DON ELIA: LO SPECTRO DELLA MORTE E LA PREGHIERA
Deus ultionum Dominus; Deus ultionum libere egit (Sal 93, 1).
La nostra società gaudente e spensierata, assorbita da una spasmodica ricerca del piacere dei sensi, risucchiata nel vortice del consumismo edonistico, pervenuta allo stadio terminale del nichilismo assoluto, si era illusa di esorcizzare la paura più profonda e ancestrale escludendo il pensiero della morte o trasformandola in spettacolo. L’ossessione del godimento in ogni sfaccettatura mascherava un delirio di onnipotenza che, con infastidito cinismo, relegava nell’oblio decessi e malattie che colpivano sempre qualcun altro. Vita e salute sembravano un possesso definitivo, inattaccabile, sempiterno… finché non è comparsa quella che è subito diventata l’epidemia per antonomasia, la quale, a prescindere dalla sua gravità effettiva, ha fatto dimenticare tutte le precedenti, imponendosi come una minaccia globale e capillare al tempo stesso. Un virus finora ignoto, mutante e insidioso, pare serpeggiare nelle strade deserte, dove, in un’atmosfera surreale, i rari passanti temono perfino di incrociare il tuo sguardo o di rivolgerti un saluto, deviando dalla loro traiettoria per evitare finanche di sfiorarti.
Di colpo son cessati divertimenti e baccanali, si sono svuotati ristoranti e balere; angosciose fobie traspaiono su facce terree, fino a ieri gaie di ciò che abbonda sulla bocca degli stolti. L’atmosfera di libertà sfrenata, non più redarguita nemmeno dalla religione, s’è subitamente mutata in clima di attonita e silente sottomissione; l’andazzo anarcoide dell’individualismo esasperato ha ceduto il posto a una terrorizzata acquiescenza a ordinanze dittatoriali. Come in un mondo composto di schiavi, gli insubordinati non sanno se temere più l’intransigenza dei loro superiori o la delazione dei loro pari. La schiavitù dorata ha inaspettatamente mostrato il suo vero volto, togliendo ai sudditi molti dei diversivi che la rendevano almeno sopportabile. Con un colpo di Stato non dichiarato, il capo di un governo non eletto ha assunto pieni poteri. Reti sociali e mezzi di comunicazione, da cui tutti ormai dipendono, martellano le menti con ordini perentori e colpevolizzanti. Le forze dell’ordine, pagate dai cittadini per garantirne la sicurezza, li trattano da potenziali criminali, controllandone gli spostamenti con procedure persecutorie.
In questa situazione mai sperimentata, più d’uno ricomincia a sentire il bisogno di rivolgersi a Chi sta sopra di noi e può aiutarci. Qua e là si torna ad invocare i patroni di città e paesi; la gerarchia cattolica divulga sussidi di preghiera e fissa appuntamenti per suppliche corali, seppure a distanza; con pudore, nelle case, qualcuno reimpara il segno della croce, ma quasi vergognandosi come di una cosa sconveniente, quando nessuno si imbarazza più delle peggiori volgarità e sconcezze. Alla trepida speranza che Qualcuno – se c’è – possa far qualcosa, si mescola il timore di esser sorpresi in un cedimento al bigottismo; eppure, sconvolti e disorientati dalla minaccia esplosa all’improvviso, si cerca aiuto. Nessuno, tuttavia, sembra interrogarsi sulla ragione di quanto sta succedendo. Preti e vescovi si sgolano a ripetere che Dio non punisce; a chi può dunque venire in mente che si debba cambiare qualcosa per placare il Suo sdegno? Come ci si può scuotere dall’assuefazione a peccati gravissimi che son diventati la norma?
Il nostro Paese – anzi, l’umanità intera – merita ben di peggio. Gli innumerevoli aborti, la distruzione della famiglia, la corruzione a tutti i livelli, l’alluvione di impurità, pornografia e pratiche contro natura reclamano punizioni ben più severe: «Il Signore è il Dio dei castighi; il Dio dei castighi ha agito liberamente» (Sal 93, 1). Chi, carico com’è di peccati, si sognerà di discutere con Lui di ciò che ha stabilito? «Chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci» (Is 50, 8). Ma proprio i Suoi ministri, nello sforzo – non richiesto – di scagionarlo da eventuali, assurde accuse, Lo mettono in ridicolo, incoraggiando oltretutto una fiducia temeraria e spingendo i cuori a indurirsi sempre più. È così che, invece di ravvedersi, i disperati si abbandonano alla lussuria in un estremo tentativo di esorcizzare la paura della morte, come a Berlino assediata nella primavera del ’45. Perché voi Pastori non date voce all’appello divino alla conversione, com’è vostro compito? Temete forse la reazione dei nemici di Dio o del mondo incredulo? Siete diventati ciò che siete per dare la vita per la Chiesa o per assicurarvi una buona pensione? E se poi non ci arrivate…? Non sapete che il giudizio sarà tanto più duro quanto maggiore è la responsabilità? «Il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto» (Sap 6, 5). Cosa aspettate a convertirvi anche voi?
Su ciò che è più necessario vi siete arresi senza combattere ai governanti della terra. Il Signore, tuttavia, si è servito della vostra codarda incredulità per impartire una lezione al Suo popolo, che Lo aveva stancato con troppe comunioni sacrileghe o senza fede, con troppe pagliacciate a storpiatura del Santo Sacrificio, con troppe irriverenze e trascuratezze verso l’Eucaristia… e ora se n’è visto privato all’improvviso, mentre i luoghi riservati al culto, abitualmente adibiti agli usi più diversi, ora sono inaccessibili. Non vorrà forse dirci qualcosa, il Giudice dei vivi e dei morti? Non ci sta forse dando un salutare avvertimento? Non ha forse fatto misericordiosamente in modo che fossimo trattenuti dall’aggravare ulteriormente il carico delle nostre colpe e delle relative pene? Possibile che i semplici lo capiscano immediatamente e che voi, con tutti i vostri studi e la grazia di stato che vi assiste, facciate tanta fatica ad ammetterlo? «Stolti e tardi di cuore, fino a quando zoppicherete da entrambi i piedi?» (Lc 24, 25; 1 Re, 18, 21).
In nome della famosa collegialità, avete delegato la vostra autorità di diritto divino a un burocrate della conferenza episcopale che ha trattato da solo con i rappresentanti dello Stato tenendo loro testa unicamente per assicurarsi una fetta del denaro destinato al sostegno delle imprese, per poi informarvi di decisioni gravissime a cose fatte, imponendovele al contempo con un’inaccettabile ingerenza nel governo delle vostre diocesi, di cui tocca a voi rispondere davanti a Dio. Facile scaricarsi così le spalle da ogni responsabilità… Vostro malgrado, certo, avete cooperato ai piani correttivi della Provvidenza, ma questo non attenua la condanna che incombe su di voi, né vi esime dalla necessità di un serio esame di coscienza. Anche voi, troppo spesso, trattate i sudditi come nemici, penalizzando e respingendo proprio i più fedeli. Non sarà perché la loro sola presenza e il loro zelo sono un tacito rimprovero della vostra tiepidezza? Non sarà perché sono un pungolo alla vostra coscienza illanguidita? Cosa deve ancora succedere perché vi ravvediate? Lo spettro della morte deve forse bussare anche alla porta dietro la quale vi siete barricati?
Come potete, in una prova simile, abbandonare il gregge senza guida, senza conforto, senza la grazia dei Sacramenti? Vi sembra giusto lasciare l’iniziativa ai singoli parroci, caricandoli così, implicitamente, di ogni responsabilità, qualora ci siano problemi? Pensate che tutto si sia risolto con il decreto della Penitenzieria Apostolica che concede indulgenze plenarie e autorizza le assoluzioni generali? Ma come si fa a lucrare l’indulgenza se è così difficile confessarsi e comunicarsi? e quale contrizione potrà avere chi neppure sa di essere assolto a distanza? Fino a che punto deve arrivare questa commedia dell'assurdo? Quanto ancora volete tirare la corda del vostro formalismo clericale? Avete più cura di mettervi in pace la coscienza o delle reali necessità delle anime a voi affidate? A quanto pare, la sottomissione all’autorità civile giustifica qualunque omissione e prevale su qualsiasi altra istanza, quando invece sarebbe toccato proprio a voi rivendicare la libertà e la dignità della Chiesa contro questa dittatura mascherata da regime democratico.
L’orazione delle Preci leonine, ormai, si attaglia perfettamente anche a noi, oltre che ai cristiani già perseguitati in diverse parti del mondo: pro conversione peccatorum, pro libertate et exaltatione Sanctae Matris Ecclesiae… Preghiamo, cari fedeli, supplichiamo insieme, umiliati e contriti, il Dio dei castighi, sia perché liberi la Chiesa da questi funzionari del sacro, collusi con i poteri mondani, che le hanno tolto ogni mezzo di sussistenza spirituale, sia perché tocchi i cuori dei peccatori e di quanti sono cattolici solo di nome in modo che, con la loro conversione, plachino l’ira divina e cooperino al bene di tutti. Da secoli e secoli, la liturgia di sempre Lo invoca così: «Ti preghiamo, Dio onnipotente: concedi a noi, che veniamo afflitti in conseguenza delle nostre azioni, di riprender fiato con la consolazione della tua grazia». Per essere esauditi, tuttavia, non possiamo ignorare un’esigenza inaggirabile: «che trattiamo i tuoi santi Misteri con un ossequio senza finzione e li assumiamo sempre con un animo pieno di fede». Con questa intenzione, trasformate i disagi e le limitazioni della libertà che vi sono imposti in uno strumento di penitenza donatovi dalla Provvidenza, così da renderli spiritualmente fecondi con la loro libera accettazione ed offerta.
Concede, quaesumus, omnipotens Deus: ut, qui ex merito nostrae actionis affligimur, tuae gratiae consolatione respiremus. Da nobis, quaesumus, omnipotens Deus: ut sancta tua, quibus incessanter explemur, sinceris tractemus obsequiis, et fideli semper mente sumamus (Colletta e Postcommunio della Quarta Domenica di Quaresima).