Conoscendo la mentalità di falsi profeti del Concilio







CHI È IL CRISTIANO?
"MEDITAZIONI TEOLOGICHE"
I - PICCOLA SCHERMAGLIA D'APERTURA

L'ANGOSCIOSA DOMANDA

I giovani pongono domande. Chi sa dare la risposta? Prima di domandare i giovani si guardano intorno con una diffidenza metodica non ingiustificata. Questi uomini, che si dicono cristiani, su che cosa fondano la loro pretesa? Sull'abitudine, sulla tradizione, su qualcosa che hanno imparato a memoria nell'istruzione giovanile? Ma tutto questo su che cosa si fonda, su che si misura la tradizione, il catechismo, la prassi sacramentale? Sul Vangelo? Ma in esso le cose si presentano molto diversamente. Si deve perciò inserire frammezzo il magistero della Chiesa. E quindi le difficoltà aumentano, perché non si vede più direttamente l'origine, ma si deve guardare per vie indirette, ed incominciano le noiose dispute sulle pretese del clero di conoscere con esattezza l'intenzione del fondatore, di interpretarla rettamente e più ancora di imporre autoritativamente questa interpretazione alle coscienze. Ma poiché tali interpretazioni in qualche modo riflettono sempre - e chi potrebbe trovarvi a ridire? - il loro tempo, per il quale sono anche state fatte, non può non avvenire che, mutato lo spirito dei tempi, le interpretazioni proposte con grande forza perdano di attualità, diventino incolori, schematiche e sovente penose; parecchie cose appaiono come 'ideologie' legate al tempo; un nuovo aggiornamento si rivela inevitabile. Taluni manifestano rumorosa ammirazione per la continua 'forza di ringiovanimento' della Chiesa, altri esprimono un sommesso rammarico che posizioni, ostinatamente difese cosi a lungo, vengano abbandonate, sgombrate, smantellate come fortini senza importanza o come bastioni antiquati. Sorge cosi, ancora più angosciosa, la domanda: dov'è in definitiva la norma? Poiché l'elemento storico scivola via a modo di dune mobili, lo sguardo scrutatore si rivolge alle origini: dov'è il fondamento roccioso, dov'è una risposta in equivocabile alla domanda 'Chi è il cristiano'? E quand'anche essa non tormentasse me personalmente, mio figlio vuoI sapere ed io non posso agire nei suoi confronti come se sapessi, ed ingannare cosi la sua coscienza. Se sono insegnante, abuso della mia autorità se inculco agli allievi cose per cui io stesso non posso porre la mano sul fuoco. Se sono compagno di lavoro o di svago, l'amico ed il nemico che mi sono accanto vogliono sapere ancor di più che non lo scolaro dal maestro e si lasciano tacitare meno facilmente. Se non mi pongo io stesso la domanda, mi costringono a farlo gli altri.

PENOSAMENTE ISOLATO

Il cristiano che è interrogato e che interroga è più che mai isolato. Finora c'era sempre un punto di contatto per il dialogo religioso, sembrava almeno che ci fosse un fondo comune di certezza, e la discussione riguardava solo differenze secondarie. La posizione di Paolo sull'areopago, dopo una passeggiata mattutina attraverso i templi ed i santuari di Atene, ci appare addirittura invidiabile. I suoi interlocutori sono 'religiosissimi', non solo vedono la divinità in azione dovunque nell'universo, ma non hanno alcuna difficoltà a credere con maggior o minor sicurezza ogni specie di rivelazioni particolari e riconoscono il culto, che lo stato decreta loro. Non si tratta più, per cosi dire, che di svelare il 'Dio ignoto' e di provare che la sua manifestazione nella morte e risurrezione di Cristo non ha paragone con gli altri. Certamente in seguito, con Roma, le cose per un momento si fanno più difficili, ma la vittoria è conseguita relativamente presto; e da allora il dialogo religioso, attraverso il medioevo, il rinascimento ed il barocco, l'illuminismo e l'idealismo, fino all'ultimo secolo rimane nella cornice del dialogo dell'areopago. San Tommaso parla con i giudei e i 'pagani' (cioè con l'Islam): presupposto comune è il riconoscimento di principio della divinità nella sua distinzione dal mondo, ed inoltre la personalità di Dio e la sua rivelazione in uno o più profeti storici. Con tali premesse Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, Nicolò Cusano abbozzano il loro dialogo religioso conciliativo, spesso molto condiscendente. Il rinascimento, rifacendosi all'antichità e riflettendo su ulteriori fatti di storia della religione presentatisi a poco a poco alla riflessione, lo continua e vede il cristianesimo come la forma più alta e più bella delle religioni dell'umanità. Infatti, nel confronto, salta agli occhi la preminenza, l'assoluta superiorità della rivelazione di Cristo. L'illuminismo, in linea di principio, la pensa allo stesso modo, anche se l'accento si sposta e le religioni del mondo appaiono ora del tutto sotto il segno della 'disposizione' religiosa dell'uomo in quanto tale. Ma questa disposizione, essendo appunto una delle possibilità o 'facoltà' dell'uomo, viene assoggettata ad una sempre più acuta critica filosofica e poi storico-scientifica: se l'uomo 'può' essere religioso, può egli stesso costruir si il suo dio, e si può dimostrare come le immagini di Dio corrispondono ai suoi mutevoli bisogni e stadi culturali e quindi anche che egli, divenuto maturo, può essere indotto a pensare di fabbricarsi personalmente i propri ideali, per soddisfare il suo bisogno di amore e di adorazione, il suo sentimento di giustizia, la sua volontà di sopravvivere felice dopo la morte. Ma un simile assortimento di pupazzi non converrebbe più all'uomo maturo, e di fatto si può benissimo farne anche a meno. L'uomo, una volta lasciato a se stesso, pare che vada avanti persino più rapidamente e consapevolmente. Oggi non c'è più una persona ragionevole che preghi; l'era della contemplazione è passata, ora c'è l'azione: l'uomo non assume soltanto l'amministrazione del suo mondo, ma anche di se stesso, e fa di sé ciò che vuole. E tu, cristiano, esiti ad inserirti nel nuovo ritmo dell'umanità che dispone di se stessa? Ma allora hai preso in anticipo una decisione contro la logica della storia del mondo; non soltanto cadi sotto le ruote, ma queste già ti sopravanzano. Prima, nell'antichità, tutto - sia nei filosofi pagani che nei cristiani - ruotava attorno alla 'conversione' (rivolgimento, epistrophé) dal mondo a Dio. Oggi si esige che tutti, anche tu che così a lungo, troppo a lungo, hai guardato in direzione di Dio, girino in senso radicalmente inverso: conversione al mondo. (1) Non rientra infatti questo nella tua stessa logica cristiana? I primi discepoli non sono mandati dal loro Maestro in tutto il mondo? Contraddici a te stesso se tu solo, mentre tutti guardano in avanti, guardi fisso all'indietro.
Il cristiano si guarda attorno in cerca di aiuto; ciò che una volta lo avvolgeva come un abito che forniva protezione e calore è scomparso ed egli si sente penosamente nudo. Si sente come un fossile di epoche tramontate.

ETICA MEDIANTE LA STATISTICA

Con la scomparsa della religione scompare naturalmente anche la forma dell'etica che si fonda sulla religione. Si tratta, da una parte, dell'etica che poggia completamente o prevalentemente sul pensiero di un'eterna giustizia e retribuzione: ma l'uomo o è morale in se stesso, o non lo è affatto; un agire per il premio o per il castigo è moralmente pericoloso, in ogni caso non puro. Si tratta, dall'altra parte, dell'eti. ca superiore che fa il bene ad imitazione del sommo bene: poiché Dio ci dà l'esistenza, poiché Dio fa sorgere disinteressatamente il suo sole sui buoni e sui cattivi, anche noi vogliamo essere grati e disinteressati. Ma in che modo, se Dio non esistesse? Questo disinteresse non sarebbe allora insito anche nella na. tura dell'uomo? Non vi avvia già ad esso il regno sociale degli animali, che in noi trova soltanto una forma superiore di autogoverno? Inoltre, questo preteso disinteresse non è necessariamente controbilanciato da un naturale e sano voler essere se stesso, da un amore ed una cura di sé, quale possiede, in modo del tutto elementare, il vivente inferiore all'uomo? Allora il carattere etico dovrebbe stare, in qualche modo, nel giusto mezzo tra rapporto con sé ed altruismo. Per notare cose così semplici l'uomo non ha certamente bisogno di un rapporto con Dio, addirittura di una vera e propria rivelazione.
Considera inoltre, caro compagno cristiano, se le tue elevate esigenze morali non siano estranee al mondo anche perché, assieme all'etica dell'antico mondo sorpassato, costituivano un'etica per 'eroi' (tu li chiami 'santi'), per uomini aristocratici-migliori, così come nel teatro antico i personaggi che comparivano in scena nelle rappresentazioni serie non potevano essere che re, eroi e dèi (nel teatro cristiano: martiri od altri santi eroici, e se mai angeli e simili), mentre la gente comune poteva avere una parte solo in commedie salaci, dove del resto dèi e uomini si gabbavano allegramente tra loro. Così era una volta e così fu ancora per molto tempo in epoche cristiane.
Ma ciò che realmente l'uomo è e può, appare chiaro solo se non lo si misura più su queste nobili immagini-guida, su questi ideali che la media non può raggiungere, a cui anzi non può neppure aspirare, ma se lo si prende una buona volta realisticamente com'è. Ciò avviene nel modo più semplice, mediante l'inchiesta, il servizio giornalistico, la statistica. La media, ottenuta forse su una vastissima base di rilievi, non rivela affatto soltanto che la maggioranza degli uomini appartiene alla massa dannata, ma che a modo suo è civilissima, possiede anche qualcosa come una 'gerarchia di valori', che quindi non è necessario imparla dall'esterno e dall'alto, e inoltre, che chi prende la gente com'è, trova certamente in essa un'accoglienza anche migliore di colui che da un qualche alto monte, accessibile soltanto all'élite, le porta dieci o cinquanta comandamenti.
Anche tu, caro compagno cristiano, sei materiale da statistica. Una determinata percentuale dell'umanità è cristiana di nome. A sua volta una frazione è(ancora più di nome) cattolica. Lascio che facciate voi stessi una statistica in quale percentuale siete anche 'realmente' cristiani e cattolici; mi sono oscuri i metodi di cui intendete servirvi per scoprirlo.
Non è sufficiente la statistica per stabilire determinate norme aventi validità generale per il comportamento umano, e quindi obbligatorie, a tutela delle quali porre, se necessario, la polizia? A che pro tutto il gran parlare di un imperativo categorico aprioristico o di un diritto naturale altrettanto aprioristico? Eppure è sufficiente dire che l'uomo, per vivere da essere biologico e nello stesso tempo ragionevole con i suoi simili, deve riflettere su determinate regole di gioco e limitare la sua sfrenatezza. Per il resto essere liberale, tollerante. Singole religioni e sistemi morali, finché non sono del tutto inconciliabili con il bene comune, possono essere proposti alla I1bera scelta dell'individuo; così una libera concorrenza dovrebbe, alla lunga, tornare a vantaggio anche di tutti i propagandisti. Perché? Perché è già molto essere 
uomini onesti, e nessuna religione dispensa dall'esserlo; anzi, ogni religione tanto più si raccomanderà di fronte all'umanità, quanto più produce uomini onesti; uomini che realizzano ciò che i più portano in sé come un'immagine che desiderano incontrare in altri, anche se forse non riescono a realizzarla personalmente.

IL PESO DEI MORTI

I contemporanei del cristiano hanno una memoria fatale per la sua lunga storia; una memoria migliore della sua, di lui, il cristiano, che oggi vorrebbe partire da zero ed essere moderno tra uomini moderni. Gli altri non si sentono necessariamente onerati, o ben poco, da una tradizione: i morti hanno avuto la loro responsabilità, noi abbiamo la nostra, ciò che essi hanno fatto con la loro non ci riguarda. Anche il protestante si sente poco onerato dai primi quindici secoli cristani: videant consulesJ cioè i papi. Per il cattolico questa storia non può essere respinta; il suo principio cattolico della tradizione, comunque sia inteso, glielo vieta; la stessa Chiesa, alla quale egli si sottomette, ha fatto o permesso cose che oggi non si possono più approvare. Ciò può essere messo in conto dell'evoluzione della coscienza dell'umanità, ma quante confusioni ne derivano tra profano e sacro! Egli stesso è inserito in questa tradizione e deve, volente o nolente, assumere la sua parte di responsabilità.
La via forse ancora più semplice sarebbe questa: non solo far subito una piena confessione dei peccati, ma, per amore della dolorosa tragicità, aggravarla il più possibile sull'esempio di Reinhold Schneider. Ciò che sotto i papi medioevali sembrava ammissibile, forse persino comandato, se lo poniamo direttamente tra il nudo vangelo e la nostra coscienza odierna, appare come del tutto imperdonabile, addirittura come peccato grave. In ogni caso come qualcosa che contraddice direttamente allo spirito ed al comandamento di Gesù Cristo. Battesimi coatti, tribunali dell'Inquisizione e autodafé, notti di s. Bartolomeo, conquiste di continenti stranieri col ferro e col fuoco per portarvi, in occasione di uno sfruttamento brutale, anche la religione della croce e dell'amore, ingerenze indesiderate e del tutto stolte in problemi dell'avanzante scienza naturale, bandi e scomuniche da parte di un'autorità spirituale che agisce e vuole essere riconosciuta come politica: cose penose senza fine. Non è piacevole dover far fronte ad una simile eredità, di cui si vedono chiaramente i clamorosi errori.
Ma se la cosa dev'essere già umiliante, sarà più giusto, quando non si può fare una difesa, non scagliare ancora pietre. Si dovrà affrontare il fatto che in Cristo viene annunziato un diritto assoluto di Dio sull'uomo, che trascende ancora il diritto assoluto di Jahvé sul popolo antico; che, in un qualsiasi modo, qualcosa di questa esigenza, posta agli uomini nella decisione irrevocabile, passa agli Apostoli, alla Chiesa e che l'amministrazione di tale potere da parte di uomini peccatori o di corta vista può arrecare un male incalcolabile, che diversamente sarebbe risparmiato. La solidarietà del cristiano odierno con i morti gli accolla penitenze per errori passati, che egli dovrebbe saper portare non solo di malavoglia, ma con pazienza e, nascostamente, persino con gratitudine; chi sa come egli, posto nel sec. IX o XIV, si sarebbe comportato?
Mentre porta questo amaro peso, gli può essere di conforto il riflettere che non soltanto il male rimane impresso nella memoria più del bene, ma che il mondo non può vedere, o solo molto indirettamente, il bene cristiano. Chi può contare e ponderare gli atti nascosti di autodominio, con cui il male viene impedito? Chi, gli atti di disinteressata penitenza e carità? Chi, la portata di ardenti preghiere segrete? Chi, all'infuori di Dio, conosce le esperienze dei santi che, portati attraverso il cielo e l'inferno, dai posti più nascosti sollevano dai cardini interi campi della storia, spostano montagne intere di colpa, ed in situazioni senza scampo hanno aperto un varco? Ciò sia detto qui solo di passaggio e sottovoce per ricordare che il passivo della Chiesa non si può chiudere senza questo attivo.
L'amaro peso può riferirsi anche alla Chiesa presente, la quale fa, è vero, molti tentativi per liberarsi da legami non necessari, ma nel suo insieme può attuare solo lentamente ciò che singoli individui in essa e fuori di essa vedono già da tempo. E se strutture divenute discutibili vengono demolite relativamente in fretta, con ciò non è ancor detto che al loro posto sia anche già avvisato, voluto, osato e realizzato qualcosa di diverso, di positivo, di costruttivo. Citiamo in primo luogo, senza timore, ciò che in questa struttura è più discutibile ed anche più profondamente radicato: una prematura decisione dalle incalcolabili conseguenze, una soluzione senza dubbio responsabile, ma non l'unica possibile, poiché i vantaggi cristiani della soluzione opposta, pur tenendo conto dei grandi, grandissimi sacrifici e perdite, sarebbero anche irrefutabili: il battesimo dei bambini. L'anticipare la fiera ed irripetibile decisione vitale per Dio in stato d'incoscienza, l'aprirsi alla ragione ed alla capacità di scelta di fronte ad un fatto già compiuto, che o viene seriamente ratificato od anche no: quale problema! Tanto più oggi che le tradizioni popolari, l'inserimento sociologico in una cristianità ambientale stanno scomparendo o spesso sono già del tutto scomparsi. Eppure anche questo dev'essere sopportato.
CREPUSCOLO DELLE IMMAGINI

Per gli atei le voci della cultura cristiana non parlano di Dio, o ne parlano in modo impercettibile. Il mondo occidentale ha prodotto e costruito le sue opere più belle nello spirito della religione. Ciò vale sia per le opere classiche dell'antichità che son sorte tutte quante dal culto del divino, sia per tutte le creazioni originali dei tempi cristiani. Non è ancora dimostrato che dall'irreligione possa nascere una qualche arte di grande valore; Goethe ha detto a Riemer: «Gli uomini sono produttivi in poesia ed arte solo finché sono religiosi; poi diventano semplicemente imitatori e ripetitori; come noi in rapporto all'antichità, i cui monumenti furono tutte opere di fede e possono essere da noi imitati solo per fantasticheria ed in modo fantastico». La Ifigenia di Euripide era il dramma di un'obbedienza quasi insensata verso Dio; la traduzione di Schiller taglia via la conclusione teologica e quindi semplicemente la radice; la elaborazione che Goethe ha tratto dall'argomento è solo più il gioco prudente di una nobile umanità.
Edifici, poesie, composizioni musicali cristiane, progettate per Dio, vogliono parlare di Dio. Se domandiamo che cosa dicano oggi all'osservatore, al lettore, all'ascoltatore, la risposta è questa: in ogni caso non ciò che vogliono dire. 'Sento bene il messaggio...', no, egli non lo sente, lo registra, lo fotografa soltanto. Ed allora il cristiano può essere colto da un grande scoraggiamento che lo induce a dubitare dei valori espressivi della storia e lo istiga dovunque al sospetto di ideologia. Non è stato tutto errore? Non siamo come circondati da un'unica mistificazione? Cos'ha da vedere l'elegante basilica romana con il cristianesimo? Essa non è che il mercato coperto e profano appena modificato. E la chiesa romanica, simile ad una fortezza con Gesù inerme? Ed il faustiano assalto al cielo del gotico con il 'mite ed umile di cuore'? E (se sorvoliamo con confuso silenzio il rinascimento) la magnificenza barocca con la nuda croce? Taluni si rallegrano che dopo d'allora la cristianità abbia perso la voce: meglio nulla che questo. Il cristiano si vergogna del suo passato se lo considera con l'occhio dell' 'uomo moderno'. (Non entrano neppur più in questo calcolo le orde che corrono cieche di monumento in monumento attraverso l'Europa: termiti della rovina).
Ma non dovrebbe vergognarsi. Dovrebbe saper distinguere tra la fede e la sua espressione. La fede può essere infinita, quando ama; l'opera è finita. La fede può essere senza tempo; ma l'opera è nel tempo. E l'opera ha in sé un appello ed una rigida esigenza di maggior fede. E quand'anche si trattasse di una santa del barocco rapita in estasi in un umido alzare d'occhi; non ti sei mai abbandonato a Dio in modo che egli abbia potuto prender ti come costei? Tu 
- che ridacchi in tal modo quando si parla di armonia - hai mai avuto, anche solo a metà, l'anima in cui abbia potuto rispecchiarsi la purezza di Palestrina o di Haydn? Non atteggiarti, o cristiano, ad incredulo stanco, che non vede più nulla, mentre pure ti son dati gli occhi della fede. Non lasciarti sopraffare da estranee ideologie inconsistenti. Trova la libertà di affermare, quando ti è facile negare. Sii libero tra la gioia che indugia e l'apertura a ciò che è nuovo. Appunto perché sei un libero cristiano, che non ha bisogno di aggrapparsi a nulla di terreno, riconosci la libertà dei tuoi fratelli di fede creatori, e dietro ad essi di tutti i devoti e pii che, al pari di te, hanno aderito a Dio, al divino. Non lasciarti dare ad intendere che la cristianità antica sia stata estranea al mondo: donde altrimenti avrebbe preso un simile amore per le cose, una simile conoscenza delle loro leggi più segrete, che supera di molto l'amore e la conoscenza dei moderni? Oppure pensi seriamente che le loro piccole costruzioni astratte abbiano più contenuto mondano, siano più fedeli e congeniali (concrete) alla terra delle realizzazioni dei grandi cristiani? Chi conosce più intimamente l'uomo: Villon e Grimmelshausen, oppure i freddi pornografi di oggi? Di questi non ti curare, e non fidarti dei cristiani che vorrebbero darti ad intendere che soltanto qui l'uomo venga scoperto in tutta la sua 'serietà del peccato' e senza orpelli pagano-idealistici (2).
Ma rassegnati anche che nessuno più inforchi i veri occhiali che permettono di vedere. «So soffrire penuria - dice Paolo - e so anche abbondare; in ogni tempo e in tutte le maniere io sono stato iniziato» (Fil. 4, 12). Il cristiano deve saper vedere tramonti attorno a sé, senza che per questo il suo sole scompaia; dev'essere povero con i fratelli (spiritualmente) poveri e tuttavia non deve rinnegare la sua ricchezza, quel la che ha prodotto tutta la ricchezza, che essi hanno venduto e perso per il loro piatto di lenticchie. E certo i tramonti lo avvolgeranno realmente nelle ombre, in ciò che si può chiamare benissimo notte del mondo e tenebre di Dio. Ma gli è vietato di lasciarsi ottenebrare anch'egli per pretesi motivi di compassione. «Figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione perversa e sviata, in seno alla quale voi brillate come luminari nell'universo» 
(Fil.2,15).

LA MEDIA E IL PRESUPPOSTO APRIORISTICO

Il cristiano: brillare? Ma in che modo? Eccoci nuovamente dinanzi all'angosciosa domanda dell'inizio. Ognuno sente che in ogni caso le cose, come sono oggi, non vanno più. Non bastano più. Ognuno ha l'occasione di considerare se stesso, la sua Chiesa, con occhi estranei come dall'esterno, così come la vedono gli altri, ed in questa occasione di scuotersi spaventato. Come chi, dopo essere passato per decenni sotto la facciata della sua chiesa abituale per entrare a partecipare al servizio divino senza notare nulla di anormale, se uno storico dell'arte gli fa notare che tutto è screpolato e pericolante e dev'essere o demolito o restaurato a fondo, apre improvvisamente gli occhi alla realtà. Ed ora, pauroso che la volta gli possa cadere addirittura sulla testa, fa egli stesso pressione per restauri quanto più possibile rapidi e generali. La paura lo sospinge e gli dà il 'coraggio' per un ardito aggiornamento. E, come appunto avviene in epoche in cui è vivo il senso storico artistico dell'antichità, propone (con competenti) di eliminare anzitutto le aggiunte barocche, quegli innumerevoli putti, volute e nuvolette gonfie di gesso, che senz'altro non servono che a raccogliere la polvere e sono gli elementi meno solidi, perché mirano semplicemente all'effetto, non corrispondono più al gusto moderno, inoltre nel restauro comportano le spese maggiori e non sono che sovrastrutture alle attendibili linee originarie. Quale gioia poi, quando, rimosso lo sfarzo, appare una magnifica ruvidezza romanica, che ci sembra tanto .più genuina e tersa, che corrisponde tanto più al nostro gusto ed inoltre costa molto meno in manutenzione! Ecco le grandi gioie del restauro: il poter liberare, demolendo, una costruzione antica così bella da far credere di essere noi stessi produttivi, di poter costruire distruggendo!
A parte gli scherzi, ogni costruzione in campo cristiano non deve avvenire in virtù di un ritorno alle origini? E nel farlo, andando addirittura a ritroso nel tempo, si ha occasione di pervenire, come per caso e nondimeno per una felice conferma, al punto d'incrocio della riforma, ed in questa circostanza, demolendo le aggiunte posteriori della controriforma, di giungere ad un insperato accordo. Se noi, cristiani moderni, in segreto non ci fidiamo forse molto di noi stessi, dobbiamo tuttavia fidarci del particolare genio della retromarcia e, con una coraggiosa demolizione delle forme di ieri e di oggi, sperare di trovare strutture migliori, addirittura il fondamento roccioso del vangelo.
Comunque sia (sull'argomento vogliamo meditare in seguito), è già non poco l'essere insoddisfatti del nostro presente, il trovare che gli altri non avrebbero torto di non trovarci degni di fede. Se volessimo per un momento cedere alle lusinghe della statistica, o meglio consultassimo quelle statistiche che le nostre curie tengono in gran conto, il quadro descrittivo del cristiano medio non lascerebbe nulla a desiderare quanto a sbiaditezza. All'estremo margine starebbero coloro che annettono importanza al certificato di battesimo, alla sepoltura cristiana e forse alla prima comunione o cresima dei figli. Poi seguirebbe la schiera nutrita dei pasqualini, che trapassa a poco a poco in quella degli ascoltatori della messa festiva, in cui a loro volta si mescolano un po' alla volta quei colori più chiari che vengono resi in modo approssimativo con i concetti di precetto dell'astinenza, stampa cattolica, tassa ecclesiastica, fedeltà al papa. Contemporaneamente cresce pure, al di là della citata idea dell' 'uomo onesto' (come gli altri), il numero dei dieci comandamenti che lampeggiano come semafori ammonitori: il sesto naturalmente con grande risalto, poi forse il quarto, il secondo, il terzo, mentre il quinto, settimo ed ottavo non son forse sentiti tanto come comandamenti di Dio, quanto come cose che 'l'uomo onesto' fa soltanto in caso di necessità. Ha pure molta importanza l'ambiente culturale: in paesi di campagna può essere un punto di onore tanto il frequentare con diligenza la chiesa, quanto il conservare fino alla morte un rigido odio personale o familiare. Può anche essere un punto di onore vivere in un dissidio vigoroso e virilmente responsabile tra le opinioni del parroco e le proprie: nel pieno riconoscimento che quello fa il suo mestiere, mentre io m'intendo del mio.
Questo quadro variopinto non sarebbe 'media', se la scala non si assottigliasse verso l'alto nella regione dei cosiddetti cristiani zelanti: in coloro che cercano di vivere un vero matrimonio cristiano, di inserire una vera preghiera personale nella loro vita, che con vero amore del prossimo si occupano dei loro simili, soprattutto dei poveri, degli abbandonati, degli inermi, che nutrono un vero interesse per gli sforzi missionari della Chiesa, o addirittura, come sacerdoti, si consacrano esclusivamente al servizio della Chiesa e, secondo il suggerimento di Cristo, vivono in povertà, verginità ed obbedienza.
Tuttavia, proprio coloro che, per cosi dire, osano porsi sul candelabro, sono esposti ancor più degli altri al vaglio critico. Anche le dita dei cari compagni cristiani li tasteranno dall' alto in basso per sentire se un qualche punto risuoni forse a vuoto. Infatti, la domanda 'Chi è il cristiano?' non si pone con tanta serietà in rapporto a coloro che sono stati descritti per primi; poiché questi rimandano di preferenza e con una certa umiltà agli 'specialisti' del cristianesimo, soprattutto se essi stessi non sono pienamente convinti di una simile conoscenza e facoltà specializzate. Il tocco delle dita degli specialisti è un fatto che incute paura; poiché ora dovrebbe apparire realmente chi infine è cristiano. Ora si tratta di ottenere tutto, e la domanda si scompone in varie domande particolari.
Primo: chi è autorizzato ed in condizione di stabilire empiricamente chi è cristiano? Lo può ad esempio il non cristiano? Lo si può in genere vedere (e come no?), ed in base a quali misure?
Secondo: chi è autorizzato ed in condizione di stabilire in modo normativa chi è cristiano? Anche qui: quali misure, leggi ed esigenze vengono apposte all'uomo per dare una risposta alla domanda? Ci spaventiamo se vi riflettiamo un poco: tutto ciò non è affatto chiaro. Perciò non è fuori luogo se
Terzo, poniamo la domanda esistenziale: può il cristiano stabilire personalmente se egli è cristiano e, se ha l'ardire di rispondere affermativamente, su quale argomento si fonda nel farlo?
La domanda 'Chi è il cristiano?' accompagna a guisa di presupposto aprioristico tutti i tentativi di riforma della Chiesa contemporanea. Cioè, li accompagna in modo che, da una parte, si agisce come già lo si sapesse e non ci fosse più che da prendere, in base a questa conoscenza, Je necessarie. misure; dall'altra ci si permette la libertà di avanzare, dinanzi alle tradizionali soluzioni e agli ideali del cr1stiano, il più forte sospetto di ideologia, e quindi di misurare questi ideali in base ad un criterio del quale si dispone in modo acritico. Non è difficile trovare questo criterio, come presupposto aprioristico e tuttavia ovvio, poiché esso nasce naturalmente dalle principali tendenze della cristianità odierna, ben intenzionate, acclamate dalla folla, ma che devono essere sottoposte ad una critica urgente.

[1] HANS JÜRGEN SCHULTZ, Konversion zur Welt (Conversione al mondo), Furche Verlag 1964.
[2] Ad. es. HANS ECKEHARD BAHR, Poiesis. Theologische Untersuchung der Kunst (Poiesis. Studio teologico dell'arte), 1961.

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