P. MATTEO LIBERATORE, S.I.: DELL'ULTIMA EPOCA DEL MONDO

 




R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

DELL'ULTIMA EPOCA DEL MONDO

Se mai in alcun tempo, in questo massimamente, a cui siamo giunti, veggonsi uscire alla luce scritture investigatrici dell'ultima età del mondo e dei segni che debbono preconizzarla. Oltre a quelle di cui parlammo altra volta, molte ne abbiamo sott'occhio, intese a trattare quel difficile e pauroso argomento[1]. Nè è da prenderne meraviglia. Imperocchè a tale ricerca veniamo sospinti sì dall'innata vaghezza d'intendere i destini che ci si appressano, e sì dal desiderio di rendere coll'antiveggenza meno acerbo un minacciato disastro:

Chè saetta previsa vien più lenta [2].

Noi volentieri avremmo fatta un'ampia esposizione delle anzidette opere, se ce lo avesse consentito lo spazio dei nostri quaderni. Tuttavia non volendo defraudare i nostri lettori dell'utilità che potrebbero ricavarne; abbiamo pensato di far qui qualche cenno del medesimo tema in un breve articolo.

E innanzi tratto vuolsi avvertire che niuno può sapere con certezza il tempo preciso del dì finale. Ciò si rileva apertamente dall'Evangelio; là dove Cristo agli Apostoli, che di ciò lo interrogavano, rispose in questi termini: Quanto al giorno ed all'ora nessun lo sa, neppure gli Angeli che sono in cielo; De die illo vel hora nemo scit, neque Angeli in coelo [3]. Ed altra volta sgridandoli della loro troppa curiosità, disse: Non è da voi sapere i tempi e i momenti, che il Padre ritiene in poter suo; Non est vestrum nosse tempora vel momenta, quae Pater posuit in sua potestate [4].

Ciò nondimeno non è vietato asserire, non con certezza, ma con sola probabilità e verisimiglianza il tempo in che questo mondo debba finire. E così noi vediamo che molti Padri sostennero che esso non sia per durare al di là di seimila anni dalla sua creazione; la qual sentenza è detta probabile dal Bellarmino: Dicimus probabile esse, mundum non duraturum ultra sex millia annorum [5][«Affermiamo esser probabile che il mondo non durerà più di seimila anni.» N.d.R.]

In secondo luogo, benchè non possa determinarsi con certezza l'estrema ora del mondo, tuttavia dai segni prenunziatori di tanta catastrofe può indubitatamente argomentarsene il prossimo avvenimento. Ciò altresì si rileva dall'Evangelio; stantechè Cristo nostro Signore, dopo aver indicati agli Apostoli i futuri indizii di quel giorno supremo, soggiunse: Dal fico imparate questa parabola: quando i suoi rami sono già teneri e spuntate le foglie, voi sapete che la state [= l'estate N.d.R.] è vicina. Così ancora quando voi vedrete accadere coteste cose, sappiate che il giudizio è vicino. Ab arbore fici discite parabolam. Cum iam ramus eius tener fuerit et folia nata, scitis quia prope est aestas. Ita et vos, cum videritis haec omnia, scitote quia prope est in ianuis  [6].

Ora quali sono cotesti segni? Essi ci vengono accennati dallo stesso Cristo Signore nel medesimo luogo dell'Evangelio. «Voi udirete, egli dice, parlare di guerre e di apprensioni di guerre: badate di non turbarvi. Imperciocchè fa d'uopo che tali cose succedano, ma non tosto sarà la fine. Si vedrà insorgere gente contro gente e regno contro regno; e vi saranno pestilenze e fami e tremuoti [= terremoti N.d.R.] in varii luoghi. Ma queste cose non sono che il principio dei dolori. Allora vi gitteranno nella tribolazione e vi faranno morire, e sarete odiati da tutte le nazioni per causa del nome mio. E allora molti patiranno scandalo, e l'uno tradirà l'altro e si odieranno a vicenda. E usciranno fuori molti falsi profeti e sedurranno molta gente. E perciocchè sarà soprabbondante l'iniquità, raffredderassi la carità di molti.... Sarà predicato questo Vangelo del regno per tutta la terra, in testimonianza a tutte le nazioni e allora verrà la fine..... Vedrete l'abbominazione della desolazione, predetta da Daniele profeta (chi legge intenda) esser posta nel luogo santo..... Grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo, nè mai sarà. E se non venissero abbreviati quei giorni, non rimarrebbe salvo alcun uomo; ma essi saranno abbreviati in grazia degli eletti..... Immediatamente poi dopo la tribolazione di quei giorni, si oscurerà il sole e la luna non manderà più la sua luce e cadranno dal cielo le stelle e le virtù de' cieli saranno turbate. Allora il segno del Figliuolo dell'uomo comparirà nel cielo e si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figliuol dell'uomo scendere sulle nubi del cielo con potestà grande e maestà [7].» Così nel Vangelo di S. Matteo. E in quello di S. Marco ripetonsi le medesime cose, quasi colle stesse parole [8].

L'Apostolo S. Paolo parla ancor egli dei segni precursori del dì finale nella seconda epistola ai Tessalonicesi, e dice così: «Vi prego a non lasciarvi smuovere sì presto dai vostri sentimenti, ne atterrire o dallo spirito o da discorso o da lettera, come scritta da noi, quasi sia imminente il dì del Signore. Nessuno vi seduca in alcun modo; perciocchè (esso non avverrà), se prima non sia seguita la ribellione e non sia manifestato l'uomo del peccato, il figliuolo di perdizione; il quale si oppone e s'innalza sopra tutto quello che dicesi Dio e si adora; talmente che egli sederà nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio. Non vi rimembra qualmente, allorchè io era tuttavia presso di voi, vi diceva queste cose? Ed ora voi sapete che sia quello che lo rattiene, affinchè sia manifestato a suo tempo. Imperocchè egli già lavora il mistero d'iniquità, solamente che chi or lo rattiene, lo rattenga, fino a che sia levato di mezzo. E allora sarà manifestato quell'iniquo (cui il Signore Gesù ucciderà col fiato della sua bocca e distruggerà collo splendore di sua venuta): l'arrivo del quale, per operazione di Satana, sarà con tutta potenza e con segni e prodigi bugiardi, e con tutte le seduzioni dell'iniquità per coloro i quali si perdono [9]

La generale ribellione, di cui parla S. Paolo, corrisponde alla defezione di cui parla Cristo nel Vangelo: Quoniam abundavit iniquitas, refrigescet charitas multorum; [Matth. XXIV, 12: «E per essere soprabbondata l'iniquità, raffredderassi la carità in molti.» N.d.R.] sicchè converrà accorciare quei giorni propter electos [Matth. XXIV, 22: «... in grazia degli eletti.» N.d.R.] [10]. Essa sarà per conseguenza ribellione spirituale, cioè contro l'autorità di Dio e della sua Chiesa. L'apparizione poi dell'iniquo, che sedurrà i popoli colla sua potenza e co' suoi falsi prodigi, e giungerà a tanta empietà ed arroganza, che si farà adorare nel tempio santo qual Dio, corrisponde a ciò che Cristo disse: Cum videritis abominationem desolationis, quae dicta est a Daniele propheta, stantem in loco sancto [11][«Quando vedrete l'abbominazione della desolazione predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo.» N.d.R.]

Ma chi è questo iniquo, questo figliuolo di perdizione, questo uomo del peccato, e qual è l'ostacolo che, al dire dell'Apostolo, ne impedisce la manifestazione, fino a che non venga rimosso? Quanto al primo punto, Cristo nel testo dianzi riferito ci rinvia al profeta Daniele; e il profeta ci rappresenta un re, sorto da oscura condizione, il quale giunto ad afferrare il governo del mondo muoverà guerra a Dio ed a' suoi credenti. Per l'importanza del soggetto, riporteremo più distesamente quella profezia.

Daniele adunque, dopo averci nell'interpretazione della statua, veduta in sogno da Nabucodonosor, descritti i quattro Imperi, che l'un dopo l'altro si sarebbero succeduti, fino allo stabilimento dell'Impero spirituale di Cristo [12]; torna sul medesimo soggetto nella visione delle quattro bestie uscenti dal mare [13]. La quarta di tali bestie, che dagl'interpreti è intesa per l'impero romano, vien rappresentata con dieci corna, le quali, secondo la spiegazione fatta al Profeta dall'Angelo, son dieci re. Ciò è, perchè l'Impero romano, il quale mentre fu in fiore, occupò quasi tutta la terra, troverassi verso la fine del mondo tramutato e diviso in dieci regni. In mezzo alle dieci corna spunta un altro piccolo corno; all'apparire del quale restano svelte tre delle prime. In esso erano occhi quasi di uomo, e bocca che spacciava cose grandi. Et ecce cornu aliud parvulum ortum est de medio eorum; et tria de cornibus primis evulsa sunt a facie eius: et ecce oculi quasi oculi hominis erant in cornu isto et os loquens ingentia [14]. Cotesto corno, che in virtù dell'allegoria significa ancor esso un re, sorto da basso stato e poscia divenuto grande, si dice che farà guerra ai santi, cioè ai veri credenti, e li supererà. Cornu illud faciebat bellum adversus sanctos et praevalebat eis [15]. Egli parlerà male contro l'Altissimo e calpesterà i santi di lui e crederà di poter mutare i tempi e le leggi, e tutte le cose saranno poste in sua mano per un tempo, due tempi e la metà di un tempo. Et sermones contra Excelsum loquetur et sanctos Altissimi conteret: et putabit quod possit mutare tempora et leges, et tradentur in manu eius usque ad tempus et tempora et dimidium temporis [16].

Questa medesima immagine della bestia e con maggior copia di aggiunti è recata da S. Giovanni nella sua Apocalissi. Quivi il diletto discepolo, dopo averci adombrata la guerra che il demonio fa alla Chiesa, figurandoci questa come una donna vestita di sole, con sotto i piedi la luna e in testa serto di dodici stelle, e immaginandoci l'altro come un dragone che la insegue e s'irrita contro di lei e ne combatte i figliuoli e ponsi in insidia presso al mare [17]; così prosegue: «E vidi una bestia che saliva dal mare, la quale aveva sette teste e dieci corna, e sopra le sue corna dieci diademi e sopra le sue teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi, era simile al pardo e i suoi piedi come d'orso, e la sua bocca come di leone. E il dragone diede ad essa la sua forza e il suo gran potere. E vidi una delle sue teste come piagata a morte; ma la sua piaga mortale fu guarita. E tutta quanta la terra con ammirazione seguì la bestia. E adorarono il dragone che diede potestà alla bestia e adorarono la bestia dicendo: chi è da paragonarsi colla bestia e chi potrà combattere con essa? E le fu data una bocca per dir cose grandi e bestemmie: e le fu dato potere di operare per mesi quaran[ta]due. Ella dunque aprì la sua bocca in bestemmie contro Dio, bestemmiando il suo nome e il suo tabernacolo e gli abitatori del cielo. E fu conceduto a lei di far guerra ai beati e di vincerli. E le fu dato potere sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione. E lei adorarono tutti quelli che abitano la terra, i nomi dei quali non sono scritti nel libro di vita dell'Agnello, il quale fu ucciso dal cominciamento del mondo [18]

A questa bestia, tanto simile sotto la penna dei due Veggenti, S. Giovanni aggiunge una seconda bestia, e vien da lui descritta in questo modo: «E vidi un'altra bestia, che saliva dalla terra, ed aveva due corna simili all'Agnello, ma parlava come il dragone. Ed esercitava tutto il potere della prima bestia dinanzi ad essa: e fece sì che la terra e i suoi abitatori adorassero la prima bestia, della quale fu guarita la piaga mortale. E fece prodigi grandi fino a far discendere fuoco dal cielo sulla terra a vista degli uomini. E sedusse gli abitatori della terra mediante i prodigi, che le fu dato di operare davanti alla bestia, dicendo agli abitatori della terra che facciano l'immagine della bestia, che fu ferita di spada e si riebbe. E le fu dato d'infondere spirito all'immagine della bestia, talchè siffatta immagine parli; e far sì che chiunque non adori l'immagine della bestia sia messo a morte. E farà che tutti quanti, e piccoli e grandi, e ricchi e poveri, e liberi e servi, abbiano un carattere nella loro mano destra o nella loro fronte: e che nessuno possa comprare o vendere, eccetto chi ha il carattere o il nome della bestia o il numero del suo nome [19]

Come la prima bestia ci esprime un dominatore oltremodo superbo ed empio, così la seconda ci significa un insigne impostore e ciarlatano, che gli tiene bordone e procaccia di acquistargli la soggezione e riverenza dei popoli. Il dominatore anzidetto è denominato Anticristo, ed esso è l'iniquo di cui parla S. Paolo.

Quanto poi all'ostacolo, che dev'esser rimosso innanzi la venuta di lui, per consenso quasi unanime degl'Interpreti s'intende l'Impero romano; la qual cosa l'Apostolo, benchè avesse spiegata a voce ai fedeli, et nunc quid detineat, scitis; [«E ora voi sapete, che sia quello, che lo trattiene». N.d.R.] tuttavia per ragioni di prudenza non volle esprimere per lettera, affine di non offendere i dominatori di quel tempo. Quando e medio sublatum fuerit Imperium romanum, tunc veniet Antichristus[Quando sarà stato tolto di mezzo l'Impero romano, allora verrà l'Anticristo. N.d.R.] Così S. Giovanni Crisostomo nell'esposizione di questo luogo; ed a tale interpretazione generalmente gli altri Padri consentono. E veramente ambedue le profezie, di Daniele e Giovanni, non pongono la formazione del regno dell'Anticristo, se non dopo che l'Impero romano si sia sciolto e diviso in dieci regni.

Da questi brevissimi cenni possiamo noi raccogliere le cose seguenti: I. Innanzi all'avvenimento del tempo estremo del mondo, debbono compiersi due condizioni: l'una è la caduta dell'Impero romano, l'altra la predicazione dell'Evangelio per tutto l'orbe. Questa ci è espressamente indicata da Cristo: Predicabitur Evangelium hoc regni in universo mundo, et tunc veniet consummatio; [Matth. XXIV, 14: «E sarà predicato questo Vangelo del Regno per tutta la terra, per testimonianza a tutte le nazioni: e allora verrà la fine.» N.d.R.]quella risulta dalle parole dell'Apostolo: quod detineat scitis... donec de medio fiat[II Thess. II, 6-7: «... voi sapete, che sia quello, che lo trattiene... fino a che sia levato di mezzo» N.d.R.] II. Preludii remoti di quell'epoca formidabile sono diversi flagelli che affliggeranno il genere umano: Audituri estis praelia etc. sed nondum est finis [20]; e preludii prossimi sono una defezione, che per antonomasia può dirsi tale, e la manifestazione dell'Anticristo, autore di una persecuzione massima contro la Chiesa di Gesù Cristo: Nisi venerit discessio primum et revelatus fuerit homo peccati [21][«... se prima non sia seguita la ribellione (cioè l'apostasia); e non sia manifestato l'uomo del peccato» N.d.R.] Seducent multos..... Erit tunc tribulatio magna qualis non fuit ab initio mundi [22][«E usciranno fuori molti falsi profeti, e sedurranno molta gente..... Grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo sino a quest'oggi, nè mai sarà.» N.d.R.]

Ciò posto, siamo in caso di esaminare se alcun indizio ci dànno i tempi nostri dell'appressarsi di quell'epoca fatale.

Veramente se si ammettessero i calcoli del Bellarmino, il quale dice che, secondo la vera Cronologia, il mondo all'età sua avea percorso più o meno cinquemila seicento anni [23]; e a questa sentenza si aggiunge l'altra, assai comune tra i Padri, che il mondo non debba durare più di seimila anni [24]; dovremmo dire non esser noi molto discosti dalla consummazione del secolo. Ma noi non vogliamo impigliarci in questa sì spinosa materia dei computi cronologici, e saltiamo questo punto a piè pari. Pertanto, venendo a cose di più agevole considerazione, sembra certo che le due condizioni, previe al cominciamento dell'ultimo tempo del mondo, siensi abbastanza adempiute. Tutte le parti della terra sono state finalmente esplorate, e non ci è angolo della medesima, dove non siano penetrati i banditori della fede di Cristo. Noi possiamo oggimai ripetere, non profeticamente ma istoricamente e in senso non figurato ma proprio: In omnem terram exivit sonus eorum et in fines orbis terrae verba eorum. [Ps. XVIII, 5: Il loro suono si è diffuso per tutta quanta la terra, e le loro parole sino ai confini della terra. N.d.R.] La condizione, posta da Cristo, praedicabitur hoc Evangelium regni in universo mundo[Matth. XXIV, 14: «sarà predicato questo Vangelo del regno per tutta la terra» N.d.R.] può dirsi avverata o almeno assai vicina ad avverarsi compiutamente. Resta dunque che si avveri il condizionato che ne dipende: Et tunc veniet consummatio. [Ivi: «E allora verrà la fine» N.d.R.]

Non vogliamo dire con questo che siffatta consummazione sia di già imminente, come nel tempo loro pensavano i Tessalonicesi e come pensano nel nostro alcuni fanatici della setta dei millenarii [25]. Ma certamente, per quanta latitudine voglia concedersi a quel tunc, non può negarsi, che, stante l'universale diffusione già fatta dell'Evangelo, gli ultimi giorni del mondo non possono essere molto lontani.

Di maggiore evidenza fornito apparisce l'adempimento dell'altra condizione, cioè della caduta dell'Impero romano. Il Bellarmino sostiene che essa non deve intendersi di un indebolimento qualunque di quell'Impero, ma di un totale annullamento, sicchè non ci sia più alcun principe che si chiami Imperatore de' Romani. Ora, anche intesa così la bisogna, è fuor di dubbio che l'Impero romano in un col titolo d'Imperator de' Romani è interamente cessato, almeno negli inizii di questo secolo, quando Francesco II rinunziò per sè e pei suoi successori a quella dignità, pigliando il nome di semplice Imperatore d'Austria. Che poi solo allora, e non prima di allora, l'Impero romano debba dirsi propriamente cessato, sembra molto probabile. Imperocchè, come osserva il Bellarmino, quantunque ridotto a piccoli termini, l'Impero romano dovea dirsi tuttavia durare, finchè nei Re di Germania ne continuava la legittima successione [26].

Egli è vero che tra la distruzione dell'Impero romano e la formazione del regno dell'Anticristo, sembra, secondo la profezia, dover intercedere lo spazio richiesto alla genesi dei dieci regni, in che dovrà a quei giorni trovarsi ripartita la dominazione del mondo. Ma chi mira il movimento, che agita i singoli popoli, a costituirsi in nuova guisa, secondo le loro nazionalità diverse senza nessun rispetto a diritti e doveri preesistenti; s'accorge di leggieri che la politica società sta in uno stato, diremo così, di fermentazione e di ricostruzione, non certamente fuori un preordinato disegno della divina Provvidenza.

Alquanto diversamente dal Bellarmino pensò S. Tommaso, il quale dice che l'Impero romano non cessò colla sua materiale caduta per l'irruzione dei barbari, ma si convertì da temporale in spirituale per opera della Chiesa [27]. Anche ammessa tale sentenza, la condizione, di cui qui discorriamo, può dirsi avverata o molto vicina ad avverarsi. Imperocchè egli è indubitato che sulle rovine del romano Impero s'innalzò il regno di Dio sulla terra; che Roma, da sede degl'Imperatori pagani diventata sede del Vicario di Cristo, stese il suo scettro spirituale sopra tutte le nazioni: Quidquid non possidet armis, relligione tenet; che i popoli tutti da Roma cristiana ricevettero la legge, sulla quale fondarono le loro istituzioni, i loro codici, i loro costumi, la lor civiltà; che, per la giunta del poter temporale nei Papi, il Re di Roma fu quegli che spiritualmente comandava a tutti i Re della terra, e colla forza morale della sua parola spezzava scettri e corone, e rassodava troni e dinastie. Ma egli è vero altresì che da buon tempo a questa parte questa grande unità cristiana, questo Impero romano evangelico, in cui si trasmutò l'Impero romano pagano, è cominciato a dissolversi. L'eresia e lo scisma sottrassero pienamente dei regni interi all'obbedienza della Sede romana; e gli stessi paesi, che rimasero cattolici, andarono poscia gradatamente distruggendo la base cristiana delle loro costituzioni, sostituendovi il naturalismo politico, la libertà dei culti, l'eguaglianza civile e il godimento per tutti de' medesimi diritti, qualunque sia la religione che professino. Il principio scismatico e anticristiano della separazione dello Stato dalla Chiesa è oggimai invalso pressochè dapertutto; e ben può dirsi che la Chiesa di Cristo, quantunque indefettibile in sè stessa per la divina promessa, nondimeno, quanto alla sua influenza sociale, abbia cessato di essere regina e donna delle nazioni. Essa viene sospinta dai suoi nemici verso la medesima condizione, in che fu nei primi tre secoli; quando fedeli e credenti si trovavano in tutto il mondo, ma come tali non formavano stato o politica società. L'ultima fase di questo spirito anticristiano sembra manifestamente spiegarsi nella guerra accanita che si fa al potere temporale del Papa, per cui si cerca che Roma cessi al tutto d'essere capitale del mondo, e legislatrice dei popoli in virtù del Principe che la possiede.

E con ciò, senz'addarcene, siamo entrati col discorso nei due prossimi segni dell'epoca estrema del mondo, i quali sono la gran ribellione e la venuta dell'Iniquo ossia dell'Anticristo [28]. Si è dubitato da molti se sotto quest'ultimo nome dovesse intendersi una persona reale, ovvero un principio, un sistema. L'interpretazione de' Padri e de' Dottori cattolici sta per la prima sentenza, che Suarez giunge a dire esser di Fede. E per fermo le parole, di cui fa uso l'Apostolo nel luogo più volte citato, tutte dimostrano che si parla di certa e determinata persona. Lo stesso apparisce dalle profezie di Daniele e di Giovanni, i quali cel rappresentano come un Re empio ed impudente. In fine Cristo, rimproverando gli Ebrei, disse loro: Io son venuto in nome di mio Padre, e voi non mi ricevete; se un altro verrà per potestà propria, voi lo riceverete [29]. Nel che si vede chiaro che Cristo, parlando dell'Anticristo che sarà riconosciuto dagli Ebrei pel promesso Messia, lo contrappone a sè medesimo come persona a persona.

Nondimeno i cattolici ammettono che l'Anticristo, benchè venturo, ha nondimeno molti precursori che meritano per anticipazione questo medesimo nome, e che la dottrina anticristiana, di cui egli sarà il supremo e più fiero rappresentante, debba innanzi alla sua venuta andar gradatamente formandosi ed esplicandosi. Ciò rilevasi apertamente tanto dalle parole di S. Giovanni, colle quali si dice che quantunque l'Anticristo sia per venire, nondimeno molti Anticristi già cominciano ad apparire [30]; quanto dalle parole di S. Paolo, affermante che l'iniquo, benchè non ancora venuto, tuttavia già operava il mistero d'iniquità [31].

Questo mistero d'iniquità poi, che si opera dagli empii precursori dell'Anticristo, e anticristi essi stessi, si è la seduzione dei fedeli, e la ribellione all'autorità della Chiesa; negandone la divinità e la indipendenza dal secolo, amendue fondate nella verità dell'Incarnazione del Verbo eterno. Laonde il mistero d'iniquità, lavoro dello spirito anticristiano ed apparecchio alla venuta dell'Anticristo, consiste in una più o meno esplicita o anche implicita negazione del mistero di santità, che è la Incarnazione divina. Multi seductores exierunt in mundum qui non confitentur Iesum Christum venisse in carnem; hic est seductor et antichristus [32][«Molti impostori sono usciti pel mondo, i quali non confessano, che Gesù Cristo sia venuto nella carne: questo tale è un impostore ed un anticristo.» N.d.R.] La qual negazione, come ben dimostra il Manning, è in un modo o in un altro sempre inchiusa in qualsivoglia eresia, e in qualunque disubbidienza o contrasto alla Chiesa di Cristo.

Or chi mira lo stato presente della società, non può non accorgersi che questa discessione o apostasia, come notavamo più sopra, si è svolta con un'ampiezza, che non ebbe mai per l'addietro. Per tacere della grande eresia del Protestantesimo, che tutti assalse in un fascio i dommi cristiani, assalendo l'autorità della Chiesa; il trattato di Westfalia rimosse l'idea religiosa dalle relazioni internazionali, e più tardi il naturalismo politico volle separata la Religione dallo Stato e da ogni ramo del pubblico ordinamento. Il medesimo si volle nelle famiglie, mercè del matrimonio civile. Il medesimo nell'insegnamento, mercè dell'Università puramente filosofica. Il medesimo nell'opinione, mercè della libertà della stampa. La società, come tale, può dirsi oggimai separata da Cristo, e di avere quanto a sè rinnegata l'incarnazione del Verbo, dissacrando ogni atto del civile consorzio e riducendolo al puro stato di natura. Restano gl'individui; ma questi altresì col respirare del continuo un'aura sociale, infetta della negazione di Cristo, e col razionalismo traforatosi in ogni condizione della vita umana, vanno ogni dì più non solo raffreddandosi nella carità, ma illanguidendosi nella fede. Il mistero adunque d'iniquità, che fin dai tempi apostolici cominciavasi a lavorare, se non è già compito, è almeno condotto a tal grado, che poco più gli resta per la sua ultima perfezione.

Quanto poi alla manifestazione dell'Anticristo, essa tanto dee credersi più vicina, quanto con più perfetta somiglianza ne appariscono i precursori, e quanto più si dispongono le condizioni sociali ad accoglierne la venuta. Or chi non vede che ciò si verifica in maniera al tutto speciale nei tempi nostri? Caratteri dell'Anticristo sono l'essere per antonomasia nemico di Cristo, uom senza legge (ὁ ἄνομος, secondo la frase dell'Apostolo), dominatore tirannico, empio in sommo grado, ipocrita insigne. Egli sembra dover essere un gran rivoluzionario, che non riconoscerà altra norma tranne il proprio volere, che co' suoi seducimenti e prestigii ingannerà molte genti, che si tirerà dietro stupide le nazioni, e salito al potere universale sopra tutta la terra pretenderà perfino gli onori divini sostituendo sè stesso al vero Dio e a Gesù Redentore. Egli avrà, come fu detto più sopra, il suo profeta, ciarlatano ed impostore al par di lui. Or per istrane che possano sembrare coteste cose, non ne vediamo cogli occhi nostri manifesti preludii? Lo spirito di rivoluzione si va dilatando in maniera spaventevole, e dalla rivoluzione si veggono sorgere despoti, dispregiatori d'ogni legge umana e divina, e nondimeno acclamati dai popoli, che ne sono al tempo stesso lo zimbello e la vittima. Il nome di Messia viene oggimai profanato da lingue sacrileghe, ed attribuito a un venturo salvatore politico; sicchè ultimamente udimmo dal Petruccelli esser questa la ragione delle entusiastiche ovazioni fattesi al Garibaldi presso popoli eziandio stranieri e rimoti. La facilità poi delle comunicazioni, coi battelli a vapore, colle strade ferrate, coi telegrafi elettrici; l'incentramento governativo, colla così detta burocrazia abilmente disciplinata a modo di esercito; l'organismo delle società segrete, strettesi tra loro in comunanza d'interessi e di direzione, ed avviluppanti qual rete tutti i popoli della terra; queste e simiglianti cose non sembrano esse altrettanti apparecchi al dispotismo di un solo, che con una falange di suoi adepti giunga alla tirannide universale? Sta scritto dell'Anticristo che costringerà con pena di morte ogni persona a portar segnato sulla fronte o sulla mano il suo carattere; e noi vedemmo in molte città d'Italia minacciato il pugnale a chi in certe occasioni non portasse sul cappello un segno di adesione alle voglie rivoluzionarie. Che più? Gli stessi onori divini, che pretenderà l'Anticristo, smettono ogni inverisimiglianza non solo per le dottrine panteistiche cotanto in voga, deificanti l'umanità qual espressione ultima e forma suprema dell'unico essere per sè sussistente; ma ancora pel pazzo furore delle plebi imbestiate, che si mostrano omai pronte a ogni più turpe fanatismo. E non si udì recentemente in alcune contrade italiane l'orrida bestemmia che gridava Garibaldi: Uomodio? Da un tal grido, a vedere prestata adorazione a qualche altro ribaldo, maggiore di lui e che affascini con opere assai più strepitose e con finti prodigii, non è poi il passaggio cotanto incredibile.

Pur troppo adunque la gran bestia, descrittaci dal profeta Daniele e dall'Apostolo S. Giovanni, ci va apparendo in figure assai espressive. E non pure essa, ma l'altra eziandio, che può designarsi col nome di bestia minore, ci vien prenunziata in molte immagini che la ritraggono al vivo. Questa bestia, come vedemmo, benchè parlasse come il dragone, avea nondimeno sulla fronte due corna simili a quelle dell'Agnello, il quale è figura di Cristo Signor Nostro. Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra; et habebat cornua duo, similia Agni, et loquebatur sicut draco [33]. Sembra pertanto che quelle corna vogliano esprimere due distintivi caratteri, relativi al Cristianesimo, dei quali debba essere insignito il ciarlatano che diverrà profeta della bestia maggiore. Probabilmente essi saranno il battesimo e l'ordine sacro. Di che apparisce che l'anzidetto impostore dovrà essere persona ornata del sacerdozio, e che doppiamente apostando da Cristo, si farà apostolo dell'Anticristo. Ciò posto, suoi precursori sarebbero al tempo d'oggi quegl'infelici ecclesiastici, che nella presente guerra contro Cristo e la Chiesa, coll'opera e con la voce favoriscono la causa della rivoluzione, e i precursori dell'Anticristo. Come questi sono in figura la bestia maggiore della visione di S. Giovanni, così quelli son la bestia minore. In tal guisa, nella prima di tali bestie ti sarebbe rappresentato un Cavour, un Garibaldi [34] e simili; nella seconda un Caputo, un Pantaleo, un Reali, e qualche altro presbitero autore di azioni e soscrizioni a servigio della causa rivoluzionaria italiana. Ti par proprio di vedere la bestia minore che procaccia adoratori alla bestia maggiore: Et fecit terram adorare bestiam primam [35].

Ma per raccogliere finalmente le vele e trarre alcuna conseguenza pratica da queste brevi osservazioni, pongasi mente con ogni cura al gravissimo affare di cui ora si tratta. Il mondo umano, accostandosi oggimai al suo termine, si va spiegatamente dividendo in due grandi schiere, in quella degli amici di Cristo e in quella de' suoi nemici. La prima ha già il suo visibile capo nel Vicario di esso Cristo; l'altra l'aspetta in breve nell'Iniquo, non lontano a manifestarsi, e intanto combatte sotto la bandiera de' suoi precorritori e falsi profeti. Costoro han le corna simili a quelle dell'Agnello, ma la loro bocca ha parole simili a quelle del Dragone. Essi spacciano cose grandi (os loquens ingentia), con le quali uccellano gl'incauti e molti ne restano sedotti. Ma come in quella prova suprema, così nella presente, che n'è il preludio, non saranno scritti nel libro di vita, se non coloro, i quali si serberanno immuni dal contagio della bestia e de' suoi falsi profeti.

La Civiltà Cattolica anno XIV, serie V, vol. V (fasc. 308, 2 Genn. 1863), Roma 1863 pag. 129-143.

NOTE:

[1] Sopra ciò meritano specialmente menzione le seguenti opere.

I. Quattro discorsi del celebre Dottor Manning, contenuti nella seconda parte del suo libro, intitolato: Il dominio temporale del Vicario di Gesù Cristo. Roma coi tipi della Sacra Congr. de Prop. Fide. Quest'opera scritta in inglese è stata volta nella nostra volgare favella.

II. Un volume in lingua francese del sig. Rougeyron col titolo: De l'Antechrist, recherches et considerations sur sa personne, son regne, l'epoque de son arrivée et les annonces qu'en font des événements actuels. Paris Nouvelle, librairie catholique. [...]

[2] Dante Paradiso, c. XVII.

[3] Marc. XIII, 32.

[4] Actor. I, 7.

[5] De Summo Pontifice lib. 3, c. 3. [«Denique, fuit semper celebris opinio multorum asserentium, mundum duraturum sex millibus annorum, cum sex diebus Deus mundum creaverit, et mille anni apud Deum sint quasi dies una.Ita Justinus q. 71. ad Gent. Irenaeus lib. 5. Lactantius lib. 7. cap. 14. Hilarius in. cap. 17. Matth. Hieronymus in psal. 89. ad Cyprianum. Cui sententiae concordat etiam Thalmudistarum opinio, qui ex Helia propheta dicunt se vaticinium habere, quo asseratur mundus sex millibus annorum duraturus.

Haec sententia nondum potest per experientiam redargui; nam secundum veram chronologiam sunt elapsi a mundo condito anni plus minus quinquies mille sexcenti. Unde Ambrosius qui lib. 7. in Luc. cap. 2. hanc opinionem rejicit asserens, tempore suo jam fuisse elapsos annos sex mille, aperte decipitur. Optima est moderatio d. Augustini, qui hanc sententiam probabilem putavit, et eam ut probabilem sequutus est lib. 20. de Civit. Dei cap. 7. Neque hinc sequitur, nos scire tempus ultimae diei. Dicimus enim, probabile esse, mundum non duraturum ultra sex millia annorum: non autem dicimus id esse certum. Quocirca idem Augustinus acriter reprehendit eos qui asserunt, certo aliquo tempore mundum finiendum, cum Dominus dixerit Act. 1. Non esse nostrum scire tempora et momenta, quae Pater posuit in sua potestate. Vide Augustinum in epist. 80. ad Hesych. in psal. 89. et lib. 18. de Civit. Dei cap. 53.» Disputationum Roberti Bellarmini Politiani S.J. De Controversiis christianae Fidei t. I Neapoli 1856 — De Romano Pontifice pag. 428-429 N.d.R.]

[6] Matth. XXIV, 32, 33.

[7] Matth. XXIV, 6-30.

[8] Marc. XIII, 24.

[9] II. Thessal. II, 1-10.

[10] Matth. XXIV, 12.

[11] Ib. 15.

[12] Cap. II.

[13] Cap. VII.

[14] Cap. VII, 8.

[15] Cap. VII, 21.

[16] Cap. VII, 25.

[17] Che pel dragone s'intenda il demonio, ci è espressamente chiarito dal medesimo S. Giovanni: Et apprehendit draconem, serpentem antiquum, qui est diabolus et Satanas. Apoc. c. XX, v. 2.

[18] Cap. XIII, 1-8.

[19] Ib., 11-17.

[20] Matth. XXIV, 6.

[21] II. Thessal. II, 3.

[22] Matth. XXIV, 21.

[23] Secundum veram Chronologiam sunt elapsi a mundo condito, anni plus minus quinquies mille sexcenti. De Rom. Pont. l. 3, c. 3.

[24] Fuit semper celebris opinio multorum asserentium mundum duraturum sex millibus annorum: cum sex diebus Deus mundum creaverit, et mille anni apud Deum sint quasi dies unus. Luogo citato.

[25] Il sig. Du Hailly in un suo articolo sopra le cose da lui osservate nell'America, riferisce d'aver udito un predicante di questa setta dimostrare con varii arzigogoli sopra le profezie scritturali, che la fine del mondo dovrà essere nel 1868. Come vedete, a senno di costui, la faccenda ci stringerebbe troppo da presso. Revue des deux Mondes, Tome quaranta-deuxiè[...]  pag. 899.

[26] Adhuc manet successio et nomen Imperatorum romanorum, et mirabili providentia Dei, quando defecit Imperium in Occidente, quod erat altera tibiarum statuae Danielis, mansit incolume Imperium in Oriente, quod erat altera tibia. Quia vero Imperium Orientis destruendum erat per Turcas ut nunc factum videmus, iterum Deus erexit in Occidente priorem tibiam, idest Imperium Occidentale per Carolum Magnum, quod Imperium adhuc durat. Neque obstat, quod Roma ipsa iuxta Ioannis vaticinium quodammodo ceciderit et Imperium amiserit. Nam imperium romanum sine urbe Roma bene consistere potest, et dici Romanus Imperator qui Roma caret, modo succedat alteri romano imperatori in eadem dignitate et potestate, sive plures sive pauciores provincias sub imperio suo habeat. Alioquin nec Valens nec Arcadius nec Theodosius iunior, nec alii eorum successores usque ad Iustinianum, qui omnes Roma caruerunt, romani Imperatores dici potuissent. Nec etiam Carolus Magnus et successores, qui etiam urbe Romana potiti non sunt, unquam fuissent imperatores; quod falsum esse ex duobus patet. Primum quia hac sola de causa Imperator, qui nunc est, praecedit omnes Christianos reges, etiam se alioqui maiores et potentiores. Deinde quia constat, consentientibus romanis, Carolum imperatorem creatum, teste Paolo Diacono lib. 23 rerum romanarum, et ab ipso Graeco imperatore per legatum imperatorem salutatum, teste Adone in Chronico anni DCCCX, et a Persis atque Arabibus ut imperatorem muneribus ornatum, teste Othone Frisingensi lib. 5, c. 31. Bellarminusloco supra cit. c. V.

[27] Sed quomodo est hoc; quia gentes iamdiu recesserunt a Romano Imperio et tamen necdum venit Antichristus? Dicendum est quod necdum cessavit, sed est commutatum de temporali in spirituale. In epistolam 2. ad Thessal. c. II, lectio I.

[28] Passiamo immediatamente a parlare di questi due, lasciando indietro gli altri delle diverse calamità foriere della calamita suprema. La ragione si è, perchè le guerre, le carestie, le pestilenze, i tremuoti, accennati da Cristo come preludii remoti (initia sunt dolorum; sed nondum est finis), più o meno ebbero luogo in ogni tempo. Tuttavia non si può negare che essi ai giorni nostri spiegarono un carattere e una forza del tutto singolare. Ricordinsi le guerre napoleoniche, in proporzioni sì vaste; il colera morbus, che per due volte ha fatto il giro del mondo; la malattia delle patate e delle viti, minaccianti altre sfere del regno vegetale; i tremuoti in tanta frequenza e in tante parti diverse; e soprattutto si ponga mente a quell'apprensione di prossime guerre, in che stanno le nazioni tutte, armate insino ai denti: il che sembra propriamente esprimere quell'audituri estis praelia et opiniones praeliorum.

[29] Ego veni in nomine Patris mei, et non recipitis me; si alius venerit in nomine suo, illum recipietis.Ioann. V.

Di che molti inferiscono che l'Anticristo dovrà essere di razza Giudeo; giacchè gli Ebrei aspettano il Messia dalla tribù di Giuda, secondo le profezie che non credono ancora avverate. Altri vogliono che nascerà da sangue ebreo e turco, insieme commisto; giacchè ravvisano l'impero turco nella testa della Bestia, ferita a morte e poscia guarita. Lo sfinimento mortale di questo Impero e l'ostinazione delle Potenze cristiane a volerlo serbato in vita e ristorato dà non poca probabilità a tale opinione.

[30] Sicut audistis quia Antichristus venit, et nunc Antichristi multi facti sunt. Ep. I, II, 18.

[31] II. Thessal. II.

[32] Ioann. ep. II, 7.

[33] Apocal. c. XIII.

[34] È notevole come il Garibaldi ferito mortalmente, si è poi guarito; e della bestia nell'Apocalissi sta scritto: Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem: et plaga mortis eius curata est. Apoc. XIII, 3.

[35] Ivi, 12.

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