente opposto al Dio della Giudaica Massoneria e così diciamo del Gesù della Bibbia e del Gesù della Massoneria. E certamente per le trame di questa, nelle scuole si cerca in tutti i modi di far passare come assurda l'idea biblico-cattolica del vero Dio e di Gesù vero Messia, e far abbracciare dai giovani le bestemmie massoniche sopra l'uno e sopra l'altro. Vi confesso che anche a me si volle dare a intendere che il concetto di Dio datoci dalla Chiesa è assurdo; giacchè la Trinità porta seco la pluralità degli dei, e che il concetto di Cristo uomo Dio è pure una contraddizione in termini. Già si sa, si esclama in aria magistrale, i cattolici dicono credo quia absurdum, il mistero è l'assurdo. Ma so bene che queste difficoltà si ripetono dai professori, dai medici, dagli avvocati, dai sindaci e dai farmacisti anche nei piccoli villaggi. Però e bene che vengano disciolte in maniera agevole a comprendersi, perchè la balordaggine degli scredenti massoni sia svergognata.

II.

DIO.

Autore. Quel tentatore, cui mi accenni, era proprio un asino: e quel detto che metteva in bocca a' cattolici è una bestialità, che ogni momento, di fatto, ammettono gli scienziati massoni quando accettano da qualsivoglia imbecille corbellerie ridevoli. Tu mi hai recate due proposizioni nelle quali consiste principalmente la nostra fede, come dice San Tommaso: Fides nostra in duobus principaliter consistit, primo quidem in vera Dei cognitione, secundum illud (Hebr. II): «Accedentem ad Deum oportet credere, quia est». Secundo in Mysterio incarnationis Christi, secundum illud (Ioan. 14): «Creditis in Deum et in me credite.» E ben conviene che sopra questi due punti si aggiri la nostra conversazione, perchè dai giudei-massoni oggidì questi punti sono i più bistrattati. Or si vuole far passare il mondo per Dio, e Cristo per uomo puro. Adunque ti mostrerò che qui la Chiesa non ci propone nulla di assurdo, benchè ci proponga misteri.

G. Ma dicendosi che Dio è uno, si dice pure che vi è un solo Dio; e dicendosi che Dio è trino non si viene a dire che ci sono tre Dei? Ecco la difficoltà che tende a mostrare che il mistero e un assurdo. Oh! intendiamoci bene: non sono io che parlo, parlano pel mio labbro quei sputasentenze balordi.

A. Così spropositano coloro che pretendono trovar l'assurdo nei misteri della fede. Caro Giovanni! Chi e Dio? rispondimi col lume della tua ragione e colla conoscenza volgare che ne hai attinta allo studio della elementare filosofia, la quale hai pure alquanto toccata.

G. Senza essere professore, io direi che Dio è quell'essere che ha la essenza o la natura divina e che ha quelle proprietà che a questa convengono, come voi testè avete detto: in quella stessa guisa che è uomo quell'ente che ha la essenza e la natura umana ed è dotato di quelle proprietà che ad essa competono. Ho detto bene?

A. Egregiamente! Ma uno solo, secondo la fede, è l'essere infinito, ed è questi il creatore, e il provisore ecc. Una sola è la essenza e la natura divina, perciò la fede c'insegna che Dio è un solo. Or ti dimando: Perchè dici tu che Antonio e Camillo ed Eugenio sono tre uomini e non un solo? Non hanno essi eguale natura umana e però non si dovrebbero dire un solo uomo?

G. No davvero! E mi pare che la ragione sia questa. Se Antonio, Camillo ed Eugenio non avessero solo la natura umana specificamente eguale, bensì la identica natura dell'uno fosse anche la identica natura degli altri due, dovrebbono invero dirsi un solo uomo: ma, poichè questa identità non c'è, e vi è solo la detta eguaglianza specifica, ne viene che si debbono dire tre uomini e non un solo uomo. Non è così?

A. Senza dubbio! Quando diciamo che Dio è uno e Trino, diciamo che la natura divina è una sola, e le tre persone Padre, Figliuolo e Spirito Santo, tutte e ciascuna, hanno la identica divina natura. Se nelle tre divine persone ci fossero tre nature solo eguali, si dovrebbero dire tre dei o tre divinità, ma perchè la natura in loro non è specificamente eguale, ma è identica, debbono dirsi un Dio solo.

G. Questa spiegazione mi capacita proprio. Or veggo la balordaggine di coloro (e ne ho conosciuti tanti, che con aria magistrale friggono e rifriggono quella famosa obbiezione: il Padre è Dio: il Figliuolo è Dio, lo Spirito Santo è Dio: dunque la Chiesa cattolica insegna che sono tre dei. Ora capisco! se la natura divina che ha il Padre non fosse nella sua identità partecipata dal Figlio e dallo Spirito Santo, ma questi l'avessero partecipata soltanto specificamente eguale, l'argomento starebbe; senonchè essendo partecipata nella sua identità, l'argomento non regge affatto.

A. Or sai tu dirmi perchè affermiamo che gli uomini hanno la natura umana specificamente eguale, ma non tra loro identica?

G. Mi pare perchè con quel concetto, onde concepisco la natura umana, concepisco la natura che è in Antonio, in Camillo e in tutti gli uomini. La natura di tutti risponde ad una medesima idea d'umana natura, la quale idea è pero universale. Ma sempre rimane che questo rispondere di tutti gli uomini alla medesima idea della umana natura, non porta seco la identità reale delle nature loro, comechè ne porti la reale simiglianza; come molte copie di una fotografia non sono identiche tra loro solo perchè corrispondono egualmente all'originale da cui tutte furono tratte. Tuttavia confesso di non capire come mai le tre persone divine possano avere non solo simile la divina natura, ma l'abbiano identica.

A. E qui sta il mistero, nè mi fa meraviglia se nol capisci. Il mistero, perchè tale, è incomprensibile, cioè non si può con evidenza comprendere. A spiegarti chiaramente quanto affermo ti dirò: che la proposizione la quale enuncia il mistero, è tale che sebbene i suoi termini si capiscano in qualche maniera analogica, non si capiscono così da vederne la loro identità. Di questa proposizione: Nella natura divina identica sono sussistenti le tre persone, Padre, Figlio, Spirito Santo: capisci i termini? Per certo li capisci alquanto, e perciò non puoi scambiare quella proposizione con altra qualunque. Ma tu con la umana ragione non vedi la connessione tra il soggetto e il predicato; la fede ti dice che ci è, e tu la credi per fede. Ma perciocchè l'umana ragione non vede la detta connessione, ne segue che ella può obbiettare difficoltà; e in tale supposizione alla stessa umana ragione, da cui procedono quelle difficoltà può scioglierle e mostrare che esse non reggono, perchè sono sofistiche. Questo è il compito della filosofia, la quale ben sapendo che ciò che è vero per fede è impossibile che sia falso per ragione, deve mostrare che tra quella e questa non vi è contrasto com'altri inconsideratamente sostiene.

G. Certi nostri professori non pensano mica così. Quando non capiscono una verità di fede, non cercano di sciogliere le difficoltà che contro essa si muovono, ma a dirittura la dicono assurda e vi ridono sopra. Mi pare che questo riso sia il raglio dell'asino. E ben mi ricordo di un cotale uomo che lisciandosi i baffi e dandosi l'aria di uno scienziato mi diceva dottoreggiando: ma se tuo padre e tu, siete due uomini, come vuoi che non sieno due dei, il Padre e il Figlio di cui ti parla la fede? Egli prendeva le persone della santissima Trinità come fossero persone umane! Io non so proprio come sieno, ma so di certissimo che non sono al modo stesso, benchè sieno vere persone, cioè sussistenti.

A. Manco male! Se noi potessimo veder Dio immediatamente, potremmo di Dio avere una cognizione chiara e propria, ma in questa terra non ci è dato ascendere tant'alto. Bisogna che ci contentiamo di pervenire dai suoi effetti o dalle sue languide imagini alla cognizione delle cose divine. Quindi balbettiamo!

Vedi caro Gianni, tutto il mondo ed ogni cosa che è in esso è da Dio creata a sua imitazione, per ciò Dio è idea del mondo. Laonde tutte le cose sono effetti di Dio e sue similitudini. Ma nella terra quello che si può dire alquanto imagine di Dio è l'uomo. Però S. Tommaso afferma (S. T. 93. art. 5, XX. art. 6.) «Vuolsi dire che nell'uomo c'è l'imagine di Dio e rispetto alla natura divina, e rispetto alla Trinità delle persone, perocchè in Dio vi è una sola natura in tre persone.» Divinamente poi l'Angelico in molti luoghi delle sue opere tratta di questa imagine. L'anima è imagine della divina natura perchè in essa vi e il principio dell'intendere il quale produce o genera il verbo mentale, e producendo il verbo ama ciò che nel verbo è conosciuto. Così ad esempio, tu generi un verbo mentale nel quale formi il concetto della virtù e generando tal verbo ami quella virtù, che idealmente e oggettivamente concepisci. Qui è rassembrata la trinità delle persone divine. In questa Trinità il generante e il padre: il generato è il Figlio o il verbo divino: l'amore è lo Spirito Santo. In noi il generare un verbo mentale è posteriore all'esistenza dell'anima: il verbo generato non è la sostanza dell'anima, è accidente; anzi sono molti i verbi generati in noi successivamente, coi quali diciamo mentalmente le varie cose che conosciamo. Così l'amore onde le amiamo è pure accidente dell'anima e realmente da essa distinto e successivamente moltiplice. In Dio o nella divina natura non così. Il generante genera essenzialmente, eternamente, necessariamente il verbo, e questo è uno col quale Dio conosce e internamente dice sè e tutte le cose. In Dio accidenti non possono trovarsi; il verbo non è accidente è sostanza. L'amore ancora onde ama sè e tutte le cose è uno solo, non è accidente, è sostanza. Non v'è in Dio distinzione reale tra la natura e la generazione del verbo, tra la natura e il verbo stesso, tra la natura e l'amore. Quantunque, perchè il principiato ha reale distinzione dal principio da cui procede, vi sia reale distinzione tra il generante e il verbo generato, e l'amore che è da entrambi spirato. Per questa distinzione reale il generante è una persona distinta dal verbo, e dall'amore, e così è costituita la divina Trinità. Che se rispetto a noi è impossibile pensare che il generare il verbo mentale sia fuori dell'anima, o sia fuori dell'anima il verbo e l'amore, ond'è che l'intendere e l'amare diconsi azioni immanenti, che hanno loro termine là dove hanno il principio da cui derivano, infinitamente più è impossibile, se mi e lecito dir così, che in Dio il generante, il verbo, l'amore che si identificano colla divina natura, siano da essa divisi e separati. Se non che è la divina natura essenzialmente infinita nella perfezione, perciò perfettissimo sarà il generante, il verbo e l'amore: e la perfezione delle tre persone non sarà moltiplicata o divisa perchè è una la natura per cui ogni persona e infinitamente perfetta.

G. Mi piace! Or mi sembra che la ragione umana non abbia diritto di voler altro intorno alla soluzione della difficoltà.

A. Ma non credere che per ciò si possa dire che intendiamo il mistero. San Tommaso ci fece ascendere alla cognizione della Trinità, dall'anima umana come da sua imagine. Ora pur l'anima nostra è contingente e nella sua perfezione limitata, dista infinitamente da Dio, e assai meno può rappresentarlo, di quello che una pittura sulla tela possa rappresentare l'uomo vero o il vivo fuoco. Le immagini che non hanno nè la natura generica, nè la specifica del rappresentato, non possono dare di questo una propria cognizione, ma solo una cognizione analogica. Possiamo invero col discorso far tacere la ragione quando si ribella alla verità, ma torre il mistero non possiamo, perchè Dio è infinito nè può essere compreso dalla virtù di una intelligenza finita. Il detto basti a toccar con mano, che è da stolti l'attribuire alla Chiesa una dottrina che ammetta pluralità di dei, perchè c'insegna la Trinità delle persone divine.

G. E mi basta davvero perchè il vostro discorso non si contenta di andare alla superficie, va al fondo, nè si studia di mettere innanzi l'autorità dei più o men dotti, ma filosofa sopra i principii della dottrina ch'è in questione. Di grazia contentatemi eziandio nell'altro punto, sopra il quale e professori e scolari mi diedero gran fastidio, arrabbattandosi di darmi a credere essere impossibile cosa che un Uomo sia Dio, e perciò che propriamente e veramente a Gesù Cristo la divinità si possa attribuire.

III.

GESÙ.

A. Per parlare di quella proposizione che si dà come assurda, cioè che un uomo sia Dio e quindi che Gesù Cristo sia Dio, bisogna da prima torre le tenebre che l'ignoranza e l'empietà massonica addensa intorno a tale questione.

In primo luogo è assurdo il dire che la Chiesa e noi cattolici scambiamo la natura dell'uomo colla natura di Dio. È assurdità e bestemmia il dire che la natura dell'uomo, sia o possa divenire la natura di Dio. La natura umana è contingente e corporea, Dio è necessario e purissimo spirito ed è una contradizione affermare che un essere corporeo sia o possa tramutarsi in purissimo spirito. La Chiesa non ha mai proposta tale sciocchezza a credere. Ci sono alcuni scienziati tanto ignoranti, o forse e meglio, tanto maliziosi, che, per poter asserire che la fede contiene delle stoltezze e delle assurdità, spudoratamente affermano che la Chiesa insegna ciò che non si è mai sognata d'insegnare.

G. È vero! e così restano corbellati e traditi i discepoli di certi professori, che si danno l'aria magistrale di dottissimi scienziati e addottrinati nella storia della civiltà e della religione, e in questo campo eglino sono ignoranti e menzogneri: sì, ripeto, è vero è verissimo.

A. Ma andiamo avanti. In Gesù Cristo secondo la fede è mestieri ammettere la natura umana compiuta: cioè l'anima umana congiunta sostanzialmente a un corpo umano. Sebbene Maria Santissima fosse vergine e sempre vergine, tuttavia per divina virtù concepì e diede alla luce Gesù vero uomo, perchè in lui vi era tutta intiera l'umana natura. L'anima di Gesù era principio della sua vita vegetativa, sensitiva e razionale, perciò in esso vi era umano intelletto e umana volontà, ed è errore ereticale dire il contrario. Laonde furono condannati come eretici quei che si diedero a credere che il corpo di Gesù fosse fantastico e non reale, e quelli che dissero che in lui non v'era l'anima razionale, e quelli che gli negarono l'intelletto umano e propria volontà umana.

G. E così è chiarito che Gesù era vero uomo, ma il forte è chiarire come egli sia vero Dio.

A. Ti ho testè detto che non si può dire Dio nel senso che l'umana natura si sia tramutata nella natura divina. Ma Gesù debbe dirsi Dio in quanto con l'umana sua natura, dal primo istante della esistenza di questa, fu a lei congiunta la natura divina; quella identica natura per cui Dio è Dio e per cui Dio è il Padre, Dio è il Verbo cioè il Figlio, Dio è lo Spirito Santo, come poc'anzi ti diceva. Ma la natura divina come si è unita alla natura umana in Gesù? Si è unita in quanto in essa sussiste il Padre? o in quanto in essa sussiste la persona del Verbo o del Santo Spirito? Si è unita in quanto in essa sussiste la persona del Verbo. Questa è la fede cattolica e però nell'Evangelio di San Giovanni è detto  Deus erat Verbum  et Verbum caro factum est. Non già che il Verbo ch'è Dio si sia tramutato in carne, ma perchè il Verbo ch'è Dio, con la natura divina in cui sussiste, si è congiunto alla umana natura di Gesù.

G. Ma come mai due cose così disparate, quali sono l'umana natura finita, contingente, creata, corporea, si potè congiungere con la natura divina, infinita, necessaria, incorporea, da farne un tutto?

A. Adagio con questo tutto! Tieni ben fermo che l'unione non fu fatta così, che la divina natura si sia cangiata nella umana, nè che la umana natura si sia tramutata nella divina, nè così che delle due nature si sia costituita un'altra natura umano-divina; ma le due nature divina ed umana rimasero nella loro perfezione. Il Verbo, cioè il figlio, che sussisteva ab eterno nella sola natura divina, assumendo la umana nel tempo, incominciò a sussistere anche in questa: per lo che si deve dire che Dio si è fatto uomo: Unumquodque dicitur esse factum illud, quod de novo incipit praedicari de ipso. Esse autem hominem vere praedicatur de Deo, ita tamen quod non convenit Deo esse hominem ab aeterno sed ex tempore per assumptionem humanae naturae, dice San Tommaso (P. III, q. 16. ar. 6). Questa unione sublime, divina, misteriosa, non si può a parole spiegare, travalica la portata dell'intelletto umano, lasciato al solo suo lume naturale. Tuttavia una languida ed analogica comparazione la desume il Simbolo attribuito a S. Atanasio, dall'unione dell'anima umana col corpo. Ecco le parole di esso Simbolo: Est ergo fides recta ut credamus et confiteamur, quia Dominus Noster Jesus Christus Dei Filius, Deus et homo est... Qui licet Deus sit et homo, non duo tamen sed unus est Christus. Unus autem non conversione divinitatis in carnem, sed assumptione humanitatis in Deum. Unus omnino non confusione substantiae sed unitate personae. Nam sicut anima rationalis et caro unus est homo: ita Deus et homo unus est Christus.

G. Amerei che mi chiariste un po' questa similitudine, perchè ho alquanto corta la vista. Già capisco che trattandosi di un mistero e di un mistero così sublime, ogni similitudine deve zoppicare e vuol adoperarsi in senso analogico.

A. Ti contenterò volentieri. Considera che l'anima umana è sussistente a similitudine di uno spirito, e perciò può stare e deve stare subito dopo la morte dell'uomo, da sè sola separata dal corpo. Essa è immediatamente creata da Dio e da lui tosto unita al corpo umano; onde incomincia ad esisterel'uomo. In virtù di tale unione, in primo luogo è costituita una natura composta e compiuta, ch'è la natura umana. In secondo luogo è costituita una persona individua umana, la cui dignità deriva dall'anima stessa che è propria dell'uomo; e non dalla materia corporea che è comune ai bruti e agli altri enti corporei. L'anima umana è una sola nell'uomo, ed è essa il principio della vita vegetativa, della sensitiva e della intellettiva; ma constituisce l'uomo nella dignità sua propria di razionale, in quanto è intellettiva; perchè in quanto sensitiva gli dà la vita comune a' bruti, in quanto vegetativa gli dà la vita comune anche alle piante. Perciò da essa anima in quanto intellettiva deriva nell'uomo la sua personale dignità, e la dignità di tutte le operazioni che ad esso si attribuiscono. Adunque, ripeto, l'anima umana costituisce col corpo umano primamente una natura, secondamente una persona.

Il Verbo divino, sussistente nella natura divina, si unisce immediatamente alla umana natura di Gesù, non costituendo una sola natura ma costituendo una sola persona, cominciando la sua persona divina, che sussisteva ab eterno nella divina natura, a sussistere anche nella umana assunta natura. Puoi entrare in questo concetto?

G. Mi pare che sì, e veggo quale dignità ne venga a Gesù Cristo.

A. Dignità suprema! La quale è chiarita in questa proposizione: Gesù Cristo è uomo, perchè la persona del Verbo sussiste nella natura umana; e Gesù Cristo è Dio, perchè è la persona del Verbo sussistente nella divina natura. Laonde perchè il Verbo non è figlio di Dio adottivo, ma proprio; perciò Gesù Cristo non ha la figliuolanza di Dio adottiva ma propria.

Da cotesta dottrina viene che quelli, i quali danno alle parole il significato che esse naturalmente hanno, non affermeranno giammai, come testè mi dicevi di certi scioli [= certi saputelli, N.d.R.] che sognano involgere contradizione queste formole cattoliche: Gesù uomo è Dio.  Dio è quest'uomo Gesù. La ragione la dà San Tommaso: Supposita veritate utriusque naturae divinae scilicet et humanae et unione in persona et hypostasi (tieni qui per sinonime queste due voci), haec est vera et propria: Homo est Deus, sicut et ista Deus est homo. Hoc enim nomen homo potest supponere pro qualibet hypostasi humanae naturae; et ita potest supponere pro persona filii Dei, quam dicimus hypostasim humanae naturae. Manifestum est autem, quod de persona filii Dei, vere et proprie predicatur hoc nomen Deus. Unde relinquitur quod haec est vera et propria: Homo est Deus. (P. III. 16. ar. 2.). Cioè quando si dice Dio è uomo s'intende dire che il Verbo, ch'è Dio per la natura divina in cui ab eterno sussiste; per la natura umana, che nel tempo unì alla stessa divina natura, può dirsi uomo. Giacchè ogni persona che ha sussistenza in natura umana dee avere appellazione di uomo. — Di più: quando si dice l'uomo è Dios'intende che quella persona, la quale pur sussiste in umana natura, è una persona divina sussistente nella divina natura e la quale perciò e Dio.

G. Ben veggo che questo è un discorrere con senno, ma pensate un poco se que' ciarlatani, che altro non hanno in cuore che il disprezzo di Dio e della religione, fanno attenzione alla propria significazione delle parole! Altro non sanno fare che buttar fuori delle stupide affermazioni e, dopo un insulto, sghignazzare beffeggiando tutti i dottori e la Chiesa stessa e facendoci passar per balordi, mentre son eglino le teste di gesso.

A. È proprio così! Tuttavolta molti ignoranti e specialmente giovani rimangono ingannati e traditi. Ma lasciami progredire nel mostrarti le sublimi grandezze di Gesù Cristo, disconosciute dalla setta giudeo-massonica, la quale non lo riconosce qual Dio nella stretta significazione della parola, ma solo quale puro uomo privilegiato, virtuoso, o se vuoi, divino per la tragrande sua eccellenza.

G. Non potete credere il diletto ch'io ne provo. La Dio mercè ritengo nel cuore sincera la fede, e nella mente un po' di sana filosofia, però le vostre parole mi sono luce cara e soave.

A. Da questo principio che la persona di Gesù Cristo è il Verbo o il Figlio di Dio Padre, sussistente in due nature la divina e la umana, viene che ad esso si debbono attribuire tutte le perfezioni di Dio, e tutto ciò ch'è proprio dell'uomo.

Riprendiamo la similitudine dell'anima umana e del corpo umano. Le operazioni di quella e di questo a chi si attribuiscono? Nel parlare comune di tutti, quello che fa o che patisce una parte del composto umano lo si attribuisce alla persona: quantunque si possa anche attribuire a quella parte d'onde procede o che n'è immediato soggetto. Così diciamo che Pietro pensa, ama, vuole, che Pietro cammina, è percosso, ha male, attribuendo alla persona di Pietro le azioni che sono fatte dalla sua sola anima, perchè il pensare, il volere e l'amare si fa dalla sola anima e stanno in essa sola come in soggetto: e alla persona di Pietro pur si attribuiscono quelle passioni e quelle operazioni che si fanno dal corpo organico e sensitivo e che in esso stanno come in soggetto. La dignità poi di tutte le operazioni e passioni umane deriva dalla dignità della umana persona, quantunque immediatamente appartengano alle inferiori facoltà e in queste stieno come in soggetto.

Così a Cristo voglionsi dare quelle attribuzioni che a lui competono in quanto la sua persona, ch'è il Verbo, sussiste nella natura divina, e son tutte quelle che si attribuiscono a Dio; e perciò dicesi che Cristo e creatore dell'universo, che ab eterno esistette, ed egli stesso di sè disse: Antequam Abraham fieret ego sum. Eziandio gli convengono quelle attribuzioni che competono al Verbo in quanto sussiste nella umana natura; e perciò si dice che è nato di Maria Vergine, che patì, che morì in croce, e quindi la Vergine vien detta ed è veramente Madre di Dio, e l'uccisione di Gesù Cristo chiamasi Deicidio.

Tuttavolta quando nel modo di parlare può esserci equivocazione, perchè talfiata gli eretici ne abusarono, allora conviene determinare che l'attribuzione si dà a Cristo secondo la divina natura, oppure secondo la natura umana. Però sapientemente osserva San Tommaso (P. III. 16 ar. 8): Dicendum quod omnes proprietates humanae naturae, sicut et divinae, possunt aequaliter dici de Christo. Unde et Damascenus dicit (in III. lib. orth. Fid. c. 4) quod Christus qui Deus est et homo, dicitur et creatus et increatus, passibilis et impassibilis. Sed tamen illa quae dubitationem habent circa alterutram naturam, non sunt dicenda absque determinatione, unde ipse postea alibi (lib. IV. orth. Fid. c. 5) subdit:Ipsa una hypostasis, scilicet Christi, et increata est Deitate et creata est humanitate; sicut e converso non esset dicendum sine determinatione: Christus est incorporeus vel impassibilis, ad evitandum errorem Manichaei, qui posuit Christum verum corpus non habuisse, nec vere passum esse; sed dicendum est cum determinatione quod Christus secundum Deitatem est incorporeus et impassibilis. Ma ora tocchiamo almeno di volo alcune di quelle perfezioni che ha Gesù secondo la teologia cattolica. Posto il principio che Gesù Cristo è Dio, perchè in esso vi è il Verbo di Dio con la divina natura in cui ab aeternosussiste, non accade che t'intrattenga intorno a quelle perfezioni che sono proprie della divinità, le quali sono in gran parte conosciute dalla ragione umana e svolte nei corsi di vera e buona filosofia. Non parlo di alcuni corsi che sono dettati da superbi ciarlatani o da matti dei nostri giorni. Intratteniamoci sopra le perfezioni che in Cristo deve avere la natura umana.

G. Il trattare di queste mi tornerà a grandissimo vantaggio, perchè qui ci trovo della oscurità.

A. Siccome la persona divina del Verbo sussiste in Gesù in due nature, cioè nella divina e nella umana, è chiaro che in Gesù Cristo vuolsi ammettere due intelletti e due volontà, cioè intelletto e volontà divina, intelletto e volontà umana. Ora di sua natura l'umano intelletto è ordinato alla cognizione della verità, e così dovea essere in Cristo. E qui ti metto innanzi tale questione: Gesù Cristo ebbe solo una cognizione astratta dalle cose sensibili della prima Verità ch'è Dio, oppure lo intuì immediatamente coll'umano intelletto?

G. A prima vista mi sembrerebbe che no, perchè egli era viatore e mortale.

A. Invece i teologi cattolici si accordano nell'affermare che alla dignità infinita di Gesù si addiceva che l'intelletto suo umano fosse illustrato dal lume divino, onde intuire, fin dal principio di sua esistenza, immediatamente la divinità. Bisogna sapere che, secondo S. Tommaso, Dio si vuol considerare sotto due rispetti e nell'essere suo reale, e nell'essere suo ideale. Cioè in quanto è essere infinito sussistente e in quanto è idea di ogni cosa esistente e possibile. Egli insegna che in questa vita naturalmente con immediata intuizione non si può vedere intellettualmente Dio, nè come essere reale nè come essere ideale: anzi che la intuizione di Dio come essere ideale presuppone quella che è di lui come essere reale. La visione di Dio è propria dei beati, e si ha per la congiunzione della divina essenza coll'umano intelletto. Nella vita presente l'uomo non ha che una cognizione analogica della divinità, perchè naturalmente non ha che la cognizione che si può acquistare mediante la cognizione delle creature che sono vestigii od effetti di Dio. L'Angelico dottore non concede nemmeno ai profeti la intuizione dell'essere reale od ideale divino.

G. Però non credo ai rosminiani i quali concedono quest'ultima a tutti i viatori, e il peggio è che dicono la loro dottrina essere di San Tommaso.

A. Che possano non conoscere gli errori che abbracciano, si conceda pure. La ignoranza ha i suoi privilegi e tra questi quello di confondere, senza addarsene, talvolta la verità con l'errore, e di non vedere la forza degli argomenti onde quella è confortata e questo è smascherato e annientato. Ma il sostenere che la loro e dottrina dell'Aquinate, non si può fare senza una sfacciata menzogna, quale gli uomini onesti non dovrebbono proferire. Pazienza! peggio per loro. Ma già dando il nome di rosminiani ai soli propugnatori del sistema filosofico di Rosmini, vuolsi or dire che sono rari come le mosche bianche, giacchè la massima parte degli antichi cultori di quel falso sistema si stancò di esser tirata pel naso da pochi sofisti, e si annoiò delle contradizioni e delle tenebre in cui sventuratamente si avvolgeva. Per umano riguardo (che alligna nei timidi e nei dappoco) non si fanno tante aperte confessioni in pubblico, ma in privato si fanno. Ora c'è la fazione massonica che pesca nel torbido perchè odia Chiesa, Papa e Gesù Cristo, e spinge i rosminiani innanzi per un sentiero iniquo. Ma ti prego di lasciare da un lato questo tema: tiriamo innanzi nei nostro.

G. Adunque all'intelletto umano di Gesù Cristo era dato d'intuire l'essenza di Dio, al modo dei beati; cioè avea quella scienza che si dice scienza beatifica, nella quale consiste la felicità dei beati.

A. Sì! e in maniera superiore a tutti gli angeli del paradiso e a tutti gli uomini santi. Così Gesù era comprensore e viatore nello stesso tempo.

G. Ma con questa parola comprensore intendete voi che comprendeva coll'intelletto umano la divina essenza, cioè conosceva Dio intuitivamente nella stessa misura, onde Dio conosce sè stesso?

A. Questo no! Imperocchè la natura umana in Gesù, per la grazia della unione ipostatica col Verbo, acquistava sì una dignità infinita, ma non cessava di essere in sè finita; però l'intelletto umano in Gesù avea non infinito, ma finito valore. Or l'infinito non può essere inteso quanto e intelligibile da una facoltà finita; laonde sebbene la cognizione di Gesù superasse quella di tutti i beati, nondimeno era inferiore a quella onde Dio conosce sè stesso, e conseguentemente a quella del Verbo, cioè a quella dello stesso Gesù in quanto era in lui la natura divina. Per la qual cosa San Tommaso potè dire che l'intelletto umano di Gesù non comprendeva lo stesso Verbo cui era personalmente unito (P. III. 10. ar. 1.) «Anima Christi non comprehendit Verbum».

G. Dunque non si può dire che Gesù, pur vedendo la divinità, avesse la scienza di tutte le cose.

A. Qui bisogna porre un principio datoci dall'Aquinate ed è «Nulli intellectui beato deest quin cognoscat in verbo omnia quae ad ipsum spectant.» Questo principio e fondato in ciò che il beato (III. 10, art. 2.) deve conoscere tutto quello che può desiderare di conoscere, e però tutto cio ch'è o che potrà essere in relazione con lui. Ma tutto in questo mondo ha relazione a Gesù, laonde tutte le cose passate e future od anche che sarebbero future se si avverasse qualche condizione che di fatto non ebbe e non avra luogo, da Gesù furono conosciute. Nel campo poi di quelle cose che sono a Dio possibili c'è una latitudine infinita, e in queste non si estende totalmente la cognizione dell'intelletto umano di Gesù.

G. Ma questa scienza beata era unica in Gesù Cristo? Non ne avea una simile alla nostra?

A. Sì! Egli era viatore ancora, nè poteva mancare di quella scienza ch'e naturale all'uomo. L'uomo ha l'intelletto possibile, il quale riceve le specie intelligibili delle quiddita delle cose che cadono sotto ai sensi, ed ha l'intelletto agente ch'è il lume intellettuale concreato nell'uomo. Con questo lume egli astrae dai fantasmi che vengono con le sensazioni, la quiddità delle cose sensibili. L'intelletto adunque possibile ed agente doveva esservi in Gesù e conseguentemente dovea esservi quella scienza che diremo acquisita della quale non può mancare l'uomo viatore. Ecco la sentenza dell'Aquinate che porto con le stesse sue parole (III. 9. art. 4.): Nihil eorum quae Deus in nostra natura plantavit, defuit humanae naturae assumptae a Dei Verbo. Manifestum est autem, quod in humana natura Deus plantavit non solum intellectum possibilem, sed etiam intellectum agentem. Unde necesse est dicere quod in anima Christi fuit non solum intellectus possibilis, sed etiam intellectus agens. Si autem in aliis Deus et natura nihil frustra faciunt, multo minus in anima Christi aliquid fuit frustra. Frustra autem est quod non habet propriam operationem, cum omnis res sit propter suam operationem. Propria autem operatio intellectus agentis est facere species intelligibiles actu abstrahendo eas a phantasmatibus... Sic igitur necesse est dicere quod in Christo fuerint aliquae species intelligibiles per actionem intellectus agentis in intellectu possibili eius receptae; quod est esse in ipso scientiam acquisitam, quam quidam experimentalem nominant. Come noi, avute le sensazioni degli oggetti sensibili, formiamo le specie intelligibili, e generiamo i concetti o verbi intellettuali delle cose stesse, così accadeva ancora in Gesù, che avea la umana natura perfetta nelle sue facoltà e nei suoi atti. Se non che Gesù successivamente riceveva nuove impressioni dagli oggetti sensibili e conseguentemente nuovi concetti generavansi nella sua mente, perciò questa scienza che io diceva acquisita cresceva in esso, come cresceva l'età, sebbene la scienza beata rimanesse la medesima in tutta sua vita.

Una terza scienza vuolsi considerare in Gesù ed è la infusa. Devi presupporre che le specie intelligibili, che sono i principii onde generansi i concetti, sono nell'umano intelletto a guisa di accidenti, onde l'uomo acquista e poi ritiene abitualmente la scienza. È chiaro che se quelle specie sono prodotte dal lume intellettuale, che è virtù naturale dell'uomo, possono ancora essere prodotte immediatamente da Dio, il quale può di per sè produrre tutto ciò che possono produrre nella natura le cause seconde. In tale maniera Dio produsse, cioè infuse in anime da lui predilette quella, che teologicamente si dice scienza infusa, della quale fu largo a' profeti che vaticinarono le cose future. Gli angeli non formano le specie intelligibili per astrazione dai fantasmi, cui non possono avere a cagione della spirituale loro natura, e però non hanno quel lume ch'è nell'uomo e che diciamo intelletto agente. Quindi da Dio ricevettero immediatamente infuse le specie intelligibili con le quali conobbero, quando erano viatori, le cose nelle loro nature. Questa scienza infusa nell'uomo è una perfezione che riceve l'intelletto e però, dice San Tommaso, non la si può non riconoscere in Gesù Cristo. Laonde, oltre la scienza beata e la scienza acquisita, vuolsi riconoscere in Gesù anco la scienza infusa.

G. Qui mi si presenta come difficolta un principio della filosofia qualche anno fa da me studiata. L'intelletto puo ragguagliarsi ad un soggetto, che riceve una forma determinata, perchè la scienza può dirsi forma intellettuale, con la quale esso conosce. Ma una forma ne impedisce un'altra, nè puo un soggetto stesso averne parecchie. La più perfetta esclude la meno perfetta; così un corpo non puo insieme esser grande e piccolo, verde e bianco ecc. Perciò non capisco come in Gesù possiamo ammettere la scienza beata, ed oltre questa, una scienza inferiore qual'è l'acquisita e la infusa: parmi che si debbano escludere a vicenda; e se v'è la prima ch'è più perfetta, le altre non ci possono coesistere.

A. Il tuo principio è buono ma bisogna prenderlo nel suo vero senso. Un ente non puo essere contemporaneamente soggetto a due forme che a vicenda si escludono, perchè sarebbe contradizione. Per questo motivo non può un vivente essere cavallo e leone, un corpo non può essere insieme grande e piccolo, e sotto lo stesso rispetto verde e bianco, freddo e caldo: e similmente sotto un medesimo rispetto non puo essere un intelletto stesso sapiente e ignorante, avere una scienza e non averla. Ma un corpo stesso può essere e piccolo e bianco e odoroso e grave ecc., e uno stesso intelletto può essere informato da una specie intelligibile, ed insieme può a lui unirsi la essenza divina senza specie intelligibile per dargli una cognizione soprannaturale e perfetta, non astratta ma concreta. La divina essenza può servire all'intelletto creato a guisa di forma intelligibile, senza essere propriamente tale. Giacchè la essenza divina è Dio stesso; e qualunque specie intelligibile acquisita od infusa è una forma accidentale, cioè un vero accidente della umana mente. Sta bene che io ti riferisca le parole dell'Aquinate con le quali egli dilucida questo punto: Dicendum quod cognitio beata non fit per speciem, quae sit similitudo divinae essentiae, vel eorum quae in divina essentia cognoscuntur, sed talis cognitio est divinae essentiae immediate, per hoc quod essentia ipsa divina unitur menti beatae sicut intelligibile intelligenti: quae quidem essentia divina est forma excedens proportionem cuiuslibet creaturae. Unde nihil prohibet quin cum hac forma superexcedente simul insint rationali menti species intelligibiles proportionatae suae na[tu]rae. (S. III. q. IX. art. 3).

G. Tutto ciò mi sembra di capire a sufficienza; ma io ho udito talvolta una sentenza evangelica che diceva che Iesus proficiebat sapientia. Non si puo supporre che egli e dai codici dei profeti e dagli scritti di uomini dotti e dalla parola altrui avesse appreso molte verità, la cognizione di lingue varie e dei fatti passati?

A. Se tu mi parli di nuove verità non conosciute prima, dico di no: se tu mi parli di apprendere con iscienza esperimentale verità di già conosciute con la scienza beata e con l'infusa, te lo posso concedere.

Immagina, se il nostro Signor Gesù abbisognava di esser di nuovo erudito! Credi tu che non fosse bastante la visione della divina essenza in cui tutto e scritto? Che non gli bastasse quella scienza, cui nell'intelletto suo infuse il Verbo con perfezione e pienezza maggiore che non fosse stata infusa in Salomone e in tutti i profeti e nei santi dottori mentre vissero in terra? Nella scienza o cognizione esperimentale, che dipende dall'osservazione successiva dei sensi, Gesù potea (S. III. q. XII. art. 3.) progredire e progredi di fatto. Iesus proficiebat in scientia experimentali, sicut et in aetate, dice S. Tommaso. Ma egli non potea ricevere cognizione che già prima non fosse stata in lui derivata dalla scienza beata e dalla scienza infusa. Ed ecco come Origene, recato dal santo dottore, spiega quell'interrogare che fece Gesù i dottori nel Tempio quand'era all'eta di anni dodici: Dominus interrogat, non ut aliquid addisceret, sed ut interrogans erudiret. Ex uno quippe doctrinae fonte manat, et interrogare et respondere sapienter. — Unde et ibidem in Evangelio sequitur quod stupebant omnes qui eum audiebant, super prudentia et responsis eius.

G. E poi essendo il Verbo stesso con la divina natura incarnato, mi sembra che senza andare ricercando l'estensione della scienza di Gesù, si possa affermare senz'altro ch'ella è infinita, perchè è certo che il Verbo Dio conosce sè quant'è conoscibile, e conoscendo sè conosce tutte le cose.

A. Sì! non si può negare che la cognizione del Verbo sia infinita, e perciò che la scienza di Cristo,secondo la divina natura, sia tale. Ma ciò che finora ho detto è ordinato a mostrare la dignità di Cristo secondo la natura umana. Di più è da notare che Gesù con la parola conversando con gli uomini, direttamente esprimeva la scienza che aveva secondo la natura umana, non quella che avea secondo la natura divina; poichè la parola umana naturalmente esprime i concetti della umana mente, perchè di questa è segno. Per certo indirettamente le parole di Gesù esprimevano la scienza del Verbo, perchè esprimevano eziandio, quella scienza o beata od infusa che all'intelletto di Cristo veniva comunicata dal Verbo. Ma quantunque la dignita dell'intelletto umano, ch'è il soggetto della scienza, fosse infinita per la unione con la divinità, tuttavia era un soggetto finito, e però la scienza beata e la infusa dell'anima di Cristo si puo dire somma, cioe più perfetta che non fosse in creatura terrestre e celeste, ma come ti ho sopra accennato, non si può dir infinita in maniera assoluta.

G. A quanto veggo il Bonghi ben poco capisce della scienza di Cristo. Permettetemi, dacchè l'avete qui, ch'io ne legga poche parole della p. 61 «Gesù, si puo dire, che imparasse sopratutto da sè; giacchè, se la sua natura divina lo metteva in grado di sapere senza imparare, la sua natura umana gli dava l'obbligo d'imparare. Si scorge in quello che disse e fece poi, un ingegno che si e maturate solo; e ha svegliato in sè una vita nuova, e aperta una nuova vena di pensiero e di sentimento.» Che dite di questo passo?

A. Lodo il Bonghi per ciò che dice della natura divina ch'era in Cristo; ma devi porre mente a ciò che ti diceva testè. Non era il Verbo quegli che parlava colle labbra di Gesù, ma era Gesù in quanto uomo, nella maniera che è all'uomo naturale, moveva le proprie labbra. Cioè faceva articolare le parole che erano segni dei concetti e della scienza che aveva nell'intelletto suo umano, quantunque questa scienza fosse stata comunicata immediatamente dal Verbo. Questi comunicò all'intelletto di Gesù la scienza beatifica e la infusa. Il Bonghi suppone che l'intelletto possibile di Gesù fosse al principio tamquam tabula rasa, nel quale niente fosse scritto, e che avesse obbligo d'imparare. Che obbligo d'Egitto? Dica pur ciò degli altri uomini; ma non mai di Gesù, il quale in virtù della scienza beata, come disseci l'Aquinate, era sapientissimo e sapeva tutte le cose che erano in qualche relazione con lui e passate e presenti e future. Laonde si assicuri il Bonghi che il Verbo con le due scienze beatifica ed infusa, l'avea istruito così, che meglio non poteva fare quale si sia Rabbi, nè quale si sia scritto dei profeti. Si accerti ancora per la stessa ragione, che Gesù non avea bisogno di porre lungo studio per architettare il modo, che sarebbe stato acconcio a ordinare la sua vita e le sue azioni in pro degli uomini. Se il Bonghi avesse letto ciò che brevemente dice l'Aquinate del nostro Signor Gesù Cristo, poteva andar più sicuro nel trattare un soggetto arduo assai, qual è la vita di lui. Buona cosa è essere disposti a correggere gli errori commessi, ma ben migliore è il non commetterli. Or qui facciam punto: ci rivedremo.

G. Vi ringrazio ben di cuore della lezione fattami, e vi assicuro che, data occasione, saprò in proposito rispondere per le rime a qualche magnacarta di scienziato ignorante, o a qualche farmacista ciarliero.

Fonte: Progetto Barruel

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