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La dialettica della Messa - Verso una sintesi?



Radio Cristiandad 

La dialettica della Messa

Verso una sintesi?

Del Padre Juan Carlos Ceriani

Un po' di storia

Dopo l'attuazione di accorte riforme preparatorie, nell'aprile 1969 fu pubblicato un Novus Ordo Missae. Da allora, due Messe dividono tragicamente i cattolici.
Dal 2007 Benedetto XVI, col Motu proprio Summorum Pontificum, ha dato l'impressione di voler preparare ufficialmente una "terza messa", cioè la sintesi tra la Messa Romana e il frutto della riforma protestantizzante di Paolo VI.  
Come si è giunti qui?
Paolo VI voleva, in modo esplicito e di fatto, sostituire l'Ordo tradizionale  con il nuovo dis-Ordo, fare in modo che il Novus Ordo Missae di fatto prendesse il posto dell'antico.
Ma, di diritto, Paolo VI non ha mai abrogato la Messa Romana, e neanche l'ha proibita.
Contrariamente a quanto molti volevano far credere ed a quel che molti credono, la Messa romana era rimasta, da un punto di vista strettamente giuridico e canonico, la Messa ufficiale ed unica del Rito Latino Romano della Chiesa cattolica.
Il Messale Romano non era stato abrogato.
Fino al 7 di luglio del 2007 era chiaro, per coloro che avessero voluto rendersene conto, che ogni sacerdote aveva il dovere (e pertanto il diritto) di dire la Santa Messa conformemente a questo Messale.
Ma di fatto, dal 1969, i sacerdoti che desideravano mantenere la Messa Romana sono stati brutalmente perseguitati dai sostenitori della Nuova Messa.
Pertanto, il mantenimento del Messale Romano ha dovuto esser effettuato con una evidente e crescente disobbedienza: fondazione di seminari e di priorati, occupazione di chiese, costruzione di centri di Messa, ordinazioni sacerdotali, consacrazioni episcopali ...
Fu allora, ed unicamente per ostacolare e riassorbire questa legittima reazione, che il Vaticano si interessò alla Messa Romana
Le misure adottate dalla Roma modernista ed anticristo tendevano in realtà a soffocare ed eliminare il Messale Romano, e non a conservarlo e diffonderlo.
Nel mese di ottobre 1984, Giovanni Paolo II firmò un primo indulto con il quale autorizzava i vescovi a concedere, a determinate condizioni, la Messa Romana.
Di fatto fu un atto di soffocamento e di oppressione, perché la Messa Romana non era mai stata abrogata e quindi le condizioni imposte per consentirla non erano necessarie.
Accettare queste condizioni era come riconoscere l'abrogazione del Messale Romano.
Inoltre, questi requisiti mostravano il loro veleno, perché l'indulto poteva essere concesso solo a coloro che non avevano nulla in comune (nullam partem) con i cattolici che mettono in dubbio la correttezza dottrinale e canonica della Nuova Messa.
In questo modo li si privava di qualsiasi argomento qualora si fosse deciso di ritirare quell'autorizzazione grossolana e insultante che era l'indulto.
La manovra fu così evidente e la trappola così poco dissimulata che pochissimi si lasciarono acchiappare.
Nel luglio 1988, a causa delle consacrazioni episcopali eseguite da Mons. Marcel Lefebvre e Mons. de Castro Mayer, l'operazione venne tentata di nuovo.
Sulla carta, le condizioni erano le stesse del 1984: non si dichiarava la Messa Romana obbligatoria, nemmeno la si permetteva universalmente, ma solo per alcuni gruppi di fedeli e ad alcuni sacerdoti.
Inoltre, sia gli uni come pure gli altri eranocostretti ad accettare la nuova messa protestantizzante.
Nel Motu proprio di Benedetto XVI, del luglio 2007, ritroviamo ancora una volta lo stesso disprezzo per la Messa Romana ... Ma questo disprezzo è stato in grado di adattarsi alle circostanze ed ha saputo accettare, con sagacia sibillina, la realtà della difesa del Messale Romano e del rifiuto del nuovo Messale.
In questa prospettiva si cerca di distorcere questa difesa e questo rifiuto mentre contemporaneamente si offrono dei compromessi.
Ma l'obiettivo è sempre lo stesso: eliminare il Messale Romano.
Che ce ne accorgiamo o no, che ci piaccia o no, che lo accettiamo o no, il fatto è innegabile: la Messa Romana e il Novus Ordo Missae sono inconciliabili, l'una esclude l'altro e viceversa. Se si adotta l'una, ciò porta necessariamente al rifiuto dell'altro.
Dobbiamo esserne convinti: l'unica ragione di esistere per la messa bastarda di Paolo VI è la soppressione della Messa Romana.
Pertanto, non esistono due riti uno di fronte all'altro, il conflitto è evidente: c'è solo il Rito Romano di fronte alla propria distruzione ...
I due indulti del 1984 e del 1988, veri e propri insulti alla Messa Romana, costituiscono semplicemente due fasi di questa distruzione.
Alcuni sacerdoti e laici illusi caddero nella trappola di questi passaggi intermedi ... necessari al processo rivoluzionario.
Comunque, una cosa è certa: ciò che stava bloccando il funzionamento della macchina rivoluzionaria era il gruppo di irriducibili che mantenevano la difesa della Messa Romana ed il rifiuto di quella bastarda senza accettare compromessi.
La priorità dei rivoluzionari, l'abolizione della Messa romana, li ha portati a stabilire una pausa, a riavvolgere la bobina e perfino a fare concessioni maggiori... tutto il necessario per rimuovere il granellino di sabbia che impedisce all'ingranaggio di fare il suo funesto lavoro.

La dialettica ratzingeriana

Tutte le rivoluzioni avanzano allo stesso modo: la posizione tradizionale è denominata tesi, alla quale si oppone ciò che si chiama l'antitesi, la quale intimorisce per il suo carattere radicale.
In seguito si propone ai reazionari conservatori un accordo, una conciliazione, la cosiddetta sintesi...
Questa sintesi, una volta accettata dai conservatori illusi, si trasforma rapidamente in una nuova tesi, che a sua volta deve affrontare un'altra antitesi ..., ecc ... E la Rivoluzione continua ad avanzare.
Comprendere  questo percorso a tappe, queste pause che la Rivoluzione è obbligata a fare per digerire la preda, significa comprendere il ritorno apparente all'ordine ..., significa capire quanto sia chimerica ed ingannevole la luce di speranza, la piccola onda, la restaurazione già iniziata...
Alla Rivoluzione è necessaria la successione di anarchia e riorganizzazione; la riorganizzazione è indispensabile per il suo obiettivo, come il Codice di Napoleone, apparentemente conservatore, servì a legittimare i risultati ottenuti nel 1789.
Questo processo dialettico può realizzarsi lentamente se necessario, l'unica cosa che conta è che si muova nella direzione opportuna.
La Rivoluzione conciliare permetterà, se necessario anche per lungo tempo, che i sacerdoti celebrino la Messa Romana, perché l'essenziale è che accettino un rito ambiguo. Il resto verrà più tardi. Tutte le concessioni sono possibili purché si raggiunga tale obiettivo; e se fosse necessario procedere per tappe per raggiungerlo, così sarà fatto.
Mentre la Rivoluzione regna nella Liturgia e nella Chiesa, soltanto il Rito Romano rimane il riferimento assoluto, e qualunque riconoscimento del rito illegittimo è un compromesso ed in quanto tale un aiuto dato ai distruttori.
Alla luce di queste considerazioni possiamo giudicare il Motu proprio di Benedetto XVI.

La funzione del Motu proprio

La formula secondo la quale la Messa Romana non è mai stata abrogata in quanto forma extraordinaria della liturgia del Rito Romano è una delle idee più intelligenti per armonizzare la Messa Romana con la dottrina modernista.
La realtà è che, se voleva legittimare la messa bastarda, Benedetto XVI non poteva continuare a dire che la Messa romana era stata abolita.
Pertanto, era necessario risolvere il problema con intelligenza, facendo credere che la nuova Messa sia la continuazione e l'espressione legittima della Liturgia del Rito romano.
Era assolutamente necessario dire che il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l'espressione ordinaria della "Lex orandi" della Chiesa cattolica di rito latino.
Inoltre, nella sua ansia di sintesi dialettica, non era possibile che Benedetto XVI lasciasse trasparire il minimo sospetto di rottura o scisma liturgico.
Era inevitabile che dicesse:
Il Messale Romano promulgato da S. Pio V e ripubblicato dal beato Giovanni XXIII deve essere considerato come espressione straordinaria della stessa "Lex orandi" e godere del rispetto dovuto a causa del suo uso venerabile e antico.
Era necessario affermare che queste due espressioni della "lex orandi" della Chiesa non provocano alcuna divisione della "lex credendi" della Chiesa, sono di fatto due espressioni dell'unico rito romano.
Di conseguenza, emerge chiaramente ciò che costituisce la vera ragione della dichiarazione di non abrogazione della Messa Romana in quanto forma extraordinaria della Liturgia della Chiesa: è il famoso "un passo indietro, due passi avanti".
Sarebbe ridicolo pensare che il cambiamento di posizione sul campo di battaglia sia dovuto ad un inizio di restaurazione ... E' una strategia per avvicinarsi alla Tradizione, sì ... ma per cercare di circondarla e distruggerla ...
Non si tratta di una restaurazione, ma è tutto il contrario: è consolidare e legittimare la nuova messa e il Concilio Vaticano II, senza fratture tragiche o drammatiche, far credere che si tratta di una evoluzione soave ed assicurarsi che entrambi siano universalmente riconosciuti, accettati e ammessi in modo pacifico.
Coloro che cercano di dimostrare che il Concilio Vaticano II non è uno scisma dottrinale, allo stesso modo vogliono dimostrare che la Nuova Messa non è uno scisma liturgico, ma piuttosto che entrambi sono il risultato di uno sviluppo vitale, che deve essere assunto e accettato.
Per capire la strategia di Benedetto XVI nel suo Motu Proprio, bisogna fare riferimento al discorso pronunciato alla Curia Romana il 22 dicembre 2005.
Leggendolo con attenzione, appare chiaro che Benedetto XVI cerca di farci credere che tra la Dottrina Infallibile della Chiesa e la nuova dottrina conciliare non vi è alcuna discontinuità. In breve, ci dice che Lex credendi odierna e innovativa è uguale a quella tradizionale e perenne.
Ora, noi sappiamo assai bene che la Lex orandi è l'espressione liturgica della Lex credendi.
Pertanto, dopo aver risolto nel 2005 la questione della Lex credendi, è stato necessario dissotterrare la questione della Lex orandi.
Questo è stato il compito del Motu proprio del 2007.
Alcune persone, chierici e laici, hanno creduto che la battaglia per la Messa fosse stata vinta, e che ora si doveva dare battaglia per la dottrina.
Ma, tutto sommato, quello che emerge chiaramente è che per Benedetto XVI il capitolo è chiuso... Non si tratta di un inizio ma della fine del dibattito: la nuova dottrina conciliare e la Dottrina Tradizionale sono la stessa cosa, ed analogamente, la nuova liturgia conciliare è coerente con l'antica Liturgia Romana.

L'articolo 1 del Motu proprio

Anche se è superfluo, dobbiamo analizzare in dettaglio questo articolo 1, che inizia come segue:
Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della "Lex orandi" della Chiesa cattolica di rito latino.
Il Messale Romano promulgato da S. Pio V e ripubblicato dal beato Giovanni XXIII deve essere considerato come espressione straordinaria della stessa "Lex orandi" e godere del rispetto dovuto al suo uso venerabile e antico.
Queste due espressioni della "lex orandi" della Chiesa non comportano alcuna divisione della "lex credendi" della Chiesa; sono di fatto due usi dell'unico rito romano.
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma extraordinaria della Liturgia della Chiesa.
Il Rito Romano della Santa Messa non ha mai perso il proprio diritto.
Se si riconosce il Motu proprio del 7 luglio 2007, è necessario accettare che il Rito Romano ha perduto, de jure, il suo status di unica forma ordinaria e ufficiale.
La Roma anticristo e modernista, per mezzo del Motu proprio, ha umiliato il Rito Romano della Santa Messa cercando di relegarlo al rango di "forma extraordinaria" unendolo al " rito bastardo", che sarebbe la "forma ordinaria" dell'unico Rito Romano.
Se si riconosce il Motu proprio del 7 luglio 2007, è necessario accettare che il Messale Romano non sia più l'espressione ordinaria, e che, pertanto, almeno implicitamente, dovrebbe essere considerato abrogato in quanto espressione ordinaria della Liturgia Romana della Chiesa.
Dobbiamo evidenziare che il Motu proprio permette una doppia lettura:
a) Pertanto è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgata dal beato Giovanni XXIII nel 1962, e mai abrogata, come forma extraordinaria della Liturgia della Chiesa.
(Proinde licet celebrare Sacrificium Missae iuxta editionem typicam Missalis Romani a B. Ioanne XXIII anno 1962 promulgatam et nunquam abrogatam, uti formam extraordinariam Liturgiae Ecclesiae.)
E questa è una conferma della conclusione precedente: il Messale Romano promulgato da S. Pío V deve essere considerato abrogato in quanto forma ordinaria della Liturgia della Chiesa.
b) Pertanto è lecito celebrare, come forma extraordinaria della Liturgia della Chiesa, il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgata dal beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogata.
(Proinde licet celebrare, uti formam extraordinariam Liturgiae Ecclesiae, Sacrificium Missae iuxta editionem typicam Missalis Romani promulgatam a B. Ioanne XXIII anno 1962, et nunquam abrogatam.)
Ma perché è lecito celebrarla come forma extraordinaria e non come forma ordinaria?
Sappiamo la risposta: perché, come forma ordinaria, è stata abrogata...
Per attenersi alla realtà, coloro che accettano il Motu proprio dovrebbero trarre alcune conclusioni inesorabili, poiché si sa che, poste le premesse, ne seguono le conclusioni.
Il lettore conosce già queste conclusioni, ma se vi fosse qualche dubbio, le riassumo:
La Messa Romana non è stata mai abrogata come forma extraordinaria.
La Messa romana è stata abrogata in quanto forma ordinaria.
E' lecito celebrare la Messa Romana come forma extraordinaria.
E' vietato celebrare la Messa Romana come forma ordinaria.
Pertanto, lo stato di diritto della Messa Romana come Messa ufficiale e ordinaria del Rito Latino Romano della Chiesa, è il seguente:
1) Fino al 1969, la Messa Romana era l'unica Messa ufficiale e ordinaria del Rito Latino Romano della Chiesa.
2) Dal 1969 fino al 7 luglio 2007, nella realtà e nella verità del Diritto, la Messa Romana continuava ad essere l'unica Messa ufficiale e ordinaria del Rito Latino Romano della Chiesa.
3) Secondo il Motu Proprio e la Lettera ai Vescovi del luglio 2007, la Messa Romana non sarebbe più la Messa ufficiale e ordinaria del Rito Latino Romano della Chiesa. Sarebbe la forma extraordinaria...

La Lettera ai Vescovi

Leggiamo ora l'articolo 1 del Motu proprio alla luce della Lettera ai Vescovi:
A) Dice il Motu proprio:
Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della "Lex orandi" della Chiesa cattolica di rito latino.
A') Dice la Lettera ai Vescovi:
E' necessario affermare in primo luogo che il Messale pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due successive edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la Forma normale - la Forma ordinaria - della Liturgia Eucaristica.
B) dice il Motu proprio:
Il Messale Romano promulgato da S. Pio V e ripubblicato dal beato Giovanni XXIII deve essere considerato come espressione extraordinaria della stessa "Lex orandi" e godere del rispetto dovuto al suo uso venerabile e antico.
B ') Dice la Lettera ai Vescovi:
L'ultima redazione del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che fu pubblicata con l'autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio può, tuttavia, essere utilizzata come Forma extraordinaria della Celebrazione liturgica (...) Il nuovo Messale rimarrà, certamente, la Forma ordinaria del Rito Romano, non solo per la normativa giuridica, ma anche per la situazione reale nella quale si trovano le comunità dei fedeli.
C) Dice il Motu proprio:
Queste due espressioni della "lex orandi" della Chiesa non provocano alcuna divisione della "lex credendi" della Chiesa; si tratta di fatto di due usi dell'unico rito romano.
C ') Dice la Lettera ai Vescovi:
Non è appropriato parlare di queste due redazioni del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un duplice uso dello stesso ed unico Rito.
Non c'è alcuna contraddizione tra le due edizioni del Missale Romanum.
Inoltre, le due Forme dell'uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda
D) Dice il Motu proprio:
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgato dal beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogata, come forma extraordinaria della Liturgia della Chiesa.
D') Dice la Lettera ai Vescovi:
Per quanto riguarda l'uso del Messale del 1962, come Forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l'attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, fu sempre permesso.
E) Dice il Motu proprio:
Tuttavia, le condizioni per l'uso di questo Messale stabilite nei precedenti documenti "Quattuor abhinc annis” e “Ecclesia Dei”, saranno sostituite come indicato di seguito.
E') Dice la Lettera ai Vescovi:
Ovviamente, per vivere la piena comunione, i sacerdoti delle Comunità che seguono l'uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi.  In effetti, non sarebbe coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l'esclusione totale dello stesso.

Complicità?

I superiori della Fraternità San Pio X erano consapevoli della distinzione tra forma ordinaria e forma extraordinaria.
Vi sono 6  prove di ciò, che presento in ordine cronologico, anche se, come ho spiegato precedentemente, non ne sono venuto a conoscenza in questo ordine.
DICI n. 94, ottobre 2004. Si riporta il colloquio tra il presidente di Una Voce Internazionale ed il cardinale Castrillon Hoyos.
Il Presidente  riassume la visita: "Il 13 marzo ero a Roma dove ho avuto la possibilità di fare il giro dei dicasteri vaticani.
Ho incontrato Sua Eminenza il cardinale presidente della Commissione Ecclesia Dei. (…) Il Cardinale ci ha accolto molto cordialmente e ci ha dedicato un'ora intera. Ha sottolineato che apprezza l'antico rito che lui stesso ha celebrato dal 1952, data della sua ordinazione, fino al 1965.
Il Cardinale ha respinto l'opinione che considera il rito antico come un rito a parte, come per esempio il rito bizantino o il rito armeno.
"C'è un solo rito romano", ha affermato, "e questo rito romano ha forme diverse".
Così, secondo il suo parere, il rito antico non è un rito proprio, ma l'antico ed il nuovo sono due forme di un solo e medesimo rito."
Cor Unum n. 85, ottobre 2006. Intervento del vescovo Bernard Fellay:
"I preliminari si trasformano in strumenti per avanzare verso questo obiettivo.
Reintrodurre, attribuire tutti i suoi diritti alla Santa Messa e lasciar agire il suo potere di grazia. Si può dire che sia il nostro cavallo di Troia?
(...) E mentre ci viene annunciato l'arrivo di un motu proprio che sostituirà quello del 1988 per dare ancor più libertà alla messa, un diritto eguale alla nuova messa, mentre l'Istituto del Buon Pastore mostra con orgoglio il suo "diritto esclusivo " alla messa antica, il firmatario del decreto di erezione, Mons. Perl, va al Barroux a fustigare i sacerdoti refrattari alla nuova messa e spingerli ad essa ..."
Omelia di Mons. Bernard Fellay per i 30 anni della restituzione della chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, domenica 18 febbraio 2007. DICI del 10 marzo 2007:
"Si dice, e si potrebbe pensare che è così, che Benedetto XVI vuole dare alla Chiesa il culto tradizionale. Nonostante le molte esitazioni, nonostante feroci opposizioni, non ha abbandonato il suo progetto che dovrebbe essere comunicato un giorno nella forma di motu proprio.
Quando sarà? Non sappiamo nulla.
Quali sono le disposizioni che questo testo darà? Non sappiamo nulla.
Secondo quel che ci viene detto, si potrebbe sperare di trovarvi un'eguaglianza di diritto tra la antica e la nuova messa.
Ovviamente non basta. Ma è un primo passo. E probabilmente, umanamente parlando, un passo necessario.
Se questo si farà, non penso che sia necessario sperare in un movimento di massa di ritorno alla messa antica.
È una situazione in primo luogo di diritto ristabilito e che dovrebbe consentire a coloro che lo desiderano nella Chiesa di avere accesso più facilmente a questa messa.
Ma perché possa prevalere contro l'ostruzionismo dei vescovi, sarebbe necessaria un'energia feroce che fino ad ora a Roma non si vede.
D'altra parte, chissà che questa energia non si ritrovi nei beneficiari - nei fedeli, nei sacerdoti - che desiderano questa messa?
Chissà se a poco a poco, riprendendo gusto alla messa antica, i sacerdoti cresceranno di numero, e infine - dopo chissà quanti anni! l'antico rito riuscirà a soppiantare il nuovo e a trovare davvero il suo posto nella Chiesa. Non credo che questo si farà in un giorno. E' necessario diffidare dalle illusioni ".
Benedetto XVI e i tradizionalisti (Padre Grégoire Celier - O. Pichon. Libro pubblicato nel febbraio 2007, pagina 201):
"Secondo autorevoli voci corse negli ultimi mesi, Roma riterrebbe ora che dell'unico rito romano esista una forma ordinaria (la nuova liturgia) e una forma extraordinaria (la liturgia tradizionale), entrambe aventi diritto di cittadinanza".
Intervento del cardinal Castrillon Hoyos, nella V  Assemblea dei Vescovi dell'America Latina, 18 maggio 2007:
"Il Santo Padre pensa che sia giunto il momento di facilitare, come aveva chiesto la prima Commissione di Cardinali nel 1986, l'accesso a questa liturgia, facendone una forma extraordinaria dell'unico rito romano."
Nouvelles de Chrétienté Nº 106 , luglio-agosto 2007:
Domanda: Monsignore, anche se il Motu proprio, che dovrebbe dare una certa libertà per la Messa tridentina, si fa attendere, lei pensa che, alla luce delle recenti dichiarazioni del cardinal Castrillon Hoyos ai vescovi del Sud America, questa libertà corrisponderà a ciò che lei spera come primo preliminare nel quadro delle sue discussioni con Roma?
Risposta: "Se si legge il testo del cardinal Castrillon esso afferma solo, – ma non è poco – un'eguaglianza di riti.
Uno extraordinario, e l'altro, la messa nuova, è considerata il modo ordinario.
In questa distinzione, il modo extraordinario è un po' sminuito, come messo da una parte.
Lo si tira fuori per alcune occasioni, e ci si accanisce a dire: "Non è affatto un tornare indietro, non è mettere in questione la riforma liturgica," si prendono tutte le precauzioni oratorie per disattivare l'argomento secondo cui l'attuale papa sta scartando la nuova messa. "

Rapporto tra Fede e Liturgia

Si parla molto della cosiddetta "liberalizzazione della Messa da parte di Papa Benedetto XVI".
La si presenta anche come indizio di restaurazione nella Chiesa e come primo passo per un ritorno alla fede di molti sacerdoti e laici.
Che pensarne?
Dire o celebrare la Messa Romana non significa per nulla aderire a tutta la Dottrina Tradizionale e rigettare tutti gli errori del concilio Vaticano II e del modernismo.
Pertanto, a partire dal Motu proprio, siamo obbligati a distinguere i sacerdoti a seconda della loro dottrina e non più solo a seconda della Messa che celebrano. Ora la distinzione è più sottile e difficile. Finora bastava sapere che messa celebravano.
D'altra parte, non dobbiamo cadere nella illusione seducente che la Messa romana, di per sé, può fornire al prete e ai laici la sana dottrina.
A riprova di ciò abbiamo gli ortodossi, che non hanno mai cambiato la liturgia per secoli e che, con tutto ciò, permangono al di fuori della Chiesa, scismatici ed eretici.
Sappiamo che durante il Concilio Vaticano II tutti i vescovi celebravano la Messa Romana, ciononostante si infiltrò in questo concilio uno spirito e dei principi in contrasto con la Tradizione della Chiesa.
Più recentemente, gli istituti che hanno beneficiato degli indulti del 1984 e del 1988 e sono entrati nella Commissione Ecclesia Dei, dopo il loro accordo con Roma a poco a poco hanno accettato la correttezza canonica, dottrinale ed anche pratica della nuova messa, così come le nuove dottrine derivanti dal Concilio Vaticano II, celebrando nello stesso tempo, la Messa Romana.
Tutti questi fatti dimostrano che la santità della Messa non è sufficiente a conservare la fede o a recuperarla.
Quale ne è la ragione?
Del rito e delle cerimonie della Messa si può conservare ciò che apportano alla sensibilità religiosa, alle preferenze estetiche per un rito antico, al "desiderio spirituale" e le "giuste aspirazioni" di un'anima assetata di cose belle e sacre.
Ma così non si tien conto né della dottrina né della religione. Tutto ciò che conta è quello che soddisfa alcuni desideri ed aspirazioni religiose. E' il sentimento a guidare, non la fede. Non si vede o non si vuole vedere la relazione esistente tra liturgia e la dottrina.
Si potrebbe obiettare che una buona liturgia è necessariamente vincolata ad una buona dottrina, secondo il proverbio Lex orandi, lex credendi, vale a dire la legge della preghiera è la legge della fede.
La verità è che è la legge della fede che stabilisce quella della preghiera, ma non viceversa se si tenta di deformare la fede per mezzo di una liturgia spuria.
Pio XII lo aveva sottolineato assai bene nella sua enciclica Mediator Dei:
Il diritto inconcusso della gerarchia della Chiesa è corroborato anche dal fatto che la sacra Liturgia è intimamente connessa ai principi dottrinali che sono insegnati dalla Chiesa come punti di verità certa, e dal fatto che essa deve soddisfare ai precetti della fede cattolica decretati dal magistero supremo per garantire l'integrità della religione rivelata da Dio.
A questo proposito, riteniamo di dover mettere nella sua giusta luce ciò che certo non ignorate, venerati Fratelli, vale a dire l'errore di coloro che considerano la liturgia come una sorta di esperienza delle verità che si devono ritenere di fede, di modo che se una dottrina avesse prodotto, per mezzo dei riti liturgici, frutti di pietà e di santità, la Chiesa la approverebbe, e la rifiuterebbe in caso contrario. Da qui procederebbe l'assioma Lex orandi, lex credendi, la regola della preghiera è la regola della fede.
Ma non è questo ciò che insegna, non è questo ciò che prescrive la Chiesa. Il culto dato da essa al Dio santissimo, come dice espressamente sant'Agostino, è una professione continua di fede cattolica ed un esercizio di speranza e di carità.
Nella liturgia sacra noi professiamo la fede cattolica esplicitamente e apertamente, non solo per mezzo della celebrazione dei misteri, della realizzazione del sacrificio, dell'amministrazione dei sacramenti, ma anche recitando o cantando il "Simbolo" della fede, che è come il marchio distintivo dei cristiani, così come nella lettura di altri testi, e soprattutto le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo. Tutta la liturgia, dunque, contiene la fede cattolica, in quanto testimonia pubblicamente la fede della Chiesa.
Questo è il motivo per il quale, ogni volta che si trattò di definire una verità rivelata da Dio, i Sommi Pontefici ed i concili, esplorando le "fonti teologiche, estrassero molti argomenti da questa sacra disciplina, come ad esempio il Nostro Predecessore di immortale memoria Pio IX quando decretò l'Immacolata Concezione della Vergine Maria.
E allo stesso modo la Chiesa ed i santi Padri, quando discutevano di qualche verità dubbia o controversa, non mancavano di chiedere spiegazioni ai riti venerabili trasmessi dall'antichità.
Da ciò deriva l'assioma noto e rispettabile: Legem credendi lex statuat supplicandi, la norma della preghiera stabilisca la norma della fede.
Dunque la liturgia non determina né costituisce assolutamente la fede cattolica per sua propria autorità, ma piuttosto, essendo una professione delle verità celeste soggette al supremo magistero della Chiesa, può fornire argomenti e testimonianze di gran valore per decidere un punto particolare della dottrina cristiana.
Ché se vogliamo distinguere e determinare in modo assoluto e generale le relazioni tra fede e liturgia si può dire giustamente: Lex credendi legem statuat supplicandi, che la norma della fede stabilisca la norma della preghiera.
E si deve parlare allo stesso modo anche quando si tratta delle altre virtù teologali: In… fide, spe, caritate continuato desiderio semper oramus, preghiamo sempre, con ardore continuo, nella fede, nella speranza e nella carità.
Vediamo, anche, da questo testo di Pio XII, che la Liturgia dipende dalla Fede e non viceversa: si può onorare Dio con la Liturgia  se precedentemente si hanno la retta Fede, la vera Speranza e la genuina Carità.
In altre parole, la liturgia e la Messa possono far professare ed accrescere la fede solo di coloro che questa fede già la posseggono.
E' importante ricordare che la Messa non ha la finalità di insegnare. Ciò spetta ai corsi di catechismo ed alle prediche.
La finalità della Messa è quella di unire al sacrificio di Gesù Cristo coloro che già credono in questo mistero.
E' praticamente impossibile che adempiano ai quattro fini del Sacrificio della Messa, specialmente all'adorazione e alla soddisfazione per i peccati, coloro che, deformati dal Vaticano II, onorano solo il progresso dell'Umanità e non credono più nel peccato e nelle pene dovute a causa del peccato.
D'altra parte, sebbene la Messa faccia conoscere alcune verità di fede, conoscere non è credere. Tutto dipende dalle disposizioni di colui che assiste alla Messa o la celebra.
Se in una mentalità modernista e liberale introduciamo ciò che la Messa romana insegna sulla fede e sulla dottrina, il risultato sarà simile (con la differenza abissale che esiste) a ciò che accadrebbe se mettessimo un buon vino in una bottiglia contenente profumo o nafta.
Ne risulterebbe una pessima mescolanza, che non è altro che il Vaticano II: la relativizzazione di ogni verità.
Mantenendo ognuno il proprio retaggio, i propri valori e la propria sensibilità (per parlare come i modernisti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI in testa), questo profumo o questa nafta relativizzeranno e guasteranno quello di cui la Messa Romana potrebbe arricchirli.

Conclusione

La Messa non è sufficiente per soddisfare alla Fede.
Col biritualismo, il ritorno alla fede?
No, ma piuttosto, per mezzo della vera fede, il ritorno all'unica Messa romana
Se le autorità ufficiali della Chiesa non tornano all'integra professione di fede, senza rotture con la Tradizione, la loro dialettica con il Messale Romano non cesserà di essere una astuzia diabolica.
Per questo motivo, dopo essersi liberato dalla trappola del protocollo ed aver trasmesso l'episcopato con le consacrazioni di giugno 1988, parlando delle possibili relazioni future con Roma, l'arcivescovo Marcel Lefebvre disse:
«Metterei la questione sul piano dottrinale: "Sono d'accordo con tutte le grandi Encicliche di tutti i Papi che li hanno preceduti? Sono d'accordo con la Quanta Cura di Pio IX, Immortale Dei, Libertas di Leone XIII, Pascendi di Pio X, Quas primas di Pio XI , Humani Generis di Pio XII? Sono in piena comunione con questi papi e le loro affermazioni? Accettano anche il giuramento anti-modernista? Sono a favore della Regalità Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo? "
Se non accettano la dottrina dei loro predecessori, è inutile parlare. Finché non abbiano accettato di riformare il Concilio considerando la dottrina di questi Papi che li hanno preceduti, nessun dialogo è possibile. E' inutile. Le posizioni sarebbero quindi più chiare.
Non è una piccolezza che ci oppone.
Non basta sentirsi dire: "Potete dire la Messa antica, ma dovete accettare questo".
No, non è solo questo ciò che ci oppone, è la Dottrina. E' chiaro.»
Credevamo che fosse chiaro...
Ma dal 2000, le acque si intorbidarono...
Più in particolare, dal 7 luglio 2007, le cose sono molto oscure...
E dopo l'accettazione della revoca delle scomuniche, nel gennaio 2009, il futuro è nero.
Ora la Fraternità Sacerdotale San Pio X riconosce apertamente che, mantenendo le relazioni dottrinali con Roma, si discosta dalle parole del fondatore pronunciate dopo le consacrazioni di giugno 1988 (*).
Noi, insieme con Mons. Marcel Lefebvre, vogliamo seguire la Tradizione dottrinale e liturgica: non è una piccolezza che ci oppone.
Non basta sentirsi dire: "Puoi dire la Messa antica, ma bisogna accettare questo".
No, non è solo questo che ci oppone, è la Dottrina.

NOTE:

(*) In effetti, nell'articolo Roma ed Ecône: Domande e Risposte, pubblicata sulla rivista Fideliter n. 189, maggio-giugno 2009, pagine 64-66, che ho analizzato nel settembre 2009, si legge:
Quello in cui la Fraternità si allontana dal suo fondatore è che, laddove Monsignor Lefebvre preconizzava un discussione di tipo dottrinale, vent'anni dopo la Fraternità ha optato per tre fasi, di cui:
la prima è sia disciplinare che liturgica (libertà per la messa),
la seconda disciplinare (decreto del 21 gennaio)
la terza insieme dottrinale e sperimentale (discussioni dottrinali.)

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