IL PASTORE D'ANIME DEV'ESSERE DISCRETO NEL TACERE, UTILE NEL PARLARE
LA REGOLA PASTORALE
san Gregorio Magno
PARTE SECONDA
VITA DI PASTORE
4. IL PASTORE D'ANIME DEV'ESSERE DISCRETO NEL TACERE, UTILE NEL PARLARE
Il Pastore d'anime dev'essere discreto nel tacere e utile nel parlare, perché non riveli ciò che deve essere taciuto, o abbia a tacere ciò che sarebbe stato bene dire apertamente.
Come, infatti, un discorso fuori posto può indurre in errore, allo stesso modo un silenzio inspiegabile può lasciare nell'errore quelli che dovevano essere illuminati.
Spesso, per timore di perdere il favore popolare, Pastori superficiali temono di dire con franchezza quello che è giusto debba essere detto.
Il Vangelo ne parla come di Pastori, ai quali manca la volontà di custodire il gregge, ma lo servono con animo di mercenari.
Pastori che, se viene il lupo, fuggono a trovare, nel silenzio, il loro nascondiglio.
« Cani muti che non sanno latrare » (1).
E' il rimprovero del Signore a noi significato dalle labbra del profeta.
« Voi non siete accorsi a fronteggiare il nemico, né avete opposto in favore della casa d'Israele nel giorno del Signore il muro della resistenza nella lotta » (2).
Accorrere a fronteggiare significa opporsi con la parola decisa ai potenti di questo mondo, schierandosi a favore del gregge.
Accettare battaglia nel giorno del Signore, va inteso nel senso di resistere ai malvagi per amore della giustizia.
Per un Pastore d'anime l'aver temuto di dire la verità, significa aver voltato le spalle in silenzio.
Che se, invece, offre se stesso per il bene del gregge, allora ai nemici oppone un muro a favore della casa di Israele.
Al popolo peccatore fu detto anche : « I tuoi profeti hanno predetto per te cose false e stolte, né svelavano là tua iniquità per indurti a penitenza » (3).
A volte nella Scrittura i profeti vengono chiamati anche dottori, ai quali è riservato il compito di insegnare la fugacità delle cose terrene e di manifestare le realtà future.
Il testo sacro rimprovera costoro di vedere cose false, perché, invece di correggere i difetti, lusingano scioccamente i colpevoli assicurando l'impunità.
Non osano neppure mettere i peccatori di fronte alle loro responsabilità.
Il linguaggio del rimprovero è a loro sconosciuto, mentre potrebbe essere chiave che apre a confidenza.
Infatti, il rimprovero mette a nudo una colpa, la cui esistenza spesso non è avvertita, neppure da chi l'ha commessa.
A ciò fa riferimento Paolo quando richiede : « la capacità di esortare alla sana dottrina e di confutare quelli che la contrariano » (4).
E Malachia dice che « le labbra del sacerdote debbono custodire la scienza e chiederanno la legge alle sue labbra, perché egli è l'Angelo del Signore degli eserciti » (5).
Inoltre l'ammonimento del Signore riecheggia nella voce di Isaia che sostiene la necessità di « gridare senza posa e come tromba far squillare la propria voce » (6).
Accedere al sacerdozio, è assunzione di responsabilità da araldo, che progredisce e avanza gridando di preparare la via al giudice che verrà.
Un sacerdote che non sa predicare, è, pertanto, un araldo muto e incapace di levare la voce della protesta e della denuncia.
Per questo sui primi Pastori lo Spirito Santo posò lingue di fuoco e, non appena li riempì dei doni, li rese capaci di parlare.
Nel comando dato a Mosè di obbligare il sacerdote a portare sonagli appesi alle vesti, quando entrava nel tabernacolo, va ricercata la significazione della necessaria risonanza della predicazione.
Il giudizio di Dio riprova il silenzio dei Pastori, come è scritto : « Perché si oda il suono quando egli entra nel santuario al cospetto di Dio e quando ne esce, e così non abbia a morire » (7).
Morte del sacerdote è voce che non si sente né dentro né fuori del tempio.
Attira su di sé la collera di Dio il Pastore che, governando, non fa risuonare la voce della predicazione.
Anche da quei sonagli alle vesti è possibile cavare una significazione: quella delle opere buone.
Lo dice il profeta : « I tuoi sacerdoti hanno per vestito la giustizia » (8).
Inoltre, gli stessi sonagli appesi alle vesti significano l'altra necessità, che cioè, le opere del sacerdote abbiano, con il suono della parola, a predicare la via della vita.
Quando poi il Pastore si dispone a parlare, lo faccia con molta cautela e molto controllo.
Il lasciarsi prendere dalla foga della impulsività, può trarre in errore i cuori dei fedeli.
Peggio ancora, se per il desiderio di passare per sapiente, spezzasse stupidamente l'unità compatta dei suoi fedeli.
A tal proposito il Vangelo avverte : « Abbiate il sale in voi e abbiate la pace tra di voi » (9).
Il sale è il segno della sapienza della parola.
Chi si avvia a parlare in modo difficile, abbia il timore grande che il suo discorso potrebbe turbare l'unità di fede di quanti lo ascoltano.
Calza a pennello la raccomandazione di Paolo di: « Non sapere di più di quanto è necessario sapere, ma sapere quanto basta » (10).
Sintomatica a tal fine è la disposizione divina di volere nella veste sacerdotale, alternate ai sonagli, le melagrane.
La loro è significazione di unità di fede.
Nella melagrana, infatti, una sola corteccia esterna riunisce all'interno molti granuli.
Allo stesso modo, l'unità della fede cementa l'unità dei diversi popoli della Chiesa santa, anche se i meriti dei singoli rimangono internamente distinti.
Quanto abbiamo detto sopra è oggetto della raccomandazione di Gesù ai suoi discepoli, perché il Pastore eviti di abbandonarsi incauto alla foga del dire.
« Abbiate il sale in voi e abbiate la pace tra voi ».
Come se, riferendosi a quanto è raffigurato nell'abito sacerdotale, dicesse: aggiungete ai campanelli le melagrane, perché ogni vostro discorso deve tendere sempre, e gelosamente, a garantire l'unità della fede.
Cura dei Pastori deve essere non solo quella di non dire cose dannose, ma anche quella di evitare lungaggini e discorsi senza capo né coda.
La verità perde di efficacia quando è affidata a verbosità sconsiderata e inopportuna.
La verbosità inganna anche chi l'adopera, perché non conosce, né sa scegliere ciò che è adatto al progresso spirituale di chi ascolta.
Dice bene Mosè : « L'uomo che soffre perdite di seme, sarà ritenuto immondo » (11).
La parola ascoltata ha la virtù di diventare seme di futura meditazione.
Il discorso, da fatto auricolare, si trasforma in generazione di spirituale riflessione.
Motivo per cui l'efficace predicatore dai sapienti di questo mondo è chiamato : « seminatore di parola ».
Dunque, se soffrire perdita di seme rende l'uomo immondo, chi soggiace alla verbosità della predicazione, ne contrae la macchia.
L'ordine e la moderazione generano invece sante riflessioni nel cuore dei fedeli, mentre una sconsiderata loquacità sparge il seme non a pro, ma a danno dei fedeli.
Paolo ammonisce il suo discepolo sulla necessità urgente di predicare.
« Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo, che verrà a giudicare i vivi e morti, per la sua venuta e il suo regno, predica la parola, insisti a tempo e fuori tempo » (12).
Eppure prima di dire « fuori tempo », ha detto « a tempo », perché l'importunità si autodistrugge, se non sa trovare il linguaggio per entrare a dialogare con l'animo di chi ascolta.1) Is 56, 10
2) Ez 13, 15
3) Lam 2, 14
4) Tt 1, 9
5) MI 2, 7
6) Is 5, 1
7) Es 28, 33
8) Sal 131, 9
9) Mr 9, 49
10) Rm 12, 13
11) Lv 15, 2
12) 2 Tm 4, 1
Come, infatti, un discorso fuori posto può indurre in errore, allo stesso modo un silenzio inspiegabile può lasciare nell'errore quelli che dovevano essere illuminati.
Spesso, per timore di perdere il favore popolare, Pastori superficiali temono di dire con franchezza quello che è giusto debba essere detto.
Il Vangelo ne parla come di Pastori, ai quali manca la volontà di custodire il gregge, ma lo servono con animo di mercenari.
Pastori che, se viene il lupo, fuggono a trovare, nel silenzio, il loro nascondiglio.
« Cani muti che non sanno latrare » (1).
E' il rimprovero del Signore a noi significato dalle labbra del profeta.
« Voi non siete accorsi a fronteggiare il nemico, né avete opposto in favore della casa d'Israele nel giorno del Signore il muro della resistenza nella lotta » (2).
Accorrere a fronteggiare significa opporsi con la parola decisa ai potenti di questo mondo, schierandosi a favore del gregge.
Accettare battaglia nel giorno del Signore, va inteso nel senso di resistere ai malvagi per amore della giustizia.
Per un Pastore d'anime l'aver temuto di dire la verità, significa aver voltato le spalle in silenzio.
Che se, invece, offre se stesso per il bene del gregge, allora ai nemici oppone un muro a favore della casa di Israele.
Al popolo peccatore fu detto anche : « I tuoi profeti hanno predetto per te cose false e stolte, né svelavano là tua iniquità per indurti a penitenza » (3).
A volte nella Scrittura i profeti vengono chiamati anche dottori, ai quali è riservato il compito di insegnare la fugacità delle cose terrene e di manifestare le realtà future.
Il testo sacro rimprovera costoro di vedere cose false, perché, invece di correggere i difetti, lusingano scioccamente i colpevoli assicurando l'impunità.
Non osano neppure mettere i peccatori di fronte alle loro responsabilità.
Il linguaggio del rimprovero è a loro sconosciuto, mentre potrebbe essere chiave che apre a confidenza.
Infatti, il rimprovero mette a nudo una colpa, la cui esistenza spesso non è avvertita, neppure da chi l'ha commessa.
A ciò fa riferimento Paolo quando richiede : « la capacità di esortare alla sana dottrina e di confutare quelli che la contrariano » (4).
E Malachia dice che « le labbra del sacerdote debbono custodire la scienza e chiederanno la legge alle sue labbra, perché egli è l'Angelo del Signore degli eserciti » (5).
Inoltre l'ammonimento del Signore riecheggia nella voce di Isaia che sostiene la necessità di « gridare senza posa e come tromba far squillare la propria voce » (6).
Accedere al sacerdozio, è assunzione di responsabilità da araldo, che progredisce e avanza gridando di preparare la via al giudice che verrà.
Un sacerdote che non sa predicare, è, pertanto, un araldo muto e incapace di levare la voce della protesta e della denuncia.
Per questo sui primi Pastori lo Spirito Santo posò lingue di fuoco e, non appena li riempì dei doni, li rese capaci di parlare.
Nel comando dato a Mosè di obbligare il sacerdote a portare sonagli appesi alle vesti, quando entrava nel tabernacolo, va ricercata la significazione della necessaria risonanza della predicazione.
Il giudizio di Dio riprova il silenzio dei Pastori, come è scritto : « Perché si oda il suono quando egli entra nel santuario al cospetto di Dio e quando ne esce, e così non abbia a morire » (7).
Morte del sacerdote è voce che non si sente né dentro né fuori del tempio.
Attira su di sé la collera di Dio il Pastore che, governando, non fa risuonare la voce della predicazione.
Anche da quei sonagli alle vesti è possibile cavare una significazione: quella delle opere buone.
Lo dice il profeta : « I tuoi sacerdoti hanno per vestito la giustizia » (8).
Inoltre, gli stessi sonagli appesi alle vesti significano l'altra necessità, che cioè, le opere del sacerdote abbiano, con il suono della parola, a predicare la via della vita.
Quando poi il Pastore si dispone a parlare, lo faccia con molta cautela e molto controllo.
Il lasciarsi prendere dalla foga della impulsività, può trarre in errore i cuori dei fedeli.
Peggio ancora, se per il desiderio di passare per sapiente, spezzasse stupidamente l'unità compatta dei suoi fedeli.
A tal proposito il Vangelo avverte : « Abbiate il sale in voi e abbiate la pace tra di voi » (9).
Il sale è il segno della sapienza della parola.
Chi si avvia a parlare in modo difficile, abbia il timore grande che il suo discorso potrebbe turbare l'unità di fede di quanti lo ascoltano.
Calza a pennello la raccomandazione di Paolo di: « Non sapere di più di quanto è necessario sapere, ma sapere quanto basta » (10).
Sintomatica a tal fine è la disposizione divina di volere nella veste sacerdotale, alternate ai sonagli, le melagrane.
La loro è significazione di unità di fede.
Nella melagrana, infatti, una sola corteccia esterna riunisce all'interno molti granuli.
Allo stesso modo, l'unità della fede cementa l'unità dei diversi popoli della Chiesa santa, anche se i meriti dei singoli rimangono internamente distinti.
Quanto abbiamo detto sopra è oggetto della raccomandazione di Gesù ai suoi discepoli, perché il Pastore eviti di abbandonarsi incauto alla foga del dire.
« Abbiate il sale in voi e abbiate la pace tra voi ».
Come se, riferendosi a quanto è raffigurato nell'abito sacerdotale, dicesse: aggiungete ai campanelli le melagrane, perché ogni vostro discorso deve tendere sempre, e gelosamente, a garantire l'unità della fede.
Cura dei Pastori deve essere non solo quella di non dire cose dannose, ma anche quella di evitare lungaggini e discorsi senza capo né coda.
La verità perde di efficacia quando è affidata a verbosità sconsiderata e inopportuna.
La verbosità inganna anche chi l'adopera, perché non conosce, né sa scegliere ciò che è adatto al progresso spirituale di chi ascolta.
Dice bene Mosè : « L'uomo che soffre perdite di seme, sarà ritenuto immondo » (11).
La parola ascoltata ha la virtù di diventare seme di futura meditazione.
Il discorso, da fatto auricolare, si trasforma in generazione di spirituale riflessione.
Motivo per cui l'efficace predicatore dai sapienti di questo mondo è chiamato : « seminatore di parola ».
Dunque, se soffrire perdita di seme rende l'uomo immondo, chi soggiace alla verbosità della predicazione, ne contrae la macchia.
L'ordine e la moderazione generano invece sante riflessioni nel cuore dei fedeli, mentre una sconsiderata loquacità sparge il seme non a pro, ma a danno dei fedeli.
Paolo ammonisce il suo discepolo sulla necessità urgente di predicare.
« Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo, che verrà a giudicare i vivi e morti, per la sua venuta e il suo regno, predica la parola, insisti a tempo e fuori tempo » (12).
Eppure prima di dire « fuori tempo », ha detto « a tempo », perché l'importunità si autodistrugge, se non sa trovare il linguaggio per entrare a dialogare con l'animo di chi ascolta.1) Is 56, 10
2) Ez 13, 15
3) Lam 2, 14
4) Tt 1, 9
5) MI 2, 7
6) Is 5, 1
7) Es 28, 33
8) Sal 131, 9
9) Mr 9, 49
10) Rm 12, 13
11) Lv 15, 2
12) 2 Tm 4, 1