IL MONDO SENZA PAPA, per Louis Veuillot
Estratto dal libro
"Il Papa e la diplomazia"
di Louis Veuillot
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E se delitto
siffatto si compiesse? Se il Papa fosse cacciato dal mondo, che cosa avverrebbe
del mondo?
Per saperlo,
basta volgere uno sguardo alla terra nella florida età in cui non erano Papi.
Il mondo prima
del Papa, il mondo senza il Papa, è il Paganesimo.
In quattro mila
anni il Paganesimo avea procreata la possanza di Roma e il suo incivilimento;
e la possanza e l’incivilimento di Roma appella- vansi Nerone. L’una e l’altro
venian meno a poco a poco per una agonia di tre secoli, durante i quali il
genere umano tutte dovea raccorre in un fascio le miserande sciagure che
precedentemente aveanla, fui per dir, divorata. Roma, ultima Donna della terra
innanzi Cristo, fu di tutte la più crudele e la più saggia. Stava per divenire
la più obbrobriosa. Ma già sorgeva una stella e spandeva sulla fronte
dell’uomo raggi di gloria sconosciuti fino a quel tempo, essendo che nemmeno
l’innocenza primitiva comparve fregiata della triplice fulgente bellezza, vò
dire, della Redenzione, del Pentimento, dell’Amore.
La divina Provvidenza non adopera con incoerenza, nè la
permette alla comunanza civile. Dai Principii cui Esso suggella e dalle
negazioni che i mortali vi oppongono, procedono, senza riparo, le conseguenze
da Lui volute. Quanto spesso cade l’uomo in inganno su ciò! L’affetto ch’ei
porta alle opere del suo ingegno e della sua mano, restrigne vie più sempre la
virtù della sua già corta vista, e gli bastano alcuni istanti di equilibrio,
tutto che arduo, fra i principii e le negazioni predette, perchè egli creda
alla durata di quanto egli stesso fondava sulla contraddizione; se non che il
principio ch’ei si confidava tener represso, genera ben tosto le conseguenze,
le quali urtano, si incalzano, si affollano, e niente è che possa
perpetuamente, o per lunga ora signoreggiarle. E allora appunto che per virtù
della mano, ancora invisibile, della Chiesa, la contraddizione stava mutando
la faccia della terra e costruendo un ordine lutto nuovo; piacque alla Provvidenza
testimoniare non avervi, pel civile consorzio, nè dignità, nè libertà, nè
prosperità vera aU’infuori delle condizioni da lei poste pel conseguimento di
beni siffatti. Quando Roma, sitibonda di pace civile trovava necessariamente
rifugio nel dispotismo, Dio fece a lei il dono, forse il più prezioso d’ogni
altro che mai (innanzi l’avvenimento delGristo) fosse largito ad un ordin di
cose pericolante, dielle cioè un dominatore tutto pace, amico della Romana
bellezza,, del suo genio, della sua gloria, e dirò anche della sua libertà.
So
bene chi fu Ottavio : valeva egli solo quanto tutti i Romani del tempo di sua
giovinezza , gli ultimi Romani della repubblica ; io noi pongo nè al di sopra,
nè al disotto di quelli che lo circondavono ed aveanlo educato, di quelli
ch’egli proscrisse, di quelli che volèano proscrivere lui. Ma non scorderò che
Ottavio era pagano, ch’ei divenne Augusto, ciò vale, un uomo che si emendò che
si fè migliore, più saggio, più clemente, più pacifico, più generoso nell’esercizio
del suo potere assoluto. La storia non porge, molti di cosiffatti esempii,
nemmeno fra i Cristiani. Con ben più di ragione che Bruto, che Cicerone e gli
altri nemici ed assassini di Cesare, Augusto è degno di essere appellato
l’ultimo dei Romani. Di animo veramente liberale, non fece, come la più parte
dei novelli Signori, una stupida guerra a quanto ha di egregio il passato. Non
esigette che Roma annoverasse gli anni della vita di Lei dagli anni della vita
propria e di quella .dell’Impero; chè anzi onorò di suo favore il Pompeiano
Tito Livio, il quale scrivendo la storia della repubblica, usò colori sì
fulgidi e sì gentili. Amante svisceratissimo di Roma e delle glorie £ lei, che
cosa non immaginò egli mai, che cosa lasciò intentata per ridonarle virtù? La
Metropoli dei sette colli gli decretò altari, s’incurvò sotto la mano sua più
ch’egli stesso non sembrava desiderare; ma gli ricusò la gioja che avrebbe
provato in vedendo la regina della terra e dei mari sprezzar meno quelle virtù
ond’ei porgevasi esempio, e vagheggiar meno quei vizii che la menavano a morte.
Senza
violenti scosse e quasi senza contrasti, Roma dal dominio di Augusto passò a quello
di Tiberio, nome a lei già noto; e Tiberio, il qtiale se n’era ito a rifugio in
un’isola onde non usci che una volta sola, raccapricciando di paura, governò in
tutta sicurezza Roma tremante pur essa e il mondo suddito a lei; e lasciò l’una
e l’altra, più degradati, in eredità a Caligola, un pazzo, che li invilì ancor
davvantaggio sino al giorno che Claudio, saccentone, li ricevè quasi
forzatamente da una sedizione dinanzi la quale «gli era fuggito; e dopo
Claudio, la Città eterna e l’Imperio erano scesi a tanta abbiettezza da essere
fatti degna eredità di Nerone.
Noi non viviamo
in un secolo nel quale ciascun uomo abbia il diritto di sprezzar que’Signori di
Roma, nè il popolo che ad essi obbediva. Quanto alla crudeltà, quel giorno in
che Tiberio fè versare la maggior copia di sangue sotto la scure,, non fu che
un dì temperato a rispetto di quelli della Convenzione, e l’Italia non è oggi priva di liberatori, de’quali
Tiberio avrebbe potuto imparar qualche cosa intorno l’arte di metter pace fra i
popoli. È in esso un re, il quale, permettendo a’ generali suoi di bombardare
Città nel mentre che patteggiavan la resa, promette all’ Italia dominatori in
comparazione de’quali gl’ Imperatori delle età pagane sembreranno essere
stati di ben mite coscienza. Caligola non potea destare grandi timori se non
per cagione de’suoi amici e di qualche altero capo che pur rimaneva; egli
ottenne il favor dell’armata, come poi Nerone quello
del popolo. Claudio fu un dabben uomo/nè per propria colpa diventò Signor della
terra. Nerone si piacque della gloria dell'intelletto e degli spettacoli
singolari, incorò l’arti, abbellì Roma, detestò i Cristiani, e fè disegno di
esterminare le loro superstizioni e liberarne lo Imperio. Finalmente, benché
sprezzatore della divinità, (comune distintivo dei tiranni) Contemptor Divum Mazentius non si gloriava però di essere un empio.
Nerone,
quell’infame, parricida, istrione èra un dominatore di tal fatta quale dovea
uscire dal Paganesimo. Era Sovrano Pontefice, Dio egli medesimo come Augusto e
tutti gli Imperatori : avea templi, sacerdoti, sacrifìci, era il più rispettato
degli Dei, ed anche degli Dei Imperatori.
E
l’età che vide Iddìi siffatti non fu la barbara ; chè anzi godevasi
l’incivilimento il più perfetto che il mondo avesse avuto giammai; incivilimento
addottrinalo, leggiadro, squisito, pieno di ogni dilicatura in fatto di lusso e
di arte, e fornito di si eccellente amministrazione, che tutto era indarno di
potersi sottrarre al vigilantissimo sguardo della Polizia. Il Romano accusato
di lesa maestà, avess’ anche potuto escir fuori dell’ Imperio, reputava
miglior senno escir della vita. Cesare consigliava un personaggio molesto o
discaro ad uccidersi, e quegli si uccideva, dopo aver fatto testamento in
favore di Cesare. Che cosa può immaginarsi più bella quanto a pubblica
sicurezza ? Egli ben vero che gli uomini si andavano uccidendo di per sè
medesimi, senza che Cesare li avesse di ciò dimandati, ma unicamente per non
avere più a sopportare la vita, benché, certo, non difettassero passatempi.
Sotto Nerone l’arte dell’apprestar le vivande fe’ progressi notabilissimi ; e
divenne cosa possibile spendere 600,000 Franchi in un solo banchetto. Agli
uomini toccava il ticchio delle peregrine cose, e chi bramavaie pagava 1,200
Franchi due piccole tazze d’un vetro nuovo, e 336,000 Franchi un sol vaso di
mirra. Pacuvio avea banchettando divorata la Siria ; e quando gli schiavi suoi
lo toglievano via dalla mensa, tutto ebbro, i convitati cantavano: Egli ha vissuto ! Gli attori da commedia erano stimati gente
di gran conto ; il tragico Esopo si fece ricco di quattro milioni, dopo di
avere scandalizzato il popolo, durante l’intera vita, per le sue prodigalità.
Ora, questi pochi cenni non fanno testimonianza di un illustre incivilimento?
Le intellettuali
e letterarie dottrine erano, anch’ esse, pervenute al sommo. Gli Imperatori ne
porgean l’esempio. Quelle amene lettere, la cui conoscenza ed il cui uso
rendono, dicesi, l’uomo migliore furono mai alcuna volta meglio sapute che non
sotto i primi Cesari, e trovarono esse mai discepoli più costanti ? Augusto
scriveva nobilmente in prosa e in verso, avea composto tragedie, avea fin anche
avuta la perspicacia di conoscere non essere buono recitarle; Tiberio era
correttissimo della favella e primo grammatico nell’ Impero; Caligola
scrivea farse; Claudio era
archeologo, erudito , uom di lettere, ellenista squisito. Nerone, dotto in
ogni arte, cantore, mimo, architetto, poeta, mori recitando un verso di Omero.
Con tutto ciò le
conseguenze im manchevoli dell’ignorare e dello
sprezzare la verità veniano crescendo ed annientavan i singoli uomini e la
civil compagnia. Roma moriasi di paura e di noja: il suicidio la divorava ; per
timore di vivere s’incontrava la morte. Il più temuto degl’iddii fu Cesare; il
Dio più invocato la morte. Tolies invocata morie ut nullum
frequentilis sit votum, scrisse Plinio , e Lucano compiangeva gli Dei perchè aveano vita perenne.
In fatto di costumi, le matrone scendevan nel circo, e
conducevano a Cesare le prostitute che poteano sapergli buone. Quanto alla
famiglia, Tertulliano diceva ai magistrati : Chi è tra voi il quale non abbia
ucciso un proprio suo figliuolo?
Piacciavi
di ben considerare, o lettor mio, che quell’incivilimento, sì forte sì
illuminato, sì corrotto, il quale largiva a sè stesso sollazzi si prodigiosi e
moriva di noja tanto strana, e il quale avea tollerato un Caligola, e s’era
lasciato dare un Claudio, e sopportava un Nerone, e non dissimulava la propria
onta, e il quale, alla morte di cosiffatti dominatori, confessava che avrebbe
forse avuto di che novellamente desiderarli; quell’incivilimento, io diceva,
pervenuto ad ogni perfezione, ad ogni vitupero, ad ogni affanno, godeva delle
tre libertà di Lutero. Libertà della carne, e quando ve n’ebbe maggiore? Dove mai i vincoli di famiglia furono
meno molesti? Libertà di coscienza ; l’Imperatore era Pontefice e Dio, ma ben
anche poco molesto per la coscienza altrui siccome Dio e siccome Pontefice.
Libertà di spirito ; certo il Romano che volea starsi contento ad adorare « in
ispirito e verità » non era molestato dall’obbligo del culto esterno ! Fra le
centinaja di divinità cui Varrone annoverava nel romano Olimpo, l’uomo avea
onde scerre, avea modo di spàndere l’amor suo e il suo disprezzo.
Tale
fu Roma quando il primo Pontefice vi portò Gesù Cristo, cioè a dire la Fede la
Speranza e la Carità. Tale fu la discendenza di Cicerone, di Virgilio,
d’Orazio. Già da lunga ora la Grecia era morta insieme con Omero. Nè Omero, nè
Cicerone, nè Virgilio, nè Orazio, fecero per la eterna Città ciò che non avea
potuto fare Augusto, signore di lei e cui esso obbedì più lungamente e mansuetamente
che ad ogni altro : eglino non valsero a darle gente animosa; nè fu mai che
bastasse a tanto quello spirito struggitore della civil compagnia ch’ella
stessa porta nel proprio seno. Se il Cristo avesse indugialo alcuni secoli, non
solo le arti, non solo l’incivilimento, ma l’uomo, l’uomo animale, sarebbe
perito. La guerra, la tirannide, il circo, il suicidio, la dissolutezza stavano
per estinguere l’umana specie. Gesù Cristo, per le mani della sua Chiesa,
salvonne l’anime e i corpi.
Il Pagano incivilimento possedè, in ben più
larga copia di quella che la moderna Europa potrebbe pensarsi
giammai, que’ beni tutti cui la stolta e bassa invidia dell’Europa medesima
oggi vediamo agognare. Essa ritorna troppo vergognosamente alle leggi, alle
arti, ed alla letteratura del romano Imperio, e vagheggia quella unità materiale
nella quale esso si affievolì, e per la quale si condusse a morte. La Chiesa
avea fatto dimenticare lutto ciò, o, a meglio dire, avealo purificato ed
ordinato. Venne il Protestantésimo e violò le tombe dei Santi e dei Martiri,
gittò al vento le loro ceneri vittoriose all’intendimento di rinvenire sotto
di sé le pagane materiali reliquie e informarle novellamente del solo spirito
del Paganesimo. E al dì d’oggi, sollecitata, quant’altri mai, a compiere
l’incominciata impresa, e far tornare a vita la morte, la Rivoluzione, figlia
del Protestantismo, propone all’umana follia di strappar dalle radici quell’albero
di salute, piantato dalla mano di Dio sopra la terra perchè dia perpetui frutti
rinnovellantisi, i quali soli possono salvare dalla rovina il civile consorzio,
ed ogni singolo uomo dalla morte.
Se Dio permettesse che noi tutti pronunciassimo
quell’abiura stupidamente ingrata e sacrilega, se il Papa partisse di questo
mondo in cui entrò sotto Nerone, ahimè, che in quel giorno lo spirito del male
tuttoquanto ripiglierebbe il governo del mondo e tornerebbe a formarne la
storia, ricongiugnendosi a quel punto in cui esso spirito fu costretto di
abbandonar l’uno e l’altra ai tempi di Nerone; e l’umano genere, decimato con bem
compartita vece, immerso nel sangue e nel lezzo appiè di quell’ are vituperose,
si dorrebbe di soccombere troppo a rilento.
La conseguenza
inevitabile e pronta della distruzione del regale Pontificato sarà il restaura-
mento del sacerdozio, dirò meglio, della divinità imperiale ; e quel sacerdozio
e quella divinità vorranno farsi universali, non altrimenti che fu universale
quella Suprema Eccellenza, cui la stoltezza degli uomini avrà allora allora
atterrata, e cui si darà ogni studio di esterminare per sempre, di proscrivere
dagli ultimi confini del mondo, di sradicare dall’ estremo rifugio al quale
avea riparato, vò dire, da quello delle coscienze.
In quel breve
spazio di terra cui regge il civile Principato del Vicario di Gesù Cristo, ed è
consacrato a rappresentare poveramente quaggiù il reame del Capo
dell’ecclesiastiche membra , il quale è Re dei regi, e Redentore degli uomini tutti
(1), quel breve spazio, io diceva, non è già solamente il trono del Dominatore,
è altresì la prigion del nemico. Là il Principe degli Apostoli tien cattivo un
gigante, l’avversario tremendo dell’uomo e della libertà di lui, Io Spirito che
conforta i miseri mortali a farsi Dei, ed al quale è concessa virtù di far
piegare il ginocchio dell’uomo dinanzi a quell’idolo.
Un Pontefice
rilegato in qualche palazzo d’una Città d’Italia o d’altro luogo, suddito a un
Principe che oggi sarà Vittorio Emanuele, domani Garibaldi o Mazzini od alcun
altro, che potrà essere di più nobile aspetto senza valere di più; un tal
Pontefice tributario o ramingo, soggetto ad ogni re o straniero ad ogni re, non
avrà mano baste- volmente forte per tener in catene un vinto formidabile, nè
voce abbastanza possente per tener guardati dalle seduzioni quanti sono uomini;
e Dio, la cui giustizia debbe trionfare eziandio in quest’albergo del pianto,
noi permetterà. Potrà il mondo apparecchiarsi a vedere quinci a poco, un
simbolo dell’Anticristo, terribilissimo avvenimento fra quanti mai riempirono
di orrore e di stragi la terra.
Il mondo è già
maturò per un dispotismo senza pari, più barbaro forse del dispotismo antico.
Vedesi già per tutto dissolversi ogni patria, disparir le frontiere, livellarsi
la terra per lasciar liberissimo il passo al carro d’un trionfatore. Qual mai
ostacolo vi faranno i re? Non vi sono più re, e quelli che ancor ne portano il
nome non si adoperano che a romper guerra fra loro.
La Chiesa avea
statuiti i Monarchi a difesa della verità ed a protezione dei miseri. In tal dovere
stava il loro diritto. La Rivoluzione, facendoli venir meno al dovere, ha pur
tolto ad essi il sentimento del diritto. Ov’.è mai al dì d’oggi quel Dominante,
il quale si paia al tutto sicuro del proprio diritto di re, e il quale onori e
custodisca gli altrui diritti a gran rischio d’incontrar pericolo egli
stesso? Re siffatto io lo veggo a Roma, e là solamente. Da poco tempo, tre
grandi sovrani s’erano ragunati per deliberare intorno le cose a doversi
compiere in congiunture di tanto rilievo. La prima sera, convennero tutti e tre
al Teatro, e là videro rappresentarsi una farsa e un leggiadro ballo. Eccoli
dunque là radunati ; ecco il gran momento ! Per vero dire, quei Monarchi i
quali aveano a comporre la pace del mondo e toglier di mezzo il comune pericolo
delle corone, non aveano altro edificio, salvo il Teatro, dentro il quale
potessero tutti trovarsi d’una sentenza. Non si poteano congregare nel tempio
di Dio, perocché ciascuno di essi ha il proprio Cristo. Altro è quello di
Prussia, altro quello di Russia, altro quello d'Austria... Ma poi quali
accordi?... quali deliberazioni? quali effetti?...
Da Dio è ogni
patria, e noi sentiamo, a pien diritto, la carità di patria. Essa è un
nobile/sentimento, ma il quale può degenerare in orgoglio, in asprezza, in
inimicizia contro lo straniero. Mercè del catolicismo fu sorella ogni patria.
Il Protestantesimo ha tornato a vita la dura patria degli antichi' giorni, e
ciascheduna nazione si è partita dalle altre. L’Inghilterra è il modello di cosiffatta
barbara nazionalità. A modo che Ismaele, essa pianta con alterigia la propria
tenda contro di ogni popolo, nel mentre che parla incessantemente di francarli
da servitù.
La Rivoluzione vuol
fare una parodia della fratellanza Cristiana. Edificando quartieri per soldati ove che sia, chiede per ogni dove
l’annientamento delle frontiere. Per creare l’unità, vuole render nulla la
patria, al modo stesso che per largire la libertà volle distruggere la
famiglia,. Mes- saggiero di un tal disegno è Garibaldi ; iì quale ben veggendo
essere i conflitti esizialissimi ai popoli poverelli, fa proposta ai regnanti
di fare di tutti i popoli un popol solo. E con chi più la guerra quando non v’
abbia più gente nemica ? Abbagliato da tanta bellezza di pensiero, Garibaldi
non vede la eventualità delle lotte intestine, per campar dalle quali
quell’unico popolo non si terrà dal procacciarsi un unico Signore, e la forza
di un Signore dì tal guisa sarà rispondente all’.estension dell’Imperio. Egli
avrà denti, muscoli, unghie, avrà ogni cosa bene acconcia per serbar cheto e
rispettoso il genere umano, che gli dirà - Non licet!
Garibaldi parla,
senza dubbio, ridevolmente; ma non è già a ridersi di ciò eh’ egli parla !
Mille principii, sentenze, assiomi, che arrecan morte, e che a’ tempi nostri
han seggio, erano, or fa venti anni, degni argomenti di comune beffa; che avverrà
egli mai quando la luce del vero si sarà indebolita ognor più, o più non
risplenderà che nelle Catacombe? Togliete via il Papa, spegnete quel fulgore,
fate scomparir quel confine, e vedrete ciò che potrà la ragione, ciò che diventeranno
i baluardi dei popoli ! L’ universal dispotismo li perforerà, sto per dire,
dall’una banda all’altra, non altrimenti che un carro, trascinato da corsieri
ardentissimi, passa baldanzosamente attraverso di elevati mucchi di polvere.
Non più amor della patria, anzi non più patria, non più asilo di libertà.
Ma, la mercè di
Dio, il quale, nella miseri- cordia sua infinita, degnerà di non lasciarsi vincere,
il Papato non fia mai che soccomba. Nascoso nel centro della terra, la quale
sarà tornata ai tempi ed all’opere di Nerone, ricomincierà esso i tempi e 1’
opere di S. Pietro. E quando i possenti ed i beati di questo cieco mondo non
discerneranno più il bene dal male, l’errore dalla verità , o si diletteranno
nel dir bene il male ed erro- re la verità, al cospetto della forza brutale
stupendamente ordinata e fatta Signora di ogni cosa, la virtù del Papato
starà. Ànnunzierà ella il Vangelo ai poveri ed agli ignoranti, il cui numero
sarà senza fine; consolerà i vinti e serberà inconcussi i veri supremi fin
sotto la scure ed i motteggi dei vincitori. Ella non lascierà di parlare
carità, giustizia, misericordia; non lascierà d’insegnare che libertà senza
autorità è cosa tanto impossibile quanto autorità senza libertà, e che l’una e
l’altra hanno radice in quell’ ordine che pone ogni cosa ed ogni singolo uomo
al posto che loro compete e sopra ogni uomo e sopra ogni cosa Iddio. Ella non
lascierà di ammaestrare che l’unità non procede da uno stupido annientamento
delle diverse parti onde vogliamo comporla, nè la libertà di ciascun uomo dalla
confusione delle gerarchie. Non lascierà di far conoscere che se il civile consorzio
è ripiombalo in quell’abisso onde la virtù della Cristiana fede avealo Ira Ito
fuori, si è perchè ha voluto separare le diverse membra del corpo sociale,
col disciorne que’ vincoli, coi quali la soavissima carità di Gesù l’avea nella
pienezza del1’ amore congiunto.
Certo, la famiglia
dei mortali è straziata di dolore , ed ohimè di qual dolore ! Sostiene la terribile
pena del disgregamento della unità, e ciascun atld de’suoi delirine porge
testimonianza. La rivoluzione conosce a meraviglia la natura di questo male
ond’essa è l’autrice, e lo governa coll’ordinario suo accorgimento, lo
accorgimento di Satana. Nel 1793, ella sollevava i popoli, ed uccideva gli
uomini in nome della libertà dei singoli uomini. Al dì d’ oggi, ella li
solleva, li divide, li uccide in nome dell’unità : ed avendo perduto la vera
nozione di quel collegamento verace, il quale nel materiale mondò non può
sortire l’effetto se non per opera delle idee; i popoli, sopra fede della
Ribellione, avvisano che potranno campare dall’ individuale disordine,
adeguando tutte le condizioni e riducendo in uno le terre diverse ! Ma eglino
ad altro non riusciranno che ad acconciar uomini e terre pel trionfai dominio
del dispotismo. Questa crassa ignoranza però mette in aperto il goffo errore in
che sono caduti i governi Essi dimenticano una piccola cosa, cioè che l’uomo
ha un’anima. Quinci deriva la loro assoluta inefficacia a metter pace fra
l’ordine e la libertà, fra l’individuale svolgimento e lo svolgimento di tutto
il civile consorzio. Giusta la lóro scienza l’uomo non ha che il corpo e gli
appetiti; tu quindi li vedi non prendersi briga nessuna dell’ anima immortale
dell’ uomo, e dei doveri suoi verso Dio. Ecco perchè quella scienza che
vorrebbe, da senno, il regno dell’ordine ad altro non vale che a produrre
Rivolte, e poco andrà eh’essa non vedrà nè la- scierà più che altri vegga un riparo
all’ infernale addentellato dei Rivolgimenti, se non del dispotismo, divenuto
sì fiero e così sprezzante i diritti del genere umano, come lo è sempre stata
la Rivoluzione.
Le Leggi
governatrici il consorzio civile, non meno che i singoli uomini, esser non
possono giuste, e stabili conseguentemente, ove non sieno instituite in
conformità dell’attenenza che hanno i figliuoli di Adamo col supremo Monarca
del tutto.
Quel dì, forse men
lontano che non si pensi, nel quale avranno le nazioni compreso novella- mente
queste dottrine del Papato; quel dì comprenderanno eziandio che ai Veri, ne’
quali trova il proprio scudo la comune libertà, non è serbato altro luogo di
asilo e di sicurezza, contro le passioni e gli accecamenti degli uomini, che
sotto lo scettro del Sacerdote-Re.
E il Papato
ripiglierà nel mondo il suo seggio di onore, fatto più grande dai Papi -
Martiri.
(1) Et ipse est caput Ecclesiae ( Col. 1-18
) Prioceps regum tcrrae, qu dilexit nos, et lavit nos a peccatis nostnis in
sanguino suo ( Apoc. 1-5 )