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ABATE P. FIEGE: PER BEM SANTIFICARE O MOMENTO PRESENTE É PRECISO SOFFRIRE CIÒ CHE DIO VUOLE E COME EGLI LO VUOLE

Abate P. Fiege
Corsia dei servi

Se la gioia si trova qualche volta sopra questa terra di esilio, la sofferenza vi tiene un posto ben più grande. Quante nubi vengono a oscurare e velare i luminosi raggi del sole! L'autore dell'Imitazione dice: “Disponete i vostri desideri e i vostri gusti e sempre vi troverete obbligati, vostro malgrado, a soffrire qualche cosa e così troverete sempre la croce. Poiché o il vostro corpo sentirà dolore, o soffrirete nell'anima i tormenti dello spirito. Voi sarete ora abbandonati da Dio, ora messi a dura prova dal vostro prossimo, e, cosa ancora più fastidiosa, sarete di peso a voi stessi”.
O mio Dio, come sarebbe lunga la litania delle prove alle quali siamo esposti! “L'uomo è un apprendista, - ha detto il poeta – e il dolore è il suo maestro”. Se lo potete, enumerate le croci che dalla culla alla tomba vengono a pesare più o meno noiosamente sulle vostre deboli spalle. Oggi è una sofferenza corporale, domani una sofferenza morale. Oggi una malattia si accanisce su di noi come un avvoltoio sulla preda, domani la maledicenza, la calunnia, la persecuzione, l'inganno verranno ad inseguirvi senza pietà. Spesso, senza sapere perché, ci lasciamo prendere dalla noia, dallo scoraggiamento. Il dovere ci costa e vorremmo sottrarci. Presto o tardi il vuoto si fa intorno a noi. I nostri parenti, i nostri amici, coloro sui quali noi contiamo, sui quali fondiamo le nostre speranze, colpiti dall'inesorabile morte, ci lasciano gli uni dopo gli altri. Sono piaghe che si aprono e non si chiudono più. In mezzo alla folla che si agita intorno a noi, resteremo isolati e anche nelle città più popolate e più pulsanti di vita, avremo l'impressione di essere in un grande deserto. Qualche volta, Dio stesso sembrerà ritirarsi da noi. La siccità, l'aridità e tentazioni di ogni sorta verranno ad assillarci. Come Gesù nel Getsemani potremmo dire: “la mia anima è triste fino a morirne”.

Forse anche in certe ore d'angosce più grandi, di dolori più vivi, ci lasceremo sfuggire dalle labbra il grido di desolazione suprema che emise prima di morire il divino crocifisso del Golgota: “Dio mio, Dio mio; perché mi hai abbandonato?”.
Bisogna che tutti saliamo il nostro Calvario e che un giorno soccombiamo sotto il peso della croce con quella caduta inevitabile, terribile, che è la morte. Ah! La sofferenza; chi dunque, anche tra coloro che si dicono i gaudenti del mondo, non la conosce?
Ma come ci sono certe condizioni per santificare le azioni e le gioie, così pure ci sono per santificare le pene.
Non parliamo dello stato di grazia. È e sarà sempre la condizione prima, necessaria, fondamentale. Infatti, come si potrebbe santificare il momento presente nella pena e per mezzo della pena, se non si è in amicizia con Dio; se, a causa del peccato, si è in rivolta contro di Lui? E purtroppo quante anime possono farsi illusioni! Povere anime! Soffrono inutilmente come il cattivo ladrone sulla croce, come i dannati dell'Inferno.
Ma indipendentemente da questa condizione, ce ne sono altre egualmente importanti e necessarie. Le riassumiamo tutte dicendo che, senza perdere tempo a richiamarci le sofferenze passate, né quelle che possono capitarci in avvenire, poiché il passato e l'avvenire non ci appartengono, dobbiamo nel momento presente applicarci a soffrire ciò che Dio vuole e come Egli lo vuole.
Dobbiamo soffrire ciò che Dio vuole. Poiché la sofferenza è inevitabile, ci rassegneremmo a sopportarla e ne approfitteremmo a condizione di scegliere noi stessi la nostra croce. Ma abbiamo torto assolutamente. Quelle che Dio ci manda e nelle quali non c'entra la nostra volontà, quelle che sono inerenti alla pratica dei nostri doveri, sono incontestabilmente le migliori, le più meritorie. Mio Dio! Siamo sdegnati per la maniera con la quale i giudei si sono comportati verso Nostro Signore durante la sua passione e noi, come ci comportiamo a suo riguardo quando, carico della croce, si avvicina a noi e ci invita a portarla con Lui? Ciò che succede ogni giorno per ordine di Dio, non è ciò che vi è di meglio, di più santo, di più divino per noi? Perché dubitare della bontà di Dio e della sua Provvidenza? Perché non essere ad ogni istante, in relazione alla volontà di Dio ciò che è l'oro nel crogiolo, la tela sotto il pennello dell'artista, la pietra sotto le mani dello scultore? Ah! Come sarebbero meritorie le nostre croci se sapessimo accettarle dalla mano, dalla volontà di Dio! È ciò che fa l'anima che vuol ben santificare il momento presente.
Quando si tratta di agire, essa ha per motto le belle parole che Nostro Signore diceva del Padre suo: “Faccio sempre quello che piace a Lui”; “Padre, che la tua volontà sia fatta”.
Quando si tratta della gioia è la parola di San Paolo che forma il suo motto: “Rallegratevi sempre nel Signore”. E quando si tratta di soffrire, come il Divin Maestro, essa dice: “Non berrò io il calice che il Padre celeste mi ha dato?”. Oh! Che bel motto è questo! Senza dubbio, quando la pena si fa più viva, più penosa, può avvenire che l'anima ripeta con Gesù: “O Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice...”. ma subito essa riprende e aggiunge con Lui: “...tuttavia sia fatta la tua volontà e non la mia”. E la si vede rassegnata, coraggiosa, confidente, accettare il calice dalla mano di Dio, avvicinarlo alle sue labbra e berlo fino all'ultima stilla.
Ma di più, ciò che Dio vuole dobbiamo soffrirlo come Egli vuole. “non basta – dice S.Francesco di Sales – volere ciò che Dio vuole, bisogna volerlo nella maniera che Egli lo vuole e nelle sue circostanze. Per esempio, nello stato di malattia bisogna voler essere malati, poiché così piace a Dio e di quella malattia, non di un'altra e in quel luogo e in quel tempo e in mezzo a quelle persone che Dio vuole. In breve, bisogna fare della santissima volontà di Dio, la propria legge in ogni cosa.”
qui ancora, vedetela quest'anima che Nostro Signore associa alla sua passione e che si applica a ben santificare il momento presente: essa non si meraviglia per le sue sofferenze, non se ne lamenta, non dice a Dio: che cosa vi ho fatto di male per trattarmi così? Invece, sorride amorevolmente e unisce le sue alle pene di Gesù, suo Divino Maestro, e si sforza di camminare di pari passo con Lui sulla via di dolore ma gioiosa, del Calvario.
Coraggio, dunque, o anima santa, visitata dalla sofferenza, ornata di gioielli crocifiggenti che Dio Padre ha dato al suo Figlio diletto, nel quale aveva posto le sue compiacenze; sì, coraggio! Santificando così ognuno dei momenti sui quali cade una goccia più o meno amara di sofferenza, rendete meritoria questa pena e ne fate un mezzo potente di apostolato per le anime. Da questo punto di vista tutte le vostre croci, come dice S.Francesco di Sales, diventano d'oro e farebbero invidia agli Angeli, se l'invidia potesse entrare nel soggiorno di quegli spiriti beati.

Abate P.Fiege (Santifichiamo il momento presente)

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