Lutero è diavolo o ce un pensiero cristocentrico?






Lutero 

Come la Chiesa parlava di Lutero, alla fine del XIX secolo:

"Com'è chiaro che Dio è Dio, così è certo che Lutero è diavolo". La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 801, 24 ott. 1883) Firenze 1883. R. P. Raffaele Ballerini S.J.

"In questo mese di novembre tutto quello che, dentro e fuori del protestantesimo, suol chiamarsi mondo moderno, festeggia, per diverse ragioni, nella Germania segnatamente, con dimostrazioni di pompa e di gioia, il quarto genetliaco secolare di Martin Lutero, decantato a piena bocca quale iniziatore del gran moto di civiltà, che ai dì nostri è sul toccare l'apice dell'altezza, nella universale anarchia del socialismo. Agl'inni dei protestanti tedeschi, dei razionalisti e dei liberali d'ogni paese, che tanto incenso bruciano a quest'idolo adorato, bene sta che si aggiunga la voce altresì dei cattolici, la quale, fra gli strepiti dei menzogneri elogi, così faccia intendere la verità, come puramente si trae da una storia, che quattro secoli di studii e di esperimenti hanno oltre ogni evidenza illustrata.

Che uomo fu egli adunque Martin Lutero? Qual è propriamente il merito dell'opera sua nel cristianesimo?

Ecco due quesiti ai quali, per occasione dell'odierno suo centenario, tornerà utile fare breve ma irrefutabile risposta". La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 801, 24 ott. 1883) Firenze 1883. R. P. Raffaele Ballerini S.J.

Come la Chiesa parla di Lutero nel nostro tempo:


«Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita.»  Benedetto XVI a Erfurt su Lutero


"Un documento comune sulla fede cristiana che li unisce, al di là delle divisioni degli ultimi secoli: lo stanno preparando la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale in vista del 500.esimo anniversario delle 95 tesi di Martin Lutero nel 2017.
Ad anticipare l'iniziativa era stato papa Benedetto XVI lo scorso dicembre, durante l'udienza al presidente dei luterani mondiali, il vescovo Munib A. Younan. In questi giorni, il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unita' dei Cristiani, ha anticipato alcuni dettagli del documento in una intervista all'agenzia cattolica tedesca Kna".  Un documento comune che rilancia il dialogo tra le chiese, annunciata dal cardinale Koch presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani”! http://tertiumnondatur.blogspot.com.br/2012/02/cosabbiamo-da-festeggiare-per-il-500mo.html

"PER RICORDARE IL 500° ANNIVERSARIO DELLA RIFORMA LUTERANA DOMENICA 23 GENNAIO 2011 VERRÀ PIANTATO E BENEDETTO UN ALBERO PRESSO LA BASILICA DI S. PAOLO FUORI LE MURA A ROMA. SARÀ IL MOMENTO CENTRALE DI UN INCONTRO ORGANIZZATO IN GEMELLAGGIO CON IL PROGETTO ECUMENICO DEL “GIARDINO DI LUTERO” A WITTENBERG IN GERMANIA".  UN ALBERO A S. PAOLO FUORI LE MURA PER “IL GIARDINO DI LUTERO”http://www.romaamor.it/wp/?p=4174










Proggeto Barruel
La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 801, 24 ott. 1883) Firenze 1883, pag. 257-271.

R. P. Raffaele Ballerini S.J.

CHI FOSSE MARTIN LUTERO

I.

In questo mese di novembre tutto quello che, dentro e fuori del protestantesimo, suol chiamarsi mondomoderno, festeggia, per diverse ragioni, nella Germania segnatamente, con dimostrazioni di pompa e di gioia, il quarto genetliaco secolare di Martin Lutero, decantato a piena bocca quale iniziatore del gran moto di civiltà, che ai dì nostri è sul toccare l'apice dell'altezza, nella universale anarchia del socialismo. Agl'inni dei protestanti tedeschi, dei razionalisti e dei liberali d'ogni paese, che tanto incenso bruciano a quest'idolo adorato, bene sta che si aggiunga la voce altresì dei cattolici, la quale, fra gli strepiti dei menzogneri elogi, così faccia intendere la verità, come puramente si trae da una storia, che quattro secoli di studii e di esperimenti hanno oltre ogni evidenza illustrata.
Che uomo fu egli adunque Martin Lutero? Qual è propriamente il merito dell'opera sua nel cristianesimo?
Ecco due quesiti ai quali, per occasione dell'odierno suo centenario, tornerà utile fare breve ma irrefutabile risposta.

II.

Costui, nato il 10 novembre 1483 in Islebio [Eisleben, N.d.R.], contado di Mansfeld nella Sassonia, da un povero scavator di miniere, si ascrisse nel 1501 all'università di Erfurt. Dopo quattro anni vi divenne maestro e per volontà dei parenti suoi si dedicò allo studio della legge. Si narra che, mentre egli passeggiava un giorno con un amico, sorto un temporale, questi fu da un fulmine colpito al suo fianco. Preso da spavento, Martino fece voto di darsi a Dio: e di fatto, contro il divieto irragionevole del padre, nel 1506 entrò nel convento degli Agostiniani di Erfurt.
Secondo che scrive ed osserva il Döllinger [1], grande nocumento gli arrecò il P. Staupitz, suo provinciale: giacchè non solo dispensò lui, novizio e bisognoso in estremo di esser tenuto umile, perchè inclinatissimo ad orgoglio, dagli esercizii di umiltà prescritti nelle costituzioni dell'Ordine, ma dopo un anno di leggiero noviziato, lo fece ascendere al sacerdozio senza che il giovane vi fosse congruamente apparecchiato. Lutero stesso più tardi riconobbe gl'inconvenienti di questa fretta; e non esitò a dichiarare che, per mero effetto della pazienza di Dio, la terra in quel punto non inghiottì lui ed il vescovo che lo ordinava. Nè pago di questo, lo Staupitz (forse troppo sedotto dall'ingegno di Lutero) gli procurò subito la cattedra di dialettica e di etica e poi di teologia nell'università di Wittemberg, eretta di fresco, dove il mal formato maestro cominciò ad insegnare brutti errori e strani.
Dalle confessioni del medesimo Lutero, sappiamo che in questo tempo egli si lasciava vincere, non pur dalle tentazioni della carne, ma dalla collera, dall'odio e dall'invidia; e che queste spirituali sconfitte, provenienti certo da mancanza di virtù e di orazione, lo conducevano quasi a disperare. In una lettera al P. Staupitz, manifesta ch'egli era privo dell'amor di Dio: che ipocritamente fingeva di averlo: che faceva penitenza solo a parole: che nel convento era così avverso a Gesù Cristo, che all'aspetto del Crocifisso si sgomentava, abbassava gli occhi ed avrebbe preferito di vedere il diavolo[2].
Il turbamento della coscienza, che pur sempre lo agitava, gli era accresciuto dalla continua molestia che egli diceva darglisi da cotesto diavolo, il cui nome aveva incessantemente nella bocca e sulla punta della penna. A leggere gli scritti suoi o i suoi detti, notati da altri, fa meraviglia questo perpetuo suo commercio col demonio, ch'egli si vantava di vincere anche sempre, avvegnachè in forme visibili lo assediasse e gli stesse accanto e persino dormisse con lui, come con un familiarissimo amico. «Io ho provato qual compagno sia il diavolo, sclamava un giorno a mensa; egli mi ha date strette tali, che io non sapevo più se fossi vivo o morto. Alle volte mi ha gittato in un così fatto abisso di disperazione, che ero al punto d'ignorare se vi fosse un Dio[3].» Certo è ch'egli usciva da queste battaglie spossato e bagnato di sudore; e tra per questo e pei rimorsi della coscienza, nè di giorno nè di notte non aveva più requie.
Per quietarsi, venne escogitando un argomento che diventò poi come primo germe delle altre mille sue teologiche enormità: e fu di esagerare e falsare l'articolo del simbolo: «Io credo la remissione dei peccati» in modo che e da lui e da tutti si avesse da credere necessariamente per fede, che i peccati proprii erano di fatto da Dio perdonati. Di qui il suo fondamentale errore della giustificazione per la sola fede, secondo cui prese a interpretare le Scritture, spregiando qualsiasi altra interpretazione dei Padri e dei Dottori.

III.

Si crede comunemente che Martin Lutero cominciasse a prevaricare ed a mutar bandiera nel 1517, nella congiuntura delle indulgenze largite da Papa Leone X a chi, con altre debite condizioni, offrisse limosine per la fabbrica della Basilica di San Pietro in Vaticano, e dei litigi ch'egli intorno a ciò fece insorgere. Ma è falsa opinione. Oltre il dèttone finora, nella prefazione al primo volume delle suo opere, egli, parlando di sè e del tempo che precedè la sua ribellione alla Chiesa romana, uscì in questa orribile confessione: «Io non amava, odiava anzi un Dio, giusto punitore dei peccatori; e se non con tacita bestemmia, almeno con grandissima mormorazione io m'incolleriva e m'infuriava, dentro la crudele coscienza straziata dai rimorsi [4]».
Sino dal febbraio del 1516 tolse ad impugnare, con acerbi scherni, il metodo degli scolastici ed a chiamarefango ed immondizie i loro libri; perocchè egli ben vedeva che nulla avrebbe concluso, colle novità dottrinali ch'egli meditava, se prima non avesse screditate le armi, con cui la Scuola invittamente sostenea le cattoliche verità. Poscia mandò in giro una serie di novantanove proposizioni, contro la teologia degli scolastici e i sogni di Aristotele, che levarono grande scandalo. Basti dire che nella trentesimanona negava il libero arbitrio, con queste formate parole: «Noi non siamo padroni delle nostre azioni, ma schiavi, dal principio sino alla fine»; e con altre venti pretendeva stabilire, che l'uomo può il male, e non altro che il male; così che la sua natura per sè unicamente e necessariamente è determinata al male; d'onde viene che Dio e non l'uomo è autor del peccato, e ingiusta ogni pena che Dio al peccatore infligga: empietà e bestemmia, come ben nota il Bossuet, che non si udirà forse nè meno nell'inferno. Eppure egli era così ostinato in queste sue sentenze, che trattava da spettri e da vampiri quelli tra' suoi confratelli che le biasimavano quali errori madornali[5]. Queste proposizioni o tesi, da Lutero insegnate e divulgate nel 1516 e stampate dipoi a Wittemberg in latino, assegnano a quest'anno il vero principio della sua così detta Riforma: il che fu avanti il piato[*] fatto nascere, per occasione delle indulgenze di Papa Leone X.
Origine di questo piato, come dopo il Plank, l'Ancillon e altri, oggidì l'ammettono ancora molti protestanti spassionati, col Cobbett e col Menzel, fu l'orgoglio e l'invidia che punse l'animo irrequieto e niente nobile di Lutero, in vedersi antiposto il domenicano Tetzel nell'ufficio di sottocommissario dell'arcivescovo Alberto e del nunzio Arcimboldo, per la predicazione di tali indulgenze. Tosto egli si lasciò sopraffare da tanta ira, che il 31 ottobre del 1517 attaccò alla porta della chiesa del castello di Wittemberg le novantacinque sue tesi, che gli spalancarono sotto i piedi l'abisso. «Ah, sclamava egli più tardi, se avessi previsto che la prima mia impresa dovea condurmi così lontano, per certo avrei raffrenata la lingua![6]» Ma l'impeto suo naturale e la contumacia ne' concetti del torbido suo cervello così l'accecarono, ch'egli, di contraddizione in contraddizione e di fallo in fallo, di appello dal nunzio al Papa, dal Papa male informato al Papa bene informato, dal Papa al Concilio e dal Concilio al senso privato di ciascun fedele da lui costituito sacerdote, pontefice e re, traboccò negli ultimi eccessi della ribellione a Dio ed alla Chiesa.
Operò egli così in effetto, perchè fosse dentro sè persuaso essere vero ciò che sosteneva e per intimo senso della coscienza? Mille argomenti e, tra gli altri, il suo perpetuo contraddirsi fino all'ultimo, mostrano che no: ma più che altro lo manifestano queste parole di disperato pentimento, da lui proferite, quando il male non parea avesse più rimedio: «Io odio ed avverso l'intero mondo. Ma dacchè mi sono messo per questa via, bisogna pure ch'io dica di aver fatto bene. Non posso però credere ciò che insegno, avvegnachè altri me ne creda profondamente convinto... Quanti uomini, vo tra me dicendo, hai tu sedotti con la tua dottrina! Tu sei cagione di tutti i loro disordini. Questo pensiero non mi dà un momento di tregua[7].» E più chiaramente ancora queste altre da lui scritte: «Per caso e non per mia elezione, mi sono gittato in queste battaglie religiose. Io ho abolita l'elevazione dell'ostia, per far dispetto al Papa; e se l'ho tanto tempo conservata, ciò è stato per fare rabbia a Carlostadio. Confesso di aver tenuta la comunione sotto le due specie, unicamenteper fare onta al Papa. Ma se un Concilio ordinasse la comunione sotto le due specie, io e i miei la riceveremmo sotto una sola, o non la riceveremmo punto, e maledirei coloro che obbedissero al Concilio. Se voi persistete nelle vostre deliberazioni comuni, io ritratterò tutto quello che ho scritto e vi abbandonerò[8]
Da queste autentiche sue confessioni, deducano gli odierni encomiatori di Martin Lutero, quanto gli si avvengano le lodi che gli tributano di uomo leale, di apostolo della verità, di operatore di una nuova redenzione dello spirito umano, già schiavo delle superstizioni e via via.

IV.

Un altro capo, che rende sfolgorante la pressochè dementatrice passione da cui era incitato e guidato nel suo operare, è quello dei vilipendii e delle ingiurie sozze, con cui rispondeva a' suoi avversarii ed oltraggiava ogni più santa ed augusta autorità della terra. Nessun animo onesto potrebbe farsi un'idea dei vituperii laidissimi e delle buffonerie, con le quali pretese di confutare la condanna fatta de' suoi errori, nel 1519, dalle due università di Colonia e di Lovanio. Dopo scherzato con parole schifose, passò a chiamare i dottori delle due università: «vere bestie, porci, epicurei, pagani ed atei, che non conoscono altra penitenza fuorchè quella di Giuda e di Saul, che pigliano, non dalla Scrittura, ma dalla dottrina degli uomini quidquid eructant, vomunt etc...[9].» La Santa Sede, fin da quando egli le si diceva ancora sottomesso, già definiva essere quel «marciume della Sodoma romana, che avvelena e perde interamente la Chiesa di Dio[10]
La buona creanza, poi vieta di riferire le stomachevoli infamie che a piene mani versò nel suo libro Il Papato di Roma istituito dal diavolo, contro il Vicario di Cristo, i vescovi, i cardinali e tutto il clero cattolico; e le immonde figure, a scherno del romano Pontefice, che divisò e fece disegnare col titolo diPassione di Cristo e dell'Anticristo. Sono esse una così fecciosa melma, che i più sfrenati cialtroni di piazza non ardirebbero toccare. Il Döllinger, giudicando quel libro, così lo ha sentenziato: «Scritto la cui origine appena altrimenti si può spiegare, che ammettendo Lutero l'abbia in gran parte composto mentr'era riscaldato da bevande inebrianti. Che se lo dettò in istato di sincerità, senza alterazione od ubbriachezza, egli s'infiammò di sdegno fino a quel grado, in cui lo spirito, perduto il dominio di sè, comincia a cadere nello scompiglio e nella demenza[11].» Nè deve ciò recare ammirazione a chi consideri, che Lutero osò tacciare d'erroneo S. Pietro, principe degli Apostoli, e deridere d'infacondo, di adirato, di peccaminoso, diidolatrico e d'ipocrita lo stesso Mosè[12].
Nè diversi modi potè usare a dileggio delle podestà civili, egli che tante abbominazioni scrisse e proferì in onta alle più sacre: «I Principi, diss'egli, sono in generale i più grandi pazzi e bricconi della terra: non ci possiamo aspettar da loro nulla di buono, ma sempre quanto vi è di peggio.» Suo proverbio era questo, chePrincipem esse et non esse latronem, vix possibile est[13]. Senza che uno dei diciotto articoli del Credo, che egli compose dopo la dieta di Worms, fu che non vi è Stato il quale, secondo che l'esperienza insegna, possa felicemente essere governato da Re.

V.

Quest'uomo poi, la cui penna irosa nulla aveva più familiare che i termini sudici e il nome del demonio, tanto era invanito di sè, che si riputava superiore a tutta la umana specie. Non solo egli si figurava di avere a combattere con Satana, come Paolo e Gesù Cristo, ma di essere a dirittura un Paolo novello, operator di miracoli, unico vero inviato da Dio, infallibile ne' suoi insegnamenti[14]. Stimava che le sue dottrine tanto ridicole ed assurde intorno alla giustificazione, fossero un nuovo vangelo; e predicava in pubblico che Dio,con singolare vocazione, aveva eletto lui a bandire e ripristinare la lieta novella e datagli unasoprannaturale intelligenza delle epistole di Paolo. Finalmente si millantava che niuno prima di lui (nè pure i Padri della Chiesa, nè i sommi teologi dei secoli precedenti) avesse saputo che cosa fossero la creazione, la redenzione, la giustificazione, l'uomo ne' suoi componenti di anima e di corpo; che cosa fossero Cristo, il battesimo, la confessione, i dieci comandamenti, il Pater nostro, e via via. Che più? Con frasi diversissime, egli assicurava di avere ricevuta la dottrina sua, per divina ispirazione, dal cielo: dava per certissimo che la parola sua non era sua, ma di Cristo; ch'egli era anzi la bocca di Cristo medesimo, il quale lo aveva chiamato ad essere giudice degli uomini e degli Angeli[15].
Le quali stolide superbie come lo rendessero odioso agli stessi satelliti suoi nella ribellione alla verità cattolica, non è a dire. Ecco un saggio dei loro sentimenti: «Quando leggo un libro di Lutero, scriveva l'Hencke, mi sembra di vedere un porco immondo, che grugna annusando qua e là i fiori d'un bel giardino: con uguale impurità, con uguale ignoranza teologica, con uguale sconvenienza, Lutero parla di Dio e delle cose sante[16].» Zuinglio gli rinfacciava «la tracotanza, la sfacciataggine, il fasto di parole e le turgide minacce» a lui abituali e lo diceva «pieno di orgoglio, d'arroganza e sedotto da Satanasso»; e soggiungeva: «a vederlo in mezzo a' suoi, tu lo crederesti ossesso da una falange di demonii. Com'è chiaro che Dio è Dio, così è certo che Lutero è diavolo. Nel suo furore egli si contraddice da una pagina all'altra. Non ti si fa nessun torto chiamandoti, o Lutero, seduttore più pericoloso di Marcione[17].» La società tigurina lo riprendeva «di cercare sè e la gloria propria, con un orgoglio di strabocchevole insolenza[18].» Ecolampadio dicevalo «tronfio di orgoglio e corrotto da Satanasso».

VI.

Non vi è però dubbio che le contingenze dei tempi, ne' quali Lutero visse, conferiron di molto a pascerne la folle vanità. I costumi rilassati, il guasto di una porzione del clero, sì regolare come secolare, il desiderio di novità, il raffreddamento del laicato nella pratica della vita cristiana, il vizio dell'ubbriachezza diventato comune alla plebe ed ai grandi, la cupidigia e i disordini di non pochi principi di Germania, facilitarono al ribelle frate la disseminazione de' suoi errori e l'impresa dello scisma. Come le api intorno alla regina, così i tristi si raccolsero attorno di lui, poco o nulla badando all'assurdità delle sue teoriche e molto allo sbrigliamento delle passioni, a cui conducevano. Intere scuole gli facevano plauso; non pochi membri di amendue i cleri e parecchi prelati si mostravano già suoi aderenti, una turba di pedanti e di umanisti lo portava alle stelle: un'altra schiera di nobili lo proteggeva e gli offriva asilo. Tanti fumi gli diedero al capo, ne crebbero la superbia e lo rianimarono a persistere nell'eresia, contro gli ammonimenti della coscienza e i dettami della ragione cristiana. Egli, che aveva scritto all'imperatore Carlo V di voler morire da figliuolo fedele ed obbediente alla Chiesa cattolica e stare al giudizio di tutte le università non sospette, quattro mesi dopo pubblicava il sedizioso libro Alla nobiltà tedesca e quindi l'altro Della schiavitù babilonica, rigurgitanti di contumelie a tutta quanta la cattolica verità; ed in ispecie al santo sacrifizio della Messa, in obbrobrio del quale scrisse ribalderie che la penna si rifiuta di accennare.
Il dottore Schön, che dieci anni or sono pubblicò uno scientifico esame psicoiatrico di Martin Lutero, tradotto ancora in italiano [19], per conclusione del quale mostrò che costui fu soggetto ad accessi di follia, ragionando del libro Della schiavitù babilonica asserisce quanto segue: «Io sono stato molto tempo curato di uno dei più grandi manicomii d'Europa: mai però non mi è toccato di ascoltare un linguaggio simile in dissennatezza a quello che tenne in questo libro quel caro uomo di Dio, secondochè lo chiamano i suoi veneratori. L'opporre che fanno costoro, a sua scusa, ch'egli fu di aspra natura, di genio singolare ed abborrente dalle vie comuni, e che si conformava alla ruvidità dei tempi, è un tentare di giustificarlo con insulse menzogne. Perchè non dire la verità e chiamar pane il pane?»
Il de Wette, ammiratore e biografo di Lutero, riferisce che alla mensa egli così pregava: O santo Satana, prega per noi. Piglia il cordone in mano e va in Roma dal tuo servo (il Papa) del quale tu sei l'idolo[20]. Se questo non è un pregare da pazzo qual altro sarà mai?

VII.

Nè ciò basta. Quale santità palesò Martino Lutero, nella vita, nella morale e nel costume? Abbiamo veduto più sopra com'egli, prima di apostatare dalla Chiesa, non occultasse il cedere che faceva alle tentazioni. Allorchè nel 1521, dalla dieta di Worms fuggito nel castello di Vartborgo, che denominò poi il suo Patmos, vi si tenne nascosto, sotto i 13 giugno, scriveva all'amico Melantone così: «È finita! Io non posso più pregare, nè gemere; la carne mi brucia, quella carne che bolle in me invece dello spirito. Infingardia, sonno, mollezza, voluttà, tutte insieme le passioni mi assediano... ecco otto giorni che io non iscrivo, nè prego, cagione le tentazioni della carne.» Del resto d'ogni suo male facilmente si consolava. Secondo il suo grande assioma, che il libero arbitrio è una chimera, ed il suo gran dettame del pecca fortiter et crede firmiter, il 1° agosto riscriveva a Melantone in questi termini: «Sii peccatore e pecca vigorosamente, ma la tua fede sia maggiore del tuo peccato. Il peccato non può distruggere in noi il regno dell'Agnello di Dio, quand'anche fornicassimo o uccidessimo mille volte al giorno.» Poste le quali nuove regole di moralità, è agevole conghietturare come si diportasse Lutero nelle sue tentazioni, e di che sorta dovesse essere la vita sua privata.
Nel 1525, dopo gittato l'abito religioso, non ebbe più nessun ritegno di pudore, e sposò la famigerata Caterina di Bora, scappata con altre compagne, a indotta sua, dal monastero di Niemitsch, nel quale avea professata la regola di san Bernardo; e la sposò proprio il venerdì santo, appresso che costei, giovane in sui ventisei anni, già si era data a un viver perduto ed era stata rifiutata da un altro prete apostata: così che Martin Lutero ebbe a gustare le gioie di una paternità non sua, pochi giorni dopo che si era solennemente introdotta nella casa nuziale questa sua diletta Ghita, che gli riempì la casa di prole: fatto che gli attirò la riprovazione de' suoi stessi più caldi seguaci[21]. Tanto più ch'egli, a quarantacinque anni di età, aveva celebrato l'orrido pateracchio, contraddicendo ai fieri biasimi, co' quali ne' suoi discorsi da tavola avea vituperato il matrimonio dei preti. E in vero, subito dopo stretto questo nodo sacrilego, di lui due volte apostata con la due volte apostata sua Ghita, ne espresse pentimento, confessando di temere che questo vergognoso scioglimento della sua commedia facesse piangere gli Angeli e ridere i demonii.
Oltre ciò, costui si mostrò affetto di quel morbo, che gli alienisti denominano satiriasi. Noi non vogliamo lordare queste pagine, ricapitolando le stringenti prove che il dottor Schön, nella opera mentovata, garbatamente allega. Fra le altre disorbitanze, in una predica, ch'egli tenne del 1522, uscì in cose e concesse diritti, che la naturale coscienza persino dei pagani rigetta con abbominio. Ch'egli facesse lecita la bigamia al Langravio d'Assia, è da documenti autentici comprovato. Egli dichiarò tanto impossibile il non peccare di senso, quanto è impossibile vivere senza bere e mangiare[22]. L'intemperanza sua fu tale, che più di una volta ebbe a patirne gravi malattie. Un suo discepolo si diè per vinto da lui nell'ubbriachezza e nel turpiloquio; del che Lutero saporitamente rise, quando se l'intese dire nell'osteria dell'Orso nero [23]. Allorchè alcuni si dilettavano di passare qualche giornata scapricciandosi licenziosamente, solevan dire:Oggi vivremo alla luterana[24]. In somma l'anima epicurea di fra Martino si scopre tutta in questa sua preghiera, che non fu messa in dubbio nemmeno dal furibondo Bost. «O Dio, per vostra bontà, provvedeteci d'abiti, di cappelli, di mantelli, di vitelli ben grassi, di capretti, di buoi, di montoni, di giovenchi, di molte femmine e di pochi figliuoli! Ben bere e ben mangiare è il vero secreto di non annoiarsi.» Finalmente la scostumatezza di lui giunse a tale, che Errico VIII d'Inghilterra, come leggesi in Florimondo[25], nel colmo delle sue sregolatissime lascivie, ebbe a dargli lezioni di castità: turpia, turpioribus delentur.
«Ah non mi dà stupore che io abbia errato, sclamò egli un giorno; ma stupisco assai che un matto solo abbia potuto produrre tanti matti[26]!» Ed altrove scrisse rotondamente: «Gli scandali dati da me e da' miei colleghi, colle nostre persone, col nostro naturale e molto più colla nostra maniera di vita, sono stati finora causa primaria dell'apostasia di un buon numero de' nostri[27].» Qui habemus confitentem reum, ed un tale reo che non fa la sua confessione pubblica per umiltà; ma incitatovi dai morsi di una coscienza che non lo lasciava ben avere.

VIII.

Crudeltà e lussuria vanno alla pari. Ciò avverossi in Martin Lutero al più alto segno. Egli si piacque di attizzare, come a meta della sua riforma del cristianesimo, la guerra civile dei villani contro i nobili e dei nobili contro i villani, guardando con occhio giulivo tanto spargimento di sangue, e dichiarando pur figliuoli amati da Dio tutti coloro che si adoperassero ad abbattere gli episcopii e a distruggere l'autorità dei vescovi. Appena però egli riseppe la sconfitta dei villani, tosto con un altro opuscolo consigliò i principi (que' principi da lui prima beffati per matti e ladri) a fare una spietata carnificina di quei ribelli. «Su via, o principi, scriveva quest'idolo dei nostri moderni demagoghi, all'armi! Percotete! all'armi! Son venuti i tempi, tempi meravigliosi, in cui un principe può col sangue guadagnare più facilmente il cielo, che noi colle orazioni. Battete, trafiggete, uccidete in faccia e alle spalle, poichè nulla è più diabolico d'un sedizioso: esso è un cane arrabbiato che, se non lo atterrate, vi morde. Non si tratta più di dormire, di avere pazienza, di usare misericordia: il tempo della spada e della collera non è tempo di grazia. Se voi soccombete, siete martiri, ma il villano ribelle, se cade, avrà eternamente l'inferno: egli è figliuolo di Satanasso[28]
Nel breve tempo che durò questa guerra, da Martin Lutero aizzata, si ebbero più di centomila uomini uccisi nei campi di battaglia, sette città smantellate, mille monasteri adeguati al suolo, trecento chiese incendiate e immensi tesori di pitture, di sculture, di vetri colorati e d'incisioni distrutti. Or alla vista di questi monti di cadaveri e di ruine, che diceva egli, tra i bicchieri e le vivande, l'autore della riforma? «Io, Martin Lutero, io, nella ribellion loro, ho uccisi tutti i villani, perchè io ho comandato di ucciderli. Tutto il lor sangue ricade sopra di me»: e scriveva: «Il savio lo dice: all'asino strame, un basto e la frusta: ai villani paglia d'avena. Non vogliono cedere? Si usi la verga e lo schioppo[29]
In questi fatti e in questo parole si specchino tutti quei nostri socialisti, che cantano al presente i trionfi della luterana riforma: ed affinchè gli odierni giudei con vivo ardore si uniscano pur essi a far coro cogli encomiasti di fra Martino, rammenterem loro il tenero affetto ch'egli alla loro gente e religione portò. Ne' suoi atroci libelli, egli provocava i cristiani a sterminarli col fuoco; ed insegnava potere ognuno e dovere gittar loro addosso zolfo e pece, bruciarne i libri, vietarne il culto sotto pena di morte e cacciarli senza riguardo dal paese. Nel suo Schem Hamphorae esordì con questi carezzevoli termini: «I giudei sono giovani demonii dannati all'inferno»; e proseguì con immagini e descrizioni sì schifose, che sol con vergogna i suoi aderenti ricordarono[30]. Com' essi vedono, ogni ragione hanno di levare a cielo in Lutero il primo e più feroce banditore di quell'antisemitismo, che minaccia di conciarli per le feste in Germania, come li sta ora conciando nella Russia.

IX.>

Le inconsolabili tristezze che straziaron l'animo di questo sciagurato, nell'ultimo scorcio della sua vita, non si possono raccontare. Il maligno spirito è la coscienza, gridava egli. I rimorsi lo divoravano e sembrava patisse un inferno anticipato. Alla Ghita Bora, sua concubina, che una sera le indicava il fulgido scintillar delle stelle, rispose mestamente: –– Questa luce, credilo, non brilla per noi. E perchè la donna gli domandò se non sarebbe meglio provvedere alla eterna salute dell'anima, ritornando ai doveri dello stato religioso rinnegato:–– È troppo tardi, soggiunse Martino; il carro si è troppo affondato nella mota [31]!
Tutto il giornale del Mattesio, suo confidente, ci rivela, in quell'estremo periodo del suo vivere, un abisso di dolori, d'inquietezze e d'ambasce. Per lo che non è meraviglia che l'infelice apostata fosse atterrito dalle parole bibliche: Maledetto quel giorno in cui nato sono, conforme il precitato suo biografo ci narra. I più de' libri scritti in questi tempi furono da lui composti, per sedare la tempesta dell'animo. Cercava ogni via di svagarsi, almanaccava cento cose, mulinava di riscrivere, anche più amaramente che non avesse fatto, in detestazione dei papisti.
La sua morte fa raccapriccio. Seduto in Islebio alla mensa lautissima dei conti di Mansfeld, tracannando i migliori vini del Reno ed empiendosi il ventre delle carni di prelibate selvaggine, beffeggiava grossolanamente e Papa e Imperatore e monaci; e sporchi lazzi faceva pure sul conto del diavolo, che avea sempre nella bocca e nel cuore: quando, levatosi a un tratto di tavola, andò a scrivere, fra le risa di tutti i convitati, col gesso in una parete questo verso: Pestis eram vivus, moriens tua mors ero, Papa. Ma gli sghignazzamenti duraron poco, giacchè Lutero fu tosto preso da fiera malinconia e scritto un biglietto, che lasciò sulla mensa, se n'andò. Il biglietto terminava con queste parole: «Per verità, noi siamo pure i gran bricconi!» Sei giorni dopo, il 22 febbraio del 1546, egli moriva soffocato dall'asma, disperandosi per sentirsi derelitto da Gesù Cristo e dannato[32].

X.

Ecco in fuggitivi sì, ma veraci tocchi di pennello dipinto Martin Lutero. I colori quasi tutti sono tolti dalla sua tavolozza. In sostanza, egli si disse, e non per amore di umiltà, gran matto e gran briccone. Chi gli ha fede nel rimanente, perchè non gli crederà anche in questo?
Fra Martino fu mal profeta, quando presso ad esalar l'anima asseri che, morto, egli avrebbe dato morte al Papato: Moriens, tua mors ero, Papa. Già da più di tre secoli il meschino è ridotto ad un pugno di cenere: ma il Papato vive sì rigoglioso, che pare nel primo fiore della sua giovinezza: anzi più dagli eredi dell'odio luterano esso è impugnato, e più si dà a divedere invitto ed invincibile.
Se non che in un'altra cosa fra Martino fu buon profeta. Ci scusino i lettori se, occorrendo citare a verbo le sue proprie parole, offenderemo alquanto le leggi del galateo. Troppo è difficile toccar colla penna il frasario di Lutero, e non inquinarla. Ad alcuni che seco si lagnavano delle persecuzioni mosse contro i suoi ligi e discepoli: «Non sarà così, rispos'egli, nel tempo avvenire. Oggi siamo nel parossismo della febbre. Quando avremo insozzati coi nostri escrementi quelli che ora ci opprimono, essi adoreranno il nostro sterco e lo avranno in conto di balsamo[33]
I principi, i dotti ed i popoli dell'Europa settentrionale dicano essi fino a qual grado siasi, negli ultimi trecenquaranta anni, avverato questo sublime vaticinio del loro patriarca e maestro. Noi pensiamo che come una giumenta, per virtù non sua, potè scioglier la lingua e favellare a Balaam; così Martino Lutero potè, in un lume non suo, prevedere e predire, con singolar proprietà di linguaggio, il moral valore del culto che si sarebbe tributato alla sua apostasia, alle sue dottrine, alla sua memoria. In conclusione, egli così venne a definire ciò che sarebbe stato anche il clamoroso festeggiamento, col quale oggi i protestanti in lega coi liberali, cogli atei, coi socialisti del mondo incivilito, commemorano il quarto anniversario della sua nascita.
Resta ora che si risponda al secondo quesito: quale cioè sia stata l'opera di Martino Lutero. Lo faremo nel prossimo quaderno.
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NOTE:

[*] Si dice piato una discussione o richiesta insistente in tono litigioso o lamentoso. [N.d.R.]
[1] Die deutsche Reformation, Leipzig, 1873.
[2] Döllinger, Op. Cit.
[3]  V. MicheletMémoires de Luth. tom. II, pag. 186. - AudinVie de Luth. tom. II, ch. 22.
[4] SanderusDe visib. monarch. I. VII.
[5] Veggasi la sua lettera dell'11 novembre 1517 all'antico priore di Erfurt nelle Opere, Walck, t. XV, pag. 432.
[6] Supplément aux écrits de Luther, pag. 9, ediz. di Magonza, 1827.
[7] L. cit.
[8] Resp. ad maledict. Reg. Angl. Confess. parv. form. Miss. t. III, pag. 276, delle Opere, ediz. di Vittemberga.
[9] Walck, t. XXIX, pag. 2250 seg.
[10] Ivi, t. XVIII, pag. 213.
[11] Dizionario ecclesiastico di Wetzer e Welts, tom. VI, pag. 672.
[12] Op. ediz. di Vittemberga, t. III, p. 425.
[13] Walck, t. XII, pag. 786 e tom. X, pag. 460.
[14] Si veggano i suoi discorsi detti da tavola, cap. 12. [Tischreden, N.d.R.]
[15] Tutte queste vanterie si trovano nella raccolta delle sue prediche familiari per le domeniche (Hauspostille) nei suoi discorsi da tavola e nelle sue interpretazioni esegetiche.
[16] Allgemeine Geschichte der Christ. Kirch. nach der Zeitfolge, 1799, tom. III, pag. 301.
[17] Respons. ad confess. Luther.
[18] Risposta al libro di Lutero contro Zuinglio.
[19] Martino Lutero giudicato psicoiatricamente dal prof. Schön, Milano, Agnelli, 1874.
[20] Tom. II, pag. 4.
[21] Si vegga l'ArnoldUnparteische Kirchen, ecc. tom. II, pag. 50; il Seckendorf, lib. III, pag. 651; ilLeiderfrostEncyklopädisches Wörterbuch, ecc. art. Bora.
[22] Colloq. ment. in cap. de matrim.
[23] Ickelshamer e Lemnio, presso Döllinger, Op. Cit.
[24] MorgensternTract. de Eccl. pag. 221.
[25] Pag. 229.
[26] Presso SwenderborgVera Chr. Relig. pag. 481.
[27] Op. tom. V, pag. 95, ediz. di De Witte.
[28] Opere, ediz. di De Witte, tom. II, foglio 84.
[29] Tischred. Islèbe Francf. fol. 196; MenzelStoria degli Alemanni, tom. I.
[30] Döllinger, loc. cit.
[31] Audin, tom. II.
[32] Tischreden, IslèbeAudin, loc. cit.; De WitteOp. Luth. tom. V. Narratio hist. de ultimis Lutheri actis et obitu, 1568.
[33] Tischreden, Francf. foglio 317. Menzel, I. c.

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