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DRAMMA DELL'ESEGESI MODERNA 3






Estratto dal libro 

MITI E REALTA'

del Servo di Dio Mons. PIER CARLO LANDUCCI(una nota biografica del Servo di Dio in fondo a questo documento)

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LA PROMESSA DEL PRIMATO

   Fedele alla sua tradizione di alta vitalità, l'Associazione Biblica Italiana non poteva scegliere per la XIX Settimana Biblica (settembre 1966), nell'imminenza del centenario del martirio di S. Pietro, più opportuno oggetto di studio che il principe degli apostoli. Naturalmente i testi relativi al primato e in particolare alla promessa del primato, in Mt 16, hanno avuto la loro parte, diretta o indiretta con le trattazioni del P. Ignazio de la Potterie S.J., del P. Ortensio da Spinetoli, di Mons. Settimio Cipriani, limpidamente riprodotte nel volume degli Atti della Settimana, San Pietro (Paideia, Brescia, 1967), quanto mai utili per il critico ripensamento del fondamentale problema. Per le pagine mi riferirò al volume e indicherò i predetti illustri Professori rispettivamente con P., O., C.
   Naturalmente il critico ripensamento non esclude, anzi sollecita, alla occorrenza, le motivate confutazioni. E i motivi sono molti.

IL TESTO DI S. MARCO

   La dotta trattazione è del de la Potterie. Egli dichiara che non intende riferirsi al celebre testo di Mt «su cui è già stato scritto tanto», ma solo al parallelo testo di Mc, «assai diverso da quello di Mt», senza entrare nella problematica dell'armonia dei due testi, conformemente anche allo «orientamento attuale nello studio dei sinottici», meno interessato alla concordanza e più alla «redazione propria dei singoli evangelisti» (59). - Non posso non esprimere subito i miei dubbi che questa riduzione al solo Mc della analisi della confessione messianica di Pietro sia veramente realizzabile e sia stata qui realizzata. Tale analisi implica infatti, in qualche modo, fatalmente, o la negazione del parallelismo dei due classici testi, o, non potendosi esso negare, una effettiva presa di posizione circa la loro mutua armonia o disarmonia.

    Una creazione redazionale di Marco. - Mc 8, 27-28 sarebbe «una inclusione, quasi certamente dovuta il Marco», cioè (se non interpreto male) una creazione redazionale di Marco, come richiamo al «tema principale, che è la rivelazione ai discepoli della vera identità di Gesù» (62). La prova della «inclusione» sarebbe suggerita dal fatto che le «diverse opinioni che circolavano su Gesù» erano state già esposte «quasi negli stessi termini» in Mc 6, 1. 4-15 (ivi). - L'affermazione sembra, in realtà, alquanto affrettata e frutto della moderna psicosi esegetica di identificare i testi simili. Essa comporta, innanzi tutto, l'attribuzione della qualifica di creazione redazionale anche al passo parallelo di Mt 16, 13-14, snervando notevolmente tutta la celebre sezione pietrina matteana. Circa il fatto della stretta somiglianza, d'altra parte, non è difficile osservare che se le opinioni circolanti su Gesù erano veramente quelle già narrate in Mc 6, 14-15, in questa nuova occasione, rispondendo gli apostoli alla domanda di Gesù, esse non potevano non essere ripetute. Tra i due testi di Mc comunque, c'è l'essenziale differenza che nel primo sono storicamente narrate le opinioni correnti su Gesù, mentre nel secondo viene annotato il fatto nuovo e solenne della domanda esplicita di Gesù stesso, che determinò la risposta.
   Il testo di Mc 8, 27-28, in quanto contiene la domanda di Gesù, rientra inoltre in ciò che «Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò», di cui la «Chiesa... afferma senza alcuna esitanza la storicità», ossia la «trasmissione fedele» (Cost. Dei Verbum, 19: deh. 901): esso non può essere quindi sbrigativamente proclamato una pura inclusione di Mc.

   Pietro a nome di tutti. - Quanto a Mc 8, 29, «Pietro risponde non solo a suo nome, ma come portavoce di tutti i discepoli». Ciò risulterebbe provato considerando: che tutta questa sezione del vangelo è come una progressiva «rivelazione» fatta a tutti i «discepoli» (della quale la guarigione del cieco di Betsaida, 8, 22-26, caratteristica per il suo svolgimento «progressivo» e per «il parallelismo di struttura con la confessione di Pietro», è «simbolica e prefigurativa»); che «Gesù pone la domanda a tutti i discepoli»; che «dopo la confessione di Pietro, Gesù di nuovo... si rivolge a tutti»; che nella successiva scena del rimprovero a Pietro «Gesù parlava così "vedendo i suoi discepoli" (8, 33)». «La risposta di Pietro quindi... esprime la fede di tutto il gruppo apostolico, anzi... di ogni discepolo di Gesù» (64. 65). - L'affermazione è forte perché nega non solo qui, ma conseguentemente (non potendosene, come dicevo, prescindere) nel parallelo Mt 16, 16, ogni superiore e personale valore della risposta di Pietro. Ma invece solo questa superiore risposta poté giustificare l'elogio di Gesù e la conseguente promessa dei v. 17- 18 di Mt.
   Non si può fare effettivamente un'analisi critica della risposta di Pietro in Mc prescindendo da Mt (come si preferirebbe fare, secondo P, nell'«attuale studio dei sinottici», 59), perché è proprio il tenore laudativo della risposta di Gesù in Mt che svela gli speciali sentimenti della confessione di Pietro. Dinanzi a questa chiarificatrice e solida prova le suddette vaghe ragioni addotte per interpretare Pietro come puro porta­voce di tutti perdono ogni valore.

   Comunque, anche se non esistesse questo chiarificatore parallelo di Mt, quelle vaghe ragioni sarebbero ben poco persuasive. Lasciamo andare il preteso parallelismo di struttura tra la narrazione della «progressiva guarigione del cieco di Betsaida» e la «illuminazione spirituale dei discepoli» (64), parallelismo che P. osa addirittura definire «troppo preciso per essere fortuito» (ivi). E' ben facile rispondere che lo svolgimento dei fatti nella guarigione del cieco ha una chiara e sufficiente spiegazione nell'intento di alimentare nel cieco stesso la meritoria fede nella guarigione e poi di evitare prudentemente la eccessiva emozione del pubblico; e comunque se il supposto intento simbolico fosse vero, esso additerebbe piuttosto l'illuminazione spirituale di uno solo e non di tutti.
   Ma anche le altre ragioni lasciano in realtà il problema impregiudicato. Il fatto che Gesù si sia rivolto a tutti non esclude in alcun modo che la reazione di Pietro sia stata molto più illuminata di quella degli altri.
   Quanto all'ammonimento di tacere è chiaro che doveva essere dato a tutti quelli che avevano sentito la solenne confessione di Pietro.
   Quanto, infine, al rimprovero dato poi a Pietro, «vedendo i discepoli», è naturale che Gesù abbia tenuto conto della presenza degli altri, che dal comportamento di Pietro sarebbero stati indotti in errore. Del resto non è il solo caso in cui Pietro, in presenza degli altri, interviene con intensità di sentimenti e di iniziative nettamente personale, come, per es., dopo la pesca miracolosa (Lc 5, 8) e quando camminò sulle acque (Mt 14, 28 ss.).

IL TESTO DI S. MATTEO

    Un'amplificazione e rielaborazione redazionale. - Questa seconda trattazione è del P. Ortensio. Essa affronta, con la grande erudizione propria dell'autore, il problema essenziale dell'autenticità e veridicità di Mt 16, 13-20. Il dotto biblista riconosce pienamente che «tutti i manoscritti e tutte le versioni del primo vangelo sono a favore della autenticità del testo del primato» (81 n. 9). Tuttavia afferma che «oggi l'autenticità del testo del primato è ancora controversa» (82). - Ora io penso effettivamente che con i criteri esegetici che qui vengono adottati i quali sembrano differire assai poco dai lamentati «canoni della critica storica del secolo scorso, secondo i quali si poteva cancellare dalla narrazione evangelica qualsiasi brano difficile o contrastante col resto del racconto» (80 n. 2), canoni superficiali che non tenevano conto delle facili soluzioni di quelle difficoltà e di quei contrasti, la controversia non si potrà davvero risolvere mai. 

    Ritengo anche - per ribadire un mio ripetuto rilievo - che sia criticamente illusorio chiamare eufemisticamente «indipendenti» (81) i non cattolici avversari del testo. Nell'atteggiamento di costoro infatti non può non incidere fortemente la ripugnanza preconcetta ad ammettere un testo così fondamentale per il primato di Pietro. Più realista è il calvinista O. Cullmann, alquanto favorevole al testo, che così si lamenta: «Siamo spiacenti che, a differenza della maggior parte dei critici cattolici, gli esegeti protestanti, preoccupati troppo esclusivamente di sostenere contro di noi l'inautenticità della promessa fatta da Gesù a Pietro, non abbiano, in genere, neanche presa in considerazione la tesi che abbiamo proposto a proposito del suo quadro primitivo» (82 n. 14).

     Nonostante l'unanimità riconosciuta dei manoscritti e delle versioni in favore del testo matteano, il relatore nega la veridicità, ossia la storicità diretta del suo contenuto e rivendica la tesi, oggi molto diffusa, divulgata da A. Voegtle (1954) e M. Zerwick (1959), secondo cui veridico sarebbe il testo breve di Mc 8, 29 (simile a Lc 9, 20), mentre il parallelo Mt 16, 15 -19 (con l'amplificata risposta di Pietro, il celebre elogio fattone da Gesù e la susseguente ampia promessa del primato: cioè tutti gli elementi praticamente importanti) sarebbe una amplificazione redazionale di Mt. In essa l'agiografo avrebbe riportato sia un'interpretazione teologica del pensiero di Gesù (specialmente quanto all'elogio di Pietro), sia parole dette in altra occasione (tutto ciò inteso in modo vario dai vari autori). - Prima di analizzare le motivazioni addotte a giustificazione di tale tesi, le si può subito opporre, in sintesi, che tutto il brano di Mt è così bene concatenato psicologicamente e logicamente da rivelare un racconto di getto, narrato al luogo suo. Ecco il suo lineare svolgimento: prima la calda risposta di Pietro (esposta nella sua sintomatica pienezza, a differenza degli altri sinottici), poi la rivelazione della fonte ispiratrice di tale risposta e la conseguente glorificazione di Pietro, quindi la promessa della dignità operante del primato, a garanzia del quale proseguirà la assistenza del Padre, già ora sperimentata.
    O., sempre seguendo il Voegtle, riconosce bensì questa unitaria concatenazione, ma per trarne invece una difficoltà: «proprio questa eccessiva, quasi studiata simmetria induce a supporre una rielaborazione più che una tradizione originale» (90). - Dunque, proprio non si contentano mai. Se fosse mancata la concatenazione ne avrebbero dedotto la non autenticità; c'è, e dicono che è troppa. E quella giusta quale sarebbe stata? Ci ritroviamo davanti a quegli stessi criteri esegetici che inducono, per es., a dubitare del vangelo dell'Infanzia perché le due annunciazioni a Zaccaria e a Maria sono troppo simmetriche. Ma dimenticano da un lato il logico svolgimento degli atteggiamenti umani e dall'altro che le illuminazioni e gli interventi di Dio sanno fare le cose in armonia, cioè bene.

    Svuotamento della celebre testimonianza. - I sostenitori dell'amplificazione redazionale di Mt ricordano la perfetta compatibilità della ispirazione con il diverso ordinamento delle varie narrazioni da parte dei rispettivi evangelisti. Nel caso nostro la testimonianza evangelica del fatto del primato resterebbe ugualmente valida. - Nessun dubbio su quel principio esegetico in astratto. Diverso però è il caso, quando si tratta di un preciso e circostanziato colloquio, in cui (come già ho accennato sopra) l'insegnamento di Gesù si congiunge a una sua precisa iniziativa, a un fatto storico di Gesù, per cui viene narrato quello che egli «effettivamente operò e insegnò», di cui la suddetta Cost. Conciliare garantisce «senza alcuna esitanza la storicità» e «trasmissione fedele».

   Comunque chi volesse parlare davvero di testimonianza ugualmente valida dimostrerebbe un troppo facile senso critico. Come credere sicuramente, su un piano critico storico, all'obiettivo riferimento del pensiero di Gesù da parte di chi ne deforma totalmente l'inquadratura storica? Perché, ammesso non autentico l'elogio di Pietro (v. 17), dovrebbe essere autentica la promessa del primato (v. 18-19)? Dove finisce l'artificiosità redazionale e comincia la inserzione, la interpretazione, la elaborazione di un discorso storico o di un pensiero di Gesù?
    La varietà delle risposte dei vari autori sono la dolorosa riprova dello svuotamente pratico del valore di questa celebre testimonianza. Nella rinomata conferenza di S. Giorgio Canavese (1959), per es., l'illustre P. M. Zerwick non ritenne di andare, in sostanza, oltre la possibilità («niente proibisce») che Gesù abbia pronunciato le parole dei vv. 18-19 in altro «contesto storico che non ci è conservato»; il Cullmann (seguito, come vedremo nella terza trattazione, dal prof. Cipriani) fa corrispondere la confessione di Pietro a quella eucaristica di Gv 6, 69 e la promessa del primato a Lc 22, 32. Effettivamente, se si ammette che il divino elogio a Pietro sia soltanto un'interpretazione matteana del pensiero di Gesù, perché non ritenere che sia tale anche la promessa del primato, sulla pura base degli altri segni di preminenza dati da Gesù a Pietro? E così l'apporto originale e particolare del celebre testo sfuma. Esso potrà restare ancora come l'espressione della primitiva fede apostolica, ma non più come valida testimonianza della clamorosa ed esplicita proclamazione di Gesù, che della fede apostolica è un grandioso fondamento.

    Si può anche notare, sul piano metodologico, in gran parte di questi illustri critici, una strana disarmonia critica, che consiste da un lato nel pretendere per i testi massima sicurezza (cosa ottima) e dall'altro nel trasformare tanto facilmente e quasi tacitamente le loro ipotesi sostitutive in assolute certezze.
    Ecco, per es., l'evoluzione compiuta, quasi inavvertitamente a poche righe di distanza, dall'O., del giudizio sull'ipotesi della inserzione dei vv. 17-19: prima essa è presentata come «possibilità»; poco dopo la possibilità diventa un fatto: «il testo di Matteo è pertanto secondario cioè rielaborato»; a fine pagina si aggiunge l'avverbio «certamente» (85).

    Inconsistenti obiezioni critiche. - Ma veniamo al peso àelle motivazioni critiche per negare la genuinità del racconto di Mt. Il motivo principe è la «inconcepibilità», nell'ipotesi della genuinità, del corrispondente silenzio di Mc e Lc (82 ss.), mentre non fa alcuna difficoltà una amplificazione redazionale di Mt. - Ora francamente direi che se una cosa è davvero poco concepibile è che si dia peso a un tale argomento ex silentio, in un genere narrativo così saltuario ed episodico come quello dei Vangeli (in cui un Giovanni, per es., pur attardandosi lungamente sull'ultima cena omette la istituzione dell'Eucaristia; in cui lo stesso Marco non riporta il discorso alle turbe del Battista, col quale pur si apre il suo vangelo, omette tutto il discorso della montagna, ecc.): è come un meravigliarsi di trovare un foro in un colino.
   Comunque non è difficile intuire che Mc, quale ripetitore di Pietro, possa avere omesso gli episodi personali e di emergenza di Pietro in quanto Pietro su di essi voleva sorvolare (per motivo non solo di umiltà, ma di prudente discrezione, per evitare contrasti e gelosie; così in altri casi, come per l'episodio della deambulazione sul mare, Mt 14, 28-31 e per il tributo, Mt 17, 23-26; mentre la umiliante triplice negazione è anche da Mc ampiamente narrata). Inoltre il filo logico della narrazione, orientato verso la drammatica precisazione sulla immolazione di Cristo (Mc 8, 31-33), sigillata da quel vibrante rimprovero (8, 32-33), suggeriva di mantenerne l'unità, scavalcando l'episodio di Pietro che era di tonalità gloriosa, tonalità psicologicamente opposta a quella del filo narrativo (benché opportunissima nell'intento formativo di Gesù che inseriva così la gloriosa missione di Pietro nella propria strada del sacrificio).
   Del resto Mc conosceva bene il primato di Pietro, visto che ne mette sempre il nome al primo posto (come in 3, 16; 5,37; 9, 1.4; 13, 3; 14, 33), ed è l'unico a fare menzione speciale di Pietro nel messaggio angelico al mattino della risurrezione (16, 7) (come lo conosceva Lc che, unico, riporta gli speciali riferimenti di Gesù di 5, 10; 22, 32). Se facesse pertanto difficoltà l'omissione del passo matteano così da dover supporre che Mt l'abbia qui inserito da altro contesto, farebbe ugualmente difficoltà che Mc (e Lc) non ne abbia parlato in nessun altro luogo.
   Infine è falso che se il passo di Mt non fosse genuino sarebbe facilmente concepibile l'inserzione fattane da Mt: proprio invece quel disarmonico contesto di sacrificio glielo avrebbe sconsigliato.
   La motivazione fondamentale perde dunque qualsiasi vera consistenza. Scorriamo ora le altre obiezioni.

   «La presente confessione di Pietro (16, 16) contrasta inconciliabilmente [!] con la [perdurante] ottusità dell'apostolo... (16, 22-23; 17, 4, Mc 9, 5; Lc 22, 24)» (82). Inoltre il conseguente elogio di Gesù (v. 17) «è talmente anacronistico che Matteo ha sentito il dovere [strano dovere, secondo i negatori della genuinità, di calzare con parole inventate o personalmente interpretate, di Gesù, su un punto così basilare, altre parole inventate!] di attribuirne il merito [della confessione petrina] al Padre celeste e, per ulteriore scrupolo [strano scrupolo di aggravare l'inganno con la tacita reinserzione nella vera cronaca]... di riprodurre anche il divieto di promulgare l'annunzio» (91). - Niente invece di più conciliabile e nessun segno più suggestivo della piena obiettività storica di Mt (il quale, oltre tutto, non era così inetto da non vedere, se ci fosse stata, questa pretesa inconciliabilità) che una superiore visione soprannaturale di Pietro della realtà messianico-divina di Gesù (nel quadro della missione stessa di Pietro, così da giustificare le parole di gloria e la promessa del primato) congiunta a una ancora perdurante concezione (secondo il comune pensiero giudaico) della figura del Messia secondo le prospettive di un trionfo terreno.

   «Il comportamento di Gesù che... passa dal supremo elogio (v. 17) al più grave rimprovero (v. 23) non è meno contraddittorio» (82). - Ma perché non vedervi invece un mirabile realismo storico e psicologico, di evidenza elementare? L'elogio va alla confessione già soprannaturalmente molto illuminata (benché ancora non pienamente illuminata) della realtà messianico-divina di Gesù; l'aspro rimprovero va alla affettuosa, ma pur naturalistica ed egoistica permanenza delle prospettive trionfali terrene, cui ripugna assolutamente la preannunciata passione (prospettive sataniche nel senso che si opponevano ai disegni del Padre): insegnamento prezioso per tutti i seguaci di Cristo, in tutti i tempi.

    Non sarebbero ammissibili «tre risposte diverse alla proclamazione dell'apostolo: "Proibì loro di dire che egli era il Cristo" (v. 20); "Beato sei, Simone di Giovanni ecc." (v. 17); "E anch'io ti dico ecc." (v, 18)»(91). - Ma l'ordine non è questo. V'è prima la seconda, poi con perfetta logica la terza, quindi la prima. E quest'ultima conferma che la confessione di Pietro, a cui avranno poi aderito (anche se con minor luce e calore) tutti gli altri, era giusta e si era elevata molto in alto, rendendo prudentemente inapportuna per il momento la sua pubblica promulgazione.

    «L'autorità di cui appare rivestito l'apostolo a Cesarea di Filippo. (16, 18-19) sembra [resti] sconosciuta ai dadici... (cfr. 18, 1; 20, 20; 22, 24)». - Si trattava ancora di sola pramessa («ti darò»), ancora ovviamente non bene delineata.
    Essa era atta comunque, nel quadro dei perduranti sentimenti egostici terreni, a suscitare piuttosto che a togliere una qualche gelosia.

    Filologicamente, «il testo del primato, rivela, infine, un colorito ecclesiale, un vacabolario (ecclesia, legare-sciogliere, ecc.) che non ri­torna non solo nel... parallelo Mc-Lc, ma neanche nel resto del van­gelo» (83). - Il rilievo. è insignificante se si pensa che è Gesù in una solenne ed eccezionale circostanza che ha parlato.
    Comunque questa terminologia si ritrova, per es., anche in Mt 18, 17-18.

LA CONFESSIONE DI PIETRO IN S. GIOVANNI

    Una strana identificazione. - Infine qualche breve rilievo sulla terza, anch'essa eruditissima, trattazione, dovuta a Mons. Cipriani. Anche C, in base alle suddette obiezioni, accetta la non genuinità del passo mat­teano in questo contesto (102 n. 9) e ritiene che Pietro . abbia risposto a nome di tutti (104). Egli accoglie inoltre un'antica tesi del Loisy, a suo tempo piuttosto seccamente respinta dal Lagrange (103), secondo cui «la confessione che ci riferiscono i sinottici» corrisponderebbe alla «confessione di Pietro in S. Giovanni»: cioè Mc 8, 27-33 è parall. a Gv 6, 67-71 (93, 102). - E' chiaro che in questo modo la professione di Pietro perde la sua originalità ed ogni titolo per giustificare le parole di elogio e la promessa del primato, come sono state presentate nella redazione matteana.

    «La ragione di fondo di questa identificazione ci sembra di poterla individuare - dice il C - nella stessa collocazione materiale dell'episodio. E' indubbio infatti che, a ben considerarlo, tutto il c. VI di S. Gio­vanni segue fedelmente la successione degli identici fatti narrati nella cosiddetta "sezione dei pani" in S. Marco 6, 30-8, 33» (104). - A questo punto mi chiedo subito sinceramente come possa essere possibile che episodi presentati in modo tanto diverso come il colloquio di Cesarea di Filippo e il finale discorso e colloquio eucaristico di Cafarnao possano combaciare. Perché non supporre, più naturalmente, nella migliore ipotesi, che si siano, in qualche modo, susseguiti?
    Per il combaciamento debbo attendermi comunque che quella affer­mata «stessa collocazione materiale» sia molto precisa. Vediamo. dunque. C. precisa che alla «fedele successione degli stessi fatti» fanno però eccezione «tutto il capitolo VII (di Mc), in cui si introducono le questioni relative alla mondezza interiore (7, 1-23), il miracolo. della Cananea (7, 24-30) e della guarigione del sordomuto (7, 31-37), e, nel capitolo VIII, 8, 1-10, 22-26, in cui si narra una seconda moltiplicazione dei pani e in più la guarigione di un cieco nato». Veramente si doveva anche aggiungere alle eccezioni Mc 6, 53-56 con la descrizione della moltitudine di miracoli fatti nella «regione del Gennesaret». ­Sarebbe questa dunque quella «fedele successione dei fatti» che giustificherebbe la «identica collocazione materiale dell'episodio»? Chi si contenta!

    In realtà, come è noto, nella prima parte del c. 6, Gv, derogando al suo metodo, riferisce due episodi narrati dai sinottici, cioè la prima moltiplicazione dei pani e la deambulazione sulle acque. Poi, mentre egli prosegue a narrare fino alla fine del capitolo il grande discorso della promessa dell'Eucaristia e le reazioni degli uditori (il tutto nella sinagoga di Cafarnao e infine restando almeno nella zona, come è suggerito da Gv 7, 1), il secondo vangelo narra un ulteriore lungo periodo di altri discorsi, di attività e di peregrinazioni di Gesù fino al grande colloquio di Cesarea di Filippo. Giovanni cioè, subito dopo quei due episodi comuni, riacquista la sua caratteristica non di reduplicatore, ma di integratore dei sinottici, omettendo le loro narrazioni e fissando il grande discorso di Cafarnao da essi omesso. Tutto l'opposto dunque della identica collocazione.

    Le particolari rassomiglianze di situazioni che vengono annotate dal C (105 ss.) o sono soltanto apparenti o rientrano in situazioni analoghe, ma tutt'altro che uguali. - E' inutile per es. sottolineare la corrispondenza tra Gv 6, 35-59 e Mc 8, 14-21 riferiti entrambi a osservazioni sul pane: nel primo infatti si parla del «pane della vita» spirituale, mentre nel secondo si parla del «lievito» come fermento e dottrina morale e del pane materiale di cui i discepoli non dovevano preoccuparsi.
    C'è bensì pure nel v. 67 di Gv 6 una domanda di Gesù. - Ma essa è in ordine all'Eucaristia e al contegno degli apostoli, non direttamente, come nei sinottici, in ordine alla sua persona.        
    Nel v. 68 c'è una risposta di fede di Pietro. - Ma essa è data, a differenza della confessione in Mt, nettamente a nome di tutti e in ordine puramente alla particolare rivelazione eucaristica.
    Pietro aggiunge bensì l'espressione «Santo di Dio», che implicitamente può equipararsi a «Figlio del Dio vivente» di Mt 16, 16 (C, 98 ss.). - Ma niente ci autorizza ad uguagliare l'adesione di fede di Pietro nei due casi.
    Nel v. 70 segue bensì una tenebrosa prospettiva di tradimento, che obiettivamente porterà alla passione, ricordata da Gesù dopo la promessa del primato. - In tale prospettiva del v. 70 la passione di Gesù però non è nominata.
    Questi agili, ma vaghi raccostamenti non possono dunque criticamente in firmare la concreta e originale solidità della testimonianza matteana. Nel confronto anzi non fanno che consolidarla.
    La monumentale scritta all'interno della cupola vaticana resta l'eco fedele della parola di Dio e della verità della storia.




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