Dimissioni di Benedetto XVI: un brinde prima per la coscienza e poi per il Papa
Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare, allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa.(John Henry Newman)
"Me l'ha detto Dio". Così Joseph Ratzinger avrebbe spiegato le decisioni della sua rinuncia al soglio pontificio nel corso di un raro colloquio riportato dalla testata cattolica 'Zenit' - Benedetto XVI: ho lasciato perché me lo ha detto Dio
Scritto da Luigi Bottazzi
La "rinuncia " di
Papa Ratzinger, dolorosa e coraggiosa insieme, dovrebbe far riflettere gli
uomini di Chiesa, dai vertici della curia romana ai vertici
delle nostre diocesi, ma anche i semplici credenti, chiamati giustamente dal
Concilio Vaticano II, Popolo di Dio, che si devono quotidianamente impegnare a
testimoniare, con i fatti prima che con le parole, il Vangelo.
Ma anche la politica dovrebbe, e potrebbe, trarre
degli insegnamenti preziosi dal grande gesto del Santo Padre: nel
servizio alto e disinteressato (almeno dorebbe essere così ! ) di chi è
chiamato a fare politica, tutti sono "necessari " ma nessuno è "indispensabile
"! Lo avete sentito dire fra i candidati alle Primarie e adesso fra
i cooptati al parlamento?
Estratti
dal libro di
Joseph Ratzinger/Benedetto XVI “L’elogio della coscienza. La Verità interroga il cuore” (Cantagalli 2009)
Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare, allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa.(John Henry Newman)
“Nell’attuale dibattito sulla natura propria della moralità e sulle modalità della sua conoscenza, la questione della coscienza è divenuta il punto nodale della discussione, soprattutto nell’ambito della teologia morale cattolica. Prima di tentare di formulare risposte coerenti alle questioni sulla natura della coscienza, occorre che allarghiamo un po’ le basi della riflessione […] Un primo sguardo deve rivolgersi al cardinale Newman, la cui vita ed opera potrebbero ben essere designati come un unico grande commento al problema della coscienza […] Per Newman il termine medio che assicura la connessione tra i due elementi della coscienza e dell’autorità è la verità. Non esito ad affermare che quella di verità è l’idea centrale della concezione intellettuale di Newman; la coscienza occupa un posto centrale nel suo pensiero proprio perché al centro c’&egr ave; la verità.
[…] La coscienza non significa per Newman che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente e che si sostiene mediante il compromesso tra esigenze del soggetto ed esigenze dell’ordine sociale. Essa significa piuttosto la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera oggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio. […] Ciò che per Newman era importante era il dovere di obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, addirittura anche in contrasto con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia e di una comune formazione. Mi sembra significativo che Newman, nella gerarchia delle virtù, sottolinei il primato della verit&agra ve; sulla bontà o, per esprimerci più chiaramente, che egli metta in risalto il primato della verità sul consenso […] Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia della verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante. […] Lo specifico dell’uomo in quanto uomo consiste nel suo interrogarsi non sul “potere” ma sul “dovere”, nel suo aprirsi alla voce della verità e delle sue esigenze. Questo fu, a mio parere, il contenuto ultimo della ricerca socratica e questo è anche il senso più profondo della testimonianza di tutti i martiri: essi attestano la capacità di verità dell’uomo quale limite di ogni potere e garanzia della sua somiglianza divina. È proprio in questo senso che i martiri sono i grandi testimoni della coscienza, de! lla capacità concessa all’uomo di percepire, oltre al potere anche il dovere e quindi di aprire la via al vero progresso, alla vera ascesa.
[…] Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi della coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza: servizio al duplice ricordo, su cui si basa la fede e che dev’essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le forme di distruzione della memoria, la quale è minacciata tanto da una soggettività dimentica del proprio fondamento, quando dalle pressioni di un conformismo sociale e culturale. […] certo, la via alta ed ardua che conduce alla verità e al bene non è una via comoda. Essa sfida l’uomo. Ma il rimanere tranquillamente chiusi in se stessi non libera; anzi, così facendo c i si deforma e ci si perde. Scalando le altezze del bene, l’uomo scopre sempre più la bellezza che c’è nell’ardua fatica della verità e scopre anche che proprio in essa sta per lui la redenzione. […] Il giogo della verità è divenuto “leggero”, quando la Verità è venuta, ci ha amato ed ha bruciato le nostre colpe nel suo amore. Solo quando noi conosciamo e sperimentiamo interiormente tutto ciò, diventiamo liberi di ascoltare con gioia e senza ansia il messaggio della coscienza”.
(Elogio della coscienza: Lectio Magistralis, Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Siena, Siena 1991)
“La convinzione che l’essere nella sua totalità è creato da Dio comporta l’ottimismo creaturale; implica la gioiosa certezza che l’essere è buono fino in fondo; indica il sì alla materia, voluta da Dio non meno dello spirito; implica anche un’autonomia dell’essere naturale creato da Dio per essere se stesso, in maniera tale che questo essere rimane in una intima relazione con Dio. La redenzione non è soppressione della natura dell’io; la redenzione è perfezionamento, completamento dell’essere naturale. Di conseguenza il credere non si oppone al pensare, al nostro impegno intellettuale, ma anzi lo esige, lo presuppone, lo fa maturare. La filosofia diventa così una necessità per la teologia, il rispetto della sua autonomia è un’implicazione della fede, perché la verità consacra. Il coraggio della verità è la conseguenza della fe de in Dio creatore. […] Se Dio è la verità, se la verità è il vero “sacro”, la rinuncia alla verità diventa fuga da Dio. La ricerca della verità è pietà, e dove scompare il coraggio della verità la fede viene falsificata nel suo fondamento. La fede apparente non è più fede autentica, non è più cristiana. […] il coraggio della verità esige la virtù della verità. La verità appare nelle creature solo se il loro carattere creaturale non viene dimenticato. L’essere creatura implica relatività e razionalità, e la relatività esige umiltà. […] Il messaggio delle creature viene percepito bene soltanto se si comprende che per mezzo di esse parla un altro, dal quale vengono, dal quale dipendono, al quale tendono”.
(Tommaso e il coraggio della verità: Omelia pronunciata in occasione della Celebrazione Eucaristica tenuta a Chieti per la consegna dell’“Ordine della Minerva” da parte dell’Università G. D’Annunzio, 28 gennaio 1989)
Joseph Ratzinger/Benedetto XVI “L’elogio della coscienza. La Verità interroga il cuore” (Cantagalli 2009)
Certamente se io dovessi portare la religione in un brindisi dopo pranzo, cosa che non è molto indicato fare, allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa.(John Henry Newman)
“Nell’attuale dibattito sulla natura propria della moralità e sulle modalità della sua conoscenza, la questione della coscienza è divenuta il punto nodale della discussione, soprattutto nell’ambito della teologia morale cattolica. Prima di tentare di formulare risposte coerenti alle questioni sulla natura della coscienza, occorre che allarghiamo un po’ le basi della riflessione […] Un primo sguardo deve rivolgersi al cardinale Newman, la cui vita ed opera potrebbero ben essere designati come un unico grande commento al problema della coscienza […] Per Newman il termine medio che assicura la connessione tra i due elementi della coscienza e dell’autorità è la verità. Non esito ad affermare che quella di verità è l’idea centrale della concezione intellettuale di Newman; la coscienza occupa un posto centrale nel suo pensiero proprio perché al centro c’&egr ave; la verità.
[…] La coscienza non significa per Newman che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente e che si sostiene mediante il compromesso tra esigenze del soggetto ed esigenze dell’ordine sociale. Essa significa piuttosto la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera oggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio. […] Ciò che per Newman era importante era il dovere di obbedire più alla verità riconosciuta che al proprio gusto, addirittura anche in contrasto con i propri sentimenti e con i legami dell’amicizia e di una comune formazione. Mi sembra significativo che Newman, nella gerarchia delle virtù, sottolinei il primato della verit&agra ve; sulla bontà o, per esprimerci più chiaramente, che egli metta in risalto il primato della verità sul consenso […] Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia della verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante. […] Lo specifico dell’uomo in quanto uomo consiste nel suo interrogarsi non sul “potere” ma sul “dovere”, nel suo aprirsi alla voce della verità e delle sue esigenze. Questo fu, a mio parere, il contenuto ultimo della ricerca socratica e questo è anche il senso più profondo della testimonianza di tutti i martiri: essi attestano la capacità di verità dell’uomo quale limite di ogni potere e garanzia della sua somiglianza divina. È proprio in questo senso che i martiri sono i grandi testimoni della coscienza, de! lla capacità concessa all’uomo di percepire, oltre al potere anche il dovere e quindi di aprire la via al vero progresso, alla vera ascesa.
[…] Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi della coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza: servizio al duplice ricordo, su cui si basa la fede e che dev’essere continuamente purificata, ampliata e difesa contro le forme di distruzione della memoria, la quale è minacciata tanto da una soggettività dimentica del proprio fondamento, quando dalle pressioni di un conformismo sociale e culturale. […] certo, la via alta ed ardua che conduce alla verità e al bene non è una via comoda. Essa sfida l’uomo. Ma il rimanere tranquillamente chiusi in se stessi non libera; anzi, così facendo c i si deforma e ci si perde. Scalando le altezze del bene, l’uomo scopre sempre più la bellezza che c’è nell’ardua fatica della verità e scopre anche che proprio in essa sta per lui la redenzione. […] Il giogo della verità è divenuto “leggero”, quando la Verità è venuta, ci ha amato ed ha bruciato le nostre colpe nel suo amore. Solo quando noi conosciamo e sperimentiamo interiormente tutto ciò, diventiamo liberi di ascoltare con gioia e senza ansia il messaggio della coscienza”.
(Elogio della coscienza: Lectio Magistralis, Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Siena, Siena 1991)
“La convinzione che l’essere nella sua totalità è creato da Dio comporta l’ottimismo creaturale; implica la gioiosa certezza che l’essere è buono fino in fondo; indica il sì alla materia, voluta da Dio non meno dello spirito; implica anche un’autonomia dell’essere naturale creato da Dio per essere se stesso, in maniera tale che questo essere rimane in una intima relazione con Dio. La redenzione non è soppressione della natura dell’io; la redenzione è perfezionamento, completamento dell’essere naturale. Di conseguenza il credere non si oppone al pensare, al nostro impegno intellettuale, ma anzi lo esige, lo presuppone, lo fa maturare. La filosofia diventa così una necessità per la teologia, il rispetto della sua autonomia è un’implicazione della fede, perché la verità consacra. Il coraggio della verità è la conseguenza della fe de in Dio creatore. […] Se Dio è la verità, se la verità è il vero “sacro”, la rinuncia alla verità diventa fuga da Dio. La ricerca della verità è pietà, e dove scompare il coraggio della verità la fede viene falsificata nel suo fondamento. La fede apparente non è più fede autentica, non è più cristiana. […] il coraggio della verità esige la virtù della verità. La verità appare nelle creature solo se il loro carattere creaturale non viene dimenticato. L’essere creatura implica relatività e razionalità, e la relatività esige umiltà. […] Il messaggio delle creature viene percepito bene soltanto se si comprende che per mezzo di esse parla un altro, dal quale vengono, dal quale dipendono, al quale tendono”.
(Tommaso e il coraggio della verità: Omelia pronunciata in occasione della Celebrazione Eucaristica tenuta a Chieti per la consegna dell’“Ordine della Minerva” da parte dell’Università G. D’Annunzio, 28 gennaio 1989)