CARDINALE PIE: L'INCIPIT DEL PADRE NOSTRO: IL REGNO DI DIO SULLA TERRA - PRIMA PARTE
Discorso per la solennità del ricevimento delle reliquie di sant'Emiliano, Vescovo di Nantes, pronunciato nella Chiesa Cattedrale di Nantes l'8 Novembre 1859. (II)
Cardinal Louis-Édouard Pie
Cum oratis, dicite: Pater, sanctificetur nomen tuum; adveniat regnum tuum. Quando pregate, dite: Padre, santificato sia il vostro nome, che venga il vostro regno. (Tali sono le parole di N. S. G. C. in san Luca, c. XI, v. 2.)
Giammai il divino fondatore del cristianesimo ha rivelato più compiutamente al mondo ciò che deve essere un cristiano, di quando ha insegnato ai suoi discepoli il modo in cui dovevano pregare; e difatti, Fratelli Miei, poiché la preghiera è come il respiro religioso dell'anima, proprio nella formula elementare data da G. C. occorre ricercare tutto il programma e tutto lo spirito del cristianesimo. Ascoltiamo dunque la lezione testuale del Maestro; ne ho appena recitato l'inizio secondo il testo di san Luca, più conciso, ed ora la proclamerò secondo san Matteo, quale da duemila anni è balbettato dai bambini e ripetuto da tutti i cristiani. Pregherete dunque così, dice G. C.: Sic ergo vos orabitis:«Padre Nostro che siete nei cieli, sia santificato il vostro nome, venga il vostro regno, sia fatta la vostra volontà sulla terra come in cielo [2]»; per la comprensione del mio tema non occorre che io aggiunga il seguito.
Avrete già compreso, Miei Carissimi Fratelli, a quale altezza di pensiero, di sentimento, di desiderio si ponga subito il cristiano allorché si esprime in questo modo; grande o piccolo, dotto o ignorante, sacerdote o laico, che preghi in pubblico o in privato, non importa: il Vangelo suppone persino che sia solo nella sua camera, la porta chiusa [3]. Questo fragile mortale, non appena ha aperto bocca, identificandosi con tutta la grande famiglia umana e slanciandosi verso il Padre comune a tutti che è nei cieli, nel trasporto e quasi nella follia del proprio disinteresse, dimentica e quasi trascura sé stesso, bisognoso di tutto, per considerare solamente colui che è l'essere necessario e che non ha bisogno di nulla e di nessuno. La sua triplice preoccupazione prima di ogni altra cosa è la glorificazione del nome di Dio sulla terra, lo stabilimento del regno di Dio sulla terra e il compimento della volontà di Dio sulla terra [4]; e queste tre aspirazioni, che possono essere ricondotte ad una sola, non sono prive di ordine e di grado. Vi sono quaggiù delle supremazie che hanno solo l'eccellenza del nome e la prerogativa del rango, ve ne sono altre che coniugano alla dignità il potere, ma che non ne hanno l'esercizio, che regnano cioè ma non governano, ed infine ve ne sono talune che troneggiano, che regnano e che governano: e solo questi sono i re veri e propri, i monarchi veri e propri. Tale è eminentemente la regalità suprema del nostro Dio nei cieli; il suo nome lassù è onorato da tutti, il suo potere si estende su tutti, la sua volontà è obbedita da tutti; da questo punto di vista non possiamo dir altro che: Amen «Così è», ma non Amen «Così sia», poiché nulla può essere aggiunto, o mio Dio, alla vostra regalità essenziale di lassù. Se al contrario abbasso gli occhi sulla terra, e se si tratta della vostra regalità estrinseca che va sviluppandosi nel tempo, allora voi mi permettete, anzi perfino mi comandate di desiderare la vostra gloria; poiché quaggiù vi sono nomi che vogliono prevalere contro il vostro nome, scettri che pensano di elevarsi al di sopra del vostro scettro, volontà che tentano di prevalere sulla vostra volontà, insomma quaggiù il vostro regno è ostacolato, combattuto, intralciato. I vostri discepoli, o Signore Gesù, sono coloro che, nel bel mezzo di tutte le vicissitudini di questo mondo, parteggiano invariabilmente per la causa divina, anzi, coloro che si ostinano a volere una perfezione che non sarà mai realizzata temporalmente, poiché aspirano nientedimeno che a vedere Dio glorificato, servito, obbedito sulla terra come Egli lo è in cielo: un ideale che non sarà dato loro di ottenere interamente, ma che hanno l'ordine di perseguire e che la consumazione finale dimostrerà non essere stato un vano sogno: Sicut in coelo et in terra.
Il cristiano, Miei Carissimi Fratelli, non è dunque, come sembra credere e come afferma ogni giorno ed in tutti i toni un certo mondo contemporaneo, non è un essere che si isola in se stesso, che si confina in un oratorio chiuso indistintamente a tutte le voci del secolo e che, soddisfatto purché la sua anima si salvi, non si preoccupa minimamente del turbinio delle faccende di quaggiù: il cristiano è il contrario di ciò. Il cristiano è l'uomo pubblico e sociale per eccellenza; il suo nome lo indica: egli è cattolico, che significa universale. Gesù Cristo, con l'orazione dominicale, ha provveduto a che nessuno dei suoi possa compiere il principale atto della religione, cioè la preghiera, senza avere a che fare con tutto ciò che può far avanzare o ritardare, favorire od impedire il Regno di Dio sulla terra, ciascuno secondo il proprio grado d'intelligenza e secondo l'estensione dell'orizzonte aperto di fronte a sé. E poiché senza dubbio le opere dell'uomo devono essere in sintonia con la sua preghiera, non è un cristiano degno di tale nome colui che non s'impegna attivamente, nella misura delle proprie forze, ad ottenere questo regno temporale di Dio e ad abbattere ciò che lo ostacola. Potrei ripercorrere tutta la sequenza dei secoli, e ciascuno di essi mi offrirebbe qualche grande modello da proporre alla vostra imitazione, ma l'argomento del mio discorso è già prestabilito: queste sacre reliquie che trionfalmente e provvidenzialmente sono appena state portate nella vostra città, Miei Carissimi Fratelli, mi evitano l'imbarazzo della scelta. Vediamo dunque come, nell'anno di grazia settecentoventicinque i bravi abitanti di Nantes, guidati dal loro Vescovo, hanno compreso e messo in pratica le parole iniziali del loro Pater; allo scopo di concluderne ciò che dobbiamo essere, ciò che noi stessi, e dico tutti noi, fedeli, sacerdoti e vescovi, dobbiamo fare, pena lo smentire la nostra orazione dominicale e gli esempi dei nostri padri.
Questo colloquio sarà semplice e familiare; la parola episcopale non comporta movenze affettate né artifizi retorici, e nondimeno sento di avere una particolare necessità dell'aiuto delle vostre preghiere. Implorate dunque con me quest'augusta Vergine, i cui casti fianchi hanno generato l'Emmanuele, il Dio con noi, la cui nascita temporale costituisce il primo avvento del Regno di Dio sulla terra. Ave, Maria.
PARTE PRIMA.
Il regno visibile di Dio sulla terra, Miei Carissimi Fratelli, è il regno del suo Figlio incarnato, G. C.; ed il regno visibile del Dio incarnato è il regno permanente della sua Chiesa. «Dio è conosciuto in Giudea, diceva il salmista, ed il suo nome è grande in Israele [5]», e questa proposizione è tanto più vera quando si tratta della Chiesa della nuova legge; ivi Dio è conosciuto, ivi il suo nome è onorato e glorificato, ivi la sua regalità è acclamata, ivi la sua legge è osservata. In breve, secondo la bella definizione del catechismo di Trento laddove è spiegato l'inizio dell'orazione dominicale, «il regno di Dio e di Cristo è la Chiesa»: Regnum Christi quod est Ecclesia [6].
Ma la Chiesa di G. C., in quanto realizza il regno di Dio nel tempo con un'energia immensa ed un'efficacia unica, proprio a causa di ciò è destinata a incontrare sulla propria strada ostacoli di ogni genere e resistenze formidabili; la ragione ne è che la Chiesa quaggiù è militante e non trionfante, è in via e non al traguardo. È stato detto, è vero, che già regna, ma è un regnare nel bel mezzo dei propri nemici: Dominare in medio inimicorum tuorum [7]; dunque la sua dominazione sarà accettata, disputata, talora rifiutata, fino al giorno in cui tutti i suoi nemici saranno posti sotto ai suoi piedi: Oportet autem illum regnare, donec ponat omnes inimicos ejus sub pedibus ejus [8]. Proprio nell'ambito di questa lotta si manifesteranno i segreti dei cuori e si farà già a partire da quaggiù il discernimento dei buoni e dei malvagi, la divisione dei valorosi e dei vigliacchi, ossia la divisione degli eletti e dei reprobi, poiché né i cattivi né i vigliacchi entreranno nel regno dei cieli. Felici dunque coloro che non avranno giammai esitato a scegliere tra il campo della verità e quello dell'errore! Felici coloro che, già dal primo segnale della guerra, si saranno immediatamente schierati sotto lo stendardo di Gesù Cristo!
Ora, all'epoca di cui trattiamo era apparso sulla terra da già quasi due secoli un figlio di Belial, al quale era riservato il tenere in sospeso tutta quanta la cristianità per un periodo di più di mille anni; l'islamismo, «religione mostruosa» come afferma il Bossuet nel suo bel panegirico di san Pietro Nolasco, «religione che si smentisce da sé, che ha per tutta ragione la sua ignoranza, per tutta persuasione la sua violenza e la sua tirannia, per tutto miracolo le sue armi [9]» ed aggiungerei per tutta attrattiva le sue voluttuose eccitazioni e le sue promesse immorali, l'islamismo aveva già invaso immensi territori. Senza dubbio fu grande disgrazia che lo scisma, che l'eresia cadessero sotto i suoi colpi; tuttavia però è legge della storia ed è disposizione abituale della provvidenza che per punire i popoli perversi Dio si serva di altri popoli più perversi ancora: e di questa missione l'islamismo fu investito per lungo tempo. Ma ecco che la cristianità non è più colpita solo nelle stirpi degenerate che hanno decomposto in se stesse il principio della vita per mezzo dell'alterazione del principio dell'unità e della verità: è ora minacciata proprio l'Europa nelle sue parti più vitali, è minacciato proprio il cuore stesso delle stirpi cattoliche; è la strada maestra dell'ortodossia, è il regno cristianissimo, è la Francia e, dietro il bastione costituito dalla Francia, è la metropoli del cristianesimo, è il mondo intero a dover temere il peggio da parte di questi nuovi ed implacabili barbari. Costoro hanno passato i Pirenei, si sono avventati sulle belle provincie del nostro mezzogiorno, hanno spento la sete della loro spada nel sangue dei nostri fratelli ortodossi, sono avanzati fino alla Borgogna; le loro tracce sono impresse col fuoco e col sangue, ma soprattutto colla profanazione e l'empietà. Tutto cede, tutto si piega di fronte a queste orde feroci; non v'è braccio che osi tentare di arrestarli. O Dio, o nostro Padre che siete nei cieli, che accadrà sulla terra al vostro nome, al vostro regno, alla vostra legge; in altre parole, che accadrà alla vostra Chiesa?
Vi era a Nantes, Fratelli Miei, un vescovo che era uomo di fede e di coraggio, cosa che in quella città si è ripetuta spesso; il sacro crisma, ungendo il suo capo e le sue mani, non aveva tuttavia estinto nelle sue vene l'ardore naturale del sangue bretone; intorno al vescovo di Nantes si trovava, come si sarebbe trovato ancora e sempre si troverà, tutta una cavalleresca falange di cristiani leali e di guerrieri valorosi. Emiliano, tale era il nome del vescovo, in prima istanza fece pregare il suo popolo, ma presto si rialzò perché fu proprio la sua preghiera a spingerlo all'azione. Quando la patria è in pericolo, ogni cittadino è soldato; ed in quell'ora solenne appena sonata era minacciata la patria delle anime insieme alla patria del corpo, il regno di Dio insieme al regno dei Franchi. Ma poiché ovunque regnava il terrore o l'impotenza, poiché nessuno si levava a salvare la Chiesa e la Francia, fu Emiliano a levarsi. Forse qui mi interromperete dicendo: Come! Un vescovo che prende le armi? E che ne è della sacra disciplina? Fratelli Miei, non confondiamo le epoche, non giudichiamo dei bisogni ed dei costumi di tutt'altra età con i parametri del nostro tempo e dei nostri costumi; le necessità sociali d'allora non implicavano tutta la saggia precisione della disciplina posteriore su questo punto [10]. E d'altronde vi sono dei casi estremi in cui le regole disciplinari svaniscono di fronte alla legge divina, anzi vi sono casi addirittura volgari, e Gesù Cristo me ne è garante, in cui la legge divina scompare davanti al diritto di natura. «Chi di voi, diceva il divin Maestro, se il bue o l'asino del suo prossimo cadesse in una fossa, non lo tirerebbe fuori persino in giorno di sabato [11]?» Ora, quando una legge fondamentale come quella del sabato cede di fronte ad una simile causa, che dire quando si tratta non solo di salvare la vita di una figlia di Abramo, ma di portare soccorso, in un pericolo estremo, alla madre comune di tutti gli uomini, alla sposa di Cristo, alla Chiesa di Dio: Hanc autem filiam Abrahae non oportuit solvi [12]? [«E questa figlia di Abramo... non doveva essere sciolta... ?» N.d.R.] Ma a torto insisto su queste inutili spiegazioni; certamente il pontefice Emiliano non pensò proprio a giustificarsi di fronte a sé della sua azione per mezzo di simili ragionamenti; facendosi consigliare dal suo buon senso, come pure dalla sua fede e dal suo coraggio, e sapendo con che genere di popolo avesse a che fare, arringò così il suo gregge: «O voi tutti, uomini forti in guerra, più forti ancora nella fede: Homines fortes in bello, in fide autem fortiores, armate le vostre mani collo scudo della fede, le vostre fronti col segno della croce, il vostro capo con l'elmo della salvezza, e copritevi il petto colla corazza del Signore. Quindi, una volta rivestiti di quest'armatura religiosa, o soldati di Cristo, afferrate le vostre migliori armi da guerra, le vostre armi di ferro meglio forgiate, le meglio temprate, per travolgere e stritolare questi cani furiosi. Noi possiamo soccombere nella lotta, ma è il caso di dire, con Giuda Maccabeo: meglio morire che vedere il disastro della nostra patria, e di tollerare la profanazione delle cose sante e l'obbrobrio della legge donataci dalla maestà divina. [13]»
Dal fremito che tali parole, freddamente ripetute, hanno fatto correre tra le vostre fila, giudicate, Fratelli Miei, quale potesse essere l'effetto che produssero sui vostri padri dell'ottavo secolo. Emiliano era loro compatriota per sangue, così come loro padre per grazia; aveva un portamento degno e maestoso, un volto austero e gradevole insieme, un parlare fermo e tuttavia simpatico, un cuore compassionevole. Trasportati da questo laconico discorso, vero modello d'arringa militare e sacerdotale, essi risposero unanimemente con quel grido sempre istintivo nel cuore e sulle labbra dei nantesi quando odono un appello del loro vescovo: «Venerando signore e buon pastore, ordinate, comandate e, ovunque andrete, vi seguiremo»: Domine venerande et bone pastor, jube, impera, et quocumque ieris, te sequemur [14]. Emiliano non perse un istante; egli vide in questo slancio l'espressione della volontà divina e fissò il giorno della partenza. Nessuno mancò alla consegna; ai cittadini della provincia si aggiunsero degli stranieri venuti da lontano. Muniti delle loro armi di aggressione e di difesa, tutti si recarono piamente ad inginocchiarsi nella chiesa di Nantes, ed ivi ebbe inizio un ammirevole spettacolo: fu veramente il preludio delle nostre più sante crociate, l'inizio delle nostre più magnifiche guerre cristiane. Emiliano non era uno di quei pontefici guerrieri, come a quel tempo se ne videro, i quali sotto l'abito ecclesiastico avevano solamente un'anima laica e secolare; innanzi tutto Emiliano era vescovo, e voleva che la spedizione avesse un carattere esclusivamente religioso. Si rivestì dunque dei sacri ornamenti e celebrò i santi misteri, durante i quali benedisse e comunicò tutti i suoi compagni d'arme; nulla mancò a questa imponente solennità: l'omelia stessa non fu omessa, e mi pare di sentir risuonare ai miei orecchi gli accenti del sacrificatore: «Figli miei, Filioli, istruiti dai precetti salutari del Signore e formati ad un divino insegnamento: Praeceptis salutaribus moniti et divina institutione formati, voi ed io osiamo dire ogni giorno: "Padre nostro che siete nei cieli, sia santificato il vostro nome, venga il vostro regno, sia fatta la vostra volontà sulla terra come in cielo". Figli, ecco l'occasione di mettere in atto queste grandi parole che Cristo ci ha insegnato. Ringraziamo Dio nostro creatore e benefattore che con la sua bontà ci ha riuniti in così gran numero e che ha visibilmente fortificato i nostri cuori con la sua grazia; preghiamolo devotamente affinché faccia di noi dei veri e propri soldati del suo nome, soldati del suo regno, soldati della sua legge e della sua causa: Devote ipsum deprecemur, ut voluntatem suam adimplere valeamus in salutem [15].»
Dopo tali parole non restava altro che partire; la santa falange si mise in marcia, e né le lacrime d'addio, né alcuna delle considerazioni e degli affetti terreni arrestarono quegli uomini; essi avevano, afferma lo storico, la speranza come fiaccola, i sacramenti come nutrimento ed il loro vescovo come capo. Marciarono giorno e notte fino a giungere in Borgogna e si trovarono di fronte al nemico; ciò che avvenne mostrò quanto fosse preziosa per loro l'esperienza militare del loro capo. Tre prime battaglie, ingaggiate con abilità e condotte con coraggio furono coronate da altrettante brillanti vittorie; i campi di Saint-Forgeot, Saint-Pierre-l'Étrier, Creuse-d'Auzy s'inzupparono del sangue degli infedeli. La fortuna pareva arridere alle fila dei cristiani, quand'ecco che, a seguito di un quarto fatto d'arme, una nuova e più formidabile armata di Saraceni le sorprese all'improvviso; il pontefice fece suonare la tromba, riunì i suoi soldati, li animò un'ultima volta colla sua parola ispirata ma, mentre stava parlando, fu lui stesso circondato dai battaglioni degl'infedeli, e compì prodigi di valore fino agli ultimi istanti. Schiacciato dal numero dei nemici, crivellato da centinaia di colpi di spada e di lancia, circondato da morti e morenti egli esortava ancora i suoi: «O generosi soldati, siate costanti nella fede e nel coraggio, riprendete forza ed animo contro questi crudeli pagani... Figli, voi siete i soldati non di uomini ma di Dio. Voi combattete per la vostra vera madre, la santa Chiesa, la cui voce grida vendetta a Dio per il sangue dei suoi santi. Lassù con Cristo ci attende una sorte migliore; là è la nostra vittoria, là la nostra ricompensa [16]». Queste ultime parole furono anche l'ultimo sospiro del guerriero; la sua anima, ricevuta per mano degli angeli, fu introdotta nelle gioie eterne.
Mi domanderete, Fratelli Miei, se la storia del vostro pontefice termini così, e se questo sia tutto il risultato della sua spedizione; no, né la storia né la spedizione del vostro pontefice terminano colla sua disfatta e la sua morte. La sua storia, anche quaggiù, continua ancora dopo undici secoli; la mano di Dio di anno in anno vi aggiunge qualche pagina nuova per mezzo di qualche nuovo prodigio operato sulla sua tomba. Il suo nome, le sue gesta sono rimaste famose sul suolo ove soccombé; ivi le sue spoglie sono circondata d'amore e di venerazione, e la Borgogna riconoscente non ha cessato mai di rinnovellare tutti gli anni la festa a lui dedicata ed il suo panegirico [17]. Infine la vostra città stessa, dopo uno di quei lunghi e misteriosi oblii che Dio permette, o meglio di cui si serve per ottenere ai suoi santi un trionfo più inatteso e quasi una vera e propria resurrezione terrestre, la vostra città ha appena festeggiato il ritorno solenne di Emiliano con altrettante e più manifestazioni che se avesse ricevuto qualche maestà della terra. Illustri agiografi, che raccogliete con perseverante erudizione già più due volte che secolare tutti i monumenti della vita e della storia degli eroi del cristianesimo, inserite nei vostri dotti archivi le meraviglie di cui siamo stati or ora testimoni; la città di Nantes vi ha preparato, in questi tre giorni, racconti non meno interessanti di quelli che vi sono giunti dall'antichità sacra. Come vedete, Fratelli Miei, la storia del vostro vescovo guerriero non è terminata insieme colla sua vita.
Quanto poi alla sua spedizione, ben lungi che sia finita con Emiliano: è assai più vero affermare che egli ne ha solo dato il segnale. Quel feroce nemico della cristianità al quale la Bretagna cattolica ha inferto i primi colpi e sul quale ha riportato i primi trionfi, solo sette anni più tardi sarà talmente schiacciato nei campi di Poitiers da non riapparire mai più sul suolo francese. E poiché è scritto che le due generose provincie della Bretagna e del Poitou debbano sempre andar per mano nei grandi combattimenti della religione e del diritto, un altro vescovo di Nantes, successore di Emiliano, figurerà nella battaglia a fianco di Carlo Martello. Uno dei vostri predecessori, Monsignore, aveva patito: era giusto che un altro fosse onorato. Ma non è abbastanza; il Saraceno, cacciato dai nostri lidi, esercitava altrove le sue crudeltà e le sue empietà. Non era più solo dal nostro suolo che andava allontanato, ma si doveva perseguirlo nel suo territorio, nel suo proprio impero; l'oriente, Gerusalemme, i luoghi santi ci chiamarono alla loro difesa. Un papa francese, Silvestro II, fu il primo a lanciare il primo grido d'aiuto; un altro papa, anch'egli francese, Urbano II, lanciò il primo grido di guerra; gli accenti generosi di questi due pontefici commossero il mondo, ed i loro discorsi volarono di bocca in bocca. E devo dirlo, Fratelli Miei: quando paragono tali accenti con i discorsi che sono usciti dalle labbra del vostro Emiliano, riconosco che questi ultimi non ne sono altro che l'eco ripetuta da più in alto e propagata più lontano. Sì, e se qualcuno pensasse di stupirsi di tutto ciò che Nantes ha fatto da tre giorni a questa parte, risponderei che Nantes non poteva fare abbastanza, perché le è stata appena svelata e restituita una delle pagine più belle e più grandi della sua storia. Le crociate, quelle guerre cristiane che costituiranno l'eterno onore della Francia, non sono altro che un più largo sviluppo della spedizione dei vostri padri. E dopo che il nobile ardore delle crociate si è estinto nell'anima dei principi e dei re, la fiamma sacra che anima ancora lo zelo dei papi, lo zelo dei cavalieri cristiani e dei monaci soldati, è quella nobile passione che il vostro vescovo soldato ha così ben denominato amore della fede e della santa cristianità: Pro amore fidei et sanctae christianitatis [18].
No, no, valente pontefice, la vostra impresa militare non è finita con voi; ci sarebbero voluti mille anni e più del nostro sangue e del nostro oro, mille anni e più di combattimenti eroici per portare al suo termine definitivo l'opera di cui siete stato l'iniziatore ed il primo motore. E così non mi stupisco che, uscito da Nantes nell'VIII secolo, voi non ne rientriate che nel secolo XIX. Mi sarà permesso di dirlo, Fratelli Miei? Anche dopo il suo trapasso il vostro pontefice aveva mantenuto tutta la fierezza, o se volete, tutta la santa ostinazione della stirpe bretone, e pare che avesse giurato di non ritornare a casa sua se non dopo che la spedizione fosse conclusa e la serie di battaglie terminata. Venite, nobile pastore, venite infine a riposarvi nella vostra beneamata provincia, nel bel mezzo del vostro antico popolo; ormai il vostro nemico è definitivamente vinto. Vi siete battuto contro un colosso di cui non rimane più che un fantasma; e se questo fantasma è ancora in piedi, ciò è perché il deplorevole stato dell'Europa richiede che la sua caduta non sia affrettata, e che un resto di vita artificiale gli sia mantenuto, nel timore che gli succedano altri avversari della santa Chiesa di Dio oggi più potenti e temibili. Non vi scandalizzate troppo dunque, o Emiliano, se notate in questa assemblea vari discendenti dei vostri antichi compagni d'arme poco tempo fa arruolati per la difesa di quegli stessi infedeli che combatteste senza quartiere. Senza dubbio una tale anomalia denuncia all'interno delle nazioni moderne immensi motivi di tristezza; tuttavia voglio dirvelo: i vostri nipoti hanno potuto battersi lealmente, cristianamente, e lo stesso sentimento di fede che armò il vostro braccio animava anche il loro cuore. Le vicissitudini di quaggiù comprendono questi strani incidenti e questi rovesciamenti delle situazioni; sarebbe infatti eccessivamente crudele che la discendenza di Maometto divenisse la preda di quelle perfide stirpi che hanno sempre abbandonato i nostri valorosi nel momento dell'azione, ed il cui tradimento ha tante volte ritardato i nostri successi. Lasciamo allora che la provvidenza impieghi i suoi misteriosi apparecchi atti a galvanizzare per qualche tempo ancora questo cadavere in disfacimento, fino al giorno in cui il nostro occidente cristiano, più unito nella vera fede, possa raccogliere una spoglia acquistata a così caro prezzo, che non può e non deve spettare che a lui.
M'accorgo però, Fratelli Miei, che sto toccando questioni roventi dei nostri tempi; evitiamo di camminare su questi carboni ardenti, e cerchiamo di rimanere figli dei nostri padri e di saper combattere come loro per il nome, per il regno e per la legge di Dio. Ciò sarà l'oggetto di una seconda riflessione. [Traduzione: C.S.A.B.]
Fonte: Progetto Barruel
Da: Oeuvres de Mgr. l'évêque de Poitiers [Cardinal Louis-Édouard Pie] (7e éd.) tome III Paris 1884 (Discours pour la solennité de la réception des reliques de Saint Emilien) pag. 497-510.
Discorso per la solennità del ricevimento delle reliquie di sant'Emiliano, Vescovo di Nantes, pronunciato nella Chiesa Cattedrale di Nantes l'8 Novembre 1859. (I)
NOTE:
[1] S. G. Mons. Vescovo di Nantes. — Erano presenti i NN. SS. Vescovi di Angers, di Bruges, d'Angouleeeme, di Blois, di Luçon, d'Amiens.
[2] Matth., VI, 9.
[3] Ibid., 6.
[4] Il catechismo del santo concilio di Trento avverte i pastori di far osservare che le parole: Sulla terra come in cielo siano messe in rapporto a ciascuna delle tre richieste precedenti: «Ut hae petitiones, quam vim habeant et quid valeant, plenius intelligantur, pastoris erunt partes monere fidelem populum verba illa: Sicut in coelo et in terra, ad singulas referri posse primarum trium postulationum: ut, sanctificetur nomen tuum sicut in coelo et in terra; item, adveniat regnum tuum sicut in coelo et interra; similiter, fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra.» Catech. concil. Trid., P. IV, c. X, n. 5. [«Ma a far meglio comprendere tutta la forza e l'efficacia di queste preghiere, sara compito del Pastore spiegare al popolo fedele che le parole, Così in cielo come in terra, si possano riportare ad ognuna delle tre prime domande: così, Sia santificato il nome tuo così in terra come in cielo, — Venga il regno tuo così in terra come in cielo; — e parimenti, Sia fatta la tua volonta cosi in terra come in cielo.» Traduz. a cura di Mons. Enrico Benedetti, Roma 1918 pag. 719. N.d.R.]
[5] Ps.LXXV.
[6] Catechc. concil. Trid., P. IV, c. XI, n. 23.
[7] Ps.CIX, 2.
[8] I Corinth., XV, 25.
[9] Edit. de Lebel, T. XVI, p. 62.
[10] Thomassin, Discipline ancienne et nouvelle, T. III, p. 3, L. I, c. 47. p. 495, L. III, c. 44, etc. Edit. in-fol. Paris, 1745.
[11] Luc., XVI, 5.
[12] Luc., XIII, 16.
[13] Bolland. T. V Junii, ad diem 25, p. 81, n. 2.
[14] Bolland. T. V Junii, ad diem 25, p. 81, n. 2.
[15] Bolland. T. V Junii, ad diem 25, p. 81, n. 3.
[16] Bolland. T. V Junii, ad diem 25, p. 82, n. 8.
[17] Si veda l'interessante Notice historique et critique sur saint Émilien, par M. l'abbé Cahours. Nantes, 1859.
[18] Bolland. T. V Junii, ad diem 25, p. 81, n. 2 et 6.
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