Traduttore

P. ÉDOUARD HUGON, O.P.: IL SACRIFICIO DELLA CROCE. GLI ERRORI. LA FEDE DELLA CHIESA


Il sacrificio di Gesù Cristo (seconda parte)

R. P. Édouard Hugon, O.P.

Docente in teologia
Professore di dogmatica al pontificio collegio «Angelicum» di Roma
Membro dell'Accademia romana di San Tommaso d'Aquino

Estratto da "Le Mystère de la Rédemption", XIIe éd, Paris s.d. pag. 98-115

Capitolo IV

La Redenzione considerata come sacrificio

(Seconda parte)

III

Il sacrificio della croce. — Gli errori. — La fede della Chiesa

Una volta chiarite le principali nozioni, bisogna ritornare a Gesù Redentore. Poiché il sacrificio esprime ancor di più della soddisfazione, è manifesto che gli avversari del dogma della soddisfazione vicaria negano anche la realtà del sacrificio della croce.

Pelagio, Abelardo, Hermes [Georg Hermes, 1775-1831, teologo tedesco razionalista e soggettivista. N.d.R.] si rifiutarono di riconoscere che la morte del Cristo ha il valore di una compensazione penale e di una immolazione intrinsecamente efficace, e la ritennero un esempio di eroismo sublime, un'eloquente testimonianza dell'amore, ma non certo un vero sacrificio.

I Sociniani pretendevano che Gesù Cristo non fosse stato sacerdote in questo mondo, ma solamente al Suo ingresso nel cielo, dove d'altronde tutto il suo ufficio sacerdotale consisterebbe nell'intercedere per noi davanti a Dio; la Sua passione non sarebbe stata dunque un sacrificio, ma solo una preparazione al sacrificio che Egli offre nella gloria interpellando suo Padre a favore dell'umanità.

Quanto ai critici razionalisti, Ritschl, Sabatier e gli altri, la morte di Cristo ha avuto solamente l'efficacia di un'abnegazione bell'e buona, come quella del cavalier d'Assas [1].

Per un cattolico il fatto che la morte del Salvatore sia stato un vero e proprio sacrificio è un dogma, e questa convinzione è talmente fondamentale che ha penetrato tutta la liturgia. La sequenza Victimae paschali canta gli effetti di questa morte trionfale: è un sacrificio satisfattorio che ci riscatta: Agnus redemit oves; è un sacrificio propiziatorio che ci riconcilia con Dio: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores. Il prefazio della Messa proclama questa verità con una formula ieratica, più augusta e più venerabile ancora di una definizione: «Il nostro sacrificio pasquale è il Cristo immolato: ecco il vero Agnello che cancella i peccati del mondo, che morendo ha distrutto la nostra morte e che risuscitando ha riparato la vita.» [(...) Pascha nostrum immolatus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui abstulit peccata mundi. Qui mortem nostram moriendo destruxit, et vitam resurgendo reparavit (...) Prefazio del tempo pasquale, N.d.R.] Ivi si notano tutti gli elementi del sacrificio: le idee di sostituzione e d'immolazione, perché Cristo muore al nostro posto per distruggere la morte; le idee di riconciliazione e d'alleanza, perché Egli cancella i nostri peccati e ci rende la vita, la grazia di Dio, nella sua qualità di vero e proprio Agnello Pasquale. Il concilio di Trento insegna che Gesù Cristo si è offerto a Dio Suo Padre sull'altare della croce, operando con la sua morte la redenzione eterna [2]. Queste espressioni «offrirsi sull'altare e fino alla morte» designano già assai nettamente il vero e proprio sacrificio; e, per meglio precisare il proprio pensiero, il concilio soggiunge che il sacrificio dell'Eucaristia non è altro che la ripresentazione del sacrificio cruento compiuto una sola volta sulla croce [3].

La sostanza della dottrina conciliare è questa: la religione cristiana possiede un vero sacrificio il quale non è altro che il sacrificio della Messa, ripresentazione del sacrificio della croce; è come dire che il sacrificio del Calvario è reale e perfetto come quello della Messa che ne è la ripresentazione, e che ne differisce solamente per la maniera in cui è offerto.

IV

Prove tratte dalla Scrittura

I Libri sacri sono pieni di questa dottrina; la religione e il culto della legge antica sono interamente figura e preparazione al sacrificio di Gesù Cristo. Bossuet, profondamente penetrato dal pensiero della Scrittura e da quello dei Padri, riassume in poche energiche parole l'economia primitiva: «Tutto è sangue nella legge, come figura di Gesù Cristo e del Suo sangue che purifica le coscienze [4]

Nell'Antico Testamento l'idea del Messia sofferente è legata all'idea di vittima. Ritorniamo alla profezia di Isaia, che ci mostra realizzate con la morte del Servo di Iahvè tutte le caratteristiche del vero e proprio sacrificio; innanzi tutto vi è l'immolazione totale e volontaria: è un innocente che si offre per noi, che è stritolato, trafitto perché l'ha voluto, che si lascia portare a morire come pecora muta sotto il ferro che la tosa. Poi vi è l'idea di sostituzione: Egli prende su di sé le nostre sofferenze, è schiacciato per  i nostri peccati, porta le nostre iniquità per scaricarne noi stessi, e per le sue piaghe siamo guariti. Infine vi è l'idea di alleanza: poiché si è offerto come un'ostia, Egli riconcilia il popolo con Dio, giustifica delle moltitudini, acquisisce una posterità che prospera davanti al Signore [5].

I Vangeli completano questi dati e, senza impiegare la parola sacrificio, enunciano tutti gli elementi che un sacrificio contiene. L'immolazione sacrificale è indicata a più riprese; anzitutto nei brani in cui Nostro Signore si applica la profezia del Servo sofferente: «È scritto del Figlio dell'Uomo che dovrà soffrire molto ed essere disprezzato» [6]. Poi, nei brani in cui si dice che le sue sofferenze dovranno giungere fino alla morte [7], che Egli dovrà dare la Sua anima per il riscatto degli uomini [8], la sua carne per la vita del mondo [9], similmente al pastore che dà la sua vita per le pecore [10], nei brani in cui allo stesso modo Egli considera la sua morte come un battesimo di sangue, come un calice che Suo Padre gli ha comandato di bere [11]. Infine Nostro Signore parla in termini propri della propria immolazione: Sanctifico meipsum [12], cioè mi consacro in vista del mio sacrificio, mi voto alla morte in qualità di vittima.

Le tre idee di immolazione, di sostituzione e d'alleanza sono riunite insieme nei racconti dell'istituzione dell'Eucaristia. E' noto che si è convenuto di raggruppare questi racconti a due a due: da un lato san Marco e san Matteo [13], dall'altro san Luca e san Paolo [14]. Non essendo compito nostro di occuparci delle difficoltà sollevate a questo proposito e che gli esegeti cattolici si sono incaricati di risolvere, consideriamo questi testi dal punto di vista del teologo, in quanto documenti ispirati sui quali può basarsi un'argomentazione irremovibile.

In san Marco e san Matteo il corpo ed il sangue sono rappresentati come separati, cosa che annuncia l'immolazione violenta di Gesù; san Matteo evoca inoltre esplicitamente l'idea di sostituzione ed il valore espiatorio: il Salvatore è messo a morte al posto degli uomini e per la remissione dei peccati, in remissionem peccatorum. — In san Luca e san Paolo il corpo è rappresentato come dato ed il sangue come versato per noi, cosa che allude sia all'immolazione sia alla sostituzione volontaria.

Infine, nei quattro racconti la nozione di alleanza è espressa in termini propri; nei primi due è detto: Questo è il mio sangue della nuova Alleanza; negli altri due: Questo calice è la nuova Alleanza nel mio sangue. —  «L'idea di Alleanza per mezzo del sangue è un'idea che fuoriesce dalle viscere dell'Antico Testamento: senza di essa non vi è Popolo di Dio, non vi è Legge, non vi è Tempio. La nuova Alleanza crea il nuovo Popolo di Dio che è la Chiesa, abroga la Legge, abbatte il Tempio; il Padre celeste si dà un popolo che sostituisce ad Israele riprovato, e l'Alleanza è conclusa nel sangue stesso del Figlio dell'Uomo. Non si può forse affermare che questa concezione, che è come l'anima del messaggio di Gesù, ha trovato la propria espressione suprema nelle parole pronunciate alla Cena? L'Alleanza per mezzo del sangue suppone in ogni modo una vittima. Ecco perché, prima di parlare del Suo sangue versato, Gesù parla del Suo corpo. La parola sacrificio non è pronunciata da nessuna parte, ma l'Alleanza per mezzo del sangue è conseguenza di un sacrificio [15]

Da tutto il contesto scaturisce che il sangue di Gesù, versato per noi è proprio la causa dell'Alleanza, e che proprio grazie a questo stesso sangue siamo riconciliati con Dio. Per di più nella morte del Salvatore si ritrovano tutti i caratteri del vero e proprio sacrificio: immolazione completa, valore espiatorio per la remissione dei peccati, valore propiziatorio che ci fa rientrare nell'amicizia divina per mezzo di una nuova ed eterna alleanza.

San Paolo completa la teologia del sacrificio redentore. I passaggi dell'Apostolo che stabiliscono questa dottrina sono dapprima quelli in cui egli fa il racconto della Cena e in cui abbiamo appena segnalato gli elementi del sacrificio: immolazione,  sostituzione al posto dei colpevoli, alleanza e riconciliazione con Dio. Poi vi sono quelli in cui egli attribuisce a Gesù Cristo il titolo e la qualità di vittima: «Il nostro sacrificio pasquale è il Cristo immolato [16]. — Il Cristo ci ha amati e si è dato per noi come un'offerta ed un'ostia, hostiam, di soave odore [17].» — Vi sono infine quelli in cui si riconosce che la morte del Salvatore ha avuto gli effetti del sacrificio, cioè che è stata un mezzo e uno strumento di propiziazione per i nostri peccati e la causa della nostra giustificazione: «Dio l'ha costituito come strumento di propiziazione per i nostri peccati nel Suo sangue [18]; noi siamo giustificati nel suo sangue [19].» L'inciso «in sanguine suo» sottolinea l'immolazione, e le idee di sostituzione volontaria, di riconciliazione e di alleanza sono contenute nei termini: propitiationemjustificati [20].

L'epistola agli Ebrei è una grandiosa esposizione di questo dogma. Il Cristo è sacerdote e, a questo titolo, doveva offrire un vero e proprio sacrificio, perché questa è la funzione specifica del sacerdozio [21]. La vittima che egli ha immolato è se stesso sulla croce. Il Salvatore è poi paragonato al pontefice dell'antica legge: costui entrava nel Santo dei santi solo per il sangue, dopo aver offerto delle vittime; il Cristo, per mezzo del Suo sangue e dopo l'oblazione del Suo sacrificio sul Calvario, è entrato per sempre nel cielo. Il sangue delle vittime sparso dal sommo sacerdote non purificava che sozzure legali, ad emundationem carnis; il sangue di Cristo lava invece la nostra coscienza dalle nostre opere di morte e ci consacra al servizio del Dio vivente [22].

Ciò significa affermare e dimostrare che la morte del Redentore è un sacrificio più reale e più efficace di quelli dell'antica alleanza.

Tutte le condizioni richieste dal sacrificio sono espresse: immolazione cruenta, per proprium sanguinem; sostituzione, perchè Egli è pontefice per gli uomini e allo scopo di purificarli dai loro peccati; riconciliazione ed alleanza, poiché per la virtù di questo sangue gli uomini sono chiamati a servire il Dio vivente; e d'altronde l'epistola dice espressamente che il sangue di Gesù Cristo è il sangue dell'alleanza [23] il sangue dell'alleanza eterna [24].

San Giovanni espone in termini rapidi e pieni la realtà e gli effetti di questo sacrificio; si tratta di un'immolazione: il Cristo ci ha lavati nel Suo sangue [25]; è una sostituzione che possiede un valore espiatorio e propiziatorio per tutti i nostri peccati e per tutti quelli del mondo intero [26]; infine, grazie a questa stessa sostituzione, Cristo nostro avvocato ci fa entrare nell'alleanza ed in amicizia con il Padre [27].

«A chi studia senza partito preso il significato della morte di Gesù nei sinottici, in san Giovanni, nell'epistola agli Ebrei, in san Paolo e negli altri scritti apostolici, è impossibile sottrarre a questa morte il carattere di sacrificio e di sacrificio di propiziazione. Il Cristo morente è paragonato a tutte le vittime dell'antica Legge, all'agnello pasquale, al sangue dell'alleanza e dell'espiazione, all'offerta per il peccato; quasi tutti i termini del rituale dei sacrifici Gli sono applicati: ed il modo in cui parla Lui stesso della Sua propria morte non permette in nessun modo di dubitare che l'insegnamento degli apostoli risalga fino a Lui. D'altra parte la remissione dei peccati è costantemente messa in rapporto con la morte di Gesù Cristo; è l'aspersione di questo sangue divino che purifica le anime; comunque si intenda l'ἱλασμός di san Giovanni, l'ἱλάσκεσθαι dell'Epistola agli Ebrei, l'ἱλαστήριον di san Paolo, se ne sprigiona invincibilmente l'idea di espiazione e di propiziazione, cioè di un'azione di Cristo che placa la collera di Dio e ce lo rende propizio e al tempo stesso annulla gli effetti del peccato. In questo, Paolo non si distingue dagli altri apostoli, ma aiuta a spiegarli, come loro servono a comprendere lui [28]

V

La testimonianza dei Padri

I Padri Apostolici, non contenti di attribuire al Salvatore il titolo di pontefice e di sommo sacerdote, professano che la passione è un sacrificio e che la Sua carne è stata offerta come vittima [29].

San Giustino vede la figura del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo nell'immolazione del capro espiatorio [30], e sant'Ireneo nell'immolazione di Isacco [31]; oblazione efficacissima, aggiunge san Giustino, perché il sangue di Gesù Cristo purifica coloro che credono in Lui [32].

A dire di Clemente d'Alessandria, il Cristo è la vittima perfetta, e dal Suo sacrificio derivano su di noi gli effetti più abbondanti [33].

Allo stesso modo anche per Origene Gesù è l'agnello immolato il cui sacrificio possiede un valore di propiziazione e d'espiazione per le offese del mondo intero: sacerdote come l'attestano i Salmi e l'Epistola agli Ebrei; vittima, come affermano tutte le Scritture, Egli opera, a questo duplice titolo, la remissione dei peccati [34].

Sant'Atanasio, per far meglio risaltare il dogma della soddisfazione vicaria, spiega che era necessaria una compensazione penale, un'immolazione cruenta: ecco perché il Verbo ha preso un corpo passibile e mortale che ha offerto a Dio come un'ostia immacolata, come un sacrificio purissimo, e con questa accettazione volontaria della morte ha strappato gli altri ad una morte assai ben meritata [35].

San Gregorio di Nissa, contemplando in Gesù la vittima offerta per i nostri peccati [36], riconosce a questa immolazione un'efficacia espiatoria, perché Gesù è la nostra propiziazione nel suo sangue [37]; ed un'efficacia satisfattoria perché il sacerdote immacolato e perfetto si offre Lui stesso in nome dell'umanità e si fa riscatto di tutti gli uomini [38].

Eusebio espone la teoria del sacrificio antico in cui la vita degli animali era scambiata con l'anima dei peccatori; poi ne fa l'applicazione al sacrificio dell'Agnello senza macchia che prende su di sé il nostro castigo ed espia al nostro posto [39].

Anche San Gregorio di Nazianzo vede in Gesù Cristo la grande vittima che lava tutte le sozzure; e, geloso della dignità del sacrificio cristiano, rimprovera a Giuliano l'Apostata di osare opporgli i sacrifici pagani. Che può il sangue di tali vittime in confronto al sangue divino che ha purificato il mondo intero [40]?

San Crisostomo insiste sulla meravigliosa efficacia di questo sacrificio: esso è unico, è stato offerto solo una volta e tuttavia continua ancora senza posa a giustificare gli uomini [41]. Se i sacrifici dell'antica legge dovevano ripetersi, ciò era a causa della loro imperfezione: quello di Cristo è perfetto, ed ecco perché questa unica oblazione ci santifica per sempre [42].

Il sangue di tutte le vittime riunite non era sufficiente, esclama san Cirillo d'Alessandria, per espiare i peccati di tutti gli uomini; ecco perché Gesù Cristo ha preso su di sé in qualche modo i peccati di tutti e si è fatto vittima per tutti [43].

— Poiché nessuno, conclude san Giovanni Damasceno, nessuno era in grado di offrire un sacrificio per noi, Gesù Cristo, mosso da pietà per la nostra sorte, si è costituito nostro pontefice al fine di espiare lui stesso per i nostri peccati [44].

La Chiesa Latina ha sempre affermato la propria fede in questo dogma, e con non meno energia della Chiesa Greca. — Era necessario, dice Tertulliano, che il Cristo divenisse il sacrificio universale per tutte le nazioni, lui che si è lasciato immolare come un agnello privo di difesa [45]. Egli si è dunque fatto ostia per noi tutti [46]; e fu la volontà del Padre ad averlo stabilito sacerdote e vittima [47].

— Sovrano Sacerdote di Dio, soggiunge san Cipriano, si è offerto per primo in sacrificio, e ci ha comandato di rinnovarne il ricordo sull'altare [48].

Sant'Ambrogio considera la morte del Salvatore un sacrificio completo: espiazione per i peccati significata dall'immolazione del capro espiatorio; vittima immacolata, significata dall'immolazione dei vitelli e dei giovenchi [49]. Il Suo sangue così versato ha lavato tutte le sozzure, cancellato tutti i crimini dell'universo [50].

Sant'Agostino ha condensato i vari insegnamenti patristici in questa sintesi vigorosa:  «Prendendo la forma dello schiavo, Egli è divenuto il vero mediatore tra Dio e gli uomini, lui che è l'Uomo-Cristo, Gesù.

Sebbene per la Sua natura divina Egli riceva il sacrificio come il Padre, con il quale è un solo Dio, ha preferito, nella sua natura di schiavo, essere sacrificato piuttosto che ricevere il sacrificio, affinché nessuno potesse avere il pretesto di credere che il sacrificio possa essere offerto a una creatura. Così Egli è sacerdote, sacrificatore e sacrificato. Ha voluto che il ricordo della Sua immolazione fosse rinnovellato ogni giorno nel sacrificio della Sua Chiesa, l'augusta sposa che, essendo il corpo di questo Capo immortale, impara ad immolarsi per mezzo di Lui. Questo vero e proprio sacrificio è stato significato dai diversi sacrifici dei santi dell'antica alleanza. Unico ed indivisibile, era però figurato da molteplici riti, come una sola e medesima realtà che bisognasse esprimere con numerose parole affinché la varietà dell'elogio, impedendo allo spirito di rilassarsi, ne facesse apprezzare meglio il valore. Ecco il supremo e vero sacrificio, al quale tutti i falsi sacrifici hanno ceduto il posto [51]

Questo sacrificio possiede un valore espiatorio perché ha «purificato, abolito, estinto tutto ciò che vi era in noi di colpa [52]»; possiede anche il valore propiziatorio e quello dell'ostia pacifica perché «il vero e unico Mediatore, per mezzo del suo sacrificio di pace, ci ha riconciliati con Dio [53]»

Queste medesime idee sono espresse con eguale eloquenza da san Leone: «Che i doceti ci dicano, esclama, qual'è il sacrificio che li ha riconciliati, qual'è il sangue che li ha riscattati! Chi è dunque colui che si è consegnato lui stesso come un'offerta ed un'ostia di soave odore? Vi fu mai un sacrificio più augusto di quello offerto dal nostro vero Pontefice sull'altare della croce per mezzo dell'immolazione della Sua carne? Sebbene la morte di parecchi santi sia stata preziosa agli occhi del Signore, mai però il martirio di un innocente ha potuto essere un sacrificio di propiziazione per il mondo. I giusti hanno ricevuto molte corone, ma non avrebbero potuto dare; la forza ed il coraggio dei credenti sono stati esempi di pazienza, ma non hanno conferito il dono della giustizia. Ciascuno moriva per sé e nessuno regolava con la sua morte i debiti degli altri: uno solo ha pagato, Nostro Signore Gesù Cristo, nel quale tutti sono stati crocifissi, tutti sono morti e sepolti, ed anche risuscitati [54]

San Gregorio Magno mostra che per espiare le iniquità del mondo intero era necessaria l'immolazione di una vittima ragionevole, interamente innocente; e, siccome tutti i mortali erano colpevoli, il Figlio di Dio ha dovuto prendere la natura umana senza prenderne la colpa. «Egli si è fatto così sacrificio per noi, Egli ha offerto per i peccati il Suo corpo come vittima senza macchia, che possedeva l'umanità per morire e la santità per purificarci [55]».

San Tommaso, raccogliendo come in un fascio i molteplici dati della Tradizione, spiega, con rigore teologico e con una precisione che sarà definitiva, come il Cristo è sacerdote e come la Sua morte sulla croce ha avuto tutte le caratteristiche e prodotto tutti gli effetti del sacrificio [56].

La ragione teologica

Fondato su queste basi scritturali e chiarito dalle testimonianze dei Padri, l'argomento teologico si fa altrettanto dimostrativo quanto interessante [57]. Che cosa occorre perché si abbia un sacrificio? Anzitutto una vittima sensibile. Il Cristo è tale per la sua natura umana: può bene, in ragione della sua divinità, ricevere i sacrifici e le adorazioni, ma l'immolazione ripugna ad una natura che è l'Invisibile, l'Immortalità, la Sovranità assoluta; rivestendo la forma di schiavo, prendendo una carne passibile, egli si è fatto materia del sacrificio.

È necessaria poi l'immolazione, allo scopo di riconoscere il supremo dominio di Dio, il Suo diritto di vita e di morte e, nello stato presente della natura decaduta, per riparare, con questo tipo di distruzione, l'ingiuria fatta a Dio, stante il fatto che il peccato grave, attentato contro la vita divina, meriterebbe l'annientamento del peccatore. Ma che cosa vi è di più efficace per rendere queste due testimonianze, ottenere questi due risultati, della passione del Salvatore?

Se un Dio-Uomo subisce la morte per l'umanità, ciò è un'eclatante dimostrazione che tutte le creature, anche le più perfette, dipendono interamente dal Creatore e sovrano Signore; se un Dio-Uomo si vota all'ultimo supplizio a causa dei nostri peccati, ecco la prova che tutte le vite umane sono incapaci di espiare e di soddisfare.

Il sacrificio richiede ancora che la sostituzione sia abbastanza eccellente perché Dio ci perdoni ed i Suoi diritti restino salvi. Abbiamo fatto vedere, spiegando la dottrina della soddisfazione vicaria, che Gesù Cristo, capo e rappresentante dell'umanità e divenuto un solo corpo mistico con noi come la testa colle membra, si sostituisce a noi in tutto per adorare, meritare e soddisfare; e che questa vittima che possiede una dignità infinita, offre a Dio per noi una compensazione sovrabbondante, procurandoGli maggior onore di quanto il peccato gli abbia fatto di offesa, paga tutti i nostri debiti e di più ancora, all'infinito.

Infine il sacrificio implica una sorta d'alleanza tra Dio ed il Suo popolo. La Passione del Salvatore ha suggellato il nuovo ed eterno testamento di Dio con l'umanità, i cui preliminari erano stati posti a partire dal primo istante dell'Incarnazione, perché Gesù da quel momento fu sacerdote e cominciò l'esercizio del suo sacerdozio; ma nel piano divino l'ultimo atto doveva essere la morte di Cristo, e fu allora che l'Alleanza divenne definitiva. In questo momento unico della storia umana in cui un Dio-Uomo subì la morte, il velo del Tempio si strappò in tutta la sua lunghezza [58], indizio drammatico del fatto che l'antica alleanza era abrogata e la nuova era stabilita, che non vi era ormai più separazione tra Dio e noi e che l'ingresso del Santo dei santi era ormai aperto [59].

Il sacrificio doveva essere offerto da un sacerdote, ambasciatore dell'umanità accreditato presso Dio [60]: Gesù Cristo, pontefice a motivo della consacrazione dell'unione ipostatica, rappresentante nato dei fedeli che devono essere le sue membra, possiede le qualità per offrire questa ostia la quale non è altro che Lui stesso. Egli è insieme sacerdote, vittima e sacrificio. Il vero e proprio sacrificatore non è colui che affonda la lama materialmente nella vittima; così, nell'antica legge, i subalterni che sgozzavano gli animali non erano i ministri del sacrificio, ma lo erano piuttosto i sacerdoti o il pontefice che facevano l'offerta a Dio. Similmente nella passione: i sacrificatori non furono i carnefici, i cui atti erano un crimine ed un sacrilegio; l'unico sacrificatore fu Gesù Cristo, che si è consegnato liberamente alla morte donando il Suo sangue per noi. Disponendo di una potenza infinita, che poteva sottrarlo a tutti i suoi nemici, egli rinunciò volontariamente a quella vita che nessuno avrebbe potuto strappargli [61]: fu dunque Lui che si offrì, si immolò e fece l'ufficio del sacerdote.

Ritorneremo su questo argomento nel capitolo successivo a proposito del sacerdozio, ma i principi qui ricordati sono sufficienti a spiegare come la morte del Salvatore è un sacrificio e come la morte dei martiri non merita questa definizione: benché molti di loro infatti si siano spontaneamente offerti al supplizio, tuttavia non era in loro potere di evitare la morte, ma erano i carnefici che toglievano loro la vita. Il Cristo al contrario avrebbe potuto rendere vani tutti i tentativi dei suoi nemici; anche colpito a morte da loro, avrebbe potuto sfuggirne arrestando le conseguenze delle proprie ferite.

I martiri non erano consacrati sacerdoti per immolarsi ufficialmente in onore di Dio, mentre Gesù è costituito pontefice e rappresentante degli uomini dall'autorità divina per offrirsi come vittima in nome di tutti,

Così il martirio dei santi non è un sacrificio, benché costituisca l'apogeo dell'eroismo; la morte del Cristo è un sacrificio e nello stesso tempo un martirio, una testimonianza suprema data alla causa di Dio da un Dio-Uomo [62].

Ecco come la passione del Redentore realizza tutte le condizioni del vero e proprio sacrificio e come Gesù è nello stesso tempo il sacerdote e la vittima, il tempio e l'altare; sacerdote e vittima, perché è Lui stesso che offre e che è offerto; tempio, perché Dio abita in Lui ed è in Lui onorato nel modo più eccellente; altare, perché Egli si è offerto in se stesso ed è stato bagnato dal Suo proprio sangue [63].

In un'altra accezione, tuttavia, l'altare è l'albero della croce, così come afferma il concilio di Trento [64]; il tempio è stato l'universo intero, poiché Gesù volle morire fuori dalle porte della città, sotto gli occhi di tutti ed in un luogo esposto a tutti i venti del cielo.

L'eccellenza di questo divino sacrificio

Per cominciare, vi è perfezione completa perché vi è completa unità. «Bisogna sottolineare, dice sant'Agostino, in ogni sacrificio queste quattro cose: a chi è offerto, da chi è offerto, ciò che è offerto e perché è offerto. Ora nel sacrificio di pace che ci riconcilia con Dio, il nostro unico e vero Mediatore permaneva uno con Suo Padre al quale l'offriva, e ci faceva uno con Lui, noi, per i quali Egli offriva, e Lui stesso era colui che offriva e che era offerto [65]

Ma, per far meglio risaltare l'eccellenza di questo sacrificio, occorre considerare: la perfezione della vittima, la perfezione del sacrificatore, la perfezione dell'immolazione, la perfezione degli effetti prodotti.

La vittima, che possiede, in virtù dell'unione ipostatica, una dignità infinita, è infinitamente gradita a Dio: tutto ciò che viene da Lei, adorazione, preghiere, offerte e sacrifici, espia e ripara infinitamente; perché tutto ciò è unito alla divinità da un legame fisico ed indissolubile, perché tutto ciò è opera di un Dio!

Per di più la vittima è interamente innocente ed immacolata: non solo è pura e bella, ma è la purezza, la bellezza, la santità; e la grazia è in lei talmente al colmo che Dio, con la sua potenza ordinaria, non potrebbe aumentarla [66].

Le disposizioni della vittima sono mirabili. Sebbene dal primo istante dell'Incarnazione le virtù ed i doni siano sbocciati al grado perfetto, che è l'eroismo [67], è soprattutto durante la passione e nella scena suprema del Calvario che le virtù sono state spinte fino al sublime e che i doni hanno prodotto tutto ciò che potevano realizzare di eccellente e di squisito: virtù, doni e grazie erano in armonia con queste circostanze, le più grandiose dell'umanità, con quest'atto definitivo che è l'apogeo della vita del Dio-Uomo...

Tra queste disposizioni, che hanno reso la vittima a tal punto gradita a Dio ed il Suo sacrificio a tal punto salutare per noi, ve ne sono due che la Scrittura e la Tradizione si compiacciono di porre in rilievo: l'obbedienza e la carità.

Mentre la disobbedienza di uno solo ci aveva tutti perduti, l'obbedienza di uno solo ha reso a tutti la salvezza [68]. La prima esclamazione di Gesù al suo ingresso in questo mondo fu un atto d'obbedienza: Ecce venio, eccomi, o Dio, per fare la Vostra volontà [69]: ed il Suo ultimo sospiro sulla croce è stato ancora un atto d'obbedienza.

Gesù poté rendersi da sé testimonianza di aver compiuto fino alla fine il precetto del Padre, e che tutto è stato compiuto [70]. Così san Paolo potrà riassumere le virtù del Salvatore con queste parole: Egli è stato obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce [71].

La passione è così il trionfo della carità; carità verso Dio: Gesù comincia il Suo martirio dichiarando di andare al supplizio per amore di Suo Padre: «Affinché il mondo sappia che amo mio Padre e che compio il Suo precetto [72].» Carità verso gli uomini: questa è così manifesta che san Paolo non può pensarci senza trasalire: «Ci ha amati e si è dato per noi [73]», ed è così squisita da controbilanciare tutti i crimini dell'universo: «L'iniquità dei carnefici, esclama san Tommaso, per quanto fosse grande, non era a livello della carità sublime di Cristo sofferente per noi [74]

L'obbedienza e la carità in Gesù si richiamano e si sostengono reciprocamente: per obbedienza Egli ha compiuto il precetto della carità più ardente verso Dio e verso l'umanità: ed è l'amore che Lo rende obbediente fino alla morte [75].

L'eroismo di queste due virtù spiega l'eroismo di tutte le altre. È dunque superfluo insistere su queste disposizioni: è uno studio che la pietà cristiana ha subito compreso e che dev'essere portato a termine nella meditazione e nella preghiera [76].

La perfezione del sacrificatore uguaglia quella dell'ostia. L'atto sacrificatore, in ragione del proprio fine e del proprio oggetto, è già eccellente, anche quando il ministro ne sia solo una causa strumentale ed abbia una dignità relativa; ma qui il sacrificatore è causa principale, rivestito di una dignità infinita, ed è eguale a Dio!

Il sacrificio rimane gradevole a Dio anche se il ministro umano ha solo delle disposizioni imperfette e non è in grado di immolare se stesso con ciò che offre: ma nel nostro caso il sacrificatore pratica tutte le virtù in grado eroico, possiede in quanto sacerdote le sublimi qualità che ammiriamo nella vittima...

Perfezione dell'immolazione. Abbiamo osservato con san Tommaso che Dio ha voluto far scaturire dalla natura umana la soddisfazione più completa, come se questa natura fosse essa sola ad espiare. D'altronde era necessario che essa fosse come ridotta a nulla per mezzo di un'immolazione completa. Il Cristo, rappresentante universale del genere umano, ha dovuto subire in sé tutti i dolori dell'umanità, e le Sue sofferenze hanno sorpassato tutte le altre sia in estensione che in intensità.

In estensione perché egli ha sofferto in tutte le maniere, come se tutti i tipi di dolore si fossero dati convegno su quell'innocente per martirizzarlo! Egli ha subito gli assalti di tutte le classi della società: uomini e donne, Giudei e gentili, capi e popolo, sacerdoti e soldati; Egli è stato colpito da ogni parte dalla quale può giungere un dolore ed in tutti i punti in cui il dolore stesso ci può straziare: colpito dai suoi amici che lo hanno abbandonato, nella Sua fama per le bestemmie; nel Suo onore e la Sua gloria per gli oltraggi e le derisioni; nella sua anima per la tristezza, l'angoscia ed il timore; in ciascun membro del Suo corpo: sul capo, per la corona di spine; sul viso per gli schiaffi e gli sputi; nei piedi e nelle mani, per le ferite dei chiodi; in tutto il Suo corpo dai flagelli; la Sua lingua è stata bagnata di fiele e di aceto; i Suoi orecchi sono stati lacerati dalle grida di ingiuria e di maledizione; i Suoi occhi sono stati rattristati nel vedere la desolazione di Sua madre [77]...

In intensità, perché non gli mancò nulla che potesse rendere il dolore più acuto. Al di fuori di Lui, i tormenti più atroci: l'insieme di questo supplizio, dalla flagellazione fino alla crocifissione, era così orribile che i Romani dichiaravano essere indegno di un uomo libero il sentirne solo pronunciare il nome! Ma il dolce Salvatore ne ha voluto conoscere e provare tutta l'atroce realtà [78]. Dentro di Lui, una sensibilità meravigliosa che serviva da invito a tutte le cause capaci di far soffrire. In effetti più un organismo è perfetto, maggiormente vibrerà sotto l'archetto del dolore. Il Cristo, tipo completo della natura umana, era dotato di una complessione eccellentissima, perché il Suo corpo era stato formato da un miracolo dello Spirito Santo, e quando Dio mette in gioco una tale potenza, ciò è certamente per produrre un capolavoro. Tutto ciò aveva allargato, approfondito e scavato in Gesù le capacità di soffrire, e tutto ciò fu colmato dalla Sua passione! Infine la Sua conoscenza dettagliatissima del presente e dell'avvenire consentiva al dolore di afferrarLo interamente.

Egli contemplava come in un quadro tutti i crimini dell'universo, tutte le ingratitudini dell'umanità, l'inutilità delle Sue sofferenze per molti uomini che avrebbero risposto al Suo amore con la sfida, il rifiuto, il disprezzo. Egli era dunque caricato di un duplice fardello: quello del mondo e quello dei nostri peccati. Il peso dell'universo, questo il gigante dell'eternità non lo sente e lo porta ogni giorno senza fatica; ma il peso delle nostre colpe era così pesante che il Suo cuore ne fu straziato, schiacciato e frantumato.

Per noi il dolore non è senza commistione: possiamo fare una diversione, distrarci, e quando la parte inferiore soffre maggiormente, il regno delle facoltà superiori è alleviato, e viceversa. In Gesù nulla di simile: tutte le potenze, mantenute in perfetto equilibrio, soffrono insieme senza che il terribile operare delle une diminuisca in nulla l'operare delle altre, e lo spirito, che ha sempre gli occhi aperti sul proprio oggetto, non può provare alcuna distrazione che attenui un solo istante l'immensità di questo martirio. Sì, si tratta di dolore e tristezza senza commistione, ex doloris et tristitiae puritate, come afferma san Tommaso. Ecco allora l'immolazione completa, universale, affinché essa possa essere sufficiente per espiare tutti i crimini del genere umano ed ottenere agli uomini tutti i frutti della salvezza eterna [79].

Perfezione degli effetti, perché la passione ha realizzato tutti i fini del sacrificio. Anzitutto il valore latreutico: l'adorazione più perfetta che possa essere offerta a Dio per riconoscere il Suo sovrano dominio non è forse la morte di Suo Figlio?

Si ha anche l'efficacia espiatoria, satisfattoria, propiziatoria, perché come abbiamo dimostrato questo sacrificio possiede un valore infinito per pagare tutti i nostri debiti e riconciliarci con Dio.

L'efficacia eucaristica, perché il nostro ringraziamento, la nostra azione di grazie, altrettanto degna del beneficio ricevuto, è il Dio-Uomo, il Cristo immolato... Infine l'efficacia impetratoria, poiché la passione ci conferisce dei diritti presso Dio per ottenere tutti gli aiuti di cui abbiamo bisogno per vincere i nostri nemici e pervenire al trionfo eterno; ciò si manifesterà con totale evidenza quando avremo esposto gli ultimi due aspetti della Redenzione: la Liberazione e la Restaurazione dell'umanità. Questi effetti sono, per così dire, la comunione degli uomini al sacrificio del Redentore.

Per mostrare la perfezione definitiva del sacrificio del Dio-Uomo bisogna far vedere come esso si rinnovelli nell'Eucaristia e si termini nel cielo; ma questo studio esula dal nostro piano, che è il Mistero della Redenzione in se stesso, e non la Redenzione nelle sue applicazioni, nelle sue conseguenze e nel suo coronamento [80].

Dopo di ciò che abbiamo appena detto, sulla scorta dei Padri ed alla luce dei principi della vera teologia, sarà permesso di esclamare con la Chiesa: O vero sacrificio, o degna vittima, che ha distrutto le porte dell'inferno, che ha liberato il popolo prigioniero e gli ha restituito la vita beata [81]!

Prima parte

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NOTE:

[1] «E si parla, nella storia, di sacrificio di questi eroi. Ma chi non vede che il termine ha assunto un senso morale, che è divenuto una metafora di cui tutti quanti si servono, ma che non inganna nessuno? Non bisogna farsi ulteriormente ingannare dall'espressione quando si parla del sacrificio del Cristo... Dal momento che il dramma del Calvario è così riportato alla propria vera natura, diviene allora ciò che fu, un dramma umano, storico, il più grande, il più tragico della storia... Questo dramma, per quanto grande e sublime possa essere, non è più isolato.» Auguste Sabatier, La doctrine de l'expiation, pp. 97, 100.

[2] Conc. Trident., sess. XXII, cap. 1 e cap. 2.

[3] Ibidem, e can. 3

[4] Bossuet, Elévations sur les Mystères, IX, 9.

[5] Isai. LII, LIII.

[6] Marc. IX, 11. — Cfr. VIII, 31.

[7] Matth., XVI, 21, XXI. 38; Marc. VIII . 31. XII. 7-8; Luc., IX, 22, XX, 14-15.

[8] Matth., XX, 28, XXII, 31; Marc. X, 45.

[9] Joan., VI, 52.

[10] Joan., X, 10-15.

[11] Matth., XX, 22, XXVI, 37-47; Marc., X. 39, XIV, 34-43; Luc, XII, 30, XXII, 40-47.

[12] Joan., XVII, 19.

[13] Marc. XIV. 22-25; Matth. XXVI. 26-27.

[14] Luc., XXII 19-20; I Cor.. XI, 23-26.

[15] Mons. Battifol, Etudes d'histoire et de théologie positive, IIa serie. 3a edizione, pag. 50.

[16] I Cor., V, 7.

[17] Ephes., V, 2.

[18] Rom., III , 25.

[19] Rom., V, 9,

[20] Sul senso della parola propitiatio, ἱλαστήριον, si veda P. Prat, La Théologie de saint Paul, pp. 282, 287-288.

[21] Hebr., V, 1. VII. 27.

[22] Hebr. X. 29. [cfr. Hebr. IX, 13. N.d.T.]

[23] Hebr. [cfr. Hebr. X. 29, N.d.T.]

[24] Hebr.  [Heb. 13, 20, N.d.T.]

[25] I. Joan.. I. 7; Apoc., I. 5.

[26] I. Joan., II. 2.

[27] I. Joan., II. 1.

[28] P. Prat, op. cit., p. 283.

[29] Barnab., Epist., VIII, 25.

[30] S. Giustino, Dialog. cum Tryph.. 40; P.G., VI, 561.

[31] S. Iren., IV, Adv. Haeres., V; P.G., VII, 986.

[32] S. Giustino, Dialog. 64; P.G., VI, 693,

[33] Clem. Aless., Strom., V. 11; P.G. IX, 103

[34] Origene, P.G., XIV, 85, 292, 295, 946, e sgg., 1095.

[35] S. Atanasio., De Incarnat. Verbi, 91; P.G., XXV, 111.

[36] S. Greg. Niss., Cont. Eunom., VI; P.G., XLV, 717.

[37] Idem. De Perject. Christian, form., P.G., XLVI, 261, 264.

[38] Idem, De Occursu Domini, P.G., XLVI, 1161, 1164.

[39] Euseb., Demonstr. Evang., I; P.G. XXII, 84-89.

[40] S. Gregor. Nazianz., Orat., XXXVIII; P.G., XXXVI, 640 e Orat., IV, n. 68; P.G., XXXV. 589.

[41] S. Crisost., Homil. XVIII in Joan.; P.G., LIX, 116.

[42] Idem, Homil., XIII , XVIII in Epist. Hebr.; P.G., LXIII. 107. segg.; 119. segg.; 135. segg.

[43] S. Cirillo Alessandr, in Joan. IV; P.G. LXXIII. 564-565.

[44] S. Giov. Damascen., In Hebr., II, 17; P.G., XCV, 911.

[45] Tertull., Adv. Judaeos, 13; P.L. II. 676

[46] Idem, ibid.; P.L., II. 680.

[47] Idem, Adv. Marcionem, III, 18; P.L., 374-375.

[48] S. Cipriano., Epist., LXIII, XIV; P.L., IV, 385, 386.

[49] S. Ambrogio, De Spiritu Sancto, I, 4: P.L., XVI, 705.

[50] Idem. P.L., XIV, 1069, 1063, 1114.

[51] S. Agostino., De Civit. Dei, lib. X, c. XX; P.L., XLI, 298.

[52] De Trinit. lib. IV. c. XIII, n. 17; P.L., XLII. 899.

[53] Ibid., c. XIV; P.L., XLII 901.

[54] S. Leone M., Serm., LIV, 3; P.L., LIV, 359-365.

[55] S. Gregor. M., Moral., lib. XVII. c. XXX, a. 46; P.L.„ LXXVI, 32-33.

[56] S. Tomm., III, P., Q. 22, 48-49.

[57] Con ciò stesso si ha la refutazione positiva come pure razionale delle recenti teorie come quelle ad esempio esposte da Auguste Sabatier nel suo libro: La doctrine de l'expiation et son évolution historique i cui errori abbiamo avuto spesso l'occasione di segnalare.

[58] Matth., XXVII, 61.

[59] Cf. Rom., VII. 1-7; Gal., I I . 19. 20; Hebr., IX. 6, sgg., X. 19. sgg.

[60] Hebr., V.

[61] «Ego pono animam meam: nemo tollit eam a me, sed ego pono eam a meipso.» Joan. X. 18.

[62] Cfr. S. Thom., IIa IIae. q. 124 a. 1.

[63] Cfr. S. Ambros., In psalm. 47; P.L. XIV. 1208.

[64] Conc. Trident. sess. XXII, cap. 2

[65] S. Agostino, De Trinit., lib. IV. c. XIV; P.L., XLII 901.

[66] Cfr. S. Thom., III, P., Q. 7, a. 12.

[67] Id., ibid., a. 2 e sgg.

[68] Rom., V, 19.

[69] Hebr., X, 9.

[70] Joan., XIX. 30.

[71] Philipp., II, 8. Quest'obbedienza risponde al precetto con cui il Padre gli aveva imposto di morire: Hoc MANDATUM accepi a Patre meo, Joan. X. 18. Come può questo precetto conciliarsi con la libertà umana di Gesù Cristo? Questa questione esula evidentemente dall'argomento che stiamo trattando ed è inerente ad un trattato sull'Incarnazione.

[72] Joan., XIV, 31.

[73] Ephes., V. 2 ; Gal. II. 20.

[74] S. Thom.. III, P. q. 49. a. 4, ad 3.

[75] S. Thom., III, P. q. 47, a. 2, ad ?.

[76] I razionalisti ed i protestanti riconoscono ed ammirano queste disposizioni perfette di Cristo. Cfr. Auguste Sabatier, La doctrine de l'expiation, pagg. 106-111.

Ma d'altra parte essi negano la realtà del sacrificio redentore, perché non comprendono né la malizia del peccato né l'economia di una soddisfazione che ristabilisca l'ordine distrutto dal peccato, né la dignità infinita di questo sacerdote e di questa vittima che si sostituisce agli uomini, divenuti Sue membra, e che offre a Dio per loro un'espiazione il cui valore è infinito.

[77] S. Thom., III, P. q. 46, a. ?

[78] Cfr. P. Ollivier, O. P., La Passion.

[79] S. Thom.. III, P., q. 46, a. ?.

[80] Ecco perché ci asteniamo dal discutere qui le teorie di alcuni mistici sul sacrificio di Gesù Cristo in cielo.

O vere digna hostia,

Per quam fracta sunt tartara:

Redempta plebs captivata,

Reddita vitae praemia!

(Hymn. Vesp. Sabb. infr. hebdom. Pasch.)

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