50 anni della cultura dell’incontro
50 anni della cultura dell’incontro
Unavox
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di G. F.
Nell’incontro fra Papa Francesco e Scalfari è successo quello che è accaduto nel Concilio, al punto che parafrasando Paolo VI (nel discorso di chiusura del concilio Vaticano II), possiamo dire:
“Il Papa, rappresentante della religione del Dio che si è fatto Uomo, s’è incontrato con Scalfari, rappresentante della religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità di Papa Francesco. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso.”
Questo incontro fra Papa Francesco e Scalfari, per quello che è quest’ultimo, ricorda l’incontro fra Cristo e Erode. In quell’occasione Nostro Signore non disse una parola, non volle dialogare con lui come dialogò con Pilato; ma con il suo silenzio insegnò a Erode e a tutti noi: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci” (Mt. 7, 6), “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt. 10, 16). E da questo silenzio si comprende che Nostro Signore delinea anche degli argini nella predicazione e nell’insegnamento, come pure dei limiti al dialogo.
Ma dalla risposta di Papa Francesco a Scalfari si capisce che per il nuovo Papa, come per la Chiesa conciliare, non ci sono più né argini né limiti: questa risposta equivale ad una risposta a Erode; ed allora ci chiediamo: che cosa è cambiato in questi duemila anni?
Sembra che oggi esista solo l’uomo “buono” per natura, non esisterebbero più né lupi, né cani, né porci; e questo cambiamento si è avuto con la riforma protestante: Lutero ha ritenuto che la Bibbia, quanto vi è di più sacro, potesse essere data in mano ad ogni uomo indiscriminatamente, ma, se avesse seguito gli insegnamenti del Signore, mai lo avrebbe fatto, ed è grazie a lui che oggi la Bibbia è in mano ai lupi, ai cani e ai porci.
Nostro Signore Gesù Cristo, nel Sermone della Montagna, ha insegnato per parabole e insegnando in questo modo proteggeva la verità rivelata da quegli uomini scaduti a livello animale: non a tutti è dato conoscere il mistero del Regno dei Cieli. Le parabole di Gesù, per quelli ai quali è dato conoscere il mistero del Regno di Dio, sono comprensibili ancora oggi, non hanno bisogno di aggiornamenti per essere comprensibili, ma solo della grazia di Dio e dell’assistenza del Paraclito.
Ma che cosa succede quando si vuole rendere il loro significato accessibile a tutti?
Dopo le incredibili e assurde parole di Francesco a Scalfari, alcuni hanno parlato della loro strumentalizzazione, ma non è possibile dimenticare le parole di Paolo VI nel discorso di chiusura del Concilio:
“La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso.”
Cari amici, occorre un po’ di buon senso: ma certi uomini credono di essere “dei”, tanto da poter dare alle parole il significato che vogliono?
Quando parlano di strumentalizzazioni, infatti, è come se esercitassero il supposto potere divino di cotali uomini che si sono fatti “dei”, come si capisce dalle loro argomentazioni.
La storia del Samaritano, per esempio, come potrebbe applicarsi a loro?
Non avrebbero forse agito seguendo la propria coscienza coloro che hanno fatto male al Samaritano?
E come può, Papa Francesco, insegnare che bisogna seguire la propria coscienza?
Vorrebbe forse canonizzare la coscienza, quella fondata sulla dignità umana intrinseca alla nostra natura?
Ma possiamo avere una dignità intrinseca alla nostra natura e insieme il peccato originale?
Come coniugare insieme le due cose senza cadere in contraddizione?
Seguendo le parole dette dal Papa in questo incontro e volendo parlare di strumentalizzazioni di queste parole e del Concilio, la cosa che si può dire è che sono proprio questi uomini che si sono fatti “dei” che strumentalizzano. Supponendo di essere “dei”, pretendono di poter dare alle parole del Papa e del Concilio il senso che vogliono, così che anche qui non ci sia lotta, né anatema, ma una simpatia immensa per il mondo, tale da far desistere dall’esercizio dell’autorità.
Altro che deformazione dei mass-media, sono proprio questi uomini che si sono fatti “dei” che finiscono col dare il senso che vogliono sia alle parole del Papa sia ai testi ambigui del Concilio.
Dice bene Arnaldo Xavier da Silveira, nel suo studio “Della qualificazione teologica estrinseca
del Vaticano II”, quei testi sono stati scritti per un uso personale e di parte e non per illustrare la verità.
Veramente siamo davanti alla desistenza dell’autorità.
Quello che stupisce è come poi si possa chiedere alla FSSPX di accettare il Concilio senza alcuna corretta interpretazione, come ha fatto Benedetto XVI. In questo caso, stranamente, la FSSPX non avrebbe dovuto seguire la propria coscienza, seppure correttamente formata e non scaturente dalla mera “dignità naturale”… no, secondo Benedetto XVI, per la FSSPX non valeva più la propria coscienza, la coscienza cattolica. E questo nonostante, prendendo spunto dal pensiero di Newman (Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare, allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa) egli stesso avesse scritto:
“Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. […] Per questo il brindisi della coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza: servizio al duplice ricordo, su cui si basa la fede e che dev’essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le forme di distruzione della memoria, la quale è minacciata tanto da una soggettività dimentica del proprio fondamento, quando dalle pressioni di un conformismo sociale e culturale. […] Scalando le altezze del bene, l’uomo scopre sempre più la bellezza che c’è nell’ardua fatica della verità e scopre anche che proprio in essa sta per lui la redenzione.[…] Solo quando noi conosciamo e sperimentiamo interiormente tutto ciò, diventiamo liberi di ascoltare con gioia e senza ansia il messaggio della coscienza”. (Elogio della coscienza: Lectio Magistralis, Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Siena, Siena 1991)
Ci si chiede: come fa il Papa ad essere garante della memoria cristiana se non dà al Concilio la corretta interpretazione?
E come può chiedere alla FSSPX di accettare il Concilio senza tale interpretazione?
Che memoria si garantisce nel consegnare alla Chiesa i testi di un Concilio senza accompagnarli col giusto significato?
Questo significa indurre i fedeli a seguire la loro propria coscienza e condurre la Chiesa al razionalismo, come denunciato da Padre Giovanni Perrone, che ha spiegato dove porta la regola di fede del protestantismo (1).
Nel caso della FSSPX la verità sarebbe imposta dall’esterno, dovendo essa accettare il Concilio senza una corretta interpretazione e rifiutando di seguire sia la propria coscienza cattolica sia il papato stesso, per abbracciare una mera interpretazione di un papa che propugna una supposta ermeneutica della riforma nella continuità.
E qui è opportuno ricordare il “Giuramento antimodernista”:
“Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.”
Quello che Roma ha chiesto alla FSSPX è di accettare il Concilio così com’è, senza la corretta interpretazione e la necessaria indispensabile correzione, ossia ritenendo che la fede sia un “cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata”.
Tornando a Papa Francesco, dalle sue parole si coglie che in lui la “coincidentia oppositorum” è divenuta “cultura vivente”, ed è facile capire perché: quando si coltiva l’uomo di per sé, ogni sua parola diventa “Vangelo”, come un mantra per i buddisti, fino alla creazione di un Vangelo secondo i bisogni degli uomini moderni, esattamente come i pagani si inventavano gli “dei” secondo i loro bisogni…
Da queste contraddizioni si possono cogliere molte cose e lascio ai lettori e ai teologi tradizionalisti la cura di individuarle e di riflettervi con “coscienza cattolica”.
NOTA
1 - R. P. Giovanni Perrone S. J., Il Protestantesimo e la Regola della Fede, vol. I, Milano-Genova 1854, pag. 208-220, Parte I, sezione II, capo III, art. III :La stessa regola [cioè la regola protestante di fede, N.d.R.], considerata teologicamente, si dimostra menare al razionalismo.
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settembre 2013
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO