Il vero pensiero gesuita contro il gesuitismo moderno e del cardinale Martini
Vedere anche: CATECHISMO DE' GESUITI
"«Messo da parte ogni proprio giudizio dobbiamo tenere l'animo preparato e pronto ad obbedire in tutte le cose alla vera sposa di Cristo Signore nostro, che è la nostra santa Madre, la Chiesa gerarchica» (Reg. 1)".
E più innanzi:
"«Per raggiungere in ogni cosa la verità, dobbiamo tenere sempre fermo, che il bianco che vedo io creda essere nero, se così lo definisca la Chiesa gerarchica: credendo che tra lo sposo, Cristo Signore nostro, e la Chiesa sposa sua vi sia il medesimo spirito che ci governa e regge nelle cose che spettano alla salute dell'anima nostra; perocchè quel medesimo spirito e quel medesimo Signore che diede i dieci comandamenti regge e governa la santa nostra Madre Chiesa» (Reg. 13)". S. Ignazio
La Civiltà Cattolica anno 57°, vol. 2 (fasc. 1342, 9 maggio 1906), Roma 1906, pag. 385-397.
LE REGOLE DEL CATTOLICISMO SCHIETTO [1]
Christianus mihi nomen, catholicus cognomen. Questo detto di S. Paciano in ogni tempo ebbe valore di professione di fede intera e compiuta. Così è e dev'essere nel fatto, perchè quei termini vanno presi insieme, e non solo l'uno non esclude l'altro, ma ambedue s'integrano e si compiono a vicenda.
Però molti non pensano nè giudicano così. Un gran numero vogliono essere cristiani, ma a nessun patto cattolici. Perfino il cattolicismo, come tante altre cose in questo povero mondo, vien diviso in due! Ci sono cattolici, che si riconoscono cattolici, ma che dicono aperto di non praticare quali cattolici: è un triste fare a metà, una contraddizione disonorante. Similmente altri vogliono essere cattolici, ma a modo loro; si foggiano un cattolicismo loro proprio, fanno riserve su tutto che loro non garba e tagliano e trinciano tanto nelle dottrine da credere, come ne' doveri religiosi della vita pratica. Quest'è la condizione quaggiù; non pure le cose terrene, ma le divine altresì, come le concepisce e le tratta l'uomo, vanno soggette ad alterazione e mutamento. L'inclinazione della natura corrotta, l'andazzo dei tempi, il vario modo di vedere e sentire, le credute esigenze del vivere sociale ed altre simili cause inducono mutazioni perfino in ciò che è immutabile, perfino in cose di religione. Nè è da farne le meraviglie. La vita religiosa ebbe sempre a modificarsi a seconda dei sistemi filosofici e teologici di questa o di quella età; e così avvenne pure ed avviene tuttavia del cattolicismo, sebbene a preferenza di ogni altra professione religiosa sia stato preso da Dio medesimo sotto la sua speciale protezione. Tutto insomma si va più o meno colorando secondo lo spirito dei tempi ed il contatto con quelli.
È dunque sovramodo importante avere di continuo innanzi gli occhi un quadro fedele, chiaro e compiuto del cattolicismo schietto, con pochi, ma sicuri tratti, perchè subito al solo fissarvi lo sguardo si sappia quello che s'ha da tenere. Dicasi quel che si vuole, ma la religione cattolica è l'unica vera, e l'essere e il rimanere cattolici schietti, sans peur ed sans reproche, è l'unico nostro bene pel tempo e per l'eternità. Non sempre tra le occupazioni della vita e l'ondeggiar degli affari abbiamo il tempo di raccoglierci in noi stessi e di rimetterci allo studio de' grandi problemi religiosi. Ma sempre, in ogni incontro della vita possiamo dirigere il nostro cammino con alcune massime fondamentali, frutto di lungo studio e di conosciuta esperienza, e però sicure ed infallibili. Così il nocchiero fissa la stella, secondo cui dirigere la nave, e tanto gli basta a procedere sicuro.
A questo fine possediamo un libretto, scritto già da trecent'anni e conosciuto universalmente nel mondo cristiano. Esso ha contribuito potentemente al mantenimento dell'antica fede cattolica ed al miglioramento dei costumi ed è stato approvato e raccomandato dalla Santa Sede con termini, quali non ebbe mai nessun altro libro spirituale. Intendiamo parlare degli Esercizii di S. Ignazio di Lojola. È un pratico manuale della vita spirituale ed offre non solo considerazioni sulle verità eterne e sulla vita di Gesù Cristo logicamente e psicologicamente ordinate, ma aggiunge eziandio importanti istruzioni e regole sulla vita cristiana. Ora alla fine del libro S. Ignazio ne ha poste alcune degnissime di considerazione e di studio, dove si rispecchia incorrotto e nei suoi minuti particolari il vero spirito cattolico, o ciò che torna al medesimo, il genuino modo di sentir con la Chiesa. L'istruzione infatti ha per titolo: Regulae aliquot servandae ut cum orthodoxa Ecclesia sentiamus, ovvero più letteralmente secondo il manoscritto originale spagnuolo: Ad sentiendum vere, sicut debemus in Ecclesia militante. E queste regole possono ben dirsi il Vademecum, che il Santo pone in mano dell'esercitante alla fine del suo ritiro, perchè lo rechi seco nel mondo e sappia come deve pensare, giudicare ed operare, per essere in ogni cosa in pieno accordo con la Chiesa e condurre nella realtà una vita veramente e schiettamente cattolica.
Esse sono in tutto diciotto, ma si possono facilmente ridurre a due capi; le une trattano dei principii fondamentali riguardanti la fede; le altre hanno per oggetto l'esercizio pratico della vita cristiana. Manterremo quest'ordine, ed il breve nostro commento sarà una lezione di ascetica cristiana, quanto semplice, altrettanto opportuna in questo guazzabuglio d'idee, di propositi, di tendenze, di accuse, di critiche, dove si è addirittura perduta la via, appunto perchè si è perduta di vista la stella fissa che ha sempre diretto il cattolico, e che deve ancora dirigerlo, se non si vuol dar negli scogli.
PARTE PRIMA.
Principii fondamentali riguardanti la fede.
1. Rispetto alla fede S. Ignazio scrive: «Messo da parte ogni proprio giudizio dobbiamo tenere l'animo preparato e pronto ad obbedire in tutte le cose alla vera sposa di Cristo Signore nostro, che è la nostra santa Madre, la Chiesa gerarchica» (Reg. 1). E più innanzi: «Per raggiungere in ogni cosa la verità, dobbiamo tenere sempre fermo, che il bianco che vedo io creda essere nero, se così lo definisca la Chiesa gerarchica: credendo che tra lo sposo, Cristo Signore nostro, e la Chiesa sposa sua vi sia il medesimo spirito che ci governa e regge nelle cose che spettano alla salute dell'anima nostra; perocchè quel medesimo spirito e quel medesimo Signore che diede i dieci comandamenti regge e governa la santa nostra Madre Chiesa» (Reg. 13).
Con queste parole anzitutto viene rimosso e condannato il principio fondamentale del protestantesimo e del razionalismo e di ogni altra setta contraria alla fede, che cioè l'opinione privata ed il sentimento privato ovvero la propria ragione siano l'unica norma valevole nelle cose della fede; per lo contrario viene riconosciuto ed affermato il principio fondamentale del cattolicismo, che in tutto ciò che riguarda la fede decide la sola autorità della Chiesa. In verità noi non crediamo immediatamente alla Chiesa, ma a Dio. Non possiamo credere, se non quel che Dio ha rivelato e perchè Dio lo ha rivelato. Il motivo della nostra fede altro non è che Dio: cioè l'autorità, l'onniscienza, la veracità di un Dio rivelante. Or quel che Dio ha rivelato non sappiamo altrimenti con certezza, se non per mezzo della Chiesa. Essa attinge il contenuto della rivelazione dalla S. Scrittura e dalla Tradizione, che sono le fonti della nostra fede; ma la regola unica immediata della fede è per noi la Chiesa in virtù del suo magistero infallibile. Or questo appunto ci distingue da tutte le sètte, le quali in conseguenza del loro sistema, se Dio pietosamente non intervenga col lume e con la forza della sua grazia, non sono neppur capaci di fare rettamente un atto di fede: prima perchè non possedono l'intero deposito della fede; poi perchè non accettano il fondamento storico della fede; in fine perchè il motivo della loro fede non è l'autorità di Dio, ma il loro proprio modo di vedere.
Ma come credere che il bianco ch'io vedo, sia nero, se la Chiesa così definisce? Non è questo un opprimere l'intelletto umano? Non è una pretensione insopportabile della Chiesa, una scandalosa esagerazione dei suoi diritti?
Dalle stesse parole di S. Ignazio si deduce che la nostra sommessione alla Chiesa in cose di fede deve avere un suo termine proprio, perchè del tutto cieca non può mai essere, particolarmente rispetto ai motivi di credibilità. Noi sappiamo assai bene, per qual ragione diamo alla Chiesa la nostra adesione, quand'essa ci propone a credere alcuna cosa come rivelata da Dio, se pure la nostra fede è retta ed illuminata. È officio proprio della Chiesa di trasmetterci ed annunciarci infallibilmente non solo quel che Dio ha rivelato, ma anche il modo come la verità rivelata dev'essere da noi intesa. Nella Chiesa ci soggettiamo a Dio, anche quando non si giunge a vedere, se la verità rivelata proposta è in se stessa così ovvero altrimenti. E però l'oscurità non riguarda i motivi fondamentali della fede, ma solo la naturale evidenza dell'oggetto rivelato. Or questo è proprio, anzi sostanziale di ogni atto di fede. Non crediamo, perchè vediamo e sappiamo, ma perchè Dio lo dice e ci dà guarentigia della verità del suo detto. L'atto cieco dell'accogliere tocca adunque l'evidenza della cosa rivelata, non il fatto della rivelazione, nè l'autorità della Chiesa che ci presenta con certezza la cosa rivelata.
Inoltre le parole alquanto singolari del Santo sono solamente un modo di dire, quasi a maniera di esempio e di similitudine. Null'altro intendono di fatto, se non di insistere sulla prontezza nostra nelle cose di fede; null'altro in sostanza significano, se non che dobbiamo avere animo grande verso Dio e verso la Chiesa, facendo della nostra sommessione incondizionata il nostro punto di onore. La Chiesa sa molto bene a che si estendano i suoi diritti rispetto le cose della fede, nè quei diritti adopera a caso, ma con riguardo e prudenza: per lo meno finora non ci ha mai imposto cosa alcuna fuor di ragione. Se dunque ci comanda di credere questo o quello, essa è nel suo diritto, e noi nulla possiamo fare di meglio, che ubbidirle.
Del resto nelle parole di S. Ignazio, per quanto a prima vista possano apparire singolari, si nasconde una verità profonda. Il Signore ha concesso l'infallibilità alla Chiesa soltanto, non all'occhio mio, non al mio intelletto, non all'intelletto di qualsivoglia altro mio pari al mondo. Come dunque ardiremo affermare contro Dio e contro la Chiesa, che quanto a noi sembra retto, sia poi retto veramente? Quanti al mondo patiscono d'occhi e non distinguono l'un colore dall'altro! Che possono far di meglio costoro, se non credere a quel che dicono gli altri, sebbene essi veggano il contrario? Similmente avviene dell'intelletto. Quante volte gli occhi dell'intelletto ci hanno ingannato! È verità irrepugnabile, che il motivo, onde noi aderiamo alla verità rivelata, cioè la veracità di Dio e l'impossibilità di un inganno da parte sua, è molto più sodo e sicuro che non qualsivoglia altra cognizione o persuasione naturale; esso ci offre una sicurezza di tal natura, quale non ci può essere data da nessun'altra dimostrazione degli scienziati. Ben pesato ogni cosa, le parole del Santo rimangono nel loro valore e nella loro verità.
Però queste parole non solo richiedono la più ampia prontezza di volontà rispetto alla fede, ma suggeriscono inoltre i migliori e più appropriati motivi a tal fine. S. Ignazio chiama la Chiesa la sposa di Cristo. Ed essa è tale di fatto, e fin che rimane sposa di Cristo e non è da lui ripudiata, non può errare in cose di fede. Ora Cristo non è sposo infedele, ed il primo indispensabile vincolo che lo unisce alla Chiesa, che anzi è il fondamento di tutti gli altri, è la fede vera ed immutabile. Senza ciò la Chiesa non potrebbe essere sposa di Cristo.
Più ancora. Quel medesimo Spirito, Spirito di verità che procede dal Padre e dal Figliuolo [2], che vive ed inabita nel vero e reale corpo di Cristo, vive pure ed inabita nel corpo mistico di lui, la Chiesa. Le fu datoda Cristo e rimane in lei e le insegna ogni verità [3]. Questo Spirito adunque, che al medesimo tempo è in Cristo e nella Chiesa, non può contraddirsi, nè essere nell'uno verità, nell'altra errore. Ciò che la Chiesa insegna, insegna lo Spirito Santo e chi resiste alla Chiesa, resiste allo Spirito Santo, come fu detto degli Ebrei: Voi resistete sempre allo Spirito Santo [4].
Inoltre la Chiesa è madre nostra, madre buona, fedele e santa, la quale vuole seriamente il bene dei suoi figliuoli. Come può dunque sottrarre ai suoi figliuoli l'unico bene che è la verità ed offrir loro, non la verità santificante della fede, ma il pane della bugia? La madre pel suo figliuolo fa le veci del catechista, del parroco, quasi dissi del Papa; ed il bambino le si affida senza riserva e la segue, perchè è persuaso, ch'essa è premurosa per lui, che vuole unicamente il suo bene, e che quanto fa, fa per ordine e disposizione di Dio. Come dunque il Signore, verità e bontà eterna, può permettere, che il fedele sia ingannato nella sua fiducia e dalla sua stessa madre sia spinto all'errore e perda il bene di quella fede che sola può salvare?
Finalmente la Chiesa nostra è la Chiesa gerarchica, come S. Ignazio si esprime, e questo è un nuovo motivo che ci spinge alla sommessione verso lei ed alla prontezza di volontà nelle cose della fede. La nostra Chiesa non è, come le sètte, un composto d'individui pari nel diritto, senza consecrazione, senza missione; non è una mostra permanente di mode religiose sempre cangianti e di novità sempre diverse: non è una babele in confusione e rovina, dove l'uno non intende più l'altro. La nostra Chiesa è un organismo mirabile, potente e vario insieme, di poteri istituiti da Dio; la sua origine va fino a Cristo, e le sue doti divine dell'unità, dell'infallibilità, dell'immutabilità, della perennità empiono di riverenza ogni spirito serio e riflessivo e lo determinano alla sommessione della fede. Tutto questo è racchiuso in quelle parole tanto semplici e tanto dolci di S. Ignazio che la nostra Chiesa è la Chiesa gerarchica.
Ora il primo e più importante dovere del cattolicismo è credere. La fede è la prima cosa che Iddio domanda dall'uomo [5], è il primo passo dell'uomo verso Dio, e Dio non permette regresso. La fede è la radice della giustificazione, il principio e la fonte di tutta la vita spirituale, il fondamento indispensabile di ogni virtù, perfino della speranza e della carità [6]; dalla fede sgorga tutta la vita soprannaturale [7]. Dobbiamo dunque stimare la fede sopra ogni altra cosa. Nell'esercizio della fede dobbiamo mettere la gioia nostra, perchè la fede torna di tanto onore a Dio; perchè Dio tanto la raccomanda e la ricompensa; perchè essa è il più santo bisogno e il massimo bene dell'anima nostra; perchè innalza il nostro intelletto, lo estende e lo introduce in un mondo di verità, delle quali naturalmente non abbiamo sentore alcuno; perchè infine corrobora il tesoro delle nostre cognizioni naturali e le conferma con nuova guarentigia e con maggior sicurezza. Dobbiamo dunque credere volentieri e con allegrezza d'animo e non punto ammettere il principio di credere il meno che torni possibile. Non dobbiamo contentarci di accettare esplicitamente soltanto le verità definite; il così fare andrebbe contro l'insegnamento del Concilio Vaticano [8]. Dobbiamo accogliere le verità di fede nel complesso di quelle presupposizioni o conseguenze, che necessariamente vi sono congiunte. E come si pratica in ogni altra virtù, così pure nella fede, e massimamente nella fede, dobbiamo procedere con generosità. E perchè no? Forse perchè siamo uomini istruiti? Ma la fede del dotto e dell'ignorante non è sostanzialmente diversa. I professori e gli scienziati non hanno particolari privilegi rispetto alla fede. Per lo contrario in forza dei loro studii e della loro maggiore penetrazione in cose di scienza dovrebbero credere più alacremente di ogni altro, e non già sentirsi quasi impacciati da non si sa qual peso, appena la Chiesa in materia di fede fa loro qualche ingiunzione. Perchè tanta prudenza, tanta riservatezza, tanti dubbii rispetto alla Chiesa ed a Dio, mentre siamo sì facili a prestar fede agli uomini? Si chiede consiglio a profeti, ai quali Dio non ha parlato, e si trasanda la Madre in Israello [9], mentre pure essa sola dev'essere consultata su tutto ciò che appartiene alla fede.
Da professori increduli, da scribacchiatori di romanzi e di articoli da giornale, da avventurieri delle scienze naturali ci lasciamo imporre ogni sorta di enormità e viviamo contenti; ma la Chiesa infallibile bisogna proprio toccarla, palparla, maneggiarla con le dita, e come si fa delle monete, bisogna voltare e rivoltare l'articolo di fede due e tre volte ed esaminarlo col microscopio e metterlo perfino nel crogiuolo, nel dubbio non forse sia moneta falsa. È il giudizio toccato ai Giudei. Essi sprezzavano il vero Messia: ai falsi Messia correvano dietro. E furono tratti in errore e spinti a rovina.
2. Hanno relazione con la fede eziandio quelle regole, nelle quali S. Ignazio raccomanda in via ordinaria di non parlare senza riflessione e prudenza della predestinazione alla vita eterna e della potenza della fede e della grazia in modo da indurre questo pericolo, che cioè ne soffra la persuasione della realtà e necessità del libero arbitrio e della cooperazione alla grazia e s'indebolisca lo zelo per le opere buone, a Dio gradite (Reg. 14-18). Si tratta evidentemente di avvisi, assai opportuni nei tempi andati contro le dottrine di Lutero, di Calvino e poi di Giansenio. Certo è che la determinazione e la preparazione della volontà alla grazia non sono argomenti da trattarsi innanzi ad ogni sorta di uditori, a cagione del pericolo di dar negli equivoci e di recar danno allo spirito.
Del resto tali questioni hanno oggi perduto in parte la loro viva attualità. I tempi nostri, troppo leggeri di solito, non si rompono il capo per le cose eterne e per la predeterminazione alla salute. Per quel che riguarda l'esagerazione intempestiva in cose di fede, quasi la fede bastasse da sola alla salute, che, com'è noto era uno dei principii fondamentali del vecchio luteranesimo, i protestanti hanno del tutto cambiato posizione. Oggi essi affermano: Poco importa la fede, purchè si conduca vita onesta; su per giù quello stesso che in altri tempi si gittava da loro in faccia ai cattolici. Essi non vogliono più professioni di fede: e se oramai è caduta la stupida dottrina che la sola fede basta per la salute, senza le opere, chi la metterà di nuovo in onore?
Ed il medesimo si dica delle dottrine esagerate intorno la grazia stessa. Come la fede non può stare senza le opere, così la grazia non esclude punto la libera cooperazione della volontà umana. La grazia ci è necessaria ad ogni opera buona, appunto perchè siam noi messi in grado di determinarvici. Un istrumento cieco e privo di volontà non ha davvero bisogno di grazia alcuna.
Certo è per ultimo che nessuno si salva, se non è predestinato da Dio; ma non è meno certo, che nessuno è predestinato da Dio, senza la sua cooperazione alla salute, in quella misura che gli è possibile.
Con tutto questo S. Ignazio ci vuol mettere innanzi una massima fondamentale per la vita pratica cattolica: ed è che in tutte le circostanze nostre, siano personali o private o pubbliche, non ci restringiamo a gemere, a lamentarci, a fantasticare, aspettando miracoli dal cielo e rimanendoci in tanto con le mani in mano. L'uomo ha attività sua propria. È da confidare in Dio, come se tutto dipendesse da lui: ma insieme è da lavorare così, come se tutto dipendesse da noi soli. Confidenza in Dio, alacrità, energia e costanza –– ecco l'uomo cattolico!
3. S. Ignazio conchiude le sue regole intorno la fede con una osservazione sul modo onde suole la Chiesa insegnare e difendere la fede cattolica (Reg. 11). Due sono i metodi del suo insegnamento: il cosiddettopositivo e lo scolastico. Il primo, il positivo è usato particolarmente dai Padri e dottori ecclesiastici dei primi secoli. Esso non tanto si occupa sistematicamente nel consolidare e difendere la fede, sì piuttosto nell'applicarla alla vita pratica del cristiano, a lode ed onore di Dio e ad edificazione dei fedeli, studiandosi di mettere in rilievo la praticità, la bellezza, l'elevatezza e la consolazione della nostra religione.
Il secondo metodo, lo scolastico, usato più tardi dai dottori e scrittori ecclesiastici, consiste nel precisare e definire il concetto ed il senso dei dommi, nel dichiararli e nell'accostarli il meglio che torni possibile all'intelligenza umana per mezzo di una illustrazione razionale; come pure nel ridurre i risultati ottenuti ad un sistema logico insieme e compatto. Il nobile fine della scolastica è di accostare insieme i due ordini della natura e della grazia, della fede e della scienza, e di dimostrare come non solo non si contraddicono mai l'un l'altro, ma per contrario si illustrano e si compiono a vicenda, innalzando la dottrina cattolica ad un grandioso, solenne e sistematico concetto della dottrina rivelata. In altri termini, la scolastica vuoi far cristiano l'uomo fin dal suo primo fondamento che è la natura.
Se vogliamo pensare e giudicare cattolicamente, dobbiamo con la Chiesa approvare ambedue questi metodi e ritenerli per buoni ed acconci al loro intento. Il metodo positivo non incontra così grandi difficoltà, come lo scolastico. Or riguardo a questo secondo metodo dice S. Ignazio, che non si può ammettere, che lo Spirito Santo, il quale sempre assiste alla Chiesa e la regge, le venga mai meno; ma anzi è da tener per fermo che la guidi col suo lume e la provveda di sempre nuovi mezzi a seconda dei bisogni dei tempi ed in aiuto di quel progresso, che le ha promesso [10]. Ed in vero la Chiesa deve in particolare ai dottori scolastici quel grandioso edificio delle verità, che ora ci sta innanzi. Essi hanno a loro disposizione, non solo la S. Scrittura e le opere dei SS. Padri, ma anche le decisioni dei Concilii e del diritto canonico e la ricca esperienza, che la Chiesa andò facendo nel corso dei secoli, particolarmente nella lotta contro le eresie, a fine di definire con sempre maggiore chiarezza e precisione le verità della fede, mostrarne maggiormente la convenienza con la ragione e difenderle con forza maggiore contro gli assalti. E questa è pure la ragione, per la quale specialmente gli eretici ed i nemici della Chiesa hanno sempre manifestato un odio istintivo contro questo metodo d'insegnamento. Innanzi la scolastica non reggono nè le incertezze, nè le esagerazioni, nè i sistemi personali, nè lo sragionare senza costrutto e senza logica; neppure vi regge la sola erudizione. Tutti gli eretici si studiarono di provare le loro opinioni coi soli testi dei Padri e della S. Scrittura, perchè così più facilmente stimavano di potersi trarre d'impaccio.
Per tale motivo Leone XIII dichiarò S. Tommaso patrono della filosofia ecclesiastica e della teologia, sanzionando con questo il metodo scolastico. E già prima di Leone, era stata condannata la sentenza, che il metodo ed i principii degli scolastici non fossero più appropriati ai bisogni dei tempi ed al progresso della scienza [11]. Eppure nessun altro metodo quanto lo scolastico risponde ai bisogni dell'uomo, dimostrando la fede come naturalmente possibile e conforme alla ragione ed alla scienza ed offrendo ad ognuno il mezzo di formarsi col proprio ragionamento un tal concetto del mondo, che sia fondato ad un tempo e sulla natura e sulla fede. Come il metodo scolastico risponda allo spirito umano ed entri spontaneo nella sua natura, ne è prova che il mondo vi ritorna sempre. Già due volte questo ritorno alla scolastica ha fatto indietreggiare il mondo scientifico dai suoi errori, nel secolo XVI ed ai nostri giorni. Non giova punto il gridare che la scolastica è un'eredità del monachismo del medio evo. Anche essa non ha dubbio, come tutte le cose quaggiù, ebbe i suoi giorni oscuri ed uscì fuori di strada. Ma questa è cosa secondaria. Si tratta soltanto del sistema e del metodo. Un metodo che si fa innanzi con principii solidi ed accertati, con disciplina di studio già da lungo provata, col debito conto di ciò che è antico e tradizionale, che tutti i rami della scienza mantiene subordinati fra loro e subordinati alla prima verità, è da considerare come un beneficio speciale del cielo in un tempo, quando sono in voga i metodi d'insegnamento più corruttori e si rigettano tutti i principii direttivi fondamentali, quando si sta paghi della semplice affermazione del fatto, senza vagliarlo e provarlo alla stregua della filosofia, quando senza alcun principio direttivo e di proprio capriccio si determina in antecedenza la conclusione, si proclama la libertà assoluta della coscienza, l'autonomia della ragione, la piena libertà delle dottrine da insegnare e da imparare e si lascia aperto il campo a tutti i seminatori del dubbio. Di fronte a questa triste condizione di cose non vi ha altro di meglio, se non affidarsi all'antico e provato metodo d'insegnamento ed adoperarsi in ogni miglior modo, perchè esso sia conservato e rimesso in onore.
Così, secondo S. Ignazio, deve pensare e giudicare il cattolico in cose di fede. Come si vede, il Santo abbraccia la questione in modo fermo, profondo e pratico. Egli considera il cristianesimo nella Chiesa cattolica e la Chiesa cattolica nel Papa. Egli chiama la Chiesa col suo termine prediletto la Chiesa gerarchica, cioè la Chiesa organata da Dio, che si svolge con potenza divina e che monta su fino alla vetta sua propria. Questa vetta è il capo della Chiesa il Pontefice romano. Dobbiamo a lui quella stessa prontezza ed alacrità di volere in cose di fede, onde siamo obbligati verso la Chiesa. Con questo S. Ignazio condanna tutto ciò che è setta ed ogni soggettivismo. La nostra condotta rispetto alla fede è esattamente la condotta nostra rispetto al Papa. L'attaccamento pieno ed intero al Papa in cose di fede è la pietra di paragone della sincerità della nostra fede e del nostro sentire cristiano. I molti bei discorsi intorno al cristianesimo e alla Chiesa, perfino le più splendide dissertazioni intorno a Nostro Signore Gesù Cristo a nulla approdano. Tutto si riduce al Papa. Il Papa è il governo visibile della Chiesa; il Papa è il Vicario di Cristo qui sulla terra. Niuno in cose di fede ha contatto quaggiù immediato con Dio, e noi intanto siamo credenti, cristiani e cattolici, in quanto in cose di fede pensiamo e parliamo col Papa.
LE REGOLE DEL CATTOLICISMO SCHIETTO: |
Parte I: Principii fondamentali riguardanti la fede. |
Parte II: Esercizio pratico della vita cristiana. |
NOTE:
[1] Abbiamo chiesto al R. P. Maurizio Meschler S. I. di stendere pel nostro periodico un particolare commento delle Regole di S. Ignazio ad sentiendum cum Ecclesia e ci onoriamo di pubblicarne la traduzione, fatta da noi sul manoscritto originale tedesco. La singolare competenza del ch. Autore nello studio degli Esercizii di S. Ignazio e la sua conosciuta valentia nel trattare argomenti di ascetica in modo ai nostri tempi appropriato renderanno, senza dubbio, doppiamente pregevole questa pubblicazione. N. d. D.
[R. P. Moritz Meschler S.J., n. 16.9.1830 Brig Kanton Wallis, † 2.12.1912 Exaten (Olanda). N.d.R.]
[2] Giov. XV, 26.
[3] Giov. XIV, 16, 17, 26.
[8] Constit. de Fide Cath. «Quoniam vero satis non est, haereticam pravitatem devitare, nisi ii quoque errores diligenter fugiantur, qui ad illam plus minusve accedunt; omnes officii monemus, servandi etiam Constitutiones et Decreta, quibus pravae eiusmodi opiniones, quae isthic diserte non enumerantur, ab hac Sancta Sede proscriptae et prohibitae sunt.»
[Traduz.: «Giacchè non basta evitare l'eretica pravità, se non si fuggano ancora diligentemente quegli errori che ad essa piu o meno si accostano, ammoniamo tutti del dovere di osservare altresì le Costituzioni e i Decreti, coi quali le prave opinioni di questo genere, che qui esplicitamente non sono enumerate, furono gia proscritte e proibite da questa Santa Sede.» Traduzione tratta da La Civiltà Cattolica anno XLIII vol. I della serie XV, Roma 1892, pag. 169 (D.S. 3045.) N.d.R.]
[10] Giov. XVI, 13.
[11] Syllabus 13: «Methodus et principia, quibus antiqui Doctores scholastici Theologiam excoluerunt, temporum nostrorum necessitatibus scientiarumque progressui minime congruunt.»
[Traduz. it: «Sillabo XIII. Il metodo e i principii, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia, non si confanno alle necessità de’ nostri tempi e al progresso delle scienze.» Proposizione condannata da Papa Pio IX. N.d.R.]