IL MODERNISMO ASCETICO
«Mi è difficile persino capire come mai non si veda che ditirambi del genere sovvertono il bianco in nero e come mai l’evidenza delle strade storte e dei non pochi trabocchetti renda sempre più spedito e disinvolto il passo verso il pericolo mortale» (B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis, 2011, pp. 190-191).
"L'arte usitata dall'errore di trasfigurarsi nelle sembianze della verità, indi traforarsi insidiosamente sotto le mentite spoglie di religiosità e di pietà, non è mancata, né poteva mancare al modernismo teologico, come appare dalla precedente trattazione [1] : quest'arte purtroppo ha insinuato il veleno delle nuove idee, del nuovo spirito, dei nuovi indirizzi anche in anime rette e bene intenzionate". La Civiltà Cattolica, anno 59° vol. 2 (fasc. 1390 6 maggio 1908), Roma 1908
La Civiltà Cattolica, anno 59° vol. 2 (fasc. 1390 6 maggio 1908), Roma 1908, pag. 385-402. Progetto Barruel
IL MODERNISMO ASCETICO
L'arte usitata dall'errore di trasfigurarsi nelle sembianze della verità, indi traforarsi insidiosamente sotto le mentite spoglie di religiosità e di pietà, non è mancata, né poteva mancare al modernismo teologico, come appare dalla precedente trattazione [1] : quest'arte purtroppo ha insinuato il veleno delle nuove idee, del nuovo spirito, dei nuovi indirizzi anche in anime rette e bene intenzionate. Ma sopra tutto essa riuscì ad infiltrarsi parzialmente anche nel giardino più guardato della Chiesa, tentando avvelenare le sorgenti stesse della spiritualità e dell'ascetica. Quindi si ebbe, più o meno aperto, più o meno consapevole, un modernismo ascetico e mistico, una via di spiritualità tutta nuova, semplificata, moderna, in fine anche qualche cosa di simile al sogno di un ordine di laici più o meno ideale, che il romanziere vagheggiava o simboleggiava nei suoi futuri cavalieri dello Spirito, confortati nella lotta e nella unione per il bene dalle divote cavaliere, ossia dame dello Spirito [2], come Giovanni Selva dalla sua Maria d'Arxel. Non più, o il meno possibile di monachismo o di altro stato religioso di regolari, chierici o laici, legati da voti e da vita commune; ma pietà libera, sentimentale e attuosa, intraprendente e indipendente, nel bel mezzo del secolo, quale si addice all'uomo moderno.
Di questo modernismo ascetico non abbiamo per ora tempo nè opportunità di trattare distesamente, come la cosa meriterebbe, ma dobbiamo pure dirne qualche parola, per dare compimento alla nostra sommaria trattazione del modernismo teologico. Esso n'è infatti una mera applicazione, o immediata conseguenza; quindi, in ciò specialmente che essa ha di esclusivo, contraria affatto e nemica della vera spiritualità, della genuina ascetica cristiana.
I.
La fede «emozionale», e la coscienza «autonoma» sono i due capisaldi del modernismo: e come tali ci tornarono spesso innanzi quasi ad ogni passo, nella rapida corsa attraverso alle svariate e molteplici manifestazioni della nuova eresia. Col nuovo concetto di fede si esclude o si attenua l'adesione dell'intelletto; si ritiene e si esagera quella del sentimento, nominatamente della fiducia, della unione, ossia della più intima esperienza di Dio. Con la nozione poi dell'autonomia della coscienza si esclude o si deprime ogni norma e legge esteriore, come di autorità dottrinale, così di autorità disciplinare e precettiva, ogni regola esterna insomma.
Ora questi due principii segnatamente si veggono infiltrarsi, con più o meno di audacia, camuffati sotto alte parole mistiche e accenti sublimi di spiritualità trascendente, nella nuova scuola, anzi pure in libri ascetici scritti forse con le migliori intenzioni, ma troppo coloriti a modernità di un misticismo che gonfia le povere anime, non le nutre; che le illude, non le illumina. Di qualcuno di essi altre volte abbiamo fatto cenno, con molto, forse anche, con troppo riserbo; nè ora con tutto ciò crediamo d'insistere a far nomi, volendo solo premere su la questione di principii.
E ai principii suddetti altri si attiene in tutto, altri si accosta più o meno, secondo che più o meno è progredito nella nuova via, cioè, nella scuola nuova di spiritualità. L'accordo è in ciò appunto che si coglie pretesto dal fatto - che è una verità innegabile, nè mai negata o attenuata comecchessia dai veri maestri di spirito nella Chiesa - essere cioè il lustro e la gloria della vita spirituale tutta cosa interna, com'è interno il regno di Dio in noi. Ma si passa quindi a voler esclusa o almeno rimandata in ultimo luogo la norma o direzione esteriore: il primato della direzione spirituale è attribuito, senz'altro, ai sentimenti o influssi mistici; all'esperienza soggettiva, benchè sotto diversi nomi e poniamo anche in diversi gradi. E così altri parlano ad ogni poco di azione diretta ed immediata ello Spirito, o del Cristo eterno nelle coscienze dei fedeli, di attraimenti affettivi, di esperienza, di immanenza e permanenza del divino in noi, del Cristo vivente in noi, dell'umanità mistica di Cristo e dei contatti mistici con noi, della Via (nel senso dei mistici) dell'amor puro, e andiamo dicendo [3]. Similmente fraintendendo e abusando del concetto verissimo e profondo della incomprensibilità, ineffabilità, infinità delle perfezioni divine come della soavità ineffabile della contemplazione negativa dei mistici e della carità affettiva, vogliono escluso lo sforzo di meditare positivamente e pensare a Dio, lo studio lodevole di conoscerlo sempre meglio e farlo conoscere con una cognizione che sarà, è vero, sempre imperfetta ed analogica, ma non perciò falsa e spregevole; lo esercizio infine arduo e penoso dell'amore effettivo, della carità operosa nella pratica del sacrifizio e delle virtù tutte che accompagnano e autenticano l'amore: quasi bastasse per tutto la esperienza del Divino, il contatto mistico, o quell'adesione generica, quel sentimento oscuro, misterioso che chiamano fede. E questa fede vorrebbe ben essere quella fede viva e operosa di cui vive il giusto di Dio. Ma la fede, di cui vive il modernista e con cui si guida all'operare, non è invece la fede della Chiesa; è la fede o fiducia agli istinti proprii, ai movimenti interiori, ai «bisogni» intimi della coscienza, per usare il suo disgraziato frasario. Questa fidanza cieca è dunque per alcuni regola suprema, per altri più o meno principale, della coscienza individuale.
Né vale che i modernisti accettino pure, o mostrino di accettare, un'autorità esteriore, come sarebbe quella di un direttore spirituale o del magistero autentico della Chiesa; non vale, perchè l'accettano sotto condizione, e la condizione è questa, che il direttore sia mistico egli pure e si governi per via di esperienza interiore della coscienza, che questa sua coscienza, e la coscienza di chi tiene l'autorità dottrinale, anzi la coscienza stessa collettiva della Chiesa «vibri all'unisono» con la coscienza individuale di ciascuno.
Da siffatte premesse di ordine speculativo scende, conseguenza logica, la norma pratica, breve e spedita, della spiritualità modernistica; scendere nelle oscure latebre della coscienza o della subcoscienza, quivi scoprire istinti, impulsi o movimenti divini - siccome prodotti dallo Spirito, dall'Umanità mistica, dal Cristo vivente in noi - indi seguirli come norma, essendo essi da Dio, quale rivelazione individuale, senza rispetto o dipendenza dall'uomo, o al più ammettendo la direzione esteriore come un semplice aiuto, e questo secondario. Noi vediamo dunque nella pratica, come nella teoria, invertite le veci: ciò che per il cattolico si aggiunge come aiuto interiore alla regola normativa della rivelazione e direzione esteriore, è per il modernista ascetico la regola prima e suprema, se non l'unica; e quella che è regola prima e suprema per il cattolico, diviene al più secondaria e subordinata, se non affatto irrita e vana, per il modernista. Così anche, per simile rispetto, ciò che per il cattolico è al più un'eccezione, come la direzione immediata o azione straordinaria dello Spirito Santo, è per il modernista la regola universale o almeno la regola da lui appropriata a tutte le coscienze religiose come «in vario grado manifestatrici della divinità».
II.
Non la finiremmo così presto se volessimo andare in citazioni, per aggiungere una nuova e facile conferma alle cose dette, in ogni punto; particolarmente quando ci proponessimo di segnare le gradazioni molteplici del nuovo ascetismo e le insidiose infiltrazioni successe in questa o quella scuola di spiritualità, venutaci d'oltre Alpe e d'oltre Manica. Tanto più che occorrendo sempre nei modernisti un linguaggio torbido, avviluppato ed ambiguo, non potremmo passarci di qualche necessario commento che ci trarrebbe in lungo con qualche noia dei lettori e nostra.
Daremo qui solo, per via di esempio, due tratti, scelti così a caso fra gli innumerevoli che ci vengono innanzi; tanto per gustare un saggio della soave unzione mistica e della limpidezza di linguaggio del nuovo ascetismo, come per antivederne in parte nell'attuazione dei principii l'eccesso delle conseguenze.
Ascoltisi per primo come parlava, or sono più di tre anni, al popolo fedele, nel bel mese di Maggio, uno dei nuovi «mistici» predicatori:
«Gesù vivente e presente nelle anime è appunto questo contatto con la realtà spirituale ed eterna». Strana definizione per verità, che vuol fare di Gesù... un contatto! Ma il nuovo ascetico non si turba per così poco; e «noi abbiamo Cristo nell'anima - egli soggiunge - Gesù Cristo può esserci rapito e strappato così come può esserci strappato questo nostro essere spirituale, questa nostra coscienza medesima... Queste profonde ed evidenti realtà spirituali, che costituiscono la fede viva ed operosa nel Cristo, possono essere da noi invocate come punto di partenza per la ricerca del Dio nascosto». Così il Murri nel discorso XVII, intitolato «Il Cristo vivente», e con somigliante misticismo altrove, spesso, nella sua Vita religiosa nel cristianesimo.
Odasi ora il Minucci del Fogazzaro [4]:«Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivo, quanti sentiamo che il concetto della Via, della Verità, della Vita, si... si... si... si dilata, ecco, si dilata nel nostro cuore, nella nostra mente! E rompe tante - come dirò? - vecchie fasce di formole, che ci stringono, che ci soffocano... Noi vogliamo cornunicare nel Cristo vivente, quanti abbiano sete - sete... sete! sete! - che la nostra fede se perde di estensione, cresca di intensità... Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivente, quanti sentiamo ch'Egli prepara una lenta ma immensa trasformazione religiosa per opera di profeti e di santi» ecc, ecc. E conchiude per ultimo con la perorazione: «Esiterete voi per paura di Pietro a servire Cristo? Uniamoci contro il fanatismo che lo ha crocifisso, e che avvelena ora la Sua Chiesa e se ne avremo a soffrire, ringraziamone il Padre». - Chi ha senso cristiano deve ammirare certo, quanto orgoglio misto alla confusione babelica del linguaggio e alla gravità enorme degli errori si celi sotto il pallio di questo mentito ascetismo!
Vero è che anche tra i modernisti il Minucci pare essere trascorso troppo, «le sue frasi sulla estensione e la intensità della fede, sul timore di Pietro non essere misurate» e via dicendo [5]. Ma queste sono vane proteste, dopo aperto il varco all'errore: sono al più scampi che fanno onore alla buona volontà di chi li cerca, non già alla sua logica. Ora - chi può dimenticarlo? - anche nelle vie dell'errore la logica è irrefrenabile, spietata. Che se per giunta è sospinta nella corsa dai principii dell'autonomia della coscienza e del soggettivismo della fede «emozionale», non può altro che precipitare alla sfrenata nell'abisso. E l'abisso qui è il fondo dei più grossolani errori, congiunti alla ribellione pratica contro l'autorità del magistero divino della Chiesa.
III.
A ciò - vogliamo credere - non hanno posto mente alcuni pii favoreggiatori del modernismo ascetico, neppure forse gli ispiratori e promotori di una nuova «via» di spiritualità che si dice assai diffusa in Francia, e si va propalando anche in Italia con uno zelo degno di miglior causa. La rivelazione di questa nuova «Via» - a cui pare alludere anche il romanziere modernista - annunzia certo cose mirabili e nuove. Eccone i capi: Agli uomini del nostro secolo conviene guardarsi dalla spiritualità antiquata e archeologica: la novità e la modernità essere dallo Spirito Santo; essere venuto il tempo in cui il Salvatore divino vuole da solo redimere e perfezionare il mondo: egli incomincerà con mezzi di cui finora non si è servito e invierà sacerdoti a ciò istituiti per innovare insieme e compiere l'opera della redenzione: prima di questa nuova spiritualità, annunziata da poco al mondo, non si dava alla carità quel luogo che le è dovuto meritamente; questa spiritualità poi vuol essere ed è cosa specialissima..., opera provvidenziale e redentrice, fondata dallo Spirito Santo; nuova quindi, ma progressiva: alla quale altre precedettero e altre succederanno, giusta l'impulso interno dello Spirito e la sua mozione esterna, poichè le cose tutte sono in perpetuo flusso, come il mondo è in perpetuo mavìmento: è una via infine facilissima, larghissima, universalissima, più che le altre tutte aperta a quasi tutte le anime, nominatamente a quelle viventi nel bel mezzo del secolo.
Conformi a questa rivelazione di «via» o spiritualità nuova, sono poi i concetti nuovi delle relazioni tra l'anima e Dio e quelli di metodo pratico alla perfezione: direzione precipua interna, procedente dal Verbo stesso e dalla sua mistica umanità o anche dallo Spirito del Verbo, lo Spirito di Gesù, che è lo Spirito Santo; cognizione diretta, che Iddio ingerisce costantemente nelle anime, di quanto conviene fare; e però niuna ansia o sollecitudine di ricercare la propria via; contentezza anche dei propri peccati, nonchè delle miserie, perchè glorificano Iddio: non troppa cura di acquistare o esercitare le virtù, perchè già le abbiamo in quanto Cristo opera in noi, nè di tanta perfezione è l'imitare le virtù di Cristo, di quanta il communicare ad esse mediante la participazione mistica della sua umanità. Con questa doversi ottenere che le azioni nostre siano di tal guisa identificate con quelle di Cristo Salvatore che fra le une e le altre non si possa far distinzione: nessuno operar così bene come chi lascia operare Dio solo: in questa «via» non essere da affaticarsi per ascendere a Dio, poichè con essa Iddio discende a noi. E vi è un doppio tutto in questa stessa «via»: un tutto maggiore che è Dio, e un tutto minore che è l'anima; la perfezione sta in questo che il tutto maggiore si riproduce e si compiace nel minore; e il tutto minore è riempito e partecipa del maggiore... - Cose sublimi, come ognun vede!
Eppure basta che l'anima voglia: e così, mettendosi nella nuova «via», lasci fare a Dio, al buon Dio, che da solo opererà il tutto a perfezione. Pietà inferiore è chiamata quella che sta nell'osservanza faticosa dei comandamenti di Dio e degli obblighi del proprio stato; pietà superiore, ma che può essere communissima alle persone del secolo, è quella di unirsi volentieri con Dio e lasciarsi portare dalle sue braccia: il lavorare della natura contro la natura conviene agli incipienti, della natura con la grazia ai proficienti, della grazia sola, ai perfetti; quindi scienza sacerdotale, predicazione, esercizi spirituali segnatamente, non essere di gran giovamento alla perfezione; sacrifizi poi o mortificazioni nella vita spirituale, massime negli inizi, essere piuttosto cose inutili, per non dire nocive; più perfetto l'usar bene delle cose tutte che il privarsene; quindi, per finirla, lo stato religioso non potere tanto alla santificazione del mondo quanto la spiritualità nuova delle persone ritenute dal matrimonio o da altro motivo nella vita secolare.
Quest'ultimo errore in ispecie, associato spesso a quello di uma direzione più immediata dello Spirito Santo, ha illuso e va illudendo parecchie anime buone, forse troppo buone, particolarmente tra il clero secolare. Così noi stessi ricordiamo bene di aver letto in un pio «bollettino circolare» di zelanti sacerdoti, come «il dono dello Spirito Santo è quello che li distingue dai Gesuiti, dai Domenicani, dagli Oratoriani, i quali hanno ricevuto un dono differente»: e un tal dono certo li avvantaggia su tutti. Così anche una persona molto ascetica noi abbiamo udito che predicava ai suoi chierici, doversi rifugiare allo stato religioso quelli solo che non potessero vivere castamente nel secolo. Egli pensava forse di dar loro con libera parafrasi il consiglio del Maestro al giovinetto buono del Vangelo: Se vuoi essere perfetto... [6]!
IV.
Ma checchè sia di ciò, ad agevolarne la propaganda concorre l'arte, o l'artifizio piuttosto, di coprirla con l'autorità di uomini santi, delle loro dottrine, o delle loro scuole di spiritualità, con uno sforzo studiato di paralleli sottili o di opposizioni supposte fra l'una e l'altra. Così vuolsi opporre lo spirito di s. Pietro e di s. Paolo, di s. Agostino e di s. Tommaso, di s. Francesco d'Assisi e di s. Domenico, di s. Filippo Neri e di s. Ignazio di Loyola, e via via [7].
E parimente, mentre dagli uni si mette in rilievo, per esagerarne l'opposizione e il contrasto, la semplicità della vita primitiva delle prime communità cristiane, dagli altri si travisa la complessità della vita evolutiva, secondo l'idea loro dominante della evoluzione, in cui sta la vita. Stando a questi ultimi, più schiettamente modernisti, l'ideale della perfezione cristiana sarebbe da cercarsi, non tanto nel passato, quanto nel presente e nel futuro, con l'inizio cioè e l'incremento del regno dello Spirito, della religione dello Spirito, trionfante sopra le religioni di autorità. Nel che non insisteremo noi a mostrare le vestige, anche in autori ascetici, delle idee di Augusto Sabatier, o più veramente del pietismo protestantico [8].
Niuna meraviglia poi che tale nuovo indirizzo di ascetismo incerto e nebuloso avversi in modo particolare lo spirito e la disciplina netta, vigorosa, pratica degli Esercizi spirituali di S. Ignazio; se pure non pretende «studiarli alla luce del sufismo o misticismo musulmano» come quello scrittore moderno da noi altrove citato [9]. Certo da questa « luce di sufismo» era abbagliato il modernista stesso quando chiamava il santo «una delle persone più enigmatiche», e nel sufismo cercava la chiave dell'enigma.
Ma, lasciando star ciò che non merita confutazione, il modernismo ascetico vuole appunto mettere il contrasto o almeno la evoluzione sua tra i santi e le loro dottrine o forme di santità, per tirarne la conseguenza della spiritualità soggettiva o immanentista, che gli sta a cuore, in cui la coscienza individuale sia tutto o quasi tutto. Quindi pure il costume di rinfacciare all'antico metodo di spiritualità di soffocare, col peso dell'autorità, le libere energie dello spirito, di costringere ad una forma omogenea e forzata tutte le varietà delle coscienze individuali, quasi pretendesse coniarle o riformarle tutte unitamente sopra uno stampo unico, secondo il tipo squallido di una virtù d'altri tempi. Esso fa con ciò una caricatura dell'ascetica cristiana, e per meglio impugnarla, mostra d'ignorarne gli elementi stessi. Poichè il primo fra tutti gli elementi, in questa scuola dello spirito, è appunto l'accordo tra la immutabile essenza della santità e la varietà infinita delle sue forme o, se vogliamo così dire, degli atteggiamenti diversi secondo i tempi, le nazioni, gli individui: l'una cosa e l'altra già insegnata ripetutamente da S. Paolo [10], e poi inculcata perpetuamente da tutta quanta la tradizione dell'ascetica cristiana. Così, nominatamente, nella disciplina spirituale di S. Ignazio, la più invisa e la più accusata di autoritaria dal modernismo ascetico, noi troviamo inculcata fin da principio e di poi ripetuto spessissimo al direttore delle anime, di bene studiare la condizione e le qualità personali del soggetto ecc. [11], di ben guardarsi dal portarlo ad eleggere uno stato piuttosto che un altro, di non piegarsi a questa nè a quella parte, ma, «tenendosi nell'equilibrio di una bilancia, lasciar operare immediatamente il Creatore con la creatura, e la creatura col Creatore». - Ma in questa disciplina, accoppiandosi alla soavità la forza, alla ragionevole libertà del soggetto la guida amorevole dell'autorità, non si dà luogo alle illusioni, perchè resta costante la regola infallibile della perfezione, come unico il prototipo essenziale della santità, Cristo Signore, di cui sono copie svariate e molteplici le anime tutte degli eletti. Quindi la massima solenne di S. Ignazio «essere cosa piena di pericolo volere tutti spingere per una via stessa alla perfezione: e chi ciò presume, non ìntendere quanto siano varii e molteplici i doni dello Spirìto Santo».
V.
Con ciò l'anima non resta abbandonata a se stessa, poichè alla regola esterna, che è la legge divina e l'autorità della Chiesa, ricorrerà per conferma anche nel caso di una direzione straordinaria ed eccezionale dello Spirito, il quale non potrà mai contraddire a se stesso, contraddicendo all'autorità della Chiesa.
Del resto, salvo questo caso eccezionale, le ascensioni spirituali dell'anima, cioè i passi del suo progresso nella via dello Spirito, si seguono a gradi ben definiti e precisi nell'ascetica cristiana, conforme alla dottrina della Chiesa; e ciò senza pericolo di allucinazione o d'inganno. S. Tommaso le ha intuite e chiarite con la sua nitidezza angelica, illuminandoci così a riconoscere l'accordo mirabile dell'ascetica dei Santi e il contrasto irrimediabile dell'ascetica dei modernisti con l'ideale sublime della carità vera e perfetta. Il ristretto della sua dottrina è contenuto particolarmente in qell'ammirabile seconda parte della sua Somma teologica, che da sola basterà alla piena confutazione del modernismo ascetico e delle sue confusioni. Eccone qui solo uno dei tratti più noti e più comprensivi:
«L'aumento spirituale della carità si può considerare, per qualche rispetto, simile all'aumento corporale dell'uomo; il quale, sebbene possa distinguersi in molte parti, ha nondimeno alcune determinate distinzioni, secondo determinate azioni o inclinazioni a cui l'uomo è condotto per via dell'aumento... Così anche si distinguono diversi gradi della carità secondo diverse inclinazioni, a cui l'uomo è condotto per l'aumento della carità. Perocchè da principio incombe all'uomo lo studio principale dì recedere dal peccato e resistere alle concupiscenze di esso, che muovono in contrario della carità; e ciò appartiene ai principianti, nei quali la carità è da nutrire e fomentare perchè non si corrompa.
Succederà poi un secondo studio, che l'uomo principalmente intenda a progredire nel bene, e questo studio appartiene ai proficienti, i quali intendono a questo principalmente, che la carità si corrobori in loro con l'aumento. Il terzo studio è poi che l'uomo miri principalmente ad unirsi a Dio e goderne; e ciò appartiene ai perfetti, i quali anelano ad esser sciolti e trovarsi con Cristo [12].»
Di queste ordinate ascensioni il modernismo ascetico non fa caso; ma pretende giungere di botto alla sommità, per l'immediato impulso dello Spirito che lo porta. Nel che egli contraddice ancora per altri capi, alle dottrine della Chiesa, ed è già giudicato.
VI.
Basta infatti percorrere la lettera Testem benevolentiae di Leone XIII, del 22 gennaio 1899, contro il così detto americanismo, per trovarvi l'espressa condanna del modernismo ascetico. Essa ne condanna il fondamento commune, che cioè debba la Chiesa, allentata l'antica severità, accondiscendere alle recenti teorie ed alle esigenze dei popoli: e insegna, per quanto appartiene alla «disciplina del vivere», che sebbene «tale non è certamente che escluda qualsivoglia temperamento secondo la diversità dei tempi e dei luoghi», tuttavia «il decidere di questo non si appartiene all'arbitrio di uomini privati», ma spetta alla Chiesa, ed al giudizio della Chiesa è necessario che si conformi ogni cristiano. Quindi vi è riprovato, come il più pericoloso in questa materia e il più avverso alla dottrina e alla disciplina cattolica, il disegno d'introdurre nella chiesa una siffatta libertà «per la quale sia lecito ai fedeli abbandonarsi alquanto più al proprio arbitrio ed alla propria iniziativa», trasandando l'autorità e la sapienza della Chiesa stessa. Condannate similmente le altre aberrazioni toccate sopra; in ispecie «per coloro i quali vogliano tendere all'acquisto della perfezione cristiana, il rigettare come superfluo, anzi men vantaggioso, ogni esterno magistero e l'esaltare fuor di modo l'interna direzione dello Spirito Santo, col pretesto che «lo Spirito Santo, ora meglio che nei tempi trascorsi, effonde larghi e copiosi i suoi carismi sulle anime dei fedeli, e con un certo arcano istinto le ammaestra e le conduce senza intermediario veruno».
E a ragione, su quest'ultimo punto segnatamente, insiste il Sommo Pontefice, mostrando «la non lieve temerità» di voler definire la misura onde Dio si comunica agli uomini; il che dipende unicamente dalla volontà di Dio, liberissimo dispensatore de' suoi doni. «E chi sarà poi - dimanda - che riandando la storia degli Apostoli, la fede della Chiesa nascente, le battaglie e le morti dei martiri fortissimi, la più parte finalmente delle antiche età così feconde di uomini santissimi, osi porre a confronto i passati tempi coi presenti ed affermare che quelli sieno stati favoriti di una più scarsa effusione dello Spirito Santo?» Così niuno dubita che in ogni tempo lo Spirito abbia operato e operi nelle anime con segreta operazione, e se questa non fosse, vano sarebbe ogni esterno magistero. Ma vicendevolmente, «ciò che pur conosciamo dell'esperienza», senza l'esterno impulso, il più delle volte, non si sente l'interno nè si asseconda da noi: poichè appartiene ciò alla legge ordinaria, per cui vuole Iddio salvare e santificare gli uomini mediante altri uomini. E questo tanto più stringe quelli che tendono a cose più perfette, giacchè essi «per ciò stesso che pongonsi ad una via più sconosciuta sono più soggetti ad errore, ed hanno perciò più bisogno degli altri di maestro e di guida». Tale, conchiude Leone XIII, fu sempre la regola di operare in vigore nella Chiesa: tale la dottrina professata da tutti senza eccezione, quanti fiorirono per sapienza e per santità; nè alcuno può disconoscerla senza temerità e pericolo.
La temerità poi e il pericolo è anche maggiore nel modernismo ascetico, quando non si contenta di stare con l'americanismo alla distinzione assurda tra virtù attive e passive - quasi potesse darsi una virtù non ordinata all'atto - e a quel « quasi disprezzo» delle virtù soprannaturali, tanto rimproveratogli dalla voce del Papa; ma passa a deprimerle tutte unitamente per sostituirvi un «abbandono mistico», un sentimento o una esperienza interna del divino, con quell'adesione fiduciosa del cuore in cui sta la loro fede emozionale, supposta perciò inseparabile dalla carità pura. Si direbbe anzi, talora, che il modernista trascorra qui all'estremo opposto dell'americanismo, ingolfandosi nelle correnti quietistiche; ma di queste è anche proprio il mischiare le loro acque con quelle non meno torbide del pietismo protestantico, sia germanico, americano o inglese.
Dobbiamo perciò da capo rammentare che absurdo sequitur quodlibet; e qui ne segue particolarmente quel disprezzo della vita religiosa, che non meno fortemente Leone XIII condannava nell'americanismo; indi anche quell'anteporre conseguentemente agli ordini religiosi le associazioni libere, cioè non astrette da voti, sebbene anche queste siano «un istituto di vita non nuovo nella Chiesa, nè riprovevole».
Ma non vogliamo qui dilungarci su questo punto, nè insistere per singolo sugli altri che ravvicinano, anzi bene spesso confondono il modernismo ascetico con l'americanismo nelle dottrine, nei metodi, nelle tendenze, perciò anche nella condanna, Il che non farà maraviglia, chi avverta come il così detto americanismo era forse anche più portato in trionfo al di qua che al di là dell'Oceano, in Francia singolarmente, e per il solito servilismo o «psittacismo» anche in Italia.
VII.
Una cosa tuttavia non possiamo tacere, ed è che la nuova ascetica si viene condannando già da se stessa, con la più aperta contraddizione. Di che accenneremo due soli esempi. Il primo è di esagerare per una parte il soggettivismo, la libertà, l'autonomia, fino ad escludere, o deprimere almeno, ogni regola e direzione esteriore; e per altra parte pretendere di proporre a tutti una stessa via e per giunta la più pericolosa, la più alta, anche quando fosse bene intesa, nè opportuna ad altri che a poche anime elette e già progredite; anzi, quel che è peggio, proporla con una precipitazione immatura, senza pensiero delle conseguenze.
In ciò anche qualche autore pio ha mancato pericolosamente, generalizzando, a mo' d'esempio, nellascienza della preghiera, la contemplazione negativa di Dio, come qualche conferenziere esagerando la incomprensibilità di Dio, fino a predicarlo inconoscibile e da doversi meglio onorare col tacere che col parlarne: silentium sublime del mistico! Ma ben peggio i modernisti abusarono di questo, come di un mantello superbo da ricoprire troppe loro miserie ed errori gravissimi: affettazione morbosa di trascendentalismo agnostico, sotto colore di misticismo cattolico il più sublime.
E - cosa strana! - come già i quietisti [13], così i modernisti si fecero scudo anche qui dell'autorità di un gran mistico, di S. Giovanni della Croce. Forse perciò i promotori della famosa «collezione di mistici» annunziano prossima una edizione popolare della Notte oscura dell'anima, come «un laboratorio di ignota psicologia». E Igino Petrone, ordinario di filosofia morale nell'università di Napoli, mordendo dispettosamente l'enciclica nel Rinnovamento [14], esaltava «l'ammirabile pensiero religioso di S. Giovanni della Croce», presumendo anche usarne le immagini e le parole, a difesa della «concezione dinamica», o piuttosto agnostica, dei dommi voluta dai modernisti: pretendeva cioè con un processo di liberazione e di distacco del dogma da ogni «involucro concettuale restituirlo nel suo centro di nudità e di oscurita spirituale». Col qual criterio, aggiungeva egli, è, assicurata la perennità spirituale del dogma ed il suo valore di assolutezza. Ma ogni altro che intenda bene i termini, dirà invece che con questo si abbandona anche la nozione del domma e della verità religiosa a ludibrio di fantasia, o di sentimento individuale, che può essere anche morboso.
L'altro esempio di contraddizione aperta nel modernismo ascetico è parlarci sempre dell'azione e della vita, e poi di fatto restringersi all'affetto, al sentimento, al godimento intimo della esperienza religiosa,come se la religiosità dovesse tutta confinarsi nell'ordine dell'intenzione, e non scendere tosto all'ordine di esecuzione, alla pratica cioè delle virtù, all'esercizio laborioso dell'«amore effettivo», del sacrifizio. Questa contraddizione del resto, che sembra così assurda, è naturale, direbbesi, nell'uomo moderno, che si conformi cioè all'opinione corrente. Poichè, è questa appunto l'utopia moderna: sognare grandi cose e trasandarne i mezzi, o volerli al più comodi, rapidi, sommarii. Quindi trasferita questa utopia nella vita spirituale, l'anima forma bene «castelli di perfezione», ma si contenta d'intuirli, o contemplarli così campati in aria, e dimentica tosto di porre mano a edificarli sotto la guida di un'autorità che la diriga nell'attuare il faticoso disegno.
Che se talora non si giunge a tanto, si presuppone tuttavia che il lavoro della meditazione, dell'esercizio laborioso delle virtù, dell'«amore effettivo» insomma, non sìa che per i principianti e per uno spazio di tempo relativamente breve: dopo questo, si vuole di tratto sublimata l'anima, e quasi fissata, in un modo troppo permanente, in uno stato di unione mistica, di abbandono passivo, che sarebbe il segreto della nuova «via», ove lo Spirito Santo, lo spirito di Gesù, l'umanità mistica di Cristo fanno ogni cosa; e l'anima sololascia fare.
Ma in ciò accade una. contraddizione anche più strana: si vuole cioè, talora, mettere tutta questa merce sospetta o pericolosa di nuova spiritualità sotto il nome e la protezione del Santo, che le è per lo spirito e la vita il più contrario, S. Francesco di Sales! - Ma non ne possono andar ingannati altri che i semplici: la nuova spiritualità mostra troppo chiaramente l'impronta e il colorito del vecchio pietismo, e se non di quello più brutale del Molinos [15], di quello almeno più mite della famosa Madama Guyon [16].
VIII.
E all'ascetica di questa donna illusa, cioè al semiquietismo, si accostano anche parecchi animi avversi per sè agli errori del modernismo e sinceramente cattolici, ma abbagliati dal lustro delle parole, dalle apparenze di pietà profonda, diciamo anche, dall'ombra e dalla particella di verità che si contiene nell'errore. Così, è noto pure, in altri tempi questo errore ebbe illuso, anime elette, finanche quella del grande e pio arcivescovo di Cambrai, e continuò poi occulto a inoculare il suo veleno in questa o quella scuola di spiritualità, massime in Francia.
Ma già altri traviamenti simili, in età più antiche, avevano sviato, nonchè gli individui, intere communità religiose. Così avvenne nelle sette degli esucasti [*] o quietisti della chiesa orientale nell'età di mezzo, come in quelle dei fraticelli, degli apostolici e somiglianti in Occidente, risalendo su su fino alle manifestazioni prime del misticismo esoterico od occultista della «gnosi» insinuatasi tosto alle origini stesse, del cristianesimo.
Con queste il modernismo ascetico ha comuni, certo, parecchi punti di accordo; ma uno specialmente che è quello di procedere soppiatto ed occulto, sempre in opposizione tacita, o almeno indipendenza pratica, verso l'autorità ecclesiastica. Questa è fonte di molte, di tutte anzi le altre aberrazioni: questa scopre nei modernisti non quei «figliuoli della luce», quali essi si vantano, ma figliuoli delle tenebre, perchè «amarono essi maggiormente le tenebre che la luce»; e infine fa che in essi avverisi dolorosamente il detto di Cristo: Quis vos spernit me spernit.