P. ROGER TH. CALMEL, O.P.: LUCE DELL'APOCALISSE
R. Th. Calmel O.P. Estratto dal libro teologia della storia
Si
possono trovare strane, complicate e a volte persino sconcertanti le visioni,
sempre grandiose, dell'Apocalisse di san Giovanni. Non si può però accusarle di
fornire un'idea millenarista o progressista della storia. In esse non si trova
una sola allusione, per quanto sottile la si supponga, a una ascesa degli
esseri umani verso una super-umanità, né a una trasfigurazione della Chiesa
militante in una Chiesa dove non ci siano più peccatori o che cessi di essere
un bersaglio agli attacchi delle due Bestie. Sotto qualsiasi forma si presenti,
il mito del progresso è totalmente estraneo alle rivelazioni del veggente di
Patmos; questo mito, come vedremo, viene anzi distrutto dalle sue rivelazioni.
A maggior ragione, nella prospettiva dell'apostolo Giovanni, ispirato dal
Signore, è impensabile l'eresia ultramoderna secondo la quale la costruzione
dell'umanità attraverso la ricerca, la scienza e l'organizzazione finirebbe ben
presto per identificarsi con la Chiesa di Dio.
Scorgeremo nell'Apocalisse soltanto lo scatenarsi dei flagelli, il loro boato vendicatore quando si abbattono duri e rapidi come enormi chicchi di grandine[i] sugli uomini empi e sacrileghi, e ancor più sui potenti persecutori e sui loro formidabili imperi ? Senza dubbio castighi e punizioni fanno parte integrante dell'Apocalisse; tuttavia, ne sono solo una parte e non la più essenziale. La parte sostanziale, la più significativa, quella che l'apostolo ispirato intende soprattutto insegnare, mi sembra possa riassumersi in due verità fondamentali. Prima verità: sovranità di Cristo su tutti gli avvenimenti della vita del mondo e della Chiesa; in effetti, egli è degno di ricevere il libro della storia e " di aprirne i sigilli poiché è stato messo a morte e ci ha riscattati col suo sangue; - perché è il Primo e l'Ultimo e vive nei secoli dei secoli, tenendo in mano le chiavi della morte e dell'inferno " (5,5-9; 1,5-17-18). L'altra verità è quella della vittoria di Cristo sul demonio e i suoi fautori, e del prolungamento di questa vittoria nella Chiesa e nei suoi santi; ma a questo punto dobbiamo fare molta attenzione poiché questa vittoria, lungi dal sopprimere la croce e renderla inutile, si realizza soltanto attraverso la croce. "Dicite in nationibus quia Dominus regnavit a ligno".
Allo
stesso modo l'Apocalisse mette subito fine a quel sogno talvolta infantile e
tenero, ma forse più spesso vile e odioso, che fa sperare per la vita del
cristiano una fedeltà a Cristo senza tribolazioni e per l'avvenire della Chiesa
un fervore di santità che non dovrebbe più subire dall'esterno la persecuzione
del mondo, né all'interno i tradimenti dei falsi fratelli e talvolta persino del
clero e dei prelati. Il millenium incantatore non giungerà mai nel tempo.
L'esclusione definitiva e totale degli empi e dei perversi è differita
all'ultimo giorno, quando risuonerà la sentenza inesorabile: " Fuori i
cani, gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama
e pratica le menzogna " (22,15). Da qui fino ad allora possiamo rendere
testimonianza a Gesù soltanto immergendo la nostra veste nel sangue di
quell'Agnello divino che " ci ha amati e ci ha riscattati dai nostri peccati
". Non andremo a lui senza attraversare il torrente della grande
tribolazione.
Sovranità
di Cristo, vittoria di Cristo prolungata nei suoi eletti per mezzo della croce;
su questi due maggiori insegnamenti riporto qualcuno dei versetti più
significativi.
In primo
luogo sul pieno potere di Cristo: " E quando l'ebbi veduto (il Figlio
dell'Uomo), io caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose sopra di me la sua
destra e mi disse: non temere; io sono il Primo e l'Ultimo, il Vivente. Ho
subito la morte, ma ecco, ora son vivo nei secoli dei secoli e tengo le chiavi
della morte e dell'inferno " (1,17-18). Davanti all'Agnello immolato,
" i quattro Viventi e i ventiquattro vegliardi... cantavano un cantico
nuovo dicendo: Tu sei degno di prendere il libro [il libro di tutte le cose che
dovranno avvenire] e di aprirne i sigilli, perché sei stato sgozzato e hai
riacquistato a Dio, col tuo sangue, uomini da ogni tribù, e lingua e popolo e
nazione... " (5,9). " E vidi subito apparire un cavallo bianco, e
colui che vi stava sopra aveva un arco, e gli fu donata una corona; e partì
vincitore per riportare nuove vittorie " (6,2). I dieci re " non
hanno che un medesimo pensiero e la loro potestà e la loro forza la mettono a
disposizione della Bestia. Essi faranno guerra all'Agnello, ma l'Agnello li
vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il re dei re, e con lui
vinceranno i suoi, i chiamati, gli eletti, i fedeli " (17,13-14),
Ecco ora
qualche passaggio sul trionfo di questi eletti e di questi fedeli, che verrà
riportato attraverso la croce e che rappresenta il compimento della vittoria di
Cristo. " Poi uno dei vegliardi prese la parola, dicendomi: Questi che
sono avvolti in vesti bianche, chi sono e da dove sono venuti? Ed io gli
risposi: Signore mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Questi sono coloro che
vengono dalla gran tribolazione, e hanno lavato le loro vesti e l'hanno fatte
bianche nel sangue dell'Agnello. Per questo stanno dinanzi al trono di Dio, e
giorno e notte gli rendono il loro culto nel suo tempio... L'Agnello che sta in
mezzo al trono sarà loro pastore, e li guiderà alle fonti delle acque della
vita, e Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi " (7,13-17).
"...L'accusatore dei nostri fratelli [Satana], colui che giorno e notte li
accusava davanti al nostro Dio, è precipitato. Ora, essi l'hanno vinto in virtù
del sangue dell'Agnello e con la parola della loro testimonianza, ed hanno
disprezzato la loro vita fino al punto di accettare la morte " (12,10-11).
" E vidi come un mare di cristallo misto di fuoco, e coloro che avevano
vinto la Bestia, la sua statua e il numero del suo nome, stavano in piedi sul
mare di cristallo con le arpe di Dio. E cantavano il cantico di Mosè, servo di
Dio, e il cantico dell'Agnello, dicendo: Grandi e meravigliose sono le opere
tue, o Signore, Dio onnipotente! Giuste e vere sono le tue vie, o Re delle
genti. Chi non ti temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Sì, tu
solo sei Santo e tutti i popoli verranno e si prostreranno dinanzi a te, perché
i tuoi giudizi sono divenuti manifesti! " (15,2-4). " ...E vidi pure
le anime di coloro che furono martirizzati a cagione della testimonianza resa a
Gesù e per il Vangelo di Dio, e tutti quelli che non avevano adorato la Bestia
né la sua statua, né avevano ricevuto la sua impronta sulla loro fronte e sulle
mani; questi vissero e regnarono con Cristo per mille anni... Questa è la prima
risurrezione " (20,4-,5).[ii]
Questi
versetti ci illuminano e ci riconfortano. Non dimentichiamo però che sono
tratti da grandi visioni allegoriche. È qui, in queste visioni colme di
dottrina e di insegnamento sotto forma di allegoria, è qui che l'Apocalisse
lascia ancor meglio intravedere la propria portata; ed è attraverso la dottrina
che si sprigiona dalle visioni, che essa esercita ancor più la sua mirabile
virtù consolatrice e pacificatrice.
Possiamo
affrontare immediatamente il dodicesimo capitolo, nel quale vengono tracciati
gli immensi affreschi che si collegano più particolarmente alla storia della
Chiesa. Fin lì, dopo le meravigliose lettere ai sette vescovi dell'Asia, era
piuttosto la storia del mondo ad essere inquadrata; si trattava in gran parte,
anche se non esclusivamente, delle vendette divine sul mondo colpevole e della
preservazione degli eletti in mezzo a tutti i flagelli, nel corso dei secoli
(poiché è certo che il numero sette, attribuito ai sigilli misteriosi dei
castighi divini, abbraccia la successione dei secoli nel suo insieme, fino
all'ultimo giorno).
Il capitolo dodicesimo dunque,
ci mostra una di fronte all'altro la Donna e il Drago. La Donna, tutta pura,
rilucente di santità, rivestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona
di dodici stelle sul capo; il Drago tutto arrossato dal sangue dei martiri,
orgoglioso e feroce, apparentemente invincibile, ma che accumulerà sconfitte su
sconfitte. Prima sconfitta: il Bambino messo al mondo dalla Donna, cioè dalla
Vergine Maria, e che il Drago si prepara a divorare, gli viene invece subito
sottratto; in altre parole, il Figlio di Dio, nato da Maria, che ha sofferto la
passione, è glorificato dalla risurrezione e dall'ascensione (12,4-5),
Deluso,
il Drago volge il proprio furore contro i discepoli di Gesù, ma non tarda a
subire una seconda disfatta: è a questo punto che si ode una grande voce nel
cielo: " Ecco venuta finalmente la salvezza, la potenza, il regno del
nostro Dio e la sovranità del suo Cristo; perché è stato precipitato
l'accusatore dei nostri fratelli... [l'antico serpente che viene chiamato
Demonio e Satana]; essi lo hanno vinto in virtù del sangue dell'Agnello ".
Attaccando
allora la Donna, che qui rappresenta la Chiesa, il Drago si troverà giocato,
deriso, vinto, per la terza volta. " E quando il Drago vide ch'era stato
precipitato sulla terra, perseguitò la Donna... E furono date 1alla Donna le
due ali della grande aquila affinché volasse nel deserto... E dalla sua bocca
il serpente gettò dietro alla Donna tant'acqua come un fiume per farla
trascinare via dal fiume. Ma la terra venne in aiuto alla Donna, spalancò la
sua bocca e inghiottì il fiume ".
Perseverando
nel non volersi dichiarare vinto, il Drago cominciò a fare la guerra " a
quelli che restavano della progenie di lei ", vale a dire ai cristiani. Ma
continuerà a perdere.
Sconfitta
irrimediabile, già preannunziata dal paradiso terrestre. È a quest'ultimo che ci
fa risalire la visione dell'Apocalisse, quando per la prima volta la Donna e il
Drago si trovarono di fronte. Pensiamo al giardino dell'Eden, la sera del primo
peccato e della prima contrizione. Il Drago era là. Era riuscito nella sua
odiosa impresa di fuorviare i progenitori della razza umana. C'era anche la
madre di colei che ci doveva risollevare: Eva, tremante, ferita dal pentimento,
rannicchiata presso Adamo. E Dio disse a Eva, in presenza del demonio che
pensava di aver compromesso per sempre la salvezza, la grazia e la felicità
della nostra specie: " Metterò un'inimicizia fra te e la Donna, fra la tua
razza e la sua, e lei ti schiaccerà la testa ".
Questo
fu il Proto-Vangelo. Ma il Vangelo definitivo doveva mantenere questa promessa
molto più di quanto si sarebbe potuto prevedere o desiderare. Si tratta della
differenza fra la profezia e la realizzazione: la realizzazione supera di gran
lunga la profezia in meraviglie e splendori. O, per meglio dire, la profezia
nascondeva splendori che non si potevano sospettare prima della realizzazione.
La Donna dell'Apocalisse è della discendenza di Adamo ed Eva, come era stato
profetizzato, ma è contemporaneamente la donna benedetta fra tutte, la madre di
Dio. È la discendenza della Donna che schiaccia il Drago, com'era stato
profetizzato; ma il Figlio di Maria è anche Figlio di Dio; è fra noi e siede
alla destra del Padre (12,5). La vittoria è riportata con una completezza di
cui certamente Adamo e Eva non sospettavano, di cui nessuno poteva avere in
anticipo un'idea adeguata.
Quando
san Giovanni annotava la visione del Drago e della Donna, l'ora della vittoria,
invocata per millenni da innumerevoli supplici, era giunta. Il tempo annunciato
per secoli, nell'oscurità della legge di natura, prefigurato per duemila anni
nella penombra della legge scritta con Adamo, Mosè e i Profeti, quel tempo
della pienezza dei tempi si levava finalmente sugli uomini; era portato
dall'immacolata concezione della Vergine, e soprattutto dall'incarnazione del
Verbo che l'immacolata concezione preparava.
Diciamo
pienezza dei tempi per due ragioni: in primo luogo perché da quando il Figlio
di Dio si è fatto uomo, abbiamo per sempre, in lui, la pienezza della grazia e
della verità; poi, perché il suo potere plenario non cessa di manifestarsi nel
guidare i fedeli, nonostante le peggiori insidie, alla pienezza della vita
divina, fino al giorno in cui il demonio sarà definitivamente respinto "
nello stagno di fuoco e di zolfo " e reso incapace di qualsiasi azione al
di fuori. Intendiamo per pienezza dei tempi il tempo benedetto in cui Dio ci
accorda in Gesù Cristo i suoi doni e la sua pienezza, mentre ha conferito a
Gesù Cristo la potenza plenaria per farci partecipare ai suoi doni, liberarci
dal peccato, introdurci in cielo.
Il gran
giorno non deve essere più atteso; con la nascita, la morte, la glorificazione
di Gesù Cristo, la data suprema è già giunta; di quest'ordine non ve ne saranno
altre. Ci sarà, c'è, uno sviluppo di ciò che fu compiuto in quelle ineffabili
ore del tempo umano, ma non ci sarà mai più l'inizio di un'altra era, un'era
che potrebbe portare qualcosa di radicalmente nuovo in rapporto
all'incarnazione redentrice. Péguy lo ha cantato nella sua meditazione di
fronte al presepio:
La solenne disputa del giorno e della notte segnava
in quel silenzio un'invisibile tregua
E IL
TEMPO SOSPESO IN QUELL'UMILE CAPANNA
frastagliava
i contorni di un'ora unica e breve.
Il tempo
era realmente sospeso, nel senso che il suo antico corso si era fermato a quel
punto. Era lì che finiva.
E le strade di ieri e quelle
di oggi
confluivano
unite A QUELLA POVERA CULLA.
È anche
di lì che iniziava un tempo che possiamo definire immutabilmente nuovo, nel
senso che la novità dell'incarnazione redentrice, la nuova " economia
" sarebbe stata permanente e definitiva, mai sostituita da un'altra più
stupenda, più traboccante di generosità, come era stata sostituita l'economia
della vecchia legge. E il sangue che doveva essere versato sulla croce, è
" il sangue del testamento nuovo ed eterno ", come dicono ogni giorno
i sacerdoti sul calice del vino; e lo ripeteranno fino all'ultimo giorno, fino
alla Parusia: "donec veniat".
Così la
pienezza dei tempi[iii] è giunta
con la nascita, la morte e la risurrezione del Signore. Perciò san Paolo
scriveva ai Galati (4,4): " Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò
suo Figlio, fatto da una donna e nato sotto la legge, affinché riscattasse
quelli che erano soggetti alla legge, e noi ricevessimo l'adozione di figli. E
la prova che voi siete figli sta nel fatto che Dio mandò lo spirito del Figlio
suo nei vostri cuori, il quale grida: Abba! Che significa Padre ". E anche
agli Efesini (1,10): Dio ha voluto " nella pienezza dei tempi...
instaurare tutte le cose in Cristo ". E ancora ai cristiani di Corinto (1
Cor. 10,11): " Noi, che siamo giunti nella pienezza dei tempi ". E
Gesù dichiarava ai suoi discepoli (Lc. 10,24): " Molti profeti e molti re
hanno desiderato vedere quello che voi vedete e non l'hanno veduto, udire
quello che voi udite e non l'hanno udito ". Infatti " da Mosè fu data
la legge; da Gesù Cristo è stata fatta la grazia e la verità " (Gv. 1,17).
Siamo
entrati negli ultimi tempi, i tempi del Verbo di Dio incarnato, dello Spirito
Santo inviato, della Chiesa fondata. Senza dubbio c'è un inizio a questi ultimi
tempi, quando Elisabetta giunse al sesto mese e l'angelo Gabriele venne inviato
da parte di Dio alla Vergine Maria. Gli ultimi tempi vengono aperti dal fiat
della Madonna. Conosceranno un'ultima fioritura " quando comparirà nel
cielo il segno del Figlio dell'Uomo... e vedranno il Figlio dell'Uomo venire
sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria " per risuscitarci, per
giudicarci tutti, instaurare i nuovi cieli e la nuova terra, ridurre i demoni e
gli uomini dannati all'impotenza totale e " gettarli nello stagno della
seconda morte " (Mt. 24; 1 Cor. 15; Ap. 20). Qualunque sia il numero dei
secoli che si susseguono all'interno degli ultimi tempi, fra il loro inizio e
la conclusione, questi tempi restano gli ultimi: non saranno sostituiti da tempi
nuovi. Noi ci troviamo per sempre nel tempo messianico, quello
dell'incarnazione redentrice e di Maria madre di Dio e degli uomini.
Tutta la
successione della storia fino alla consumazione dei secoli, sta solo a spiegare
ciò che fu dato una volta per tutte, e non certo per inventare un nuovo genere
di dono. La successione dei secoli è in una dipendenza che possiamo definire
intrinseca nei confronti dell'incarnazione redentrice,[iv] e serve a rivelarne le ricchezze, a
permettere agli eletti di moltiplicarsi, a manifestare la varietà multiforme
della loro partecipazione all'amore e alla croce di Gesù, a testimoniare la
maternità spirituale della santa Vergine. Del fiume della storia che scorre ai
piedi della Madonna, potremmo dire, citando i versi di Péguy:
E questo
fiume di sabbia e questo fiume di gloria
è qui
solo per baciare il vostro augusto manto.
I tempi sono compiuti; è
suonata l'ora della misericordia e della insuperabile liberalità del Padre dei
cieli nei confronti della specie umana: " Egli che non ha risparmiato il
proprio Figlio, ma che l'ha sacrificato per tutti noi, come non sarà disposto a
darci ogni altra cosa insieme con lui? " (Rom. 8,32). Senza dubbio la
Parusia, il secondo avvento del Figlio dell'Uomo, deve portare un mutamento
inimmaginabile. Come possiamo infatti immaginare il corpo glorificato,
interamente trasparente, di un'anima tutta santa? Come possiamo immaginare
quella nuova terra in cui gli uomini saranno come angeli, " poiché né gli
uomini avranno moglie, né le donne marito " ? (Mt. 22,30). Ma quali
possano essere le proprietà miracolose dello stato che seguirà il giudizio ultimo,
non si produrranno cambiamenti essenziali. Poiché l'essenziale è la visione di
Dio, fioritura plenaria della grazia santificante. E a questo culmine di
felicità e di gloria abbiamo accesso attraverso il sacrificio di Cristo. Ciò
che ci verrà dato dopo la Parusia, non sarà che il Cristo che ci fu dato dal
presepio, dal calvario e dalla risurrezione: il Cristo che ci fu dato una volta
per tutte e che farà esplodere la sua vittoria in pienezza, lasciando
traboccare tutta la potenza del suo amore in ognuno dei suoi fratelli e nel
corpo mistico che si sarà formato nel corso dei tempi, " in mezzo alla
grande tribolazione ".
L'evocazione
del Drago e della Donna nel dodicesimo capitolo dell'Apocalisse si applica non
solo alla Vergine madre di Dio ma anche alla santa Chiesa che imita la Vergine.
Come Maria difatti è sempre circondata dalla sua intercessione, la Chiesa è
santa, " senza macchia né ruga
", legata a Gesù Cristo come sua sposa, "sponsa Christi";
e generatrice di santi: "mater Ecclesia". Sul destino di
questa Chiesa fatta a immagine di Maria e che, come la Madonna, è rappresentata
dalla Donna, l'apostolo Giovanni ci svela dei profondi misteri. Ci dice che la
Chiesa, perseguitata dal Drago, si nasconde nel deserto; la sua esistenza cioè
è prima di tutto segreta, contemplativa, ritirata in Dio, infinitamente
distante dalla vita secondo il mondo; in effetti, la Chiesa vive principalmente
della vita teologale che la fa vivere in Dio. Nascosta così in Dio, per la
carità che la raccoglie in Dio e per i poteri gerarchici che possiede in
maniera inammissibile al fine di dispensare indefettibilmente la grazia, a
questo doppio titolo ritirata dal mondo e come protetta in un deserto, non deve
temere gli attacchi del Drago, in anticipo votati all'insuccesso, poiché la
regione in cui la Chiesa ha trovato asilo, cioè la regione della vita edificata
nel Signore, la difende come un deserto inaccessibile, un rifugio
inespugnabile. Dalla sua fondazione, la Chiesa ha ricevuto " le due ali
della grande aquila " per volare al luogo del suo rifugio; lì è al sicuro
fino all'ultimo giorno,[v] assistita
dallo Spirito di Gesù, nutrita, riconfortata dal suo corpo e dal suo sangue
sotto le specie eucaristiche.
Che cosa
fa allora il Drago? Irritato dal proprio insuccesso, recluta alleati per
lanciarli contro la Chiesa. Per mezzo loro proseguirà la lotta; una lotta senza
respiro che si svolge per quarantadue mesi: in altre parole, per tutta la
durata dei tempi storici.
Si
apposta sull'arena del mare (12,18). Vede salire dal fondo dell'abisso una
Bestia enorme e mostruosa a cui comunica le sue forze e la sua grande potenza;
senza indugiare oltre, la Bestia si scatena (13,1-10).
Tradotta
correttamente, questa allegoria significa che il demonio si introduce nel
potere politico allo scopo di volgerlo contro la Chiesa. Il primo degli imperi
da lui utilizzati per l'esecuzione della sua volontà di persecuzione è l'impero
romano. San Giovanni lo indica come la Bestia del mare poiché Roma, nei
confronti dell'isola di Patmos, sorge sull'altra sponda del Mediterraneo; e,
poiché Roma è edificata su sette colli, la Bestia del mare viene rappresentata
con sette teste (" le sette teste sono le colline sulle quali è assisa
" [Babilonia], 17,9).
Così il
demonio si introduce nella città politica al fine di combattere con più
efficacia la Chiesa e i santi. Ha incominciato servendosi di Roma, e da allora
non ha mai smesso. Dopo la caduta dell'impero, quando si instaurò poco alla
volta una cristianità, ossia una città relativamente sana, onesta, retta e
sottomessa alla Chiesa, il demonio non fu più in grado, come prima, di servirsi
delle istituzioni per porre in atto i suoi disegni; le istituzioni, bene o
male, erano conformi alla giustizia e permeate di spirito cristiano. Che cosa
faceva allora il demonio? Tentava di distogliere i re e gli uomini dall'ideale
di giustizia cristiana che era quello della città. Tuttavia, finché la città,
nell'insieme, rimaneva cristiana, non diveniva in quanto tale uno strumento dal
demonio; non si identificava con la Bestia del mare. Ma da due o tre secoli a
questa parte la città politica ha assunto nuovamente le caratteristiche della
Bestia rifiutandosi di riconoscere Cristo e la sua Chiesa, è nuovamente
persecutrice, sia apertamente che con sistemi camuffati. Tuttavia, diversa in ciò
dalla Roma pagana, la città moderna non è al servizio dell'idolatria ma
piuttosto dell'apostasia: un genere di apostasia che all'occasione possiede la
capacità di nascondersi sotto definizioni cristiane. Di modo che la Bestia è
più pericolosa ora che all'epoca di san Giovanni.
Ma la Bestia del mare non è
sola; un'altra l'aiuta, ed è la Bestia della terra (13,11-18). Imperversa ai
giorni nostri più che nei primi secoli, al tempo in cui san Giovanni scriveva
la sua opera. Nonostante le tregue momentanee, non sarà sconfitta che alla fine
del mondo. Questa Bestia della terra, secondo i più autorevoli commentatori,
simboleggia i falsi dottori e le false dottrine, le gerarchie con il loro
Vangelo deformato, i portavoce dell'apostasia (sia che neghino il contenuto
della rivelazione, sia che, con una erudita alchimia, sapiente e ipocrita, lo
alterino e lo corrompano pur mantenendo intatte talune apparenze); da due
secoli sono venuti a confondere il Vangelo sia con la predicazione di una
libertà utopistica e sfrenata, come nel diciannovesimo secolo, sia, come nella
nostra epoca, con la predicazione di un incessante progresso e di un'evoluzione
indefinita, in direzione di un ultra-umano che sempre si allontana.
È così
che si presenta, secondo il dodicesimo capitolo dell'Apocalisse, l'antagonismo
fra il Drago e la Donna. Quindi il demonio conduce la lotta non solo in
persona, ma anche per mezzo di due ausiliari formidabili: in primo luogo le
istituzioni politiche e poi i falsi profeti; da una parte le forze dell'autorità,
la legge, il potere politico, dall'altra il prestigio e la seduzione
dell'intelligenza, il sistema, i falsi dogmi o l'arte corrotta.
Evidentemente,
tutte queste precisazioni non sono contenute nel testo, ma si basano su di
esso, gli sono conformi, come potremo facilmente convincerci con una paziente e
attenta lettura dei commentatori cristiani più autorevoli.[vi]
Ai
commentatori mi limito ad aggiungere un'evocazione, d'altronde rapidissima,
delle manifestazioni successive delle due Bestie, di ciò che nel corso della
storia si presenta come una loro incarnazione. Spero con questo di non tradire
il libro ispirato: ed ecco perché. Gli immensi affreschi coi quali l'apostolo
Giovanni ci descrive il governo del mondo e la vittoria del Signore, sono in
qualche modo ciclici e riepilogativi. Riprendono alcuni temi immutabili, che
sviluppano e arricchiscono ogni volta, ma, nella sostanza, i temi essenziali
non mutano; possono essere enumerati come segue: impero sovrano di Dio e del
suo figlio Gesù glorioso su tutta la serie degli avvenimenti; evangelizzazione
che nulla riesce ad arrestare; intercessione dei santi della Chiesa trionfante;
ritorno instancabile delle persecuzioni ma sconfitta finale, certa, dei
persecutori; vittoria degli eletti attraverso la sofferenza e la croce;
intervento continuo degli angeli beati per castigare i persecutori e per
sostenere e preservare i santi. Questi temi non mutano, ma ogni volta che
tornano attraverso i ventidue capitoli, l'illustrazione ne diviene più evidente
e lampante. Penso si possa concluderne che gli avvenimenti che compongono la
trama della storia del mondo e della Chiesa presentano caratteristiche
essenziali immutabili, anche se non si ripetono mai nella stessa maniera.
Gli
avvenimenti della storia del mondo e della Chiesa non sono avvenimenti di
trasformazione totale e indefinita che supererebbero la natura della Chiesa e
quella della città in uno sforzo di ascesa irrefrenabile e allucinante verso
una umanità e una Chiesa sempre migliori. Questa concezione è solo un mito
hegeliano e teilhardiano. La dottrina rivelata, e in particolare quella che si
sprigiona dall'Apocalisse, è in realtà tutt'altra, e persino contraria. La
sacra dottrina, confermata d'altronde dall'esperienza, ci dimostra che gli
avvenimenti della storia della Chiesa sono sempre fatti di evangelizzazione,
anche se i popoli evangelizzati sono differenti a seconda delle epoche, delle
razze e delle lingue; troviamo sempre persecuzioni e tradimenti, ma anche
sempre la vittoria dei martiri, dei confessori e delle vergini; a loro volta,
queste persecuzioni o questi tradimenti prendono sempre la forma di attacchi o
di manovre dovuti sia al potere politico (ufficiale o nascosto), sia ai profeti
di menzogna e ai dottori d'illusione e di confusione. Evidentemente, gli
attacchi e le manovre delle due Bestie cambiano nel corso dei secoli e la
vittoria riportata ogni volta dalla Chiesa su di esse appare sempre sotto
aspetti nuovi, non ancora intravisti. È in questo senso che vi è
dell'irreversibile, ma né la persecuzione né la vittoria, nei loro elementi
costitutivi, sono irreversibili. Al contrario, i loro caratteri essenziali si
ritrovano invariabilmente, con notevole costanza.
Lo
affermo perché è vero, ma anche perché da ogni parte si cerca di imporci il contrario,
o meglio, perché la Bestia della terra impiega ogni astuzia e innumerevoli
pressioni per portarci a pensare che tutto sarebbe in trasformazione e in
divenire; che, per esempio, la Chiesa del concilio di Trento con il suo
insegnamento, la sua liturgia e la sua concezione dell'apostolato non sarebbe
più attuale. Dovremmo ormai costruire una Chiesa del secolo XX, totalmente
diversa da quella del XVII e che aprirebbe a sua volta la via alla Chiesa dei
secoli XXI e XXII, che a sua volta non avrebbe in comune con la precedente che
uno slancio vertiginoso verso un neocristianesimo mai raggiunto, ma sempre più
abbagliante e straordinariamente favoloso.
La Bestia della terra ci dice
anche che è finita la divisione con il mondo e la sua ostilità. La Chiesa coesisterebbe
ormai pacificamente con un mondo che, quasi senza volerlo e come
spontaneamente, finirebbe col coincidere con essa senza esserle più ostile:
perlomeno, nella misura in cui essa si fosse spogliata di ogni autorità
giuridica e di ogni carità trascendente.
Siamo
avvolti dalle nebbie del progressismo. Si continua a parlarci di storia, ma si
è perso il senso dei caratteri fondamentali della storia: infatti, anche se si
pone prevalentemente l'accento sull'irreversibile (ed è vero che la successione
degli avvenimenti è irreversibile), si dimenticano le virtualità ben
determinate e precise che i diversi avvenimenti della città terrena e della
Chiesa di Dio continuano a manifestare, lungi dal distenderle senza fine. Il
successivo e l'irreversibile hanno nascosto lo stabile e il permanente.
Se siamo
circondati dalle nebbie del progressismo è a causa di un grave peccato:
l'orgoglio. L'uomo ha voluto sostituirsi a Dio, e non soltanto a titolo
individuale ma anche per mezzo di un nuovo tipo di società che si è accanito a
erigere. E, poiché l'esperimento è stato inconcludente e la società si è
rivelata colma di deficienze, la realizzazione di una società ideale è stata
allora rimandata a un futuro che si allontana all'infinito. L'avvenire della
società in costruzione: ecco ciò che ha preso il posto di Dio. È un mito
divorante che ha sempre ragione poiché parla, comanda, edifica e travolge non
in nome di criteri e di leggi verificabili - tratti da una natura ben
conosciuta, avente una finalità assegnata e fissa - ma nel nome di un futuro
che assume tutti i contorni di un sogno chimerico, che è ogni giorno differito
un po' più lontano.
L'Apocalisse
ci insegna invece che la storia della Chiesa è senza dubbio una storia, uno
svolgersi irreversibile e non una specie di ingranaggio d'orologeria che gira
in tondo; ma anche che questa storia, mai identica e di una bellezza che si
rinnova senza sosta, presenta tuttavia dei caratteri fissi e immutabili: in
particolare l'evangelizzazione che nulla potrebbe arrestare; e poi l'ostilità,
sia dichiarata che mascherata, del Drago e delle due Bestie contro la Donna;
infine, la vittoria di Cristo e dei Beati.
In
realtà, l'ostilità del Drago si rivela in definitiva impotente. E, anche se i
figli della Donna devono sopportare terribili sofferenze, essi risultano
vincitori in mezzo alla pene e agli stessi tormenti. Come la Chiesa, loro
madre, sfugge al Drago poiché si trova su un altro piano, così essi sono posti
su un piano diverso e non rischiano di essere vinti; per lo meno coloro che
intendono seguire l'Agnello, che arrivano persino a dare testimonianza del
martirio e che " hanno disprezzato la loro vita fino al punto di accettare
la morte " (12,11). Coloro, insomma, che vivono le virtù teologali con
tanta profondità da aggrapparsi inflessibilmente alla croce di Gesù. Gli altri,
"i vili e gli increduli" (21,8) sono vinti dal demonio. Così, i
cristiani che rimangono fedeli a Gesù sono sicuri di riportare con lui la
vittoria sul Drago.
Ecco
come termina la battaglia, ecco la fine della lotta delle due Bestie contro la
Chiesa: " Poi io vidi l'Agnello che stava in piedi sul monte Sion, e con
lui centoquarantaquattromila persone che avevano scritto in fronte il suo nome
e quello del Padre suo... E cantavano un cantico nuovo davanti al trono,
dinanzi ai quattro Viventi e ai vegliardi, e nessuno poteva imparare il cantico
se non i centoquarantaquattromila riscattati dalla terra. Son quelli che non si
sono macchiati con donne, poiché sono vergini " (14,1-4). Sono puri perché
hanno consacrato a Gesù Cristo la loro anima e il loro corpo, ed è questo
l'ovvio significato del versetto; ma sono puri anche nel senso che hanno
conservato la loro anima nella santità di Dio, non hanno prostituito la loro
vita al culto del Drago e delle Bestie (o si sono pentiti prima di morire).
Quei centoquarantaquattromila non solo sono puri e senza macchia, ma trionfano
per mezzo della croce di Gesù; infatti avanzano " dopo aver attraversato
[il torrente] della grande tribolazione, dopo aver lavato e rese bianche le loro
vesti nel sangue dell'Agnello. Per questo stanno in piedi davanti al trono di
Dio e dinanzi all'Agnello, avvolti in bianche vesti e con palme nelle loro
mani. E l'Agnello sarà loro pastore, e li guiderà alle fonti delle acque della
vita, e Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi " (7,14-9-17).
Per
quanto riguarda la Bestia del mare, la città politica passata alle dipendenze
di Satana, la grande Babilonia, la superba prostituta inebriata del sangue dei
martiri di Gesù (18,5-6), essa crolla in pochi minuti, come la pietra enorme
che l'angelo solleva e precipita nel fondo degli oceani (18,21). Babilonia
tenta di risollevarsi nell'intero corso della storia, ma i crolli sono numerosi
quanto i tentativi di ricostruzione. E così sarà sempre. Il demonio e le due
Bestie non sono sul punto di prendere in mano i destini del mondo; è
all'Agnello immolato e glorificato, che ne è il padrone sovrano, che essi sono
stati consegnati.
Il
demonio e le due Bestie non stanno per superare definitivamente le loro
sconfitte e per vincere; spesso, può sembrare che si riprendano; si potrebbe
persino affermare che il trionfo sia dalla loro parte, ma non è che una
apparenza. Alla fine, il demonio e le due Bestie " verranno gettati nello
stagno di fuoco e di zolfo, e saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei
secoli " (20,10); non tenteranno più di far crollare gli argini né di
ricominciare i loro giochi satanici di persecuzione e di corruzione.
Da
adesso ad allora il loro trionfo è solo apparente. In effetti si tratta di un trionfo
che non potrebbe essere attribuito al demonio, come se questi riuscisse
veramente a riportare qualche vittoria su Gesù Cristo, come se Gesù potesse
essere sconfitto. A questo proposito occorre prestare la massima attenzione per
non rimanere ingannati dal linguaggio, per non immaginare la lotta di Satana
contro Gesù Cristo come se si trattasse di una guerra fra due qualsiasi
monarchi di questo mondo, che come tali sono entrambi due semplici creature.
Infatti il demonio è, sì, una personalità creata (un puro spirito, ribelle e
condannato), ma non lo è Gesù Cristo, che è lo stesso Verbo di Dio. Ne deriva
che la lotta di Satana contro di lui non può essere paragonata alle guerre che
avvengono fra due grandi di questa terra.
In
realtà, le possibilità del demonio si chiamano peccato mortale, inferno e
dannazione, perdita definitiva della grazia e della pace. Una perdita e una
privazione talmente spaventose, così totali, non possono venire definite
"vittoria" se non molto impropriamente.
Si dice
che il demonio trionfa quando induce gli uomini a sottrarsi volontariamente
alla grazia di Cristo, alla vita e alla gioia, come egli stesso, per primo, vi
si è sottratto volontariamente. Non si tratta però di un successo riportato su
Dio, ma piuttosto di una volontaria rinuncia ai premi ineffabili che Dio
riserva a coloro che ama.
Bisogna
inoltre rendersi conto che in Cristo non esiste mai carenza di grazia e di
potere, tanto da metterlo in condizioni di inferiorità quando egli viene
rifiutato o combattuto dagli uomini. Cristo non può essere sconfitto. Il
peccato non è mai la risultanza di una sua inferiorità. Quando gli uomini lo
rifiutano o persino lo combattono, l'inferiorità e la sconfitta sono dalla loro
parte e sono orribili: gli uomini si sottraggono a una grazia che era del tutto
sufficiente e si privano così dei doni celesti. Non vincono; perdono in maniera
atroce.
Con
queste indicazioni, anche se molto rapide, possiamo comprendere che la guerra
di Satana contro Gesù Cristo e i suoi santi non deve essere concepita sul tipo
delle altre guerre; neppure la vittoria è dello stesso genere; in realtà, essa
non appartiene al demonio; l'essere vittorioso non è una prerogativa di Satana,
ma di Gesù Cristo.
Per
tornare alla sublime visione dei centoquarantaquattromila che hanno riportato
la vittoria sul demonio e sui suoi fautori, ricordiamo prima di tutto il
carattere peculiare di questa vittoria: si è compiuta non perché essi sono
stati dispensati dalla croce, ma perché l'hanno accettata con amore. Ritroviamo
qui, anche se presentata da un diverso punto di vista, la dottrina delle
beatitudini. La beatitudine, come la vittoria, è accordata non ai discepoli che
fanno di tutto per sfuggire le privazioni, il dolore e le persecuzioni, ma a
quelli che li accettano per amore di Dio. Beati coloro che hanno lo spirito di
povertà... Beati coloro che piangono... Beati coloro che soffrono persecuzioni
per la giustizia...
Questa è
la strada delle beatitudini. Il viaggiatore che vi si è inoltrato non cammina
mai solo, poiché il Signore fa quella strada con lui, anche quando è nascosto o
rimane in silenzio. D'altronde, qualunque siano le contrarietà o gli imprevisti
del cammino, il fedele non sarà mai preda di uno smarrimento totale; sente
vicinissimo il mormorio di una fonte viva; trova da dissetarsi anche quando il
luogo è arido e il sole è rovente. Come scriveva san Giovanni della Croce:[vii]
"Questa fonte eterna è ben nascosta, ma so da dove sgorga e scorre, anche
se è notte". È il Signore stesso che fa zampillare una sorgente nel
momento opportuno, per il viandante fedele.
Dopo
l'annunciazione, la passione e la pentecoste, ci troviamo nella pienezza dei
tempi. La Sposa è discesa dal cielo, venendo da Dio, abbigliata per il suo
Sposo. Dio ha eretto il suo tabernacolo tra gli uomini, essi sono diventati il
suo popolo, il popolo della nuova ed eterna alleanza (21,1-4,10-11). Questa
pienezza dei tempi ha una storia che è di una novità imprevedibile, che appare
nel corso dei secoli, degli anni e dei giorni, inattesa e riposante quanto il
volto degli innumerevoli santi che Dio suscita nel giardino della sua Chiesa.
Ma la novità della storia si fonda sulla permanenza della natura. D'altronde,
anche se i santi non sono mai intercambiabili, la loro santità è
invariabilmente una vittoria attraverso la croce.
Così la Chiesa sviluppa la sua
storia all'interno della pienezza dei tempi e si affretta a incontrare lo
Sposo, non prestandosi ad alcun mutamento sacrilego, ma innalzando, mentre si
prolunga il suo pellegrinaggio sulla terra, lo stesso canto di vittoria e la
stessa implorazione suggeriti dallo Spirito Santo; il timbro di voce è ogni
giorno nuovo, ma l'implorazione non cambia e il canto di vittoria è lo stesso.
Allo stesso modo, nella sua acclamazione alla Vergine, la Chiesa innalza sempre
lo stesso Magnificat, il cui accento però è sempre nuovo, di generazione in
generazione.
Questi
sono i punti principali della dottrina dell'Apocalisse sulla storia misteriosa
dell'immutabile Chiesa di Dio.
[i] Vedere 8,7.
[ii] La risurrezione prima dei santi e dei martiri
indica la rigenerazione spirituale che si compie già da ora, diversamente dalla
risurrezione gloriosa, dopo la Parusia; la durata di mille anni che misura la
prima risurrezione indica il corso della storia presente in tutto il suo
insieme (essendo mille anni una cifra perfetta) in contrapposizione
all'eternità che misurerà la risurrezione gloriosa. Nessun senso millenarista.
[iii] Vedere I-II, 106,4, sulla nuova legge che deve
durare fino alla fine del mondo. " Articolo... che stronca dalle radici
tutti i tentativi, che si rinnovano incessantemente, di orientare la storia
verso un'era di messianismo dello Spirito, dove la rivelazione del nuovo
Testamento e la concezione della Chiesa come corpo passibile di Cristo,
sarebbero superate " (JOURNET, Introduction à la Théologie, Desclée de
Brouwer, Parigi, pp. 185-186).
[iv] Questa dottrina viene illustrata da san Giovanni,
nel capo 5 dell'Apocalisse, quando ci descrive in un grandioso affresco come i
destini del genere umano siano rimessi a Gesù Cristo, immolato e glorificato;
come lui solo sia in grado di aprire il libro dei sette sigilli.
[v] L'indicazione della durata del suo ritiro: un
tempo, due tempi, un mezzo-tempo e un codice simbolico che indica il corso
dell'intera storia.
[vi] In particolare P. ALLO O.P., L'Apocalypse
(Gabalda, Parigi) o il riassunto che ci da padre Lavergne O.P. (stesso titolo,
stesso editore).
[vii] San Giovanni della Croce. Il poema, Aunque es
de noche, che comincia così: " Que bien sé yo la fonte que mana y
corre. Aunque es de noche ".
Vedere il
mio libro: Sur nos routes d'exil, les béatitudes, fine dell'ottavo
capitolo, sul Dio nascosto.