Dio o vento Creatore?
2012-09-20 L’Osservatore Romano
Ripensare alla monumentale Resurrezione della Sala delle Udienze papali in Vaticano, cui Pericle Fazzini lavora intensamente negli anni Settanta del secolo scorso, presuppone un affascinante quanto difficile viaggio alla ricerca di quei significativi indizi che possano aver condotto all’“inevitabilità” di tale straordinaria realizzazione. La cronaca dei fatti può dirsi superflua, per quanto popolare. L’artista stesso ha voluto rendere noto in una lunga pagina autobiografica quale impegno fisico e morale sia costata questa speciale commissione, di certo la più importante di tutta la sua vita.
Ma per cercare di comprendere appieno il senso ultimo che Fazzini, al tramonto dei suoi giorni, può aver attribuito al capolavoro della Sala Nervi, luogo-simbolo della religiosità contemporanea, è necessario tornare indietro nel tempo, nella traiettoria a ritroso della sua produzione di carattere sacro e non; rileggere fra le righe scritte dei suoi diari, buttate giù in fretta o dopo lenta meditazione, in quei momenti di malinconia e solitudine nei quali non di rado si ritirava; saper ascoltare gli “inni alla gioia” e i motivi di un intimo requiem, modulati con pari frequenza dall’artista, nell’assistere agli accadimenti storici, così densi, che correvano paralleli al consumarsi della sua esistenza.
Il risultato di tale ricognizione non potrà deluderci, sul piano umano come dell’arte. Tutto ha inizio negli anni Trenta, con l’esordio del giovane giunto dall’adriatica Grottammare nella capitale, dove, tra amicizie e inimicizie, si inserisce rapidamente nel vivace ed eterogeneo circuito della Scuola Romana. Sono anni in cui si assiste a un ripensamento nello specifico e circoscritto ambito dell’arte sacra, che aveva sofferto, con l’affermarsi dei movimenti d’avanguardia, di una clamorosa e per alcuni versi insanabile frattura tra Chiesa e artisti.
Nella sua Autopresentazione, redatta in occasione della xxi Biennale di Venezia, Fazzini confessa che, ancora adolescente, aveva conosciuto una profonda crisi spirituale. L’anelito religioso che lo anima è presto affiancato dall’impaziente volontà di definire uno stile proprio, con riferimenti culturali che spaziano nella tradizione e nella modernità. Risulta evidente, dalle sue brevi dichiarazioni, come i termini “arte e religione” siano comunicanti e confluenti, pur nei loro rispettivi alvei, in un unico sentimento di fede: «per noi giovani ogni statua è una preghiera». La liberazione dalla materia come conquista di una armonia superiore, l’immagine del corpo “formato dall’aria”, sorretto da un moto di ascensione verso sfere non terrene, è avvertita da Fazzini come missione suprema dell’artista già in questa prima fase: «ho la possibilità di creare e far vedere ai miei fratelli quello che anche loro sentono. Io sono la voce di loro parole, le assommo e le porto a Dio. Sono la voce delle voci».
Al 1965 risalgono i primi contatti tra Fazzini e il governatore del Vaticano, il conte Galeassi, per l’esecuzione di una grande statua da sistemare nell’erigenda Sala delle Udienze papali progettata da Pierluigi Nervi: ha inizio una lunga trattativa, che si protrarrà per molti anni, prima di giungere alla solenne inaugurazione dell’opera, il 28 settembre 1977. Quando, nel giugno del 1973, viene inaugurata la Sezione di arte sacra contemporanea dei Musei Vaticani, Fazzini è finalmente alle prese con La Resurrezione.
Nell’estate del 1975 il bozzetto è pronto; a distanza di un mese Fazzini è colpito da trombosi, imputabile alle esalazioni tossiche da combustione plastica cui per mesi si è sottoposto, ma, tornato in piedi, segue le fasi ulteriori della lavorazione: la scultura di polistirolo viene tagliata in sezioni e raggiunge la fonderia per le relative fusioni, eseguite con una miscela di bronzo e ottone (sono necessari ottocento quintali di metallo). L’artista, infine, controlla anche le successive operazioni di saldatura dei pezzi. Quel che conta, ormai, è aver portato a termine l’impresa. La parabola di Fazzini si chiude il 4 dicembre del 1987. La sua incrollabile fede in Dio e nell’arte lo ha accompagnato fino all’ultimo pensiero.
Chiara Barbato