La Chiesa di Gesù Cristo pel protestantesimo non ha sacrifizio.

Padre Giovanni Perrone, S.G.
Stratto dal libro 



Spogliar la Chiesa di sacrifizio è un degradarla dallo stato della più eccelsa sua dignità, è un privarla del più acconcio mezzo di unir l' uomo con Dio; è un render vana l' istituzione più augusta del divin Salvatore, è infine un dare la mentita più solenne a tutta la sacra antichità. Tutto ciò ha fatto il protestantesimo coli' abolizion della Messa. E quel che è più l'ha fatta per ammaestramento diabolico; il prosegue con furore satanico, che ben chiaro appalesa lo spirito dal quale egli a cosi fare è sospinto.
In leggere queste affermazioni e queste accuse forse a più d' uno parrà che vi abbia in esse o esagerazione, o passione o calunnia. E pure nulla vi ha di tutto questo, ed un' attenta e spregiudicata considerazione delle pruove che addurrò a giustificarle ad una ad una, spero che della pura verità di esse ognuno si convincerà. Percorriamo adunque per singolo ciascuna delle formulate affermazioni.

La prima è, che spogliare la Chiesa di sacrifizio è un degradarla della più eccelsa sua dignità. In che consiste la più eccelsa dignità della Chiesa se non se nell' atto più perfetto della religione col quale si onora Dio, e si riconosce per creatore e padrone assoluto dell' universo, per donatore e conservatore di tutti i beni compartiti da lui alle sue creature; per arbitro supremo della vita e della morte, per protestare la piena dipendenza della creatura ragionevole dal suo creatore , conservatore e padre? Or tale è stato mai sempre il sacrifizio considerato presso tutte le nazioni del mondo, ossia che a cosi pensare e praticare fossero mosse da un istinto di natura, ossia che l'abbiano ricevuto per tradizione dai primi progenitori del genere umano. Certo è che Adamo offerì sacrifizio a Dio, che Abele gli offerì le primizie della sua greggia, e Caino i frutti della terra. Questo sentimento e questa pratica continuò ne'patriarchi antidiluviani, come apparisce dal sacrifizio offerto da Noè in rendimento di grazie a Dio, che ne l'avea scampato dal generale eccidio con tutta la famiglia sua; come pure continuò ne' patriarchi postdiluviani , come si ha dai sacrifizii offerti da Melchisedec, da Abramo e dai suoi figliuoli fino a che Mosè al popolo ordinò e il sacerdozio e i varii riti, i diversi fini, e il tempo in cui dovevano offerirsi in perpetuo i sacrifizii.
Né solo fu perpetuo il sacrifizio, ma come già accennai, fa parimente universale. Poiché sebbene gli uomini avessero alterata la pura nozione della divinità, ciò non ostante offerivano ai loro numi ed immolavano vittime solenni in ben molte occasioni. Dopo una vittoria riportata sui loro nemici, nel sancire un giuramento o un' alleanza ; nella celebrazione delle feste nazionali, ma specialmente allorché per pubblica sopravvenuta'calamità volevano placare le corrucciate loro divinità in espiazione delle lor colpe secondo l'idea ricevuta dei sacrifizii espiatorii (4). Né solo quest'uso de'sacrifizii ebbe luogo tra i popoli e le nazioni incivilite e colte, ma eziandio fra le nazioni barbare universalmente, come ce ne fanno fede i documenti delle medesime. Spogliare pertanto la religione cristiana, la più perfetta delle religioni, del sacrifizio è un mutilarla, è un privarla dell' atto più augusto, che possa concepirsi da mente umana.
La seconda affermazione è, che spogliar la Chiesa di G. C. del sacrifizio è un privarla del mezzo più acconcio di unir l' uomo con Dio. E in verità sotto qualsivoglia rispetto il sacrifizio si consideri, egli è un atto con cui l'uomo si congiunge con Dio, si mette in istretta relazione colla divinità. Se si offerisce come protestazione di dipendenza da Dio creatore e Signore supremo di tutte le cose, ognun vede che per esso la creatura ragionevole fa con esso una confessione solenne del suo nulla rispetto alla divina maestà, fa l' atto di adorazione il più assoluto e il più completo. Se poi lo si offre in rendimento di grazie per ricevuti favori è quelTatto con cui l' uomo a Dio attesta la sua riconoscenza e gratitudine per la ineffabile sua bontà colla quale egli versa sulle sue creature benefizi di ogni maniera. Che se si fa questa oblazione per ottener nuove grazie e nuovi favori ove specialmente in qualche urgente e grave necessità del divino soccorso trovisi l'uomo indigente di ogni cosa, chi non ravvisa in esso una preghiera in atto, un ravvicinamento a Dio, una espansione del proprio cuore? Lo stesso dicasi allorchè T uomo umiliato per la coscienza de'proprii falli offre il sacrifizio in espiazione de' suoi delitti, e cerca di placare Dio offeso, ed allontanar da sè i flagelli che ben conosce aver meritati e provocati. Egli allora sostituisce la vittima come espiatrice delle commesse colpe, per così presentarsi mondato da esse al divin cospetto. Ognun di questi quattro fini ai quali può essere indirizzato il sacrifizio, ravvicina T uomo a Dio, lo umilia da un lato, ma lo innalza per l' altro, e in ogni modo lo tiene in una continua relazione con Dio, e però privare la Chiesa cristiana del sacrifizio è un togliere ai fedeli questo mezzo molteplice di ravvicinamento il più acconcio, e in quanto individuo e in quanto sociale. 
Fin qui però ho tenuto discorso del sacrifizio in sé stesso e nelle generali ; or che dovrà dirsi qualor si parli del sacrificio qual si crede offerirsi nella Chiesa cristiana ? Tutto qui piglia una proporzione gigantesca, e che di lunga mano lascia dietro di sé, anzi in infinito eccede quanti mai furono i sacrifizi] tipici tanto offerti nella legge di natura, come nella legge scritta, per nulla dire di quei che si offerivano nella gentilità. Quello era un omaggio che a Dio tributava l' uomo affin di testificargli i propri sentimenti di adorazione e di culto, di riconoscenza e di espiazione con vittime di un ordine inferiore a sé, o di bruti animali o di frutti della terra. Sacrifizii che di per sé erano di niun valore, e sproporzionati al Grand' Essere al quale si offerivano. Pur nondimeno cotanto contribuivano all' innalzamento dell'uomo verso Dio, ed a rapirlo verso del cielo col metterlo in comunicazione col mondo invisibile. Che dovrà pertanto dirsi del sacrifizio cristiano nel quale si offerisce a Dio una vittima divina, si offerisce a Dio un Dio che nell'assunta umanità s'immola perpetuamente sui nostri altari con rito mistico pel quale rende perenne e sensibile la cruenta immolazione che per eccesso di amore già fe' di sé sulle vette del Golgota spirando tra i più acerbi tormenti ? 
Qui la fede insegna, che la vittima divina è realmente presente sull' altare in istato d'immolazione per la mistica separazione del corpo e del sangue suo nei due distinti simboli già trasmutati. E però è un Dio infinitamente santo, che colla infinita umiliazione sua onora un Dio infinito nel suo essere in ogni sua perfezione. È un Dio che a nome suo e a nome di tutte le creature ragionevoli rende a Dio le più degne grazie per gl'immensi benefizi compartiti all'intiero universo in ogni ordine naturale e sovrannaturale, della natura e della grazia, della creazione e della rendenzione. È un Dio che coli'atto stesso della mistica immolazione, e nello stato di vittima nell' assunta umanità, chiede e supplica e prega Dio perchè largisca profusamente su gli uomini fragili, deboli ed infermi, abbisognosi di tutto, benedizioni, grazie, conforti di ogni genere. È un Dio, che tocco alla vista delle umane miserie e ingratitudini, della reità di tanti misfatti coi quali tanti infelici provocano i temporali ed eterni castighi, si offre ostia di espiazione ad un Dio giustamente irritato, e ne placa la vendicatrice giustizia e il piega a misericordia e perdono. 
Tutto qui è grande e sublime; i tre dommi della reale presenza, della transustanziazione e del sacrifizio trovansi in istretto nesso indissolubile. Danno essi al cristianesimo una forma vivente, imprimono al culto una maestà divina, e svegliano incessantemente tutti i sentimenti che fa nascere la presenza personale dell'Essere immenso, eterno, infinitamente buono, sovranamente santo, e che tutte possiede le perfezioni. Nel tempo stesso che la transustanziazione rapisce l'uomo dalla vita dei sensi per farlo vivere della vita dello spirito, il distacca dalla terra per estollerlo verso il cielo; la presenza reale e il sacrifizio mostrano il benefattore supremo sempre vivente in questa valle di miserie per addolcire le nostre amarezze, calmare le nostre sofferenze, asciugare il nostro pianto, guarir le nostre ferite, cancellar le nostre prevaricazioni, colmarci di grazie e di favori. Chi dir potrebbe quanti santi affetti, e quante divine virtù abbia prodotti l'immolazione perpetua del Salvatore? Oh come questa immolazione divina parla a tutti i cuori, e mette in moto tutte le molle dell'animo) Oh come ella ingenera la riconoscenza, accende l'amore, anima la divozione, ravviva la pietà, e feconda tutti i sentimenti religiosi! (2)
Ottimamente, ripigliano gli avversari, qualora si rinvenisse nella Bibbia un vestigio di cosi fatto sacrifizio, ed anzi a lei non si opponesse, e non recasse ingiuria al sacrifizio unico della nuova legge , qual fu il sagrifizio della croce. Affin di sciogliere cotali difficoltà che son tuttora sulle labbra de' protestanti, non ostante le vittoriose risposte loro date dai cattolici, indirizziamo
La terza affermazione, la quale è, che spogliare la Chiesa di sagrifizio è un render vana la istituzione più augusta del divin Salvatore. A ciò ben intendere gli è d' uopo osservare, che il sacrifizio dell' altare è inseparabile dalla istituzione della divina Eucaristia, che necessariamente lo inchiude. Che altro infatti è il sacrifizio dell'altare se non se un sacrifizio rappresentativo nella presenza reale della vittima in istato di immolazione e di morte raffigurata e messa sott' occhio mediante la consecrazione distinta del pane che si converte nel corpo di G. C. e del vino che si trasmuta nel sangue dello stesso divin Salvatore sotto i due separati simboli rappresentanti la separazione del corpo e del sangue di G. C. nella sua morte in croce? Or questo è quello che ha fatto il Salvatore nella istituzione eucaristica, ed in questo, in questo solo tutta consiste la ragione del sacrifizio relativo, qual è l'eucaristico, e non già assoluto,qual fu quello della croce. Qualor questo sacrifizio della croce non avesse avuto luogo, né nella cena, né sui nostri altari vi avrebbe sacrifizio. Ma posciachè nella cena l'istituzione eucaristica si riferiva a quel della croce, imminente, che presignificava e rappresentava, e la ripetizione dell'atto stesso che si fa sui nostri altari si riferisce al sacrifizio della croce qual significa e rappresenta colla vittima realmente e sostanzialmente presente, quindi tanto quel della cena, quanto quel de' nostri altari han vera ragione di sacrifizio (3).
Che poi la istituzione eucaristica nella cena si riferisse al sacrificio assoluto della croce, e lo rappresentasse, chi ne potria dubitare avuto riguardo ed all'azione di Cristo ed alle parole che in essa il Salvatore pronunziò? Egli da prima consecrò distintamente il pane convertendolo nella sostanza del suo corpo in virtù delle parole sacramentali, consecrò distintamente il vino convertendolo in forza delle parole sacramentali nella sostanza del suo sangue, e con ciò già abbiamo la vittima presente in istato di mistica immolazione e di morte, qual lealmente sostenne in croce. Le parole poi delle quali Egli fe' uso in ciascuna consecrazione vieppiù appalesano l'atto sacriflciale inteso da lui. Imperocché, come si ha da s. Luca, Cristo, nel consecrare il pane disse : Questo è il mio corpo, il quale è dato per voi (4), ovvero, come si ha presso s. Paolo : Questo è il mio corpo, il quale per voi si frange (5). Or bene, che altro significa queil ' è dato per voi, è franto per voi, se non che quel corpo che dava ai discepoli come sacramento s'immolava per loro, si offriva per loro come sacrifizio ? Non fu franto certamente quel corpo in sé stesso né nella cena, né in croce, ma solo nel simbolo. Dunque nella cena fu offerto in sacrifizio. Ciò che anche più manifestamente si conosce dalle parole adoperate nella consecrazione del calice secondo il medesimo evangelista : Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, il quale (calice) si sparge per voi (6). Ora il calice non è stato sparso o spanto sulla croce, ma sol nella cena per noi. Così abbiamo ed il corpo franto nella cena per noi, abbiamo il sangue spanduto per noi nella cena, e come aggiunge s. Matteo per la remissione de' peccati. Dunque G. C. ha nella istituzione eucaristica offerto un vero sacrifizio. Si aggiunga per ultimo, che in quest'azione il Salvatore disse: Fate questo in commemorazione di me (7). Dal che ne inferì l'Apostolo : — Ogni volta che voi avrete mangiato di questo pane, e bevuto di questo calice, voi annunzierete le morte del Signore Anch' egli venga (8). — Ciò che vieppiù conferma avervi nella istituzione eucaristica una rappresentazione della morte cruenta sostenuta da G. C. in croce, e però si riferiva al sacrifizio della croce, come poc' anzi abbiamo notato, e quindi si ha la presenza della vittima, lo stato d'immolazione della vittima, la rappresentanza della morte cruenta sulla croce, la relazione a quel sacrifizio assoluto, che è quanto basta e si richiede a costituire il sacrifizio relativo della cena e dell'altare di cui parliamo.
Dimostrata così dalla natura medesima della istituzione eucaristica, e dalle parole che l'accompagnarono la verità del sacrifizio da Cristo nella cena istituito, penso esser pressochè inutile il far menzione dei passaggi che trovansi nelle epistole di s. Paolo nei quali si fa aperta allusione al sacrifizio nostro, o lo si suppone. Infatti volendo l'apostolo distorre i fedeli dalla partecipazione ai sacrifizi! degl'infedeli col cibarsi delle carni agli idoli o falsi dèi consecrate per mezzo dei sacrifizii offerti sui loro altari e al loro onore, scriveva : — Le cose che i gentili sacrificano, le sacrificano a'demonii e non a Dio : or io non voglio che voi abbiate comunione co'demonii. Voi non potete bere il calice del Signore, e il calice de'demonii: voi non potete partecipare la mensa del Signore e la mensa de'demonii (9). — Il discorso dell'apostolo non sarebbe stato concludente, nè avrebbe avuto luogo l'antitesi tra mensa e mensa, tra calice e calice, non supposta la verità del sacrifizio eucaristico del quale partecipavano i fedeli nell'accostarsi a ricevere le carni, e bere il sangue dell'Agnello immacolato immolato sulla mensa o altare per mezzo della consecrazione. Con assumere che essi facevano la santa Eucaristia partecipavano al sacrifizio offerto, come i gentili mangiando delle carni sacrificate agl'idoli partecipavano del sacrifizio in cui e per cui s'immolavano. Ond'è che i gentili con ciò comunicavano coi demonii, e' i cristiani comunicavano col vero Dio. Tanto più che immediatamente prima delle recitate parole, lo stesso apostolo avea premesso come principio generale, che chiunque partecipa delle ostie consecrate o immolate comunica coll'altare ossia col sacrifizio offerto: — Vedete, scriveva egli, Israele secondo la carne: Non hanno coloro che mangiano i sacrifizii comunione con l'altare? (10) — E al

trove non men chiaramente il medesimo apostolo si esprime dicendo : — Noi abbiamo un altare, del quale non hanno podestà di mangiar coloro che servono al tabernacolo (11). — Ma qual altro aliare vi ha pei cristiani, tranne quello in cui s'immola misticamente la vittima divina?
Dopo ciò avrò a rammentare le profezie, che da tanto tempo innanzi prenunziarono il sacerdozio di G. C. secondo l'ordine di Melchisedec, il quale offerì a Dio il sacrifizio di pane e di vino, quasi per adombrare la istituzione del sacrifizio eucaristico sotto i simboli del pane e del vino offerto da Cristo nell'ultima cena? Che prenunziarono la universalità e perpetuità di questo stesso nuovo sacrifizio da surrogarsi ai sacrifizii cruenti del vecchio patto ? Cosi infatti lo predisse Malachia, allorché Dio per esso così parlò: — Io non vi gradisco, ha detto il Signore degli eserciti; e non accetterò alcuna offerta dalle vostre mani. Ma dal sol levante fino al ponente, il mio nome sarà grande fra le genti ; ed in ogni luogo si offerirà al mio nome una oblazione pura : perciocché il mio nome sarà grande fra le genti : ha detto il Signore degli eserciti (12). — Qui come ognun vede vi ha una contrapposizione di sacrifizio a sacrifizio spettanti al culto esterno per cui dovea conoscersi, e adorarsi tra la gentilità il vero Dio, com'era conosciuto e adorato presso gli Ebrei. Questo sacrifizio dovea essere universale, ossia doveasi offerire presso tutte le nazioni da un capo all'altro del mondo. Ebbene, qual altro sacrifizio esterno ed universale in riconoscimento e adorazione del vero Dio fra la gentilità convertita al cristianesimo vi ha fuori di quello che si offre nella celebrazione della Eucaristia? Chi ha surrogato questo universa! sacrifizio ai sacrifizii giudaici coll'abolirli se non G. C. nell'ultima cena?
Potrei spingere ben altri argomenti in confermazione del fin qui detto, se non che i già recati bastano per dimostrare la verità del terzo assunto, che il protestantesimo collo spogliare del sacrifizio la Chiesa han resa vana la più augusta istituzione del divin Salvatore.
Ed anzi con ciò già si è risposto alle eccezioni fatte dagli avversari), che il riconoscere un sacrifizio propriamente detto è un opporsi alla Bibbia, ed è di più un fare ingiuria al sacrifizio unico della nuova legge qual è il sacrifizio della croce. Imperocchè se costa dal fatto, che G. C. ha veramente istituito il sacrifizio eucaristico e ciò costa colla Bibbia alla mano, contesser può, che l'ammettere questo sacrifizio sia un opporsi alla Bibbia? Su qual fondamento i protestanti osano affermare che il sacrifizio eucaristico si oppone alla Bibbia? Perchè secondo l'apostolo, dicon'essi, G. C. ha abolito colì'unico suo sacrifizio di croce tutti gli altri sacrifizii, come col suo sacerdozio eterno ha abrogalo ogni altro sacerdozio, nè più vi sono sacerdoti che a lui succedono, come succedevano i figli a padri nel sacerdozio aronnico per offerir sacrifizii. A ciò provare sono indirizzati tre intieri capi della epistola agli Ebrei. Nel primo di questi comincia esso dallo stabilire, che nella legge mosaica — molti furono fatti sacerdoti, perciocché per la morte erano impediti di durare; ma questi, cioè Cristo, perciocché dimora in eterno, ha un sacerdozio che non trapassa ad un altro (13). — Nell'altro stabilisce l'unità del suo sacrifizio scrivendo che Cristo entrò nel cielo stesso per comparire ora davanti alla faccia di Dio per noi. E non acciocché offerisca più volte sé stesso... ma ora, una volta, nel compimento de'secoli, è apparito per annullare il peccato, per il sacrifizio di sé stesso... essendo stato offerto una volta, per levare i peccati di molti (14).
— Per ultimo comparando i sacerdoti levitici e il loro ministero in offerir sacrifizii con l'unico sacerdote Cristo e l'unico sacrifizio di lui, conchiude:
— Ogni sacerdote è in piè ogni giorno ministrando, ed offerendo spesse volte i medesimi sacrifizii, i quali giammai non possono togliere i peccati. Ma esso avendo offèrto un unico sacrificio per i peccati, s'è posto a sedere in perpetuo alla destra di Dio.... Conciossiacosaché, per una unica offerta, egli abbia in perpetuo appieno purificati coloro, che sono santificati (15). — Non potea più chiaramente l'apostolo stabilire l'unità del sacerdozio e del sacrifizio di Cristo, ed escludere ogni altro sacerdozio, ogni altro sacrifizio.
Certamente, ripigliano i cattolici, né ciò da verun si niega, ma convien conoscere di qual sacerdozio e di qual sacrifizio parli l'apostolo, e di qual sacerdozio e di qual sacrifizio parliamo noi. 
L'apostolo parla del sacerdozio intrinseco e di natura, che è unico in Cristo Dio-Uomo, il sacerdozio di cui noi parliamo è un sacerdozio di ministerio del quale servesi Cristo per compiere su questa terra le sue funzioni sacerdotali. Cosi il sacrificio del quale parla l'apostolo è il sacrificio di croce, è il sacrificio di espiazione e di redenzione, il sacrifizio assoluto e cruento; il sacrificio del quale noi parliamo è il sacrificio di applicazione de'meriti acquistati col sacrificio della croce; è il sacrificio relativo ed incruento. Or l'uno e l'altro, come ognun ben vede, non solo fra sé non si oppongono, ma in quella vece si uniscono, si armonizzano ottimamente. Anzi l'uno rileva la eccellenza e la virtù dell'altro, senza derogare punto alla unità esclusiva del sacerdozio di Cristo, e del sacrifizio di lui. Ed ecco con quanta facilità i cattolici gettino a terra quel grande apparato per cui i protestanti si argomentavano di opprimerli.
Con che è parimenti risposto alla sognata ingiuria che pel sacrificio eucaristico si fa al sacrificio di croce, quasi che si facesse oltraggio ad una pubblica, perenne e ridondante fontana raccogliere per mezzo di un canale o di un acquedotto la limpida acqua a proprio uso del dissetarsi , del lavarsi, del fecondare il proprio fondo. Or questo è quel che si fa per mezzo del sacrificio eucaristico con cui i fedeli attingono dalle fonti del Salvatore in croce in gaudio acque di salute, che sgorgano in abbondanza a benefizio comune.
Raccogliamo piuttosto un salutar documento dal biblico apparato protestante; che vaglia cioè la Bibbia allorché senza guida ognuno l'interpreta col privato suo spirito per formarsi i suoi articoli di fede. Ma veniamo alia Quarta affermazione, che lo spogliare la Chiesa di sacrificio è un dare la mentita più solenne a tutta la sacra antichità; e per questa sacra antichità intendo il consenso di tutte le Chiese dell'universo tanto orientali quanto occidentali. E poichè qui non intendo scrivere un trattato polemico, mi starò contento, affin di contenermi in una giusta brevità, di allegare qualcuno de'più antichi Padri e scrittori dell'una e dell'altra Chiesa, rimettendomi per gli altri, come pure per le liturgie a chi ne scrisse di proposito, ed eziandio alle confessioni che di ciò furono astretti a fare parecchi de'principali scrittori protestanti.
I più antichi Padri che abbiano scritto intorno alle verità cristiane de'quali gli scritti sono pervenuti fino a noi sono senza alcun dubbio s. Clemente Romano, s. Ignazio, s. Giustino, s. Ireneo e Tertulliano. Or tutti questi Padri parlano del sacrificio eucaristico come già ricevuto all'età loro in tutta la Chiesa.
S. Clemente Romano, padre apostolico, che scrisse la sua prima lettera ai Corinti vent'anni prima della morte di s. Giovanni, che conversò coi santi apostoli Pietro e Paolo della cui recente morte in Roma fa menzione in questa medesima lettera, così si esprime: — Dobbiam fare ordinatamente tutte le cose che il Signore ci comandò di fare. Comandò che dovessero fare ai tempi stabiliti le oblazioni e i sacri officii, e non già temerariamente o disordinatamente (16); — per le quali voci significarsi il sacrificio lo confessano gli stessi protestanti (17). Nello stesso senso scrisse pure s. Ignazio nel far menzione della santa Eucaristia (18).
S. Giustino poi nel dialogo con Trifone cosi si esprime: — Dio testifica di aver per accetti, tutti quelli che offrono il sacrificio che G. C. ci ha insegnato ad offerire, cioè il sacrificio che si chiama Eucaristia, e che si prepara col pane e col vino, sacrificio che i cristiani offrono in tutti i luoghi del mondo (19). —
S. Ireneo dopo di aver recate le parole colle quali il divin Salvatore consecrò nell'ultima cena il pane ed il vino soggiunge che egli — c'insegnò una nuova oblazione che è il sacrificio del Testamento nuovo, quale la Chiesa apprese dagli apostoli, e che ella offre a Dio in tutto il mondo — ed in tal guisa afferma essersi verificato il vaticinio di Malachia qual egli reca per disteso (20).
Tertulliano per ultimo parla del nostro sacrificio in più luoghi delle opere sue, come di cosa ricevutissima presso i cristiani ; così quando dice : — Noi sacrifichiamo per la salute dell'imperatore, ma al Pio nostro ed al suo (21). — E altrove — Ricevuto il corpo di Cristo e riservato, l'una e l'altra cosa è salva, tanto la partecipazione del sacrificio, quanto la esecuzione dell'officio (22).
Aggiungiamo a tutti questi ancor s. Cipriano il quale fiorì sulla metà del secondo secolo; or egli non contento del predicar Cristo autore e precettore del sacrificio dell'altare dicends: — Che G. C. signor nostro fu l'autore di questo sacrificio ed il maestro che ce l'insegnò (23); — non contento inoltre di dire, che G. C. Signor nostro è con più ragione il sacerdote del Dio sommo, il quale offerì il sacrificio a Dio, e si servi delia materia stessa che vi adoperò Melchisedec, cioè del pane e del vino per farne il corpo e il sangue suo (24); ma di più attesta che al tempo suo, e molto innanzi a lui vi era la pratica costante di offerire il sacrificio dell'altare per i fedeli defunti, il quale dai predecessori suoi era stato proibito di offerirsi per l'anima di chi avesse deputato un ecclesiastico all' amministrazione de' suoi beni (25). E infatti Tertulliano già parlò dell' uso ricevuto degli anniversarii per l'anima dei defunti scrivendo: — Facciamo le oblazioni pei defunti nel giorno anniversario (26). —
E questi basti l'aver distintamente riferiti all' intento nostro. Imperocchè per l'età posteriore non contrastano neppure i protestanti essere stato in uso il sacrificio della Messa in tutta la Chiesa. Anzi non mancano di quelli, che ingenuamente hanno confessato doversi riconoscere questa dottrina e quest' uso dell' offerire il sacrifizio in tutta la Chiesa di origine apostolica e divina. Serva per tutti il celebre Ernesto Grabio editore delle opere di s. Ireneo, il quale nelle sue note al lib. IV, e. 32 dove il santo martire afferma essersi verificato nella Chiesa cristiana il vaticinio di Malachia della oblazione del sacrificio in tutto il mondo nella nuova legge, vi appose la seguente rimarchevolissima annotazione: — Egli è noto, che s. Ireneo e gli altri Padri, dei quali abbiamo gli scritti, tanto quei che videro gli apostoli, quanto quei che immediatamente ad essi succedettero hanno riguardata l'Eucaristia qual sacrificio della nuova legge, ed hanno offerto a Dio Padre sull' altare il pane e il vino, come doni sacri prima della consacrazione quali primizie delle creature per riconoscere il supremo dominio di lui su tutto il creato; e dopo la consacrazione come il corpo e sangue mistico di G. C. per così rappresentare il sacrificio, che egli fece in Croce del corpo e del sangue suo, e per ottenere il frutto della sua morte per tutti quelli, pei quali è stato offerto. Nel resto questa dottrina, non è la dottrina di una sola Chiesa, o di un particolare dottore, ma era la dottrina e la pratica della Chiesa universale, la Chiesa avea ricevuta dagli apostoli egli apostoli da Cristo. Egli è ciò che c'insegna s. Ireneo, che ci hanno insegnato s. Ignazio e s. Giustino prima di lui, e che Tertulliano e s. Cipriano c'insegnarono dopo. Egli è ciò che chiaramente contiensi nella epistola di s. Clemente ai Corinti, testimonio che deve essere di gran prezzo, poiché autore di questa lettera è quegli di cui s. Paolo disse essere il nome suo scritto nel libro della vita: eposciachè questa sua epistola sia stata scritta due o tre anni dopo la morte dei s"anti Pietro e Paolo e vent' anni prima della morte di s. Giovanni, per modo che non si può dubitare, che quella non sia la dottrina degli apostoli, e che sia necessario tenerla, dato ancora che non vi avesse alcuna testimonianza della Scrittura a stabilirla. Imperocché s. Paolo nella seconda ai Tessalonicesi loro ingiunse il conservare le tradizioni, che avessero ricevute tanto di viva voce quanto per lettera; se non che non mancano testimonianze della Scrittura a provare il sacrificio della Eucaristia — Per ultimo conchiude — Fosse in piacer di Dio, dappoiché molti dottori protestanti conobbero circa questo punto la vera dottrina della Chiesa apostolica, e l'errore di Lutero e di Calvino, tutti potessero convenire nella risoluzione di restituire alla divina Maestà quest'onor supremo, che le si deve, e nel restituire l' uso delle sacre liturgie già state malamente rigettate, e dalle quali si conosce il modo con cui devesi a Dio offerire questo santo sacrificio (27). — 
Nulla potea dirsi di più vero e di più sensato, se se ne tragga quel corpo mistico di G. C. da lui qual protestante calvinista aggiunto, che presso di que'Padri non solo non trovasi, ma riviensi tutto l'opposto, parlanto essi del vero corpo e del vero sangue di G. C. offerto sui nostri altari. Né il Grabio è il solo iu far questa confessione, ma ve ne sono più altri de'protestanti i quali con esso lui consuonano nel concedere che la veneranda antichità riconobbe mai sempre in tutta la Chiesa la verità del nostro sacrificio. Tali sono il Bretschneider, il Vix, lo Stephens, il Leibnitz tra i Germani (28); il Medo, il Beveridge, il Yohnson, l'Adrewis, ed altri non pochi Anglicani (29).
Rispetto poi alle Chiese tutte dell'universo tanto occidentali quanto orientali, tanto cattoliche quanto eretiche, e queste separate dalla Chiesa fin dal quarto, quinto e sesto secolo della Chiesa, come le nestoriane, le monofisite, le armene , non che le foziane o greche fin dal secolo nono, unanimi su questo articolo di fede, ne sono un documento irrepugnabile la conformità di tutte le loro liturgie. Queste furono raccolte, pubblicate ed illustrate da uomini dottissimi (30) fino a non lasciare il più lieve dubbio.
Costituito così questo fatto innegabile del consenso di tutte le Chiese fin dall'origine del cristianesimo, giova qui riferire l'argomento con cui Lutero gagliardamente stringeva i Sacramentarii che negavano la real presenza per ritorcerlo contro di lui nel negare che fece la verità del sacrificio eucaristico. Ecco com'egli si espimeva nel 1532: — Quest' articolo non è punto una dottrina estranea alla Scrittura, ed immaginato dagli uomini; ma egli è chiaramente fondato e stabilito nel Vangelo sulle parole precise, e indubitabili di G. C. ; ,è stato uniformemente creduto e conservato dal cominciamento della Chiesa cristiana, sino a quest' ora, come lo provano i libri de' santi padri delle Chiese greche e latine. Aggiungetevi l'uso giornaliero, e T opera della sperienza sino al momento presente; le quali testimonianze di tutte le sante Chiese cristiane dovrebbero bastare, anche in mancanza di ogni altra prova, per restar fermi in quest' articolo, e non ascoltare e soffrire, a suo riguardo, veruno spirito di cabala. Imperocché egli è pericoloso e terribile l'ascoltare o il credere contro la testimonianza, la fede e la dottrina unanime di tutta la Chiesa cristiana, e contro ciò che è stato mantenuto nel mondo intiero, ed uniformemente per più di 1500 anni. Se si trattasse di un articolo nuovo e non conservato così uniformemente per tutta la cristianità nel mondo intiero, e dal cominciamento delle sante Chiese cristiane, non sarebbe così pericoloso, e così terribile il dubitarne, o di disputare intorno alla sua validità. Ma poiché fin dalla origine e dacché il cristianesimo si estende, si è mantenuto uniformemente, quegli che ne dubita, è così colpevole, come se nun credesse a veruna Chiesa cristiana ; e non solamente egli condanna tutta la Chiesa cristiana come eretica maledetta, ma eziandio Gesù Cristo stesso con tutti gli apostoli e profeti che hanno fondato e potentemente attestato quest'articolo: Io credo in una santa Chiesa cristiana ; cioè G. C. quando dice in s. Matteo XXVIII : Io son con voi sino alla fine del mondo ; e s. Paolo a Timoteo I. 3, La Chiesa di Dio è la colonna e il fondamento della verità (31). — Che avrebbe potuto egli replicare qualora i cattolici avessero contro di lui rivoltato questo stesso argomento rispetto cil sacrificio eucaristico? 
Ma che abbiam noi bisogno di ritorcere l'argomento contro Lutero, quando abbiamo la formale confessione sua della istituzione fatta da G. C. del sacrifizio della messa continuata per tutte le età? Ecco le parole di lui tolte dal suo commentario sui Salmi : — Che cosa è il pane e il vino sacrificati per Abramo ? Questo sacrificio fa allusione al sacerdozio di G. C. in questo tempo sino al giudizio estremo quando egli sacrifica nella cristianità, il sacramento nascosto dell' altare del suo sacro corpo, e del suo prezioso sangue. — G. C, dice altrove, affin di preparare un popolo caro ed accettevole agli occhi di Dio, ha abrogata tutta la legge di Mosè, e per non dare per questa origine agli scismi ed alle sette, egli non ha istituito pel suo popolo, che una sola legge e che una sola forma, cioè la santa messa ;poiché, sebbene il battesimo sia esso pure una forma esteriore, ella nondimeno non ha luogo che una sola volta, e non ha come la messa l'esercizio di tutta la vita ; egli è perciò, che non doveva più esservi un' altra maniera esteriore di servir Dio fuor che la messa, e là, ov' ella è celebrata, si trova il vero culto di Dio (32). —
Come adunque dopo tutto ciò ha potuto Lutero inveire con tanto furore contro la messa e il sacrificio eucaristico fino ad abolirlo con esecrazione? Ah non convien far conghietture, mentre ce lo rivela egli stesso, perchè a cosi fare gliel persuase il diavolo. Se ciò fosse stato asserito da un qualche cattolico, i protestanti avrebbero menato un alto scalpore, come alla più atroce ingiuria loro fatta, ma or che lo racconta a lungo e per disteso lo stesso Lutero, che hanno essi di che lagnarsi ? Or ecco le parole stesse di Lutero come son riferite in tre edizioni delle Opere dell' eresiarca, del primo cioè che tra tutti i cristiani insorgesse contro la messa : — Essendomi un giorno svegliato di mezza notte, il diavolo cominciò a disputar con me nel mio cuore, com' egli è così costumato di fare inquietandomi assai sovente durante la notte. Ascolta, o gran dottore, mi disse egli, — fai tu riflessione, che tu hai celebrata la messa per quindici anni quasi ogni giorno, che sarebbe se tu non avesti commesso che delle idolatrie, e che in vece di adorare il corpo ed il sangue di G. C. tu non avessi adorato che il pane ed il vino ? Io gli risposi che io era un sacerdote legittimamente ordinato dal vescovo, che io mi era disimpegnato del mio ministero per ubbidienza, e che avendo avuta una intenzione sincera di consacrare, io non vedeva veruna ragione di dubitare, che io non avessi in effetto consacrato. Veramente che sì, ripigliò Satana. Forse che nelle chiese dei Turchi e dei pagani tutto non si fa egualmente per ordine, e nello spirito di ubbidienza? Il culto loro è egli buono ed irreprensibile per questo? Che sarebbe se la tua ordinazione fosse nulla, e che la tua intenzione di consacrare fosse stata altresì nulla e cosi inutile come è quella dei sacerdoti turchi neh" esercizio del loro ministero, o ciò che è stata altra volte quella dei falsi sacerdoti di Geroboamo? — Egh è qui, soggiunge Lutero, che mi prese un grosso sudore, e che il cuore cominciò a battermi in una maniera strana, il diavolo aggiusta i suoi ragionamenti con molta sottigliezza, e gli spinge ancor con più forza, ha una voce forte e dura, ed è cosi calzante per le istanze che egli fa I' una dopo l'altra, che appena dà tempo di respirare ; così ho io compreso, come sia avvenuto più d'una volta che siansi trovate la mattina persone morte nel loro letto ; può in primo luogo soffocarle, può inoltre gettare per la disputa un si grande spavento nell'anima, eh' ella non possa resistere; e sarà costretta d'uscir del corpo nel momento stesso ; che è ciò che io pensai più di una volta che mi arrivasse (33). - .
Checchè si abbia a pensare di questo racconto nel quale si riferiscono cinque fiacche ragioni colle quali il maligno spirito persuase ilgran dottore ad abolire la messa ossia il sacrificio eucaristico, egli è fuor di dubbio, che per Lutero il Diavolo fu l' autore di un tal rovescio. Da quel tempo non lasciò più il dottor di Wittemberga dal declamare come un ossesso contro la messa (34). Calvino non trova termini sufficienti nella sua fraseologia coi quali esprimere la sua avversione, o meglio, abbominazione ed esecrazione che nutriva contro ' il sacrifizio dell'altare, e si uni con Zwinglio a togliere al medesimo il suo fondamento, che è la real presenza del corpo e del sangue di G. C. nel sacramento. Da quest'epoca tutto il protestantesimo con i suoi mille smembramenti si accordò a far guerra alla messa, avente a primo capo il diavolo per maestro. Or qui di passaggio, io chieggo al signor di Gasparin, qual abbia a dirsi con verità ed alla lettera il capolavoro del diavolo il cattolicismo, da esso sempre impugnato e combattuto, o il protestantesimo del quale egli degnò farsi anzi maestro e dottore in persona?
Ma lasciamo queste recriminazioni troppo disgustose, e dogliamoci piuttosto che il protestantesimo ad incitamento del maggior nemico di Dio, abbia sopra di sè tirato il più orrendo castigo di cai Dio minacciasse il suo popolo, cioè che sarebbe rimasto per la sua infedeltà senza sacerdote e senza altare (35), e quindi senza un culto degno di lui. Or lo spogliare la Chiesa di G. C. del sacrificio eucaristico non è egli un privarla di ostia, di sacerdoti e di altari? Non è egli un mutilare il divin culto col togliergli la parte più nobile ed essenziale che n' è l'anima vivificatrice ? Non è un ritardare, anzi un estinguere quel movimento spontaneo di ogni cuor fedele, che riconoscente alla ineffabile divina bontà con cui degnasi di rinnovare nei nostri templi quel mistero di amore per cui immolossi già un di sulle vette del Golgota per redimere la perduta e schiava umanità a tutto si adopera in rendere il più maestoso culto per lui si possa a questo Dio amante ? Per questo egli fa echeggiare ne' suoi trasporti le volte sacre dei più armoniosi concenti, per questo adorna la casa di Dio di tutta la magnificenza delle arti belle ; per questo mette a contribuzione la natura onde fornisca quanto di prezioso asconde ne' suoi inesauribili tesori per abbellirne i santi altari a piè de' quali si prostra in una profondissima ed estatica contemplazione. Ah si, come tutto è vita e fuoco per questo augusto mistero nel culto cattolico, così per la mancanza di esso tutto è morte, tutto è freddo e gelo nel culto protestante. 
Tanto è vero, che lo spogliare la Chiesa di G. C. del sacrifizio è un distruggere la idea cristiana della Chiesa medesima, qual si ebbe universalmente in tutte le Chiese e in tutte le età fin dal principio del nome cristiano.


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Note:

(1) Nell'opera precedente a pruova di questo vero abbiamo allegato lo Schmitt. La Rédempticm du gerire humain annoncée par les traditionset les croyances religieuses, figurèe par les sacrifices de tous les peuples. Or quest' autore nell'art. Des Sacrifices tratta de leur origine, des sacrifices sanglantes, de l'universalité de la doctrine de la redemption par l'effusion du sang — Des sacrifices humains — Inde, Chine, Perse, Chaldée, Egypte, Grece, Rome, Carthage, Scythes, Gaulois, Germains, Amérique, etc, e si offerivano eziandio per le nozze, sepolture, per le confederazioni, ecc.
Ved. inoltre il Milner, Fin de la controversie religiev.se, troisième part. Lettre XLIX e L.
(2) Ved. il Moehler, Défense de la Symbolique, § XXVIII. Dm sacrifice Eucharistique, pag. 382, segg.
(3) Così c'insegna il conc. Tridentino, sess. XXII, cap. I con quelle parole: — Is igitur Deus et Dominus noster, etsi semel seipsum in ara crucis, morte intercedente, Deo Patri oblaturus erat, ut aeternam illic redemptionem operaretur, quia tamen per mortem sacerdotium ejusextinguendum non erat, in cena novissima, qua nocte tradebatur, ut dilectae spousae su;e Ecclesia visibile, sicut hominum natura exigit, relinqueret sacrificium, quo cruentum illud semel in cruce peragendum reprmentaretur, ejusque memoria in finem usque speculi permanerei, etc.
(4) Lue. XXII, 19.
(5) I. Cor. XI, 34.
(6) Come si rileva dal testo greco per cui si toglie l'ambiguità del relativo qui, che si ha nella volgata, lasciando in dubbio se si riferisca al calice od al sangue, riferirò il testo medesimo : Toóto ti iretiipiov, i} xaiv-n SiaS-nx-n Tv To dicati }u>v, To u'rap upòv «xuvo i«vov. Cioè alla lettera: — Hoc poculum novum testamentum est in meo sanguine , quod pro vobis effunditur. — Dal che si vede che quel qui effmditw si riferisce al calice con cui concorda. Ben si avvide di ciò il Beza, il quale si apprese al disperato partito, come ò il solito degli eretici, di corrompere il testo per adattarlo al suo scopo. Ved. ilBecano, Manuale Controv., lib. IlI, cap. VI, n. IS.
(7) Luc. XXII, 19.
(8) I. Cor. XI, 26.
(9) I. Cor. X, 20,21.
(10) I. Cor. X, 18.
(11) Hebr. XIII, 10.
(12) Malach. I, 10, 11. 
(13) Hebr. VII, 23, 24.
(14) Ibid. IX, 24, 28.
(15) Ibid. X, 1l, 14.
(16) Epist. I, ad Cor. n. 40. — Cuncta ordine debemus facere qua nos Dominus jussit peragere. Statis temporibus oblationes et officia sacra «poSipopas xàì Xiat»f>xiaperflci neque temere vel inordinate fieri praecepit. — cum simpliritate et iustitia offerri verum ac purum sacrificium, Eucharisitiam videlicet, qua est ipsum corpus et sanguis Christi. — Convien leggere l'intiero capo.
(17) Tra i quali lo Sparow vescovo Anglicano e Johnson presso gli Ossoniesi, tract. 81, p. 321. Ved. presso il Patrie Kenrick, tom. IlI, p. 262, ed il prova il Beveridge, come pure il Medo coi testi paralleli. Ibid.
(18) Ved. nell'Epist. ad Smyrnaeos, e. VII et VIII.
(19) Ved. l'intero testo presso il Maran, in Dialogo curri Tryphone, n. 117. — Qui ergo per illius nomen sacrificia ipsi offerunt ea, quae a Jesu Christo praescripta, id est, qua in Eucharistia panis et calicis a Chrislianis in omni terrarum loco offeruntur, hos omnes in antecessum Deus gratos sibi esse testatur. — Ved. inoltre Apolog. I, n. 65 e 66.
(20) Lib. IV, e. 17. — Ed. Massueti ; basta riferire il solo titolo di questo capo che è : — In sola Ecclesia calholica Perrone. L'id. Cristiana. VÓI. IV. 15 
(21) Sacriflcaraus pro salute imperatoris, sed Deo nostro et ipsius. — Lib. Ad scapiti, e. 2. 
(22) Lib. de Orat. e. 14. — Accepto corpore Christi, et reservato, utrumque saivum est, et participatio sacrifica, et executio officii. —
(23) Quod J. C. Dominus et Deus noster sacrifica hujus aucior et doctor fuit et  docuit. — Ep. 63, ed. Maurin. 
(24) Nani quis magis sacerdos Dei summi quam Dominus noster J. C. ? Qui sacrificium Deo Patri obtulit, et obtulit hoc idem, quod Melchisedech obtulerat, id est panem et vinum, suum scilicet corpus et sanguinem. — Ibid.
(25) Quod episcopi antecessore^ nostri religiose considerantes et salubriter providentes censuerunt, ne quìs frater excedens ad tutelam vel curam clericiun nominuret, ac si quis hoc fecisset, non efferretur pre eo, nec sacrificium pro ejus dormilione celebraretur — Ep. 66.
(26) Oblationes pro defunctis annua die facimus. — Lib. De Corona, cap. 3.
(27) Grab. in s. Iren. lib. IV, Cont. Haeres. e. 17 al 32.
(28) Ved. Esslinger, Leibnitz, Systema Theol. Ved. eziandio Hoeninghaus, La Reforme.
(29) Presso Kenrik, tom. IlI, p. 262.
(30) Vtd. Ios. Aloys. Assemani, Codex liturgicus Ecclesia universa, Romae, 1749. Le Bruii, Explicat. de laMesse, t. IlI, Dissert. XIII.Conformiti de toutes les liturgies du monde chrètien, dans ce qu'il y a d'essentiel au sacrifice. Renaudozio, Liturg. Orient. Diss. I. De Lituryiar. Orientalium erigine et auctoritate. Il Muratori, Liturgia Romana vetus, 1.1. De Origine sac. Liturgia, e. XVI, segg.
(31) Opp. Jenens. tom. V fol. 490, presso Stark, pag 72, segg. 
(32) Opp. Jenens., tom. I, fol. 96 a 530, presso Stark, pag. 89. 
(33) Ed. di Vittemberg, tom. 7, fot. 479, b. Ed. Jenens. fol. 82 b. Ed. Altenburg, t. 6, fol. 86, b.
(34) Può leggersi l'intiero tratto di questo colloquio di Lutero col diavolo riferito colle proprie parole dell' eresiarca presso l'Audin, Hist. de la vie de Luther nella ediz. quinta nel voi. II, Pièces justificatives, n. Vili. Recit de la conferete du diablt avec Luther, p. 502, 514.
(35) II. Parai. XV, 3.




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