IL RITORNO AL FONDAMENTO - P. CORNELIO FABRO
IL RITORNO AL FONDAMENTO
EPILOGUS BREVIS
L'AVVENTURA
DELLA
TEOLOGIA
PROGRESSISTA
P. Cornelio Fabro
La crisi
attuale della teologia, e di riverbero della Chiesa post-conciliare, è di
natura metafisica: è l’oscuramento, se non il rifiuto esplicito, della presenza
dell’assoluto nell’orizzonte della coscienza dell’uomo contemporaneo: una crisi
che si è trasferita nei teologi per una
«collisione di simpatia», come direbbe Kierkegaard. E senza il
riferimento all’assoluto nessun valore può resistere, privo del riferimento
metafisico il soggetto stesso, non riesce a costituirsi in centro operativo
responsabile ed è travolto dal gioco irrazionale delle passioni e delle forze
della storia.
Senza un
Dio trascendente, creatore del mondo e dell’uomo, non c’è alcun io come nucleo
infrangibile di libertà. Senza l’Uomo-Dio, redentore e santificatore, immanente
nella storia come vero uomo e trascendente nell’eternità come vero Dio secondo
la formula calcedonese, non c’è alcuna speranza di salvezza. Senza metafisica
non c’è allora teologia, non c’è senso e consistenza di teologia, poiché senza
il fondamento assoluto il discorso teologico è travolto nella precarietà del
discorso delle cosiddette «scienze umane», nell’insignificanza
dell’impressione, del sentimento, del gioco semantico, dell’enfasi vuota. Senza
l’assoluto della metafisica viene a mancare all’uomo il fondamento della pietas,
l’animo si indurisce nell’orgoglio del transeunte, e la volontà si corrompe
nella suggestione degli istinti: la rivolta come contestazione permanente o il
suicidio.
Il poeta ateo Heinrich Heine, degente a Parigi del male che lo
porterà a morte, annota con malinconia infinita nella postilla al suo Romanzero: «Ma esisto io ancora realmente? Il mio corpo si è tanto curvato che mi
sono rimasti solo più la voce e il mio letto, che mi ricorda il sepolcro
risonante del mago Merlino, situato nella valle di Brozeliand in Bretagna,
sotto alte querce le cui cime svettano verso il cielo come alte fiamme. Ahimè,
collega Merlino, io ti invidio questi alti alberi e il loro fresco stormire,
poiché nessuna verde foglia stormisce nel mio letto che è un sepolcro qui a
Parigi dove non sento di continuo che strepito di carri, martellii, strilli e
strimpellature di pianoforti».1 È
l’angoscia dell’insignificanza, la noia del vuoto nel morire delle ultime gocce
del tempo.
La
situazione spirituale dell’uomo, alla distanza di un secolo, non è certamente
cambiata; piuttosto si deve dire che lo sfaldarsi interiore, di cui Heine ha
fatto la drammatica descrizione, sta raggiungendo - e proprio grazie ai progressi
della tecnica e delle diavolerie dell’homo faber – strati sociali sempre più vasti. Quale allora
la missione della Chiesa, quale il compito della teologia?
L’impressione
sulla situazione attuale - parlo da semplice uomo della strada - è
che l’assolutismo è sempre deprecabile sia nelle geremiadi di sconforto, sia
nei peana di vittoria: è sempre un eccesso di astrazione che prescinde dal
gioco sottile delle possibilità in cui si dipana l’enigma della vita. Fino a
qualche mese fa, dunque, la gestione della guida nel sacro campo della teologia
era stata strappata al magistero da alcuni avventurieri, insoddisfatti delle
aperture costruttive del Concilio: le loro aperture iconoclaste erano penetrate
perfino nelle alte sfere della responsabilità (conferenze episcopali, centri
ecumenici, università seminari, editoria e stampa cattolica...). L’impressione
era che per l’ortodossia tradizionale ormai tutto fosse perduto. Pessimismo.
Esagerazione evidente.
Con la
pubblicazione ora della Dichiarazione
sulla dottrina dell’infallibilità del
magistero della Chiesa del 6 luglio 1973, l’equivoco di quella
teologia di rottura con la tradizione e di combutta con l’antropologia atea e
con la morale permissiva è finito: i teologi ritornano ora nei ranghi, l’episcopato
si allinea unanime con il Vescovo e con il magistero di Roma, le resistenze si
dileguano, il chiasso nella Chiesa è finito. Ottimismo. Esagerazione anche
questa.
Troppo
profonde sono state le confusioni seminate dai progressisti, troppa la libertà
nel mettere sotto sequestro le certezze della fede, le formule dogmatiche,
l’esercizio del magistero: troppo vasta è l’area dello spirito che essi hanno
dato alle fiamme con la reinterpretazione del cristianesimo in chiave mondana
di contestazione sociopolitica e di edonismo... La Chiesa oggi fa
l’impressione di certi campi dove è stato mietuto il grano e poi appiccato il
fuoco: distese nerastre che esalano un acre odore di bruciato... Ma mentre ai
campi l’operazione del fuoco può essere benefica e corroborante per le semine
dell’autunno, nella Chiesa le ferite e le emorragie dello spirito lasciano
sempre dietro a sé un segno di angoscia, un’estenuazione dell’anima e una
confusione di fondo, una malinconia sottile che insidiano la fiducia e
attenuano la speranza. Per riprendersi occorre una scossa folgorante dello
spirito, almeno doppia rispetto alle distruzioni: occorre soprattutto un’azione
di ricupero in tutte le sfere della dottrina e della disciplina come quella che
salvò altre volte la Chiesa
nei conflitti con il pensiero moderno.2
Uno scrittore
e pensatore cattolico - il gesuita A. Delp, ucciso dai nazisti nell’ultima
guerra - in una conferenza mirabile del 1943 sulla «Fiducia alla Chiesa»
ha fatto un’analisi realista della situazione pienamente valida ancor oggi e
che sarà portata avanti in Germania con penetrazione da Romano Guardini:
l’analisi sta agli antipodi della teologia progressista.3 Essa fa perno appunto sulla fedeltà alla
Chiesa.
La
fiducia di cui intendiamo parlare, esordisce Delp, non è quella semplicemente
che si deve a Dio e neppure quella che va al Cristo storico e glorificato... È
la fiducia concreta che si deve alla Chiesa in cui quelle precedenti fiducie
sono contenute e chiarite, è la fiducia a quella realtà metafisica e fisica
insieme che noi chiamiamo Chiesa. E deve essere una fiducia reale e soprannaturale come la descrive san Tommaso, nella quale cioè confluiscono le
virtù teologali della fides e della spes,
e le virtù morali della fortitudo e
della magnanimitas.4
La fiducia è descritta esistenzialmente come una «condotta» (Haltung),
un «atteggiamento» (Verfassung)
«...in forza dei quali l’uomo
e colmo della certezza del proprio valore ossia mediante il sapere del valore
di una realtà che è importante per la vita dell’uomo e che sta a sua disposizione».5
Ma la Chiesa , osserva giustamente
Delp, non è solo una istituzione oggettiva in guisa di istruzione, annunzio,
magistero..., ma è anche una realtà interiore dell’uomo, cioè la sua
appartenenza soggettiva interiore, ed è questa che oggi è in crisi, una crisi
perciò di fiducia nella realtà della Chiesa. Le cause principali di questa
crisi sono per Delp le seguenti, che mi limito a elencare nell’ordine:
a) Esperienza del tempo come di un tempo desolato,
in cui la persona è privata di valore e dignità: siamo perciò agli antipodi
della «maturità del mondo» (Mündigkeit
der Welt) di Bonhoeffer e della
teologia gnostica contemporanea.
b) Sviluppo del soggetto come soggetto incapace
del cristianesimo, e questo come effetto
dell’umanesimo moderno che a partire dal nominalismo ha demolito l’ordine
soprannaturale nella sua struttura organica eliminando i valori universali
dello spirito, e questo nella vita, nell’esistenza e nell’azione (Leben,
Existenz, Tat).
Da questa
situazione fondamentale deriva, secondo Delp, un triplice risultato, rispetto
alla religione, al cristianesimo e alla Chiesa, tutti e tre fondamentalmente
negativi:
Il principio: la vita umana è
fondamentalmente ispirata al naturalismo, che stimola i bassi istinti dell’uomo
e lo rende ostile alla religione.
La condotta: lo spazio vitale e
gli scopi della vita sono limitati ai compiti terrestri e ogni aspirazione alla
trascendenza è sentita come impedimento, ogni religione come fuga dagli scopi
della vita.
L’immagine dell’uomo diventa a questo modo
ambigua: o di rassegnazione come riconoscimento dei limiti di oggetto a oggetti,
oppure come tensione eroica e tragica di superamento dei limiti. E così la fiducia
cristiana va comunque a fondo e il cristianesimo perde ogni rilievo.
Sviluppo del soggetto
a soggetto incapace di fiducia in generale. La diagnosi di Delp è sempre risoluta:
«L’uomo che oggi fronteggia la Chiesa non è solo un uomo
cieco e riottoso di fronte ai valori cristiani, ma è anche spesso un uomo al
quale in genere manca ogni capacità e possibilità di una vita intimamente
assicurata cioè fiduciosa».6 La
prima tappa, sul piano teoretico, di questa deplorevole situazione, che è la
scomparsa della fiducia nella capacità del conoscere e ripiega poi sull’azione,
si ha con Kant e l’idealismo. A questo modo l’uomo viene consegnato e chiuso
nell’esperienza immanente del mondo, cioè nell’esperienza della propria
disfatta, dell’insufficienza e insicurezza. Di qui l’invincibile nullità
dell’esistenza, e così l’uomo cade in un’angoscia cosmica che si distende nel
suo interno e lo rende incapace di ogni autentica consolazione - cieco
verso il messaggio cristiano.
Qui
l’eroico gesuita stringe i tempi e parla senz’altro della «scomparsa
dell’autocoscienza cristiana» (Schwund des christlichen Selbstbewusstseins) : noi non abbiamo più la forza
della fede dei nostri avi... La forza salutare e fortificante della realtà
specificatamente cristiana non produce i suoi effetti poiché noi non la
possediamo: di qui il comodo rifugiarsi nel ghetto7 di un facile e comodo conservatorismo.
Delp
passa poi a mostrare il «triplice ministero della Chiesa nella crisi di
fiducia» con la dichiarazione di principio: «Non abbiamo nella lotta con il
protestantesimo, dal punto di vista teoretico, la capacità di sanità, verità e
autentica difesa delle forze umane fondamentali nel Tridentino. Noi non abbiamo
condotto un’eguale lotta dal punto di vista filosofico contro Kant e le sue
scuole:8 è su questa linea che la Chiesa , e in essa il
cristiano, giocano le loro carte per la salvezza del mondo, per spingere il
messaggio cristiano fuori del suo guscio storico per la salvezza dell’uomo di
oggi. A questo devono tendere soprattutto i responsabili del magistero ai quali
perciò è necessario un po’ del piglio degli antichi cavalieri. Fin qui il Delp.
Ma quale
messaggio allora porterà la
Chiesa , quale orizzonte scandaglierà la teologia per la
salvezza dell’uomo moderno? Quello della libertà autentica, radicale e
costitutiva, del messaggio cristiano. Un’esigenza di libertà cristiana radicale
è quella agostiniano-tomistica che rimanda all’io di fronte a Dio e a Cristo
salvatore. Un appello alla libertà cristiana è quello di Pascal, Kierkegaard,
Newman, Dostoevskij, Guardini... nella consapevolezza della precarietà dell’esistenza,
dell’aspirazione infinita e struggente di approdare al golfo agognato della
pace oltre il fiume del tempo: immanenza tetica, emergente, elevante all’unione
con il Padre che è nei cieli. Nella filosofia moderna invece l’io si attua
mediante la «frenesia bacchica» della negazione (Hegel): così l’io funzionale
dissolve l’io reale, la scienza con la tecnica e la politica con l’economia
stanno dissolvendo la persona come soggetto morale in un mondo senza senso, che
è diventato un nido di vipere, un divampare - per il singolo, per la
società, per gli stati - di tensioni e conflitti inestricabili. Così
l’immanenza vuota della coscienza si capovolge nella trascendenza vuota che è
l’essere come riferirsi al mondo, cioè all’essere nel mondo, che è proprio di Marx come di Heidegger e di Sartre, di
Marcuse e di Bloch...
Questo
spiega forse anche l’irruzione crescente del nonsenso della morte nella
coscienza moderna e il suo dilagare corrosivo nella vita contemporanea: non
della morte che è il congedo dai propri cari e il crescere della speranza,
bensì della morte che è lo sposalizio tragico con il nulla di cui l’insignificanza
del tempo è la matrice e il vuoto dell’anima l’ospite invandente.
Georg Büchner,
fratello del filosofo ateo e materialista Ludwig, nel dramma La morte di Danton,
nella scena alla Conciergerie, ha anticipato questa lucida esperienza del
nulla che caratterizza tanta parte della coscienza contemporanea.
Philippeau - Allora che cosa vuoi?
Danton - Pace!
Philippeau - Questa è in Dio.
Danton - Nel Nulla.
C’è qualcosa di più tranquillo in cui ti sprofondi del Nulla? e se Dio è la suprema
pace non è Dio il Nulla? Ma io sono ateo. Quel maledetto principio: nulla può
ritornare nel nulla! Ed io sono qualcosa, questa è la disgrazia! La creazione
si è così dilatata, quando non c’è nulla di vuoto e tutto è un brulicame. Il
Nulla si è suicidato, la creazione è la sua ferita, noi siamo le sue gocce di
sangue, il mondo è il sepolcro in cui esso (Nulla) imputridisce. Sembra una
pazzia, ed è la pura verità.
Camilla - Il mondo è l’ebreo
errante, il Nulla è la morte, ma esso è impossibile. Oh, non poter morire, non
poter morire, come dice un’antica canzone!
Danton - Noi siamo tutti sepolti vivi..., accatastati gli uni accanto agli
altri, gli uni sugli altri. Nella morte non c’è speranza alcuna. L’unica
differenza è che la vita per qualcuno è più semplice e per un altro più
complessa, è la putrefazione più organizzata. Ma io mi ci sono abituato a
questa putrefazione.9
L’autentica
immanenza è invece nel possesso inalienabile della libertà dell’io che opera il
movimento doppio, quello dell’immanenza nella fondazione sull’assoluto e quello
dell’immanenza nella crescente consapevolezza che l’io ha della responsabilità
delle proprie scelte. Una immanenza di cui l’io è principio, medio e fine, perché
collocato nell’infinito. Una vita quindi di accrescimento del proprio essere
come da una fonte inesauribile, in fondo alla quale si intravede - come
l’Ivan Iljic di Tolstoj10 -
l’aurora della luce cercata, l’uscita alla vita della nostalgia eterna.
1 H. Heine,
Nachwort zum «Romanzero»; Werke, Insel-Verlag, III, pp.
199 s.
2 La filosofia dell’immanenza, che ha fatto capo attorno
a Blondel, è un’altra cosa: Blondel, anche se il suo tentativo non è riuscito
(e lui stesso se n’è accorto), voleva raddrizzate e fondare quella libertà
radicale di cui giustamente l’uomo moderno, che ha aperto e avanza impavido
nelle vie segrete dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, sente
l’esigenza (su questo aspetto dell’evoluzione del pensiero blondeliano, mi si permetta di rimandare al mio saggio: L’essere,
e l’azione nello sviluppo della filosofia di M. Blondel,
nel vol. Dall’essere all’esistente cit., pp. 421 ss.).
3 A. Delp, Vertrauen zur Kirche, nell’opera Christ und Gegenwart,
Francoforte s.M. 1949, I; Zur Erde Entschlossen, pp. 217 s.
4 S. Th. II-II, 129, 6.
5 Delp cit., p. 218.
6 Ivi,
p. 223.
7 Che abbia preso di qui
Rahner il suo celebre slogan? È ovvio che il termine ha in Delp un contesto ben
diverso.
8 Delp cit., p. 230.
9 G. Büchner,
Dantons Tod, in Werke und Briefe, Insel-Verlag, Wiesbaden 1958,
pp. 66 ss.
10 L. Tolstoj, La morte di Ivan Iljic,
nel vol. La tempesta di neve, Torino s. d. – Heidegger cita il racconto
tolstoiano in nota alla sua analisi del fenomeno della morte (Sein und Zeit cit.
§ 51, p. 254, nota).