LA LIBERTÀ DI COSCIENZA
La Civiltà Cattolica, serie XIV, vol.
VIII, fasc. 968, 8 ottobre 1890.
LA LIBERTÀ DI
COSCIENZA
I.
Vera nozione della libertà di
coscienza.
L'Opinione scriveva sotto il titolo Libertà di
Coscienza (n. 220) quanto segue : « Leggiamo nell'Osservatore
Romano: - L'Opinione stigmatizzando le rigorose misure che si
dicono adottate dalla Russia contro gli ebrei, pur vorrebbe col Times che
da ogni parte sorgessero proteste contro queste persecuzioni moscovite. E l'Opinione lo
vorrebbe perché di tutte le libertà, la più divina e la più umana ad un tempo è
quella di coscienza.
« - Ci permettiamo di dimandare (segue l'Oss. R.): questa libertà
di coscienza è la più divina e la più umana soltanto per gli ebrei, o ce n'é un
pocolino anche pei cattolici? Se sì, perché allora qui in Italia tanta guerra
si fa ai cattolici e al cattolicismo, e perché per tutto il mondo si opprime la
libertà di coscienza di trecento milioni di cattolici col negare al Papa la sua
libertà effettiva e la sua reale indipendenza?» L'Opinione se la cava
con queste parole: « la guerra dell'Italia contro i cattolici è una invenzione
della partigianeria politica reazionaria.» Questo breve tratto dell'Opinione si
porge a gravissime considerazioni.
Anzi tratto ancor noi ripetiamo che di tutte le libertà la più
divina e la piú umana d un tempo è quella coscienza. Ma sa l'Opinione e
la setta, cui essa appartiene, che cosa sia libertà di coscienza? Non lo
crediamo affatto, perchè cotesta setta non sa che cosa sia coscienza. Apprenda
in primo luogo la significazione di questa parola. Coscienza è
l'ultimo dettame o giudizio pratico intorno a dover o poter fare, o non fare
un'azione. Quindi cotesta coscienza intima un'obbligazione, od annunzia una
libertà di operare. Ad esempio: Tu devi soccorrere il tuo figliuolo in tale o
tal altra maniera: tu non devi tradirlo: tu puoi lasciarlo impunito o non
lasciarlo: tu non devi consegnarlo a cotesto maestro, il quale ne avvelenerebbe
la mente e corromperebbe il cuore. Siffatte formole esprimono quel dettame che
si dicecoscienza. Ad ogni azione che si fa con consiglio e ch'è
veramente umana, deve precedere la coscienza, tanto nelle relazioni individuali
quanto nelle civili e politiche.
Se non che il concetto di obbligazione non può aver luogo senza quello
di due termini realmente distinti, i quali sono l'obbligante e l'obbligato, e
l'obbligante in quanto è tale, è essenzialmente superiore all'obbligato. Laonde
nessuno può obbligare sé stesso, nè chi è a sè superiore: e poiché ogni uomo
considerato nella sua dignità naturale è eguale ad un altro uomo, da nessun
uomo può derivare fontalmente quell'imperativo, col quale s'intimi ad
altro uomo tu devi fare o devi non fare questa cosa o sei
libero a farla o non farla. Chi è per natura superiore all'uomo è Dio, e la
sola ragione di Dio è regola della ragione dell'uomo, e la volontà di Dio è
regola di quella dell'uomo. Per la qual cosa Dio dando alla umana ragione il
lume, onde conosce il vero e rettamente giudica, lo ammaestra dei suoi voleri e
col mezzo della stessa umana ragione l'obbliga a far ciò che vuole. Quando però
l'uomo entro sè dice debbo far questo, altro non fa che ripetere l'imperio interno
di Dio col quale gli dice tu devi far questo.
Se Dio immediatamente rivelasse agli uomini i suoi comandi basterebbe
conoscere con certezza il fatto di questa rivelazione, perchè la coscienza non
fosse erronea. Imperocchè Dio non potendo errare nè ingannare, sarebbe certa
l'obbligazione di fare ciò che Dio comanda. Ma poiché l'uomo coll'uso della
propria ragione dee venire in cognizione della verità e dei voleri di Dio,
talvolta può errare e fare che quell'ultimo giudizio pratico, ch'è la
coscienza, sia erroneo. Il quale errore talvolta può essere involontario ed
invincibile nelle circostanze in cui si trova la persona errante, e in tal caso
egli può senza colpa seguirlo; ed anche deve: ma può talvolta essere un errore
colpevole; ed è tale, quando la persona temerariamente, giudica senza verun
sodo fondamento di verità, e dice di dover fare ciò che in realtà con la mente
non vede di dover fare, ma vede piuttosto di dover fare il contrario. In tal
caso essa deve deporre l'errore e non seguirlo. Sempre poi quando quel giudizio
ultimo è falso, non è vera coscienza ma falsa; e perchè tale, non è
propriamente coscienza, come l'oro falso non è oro.
II.
La coscienza dei liberali.
Nel senso settario, omai comune, prendiamo questa parola liberali.
Costoro sono quelli, che ammettono la così detta libertà di pensiero insieme
colla libertà di coscienza. Senise Prefetto di Bari, il quale fu encomiato dal
Crispi nel Parlamento nel giorno 28 del passato agosto, in un Congresso degli
insegnanti elementari, tra le altre stoltezze disse ancor questa: che «il
Governo invoca, acclama la scienza come alleata nel civile rinnovamento, distruggendo
lasuperstizione, e innalzando il monumento a Giordano Bruno a Campo dei
fiori nella Capitale, dove fu distrutto il Papato temporale e la tirannide
della coscienza, ottenendo il trionfo del libero pensiero, e il trionfo della
scienza.» Ciò venne riferito dalla Riforma.
Ma sapete voi che quegli che professasse nella pratica questa teorica,
sarebbe senz'altro degno delle patrie galere o dei patrii manicomii? La fortuna
è che moltissimi di coloro che professano siffatto liberalismo, parlano da
pappagalli, senza intendere ciò che dicono.
Se si bada alle vostre parole e a quella iniqua e stolta significazione
che si dà ad esse nelle scuole liberali da professori imbecilli, la libertà di
pensiero è escludere quella che voi chiamate superstizione, cioè
escludere dalla umana ragione il concetto di Dio e del vincolo di una
obbligazione divina, e la fermezza d'immutabili principii nel filosofare;
cotalchè ciascuno si dia a filosofare come più gli talenti. Ma signori,
l'escludere dalla mente Dio e la divina obbligazione è distruggere la
coscienza, e quindi tutt'altro che riconoscerne la libertà. L'umana ragione non
crea l'obbligazione dell'operare, ma la discopre; non crea la verità, ma
l'apprende e vi si conforma. Il filosofo non è poeta che inventa; ma è pittore
che fedelmente copia la natura. La vostra libertà é un sogno, è un delirio. Ma
non ci dilunghiamo col discorso fuori della coscienza.
La coscienza, come dicevamo, è un ultimo giudizio pratico intorno
all'obbligazione di fare o di non fare una cosa. Se si prescinde da Dio
obbligante, perchè superiore e perchè padrone di tutto l'uomo, l'obbligazione è
impossibile, e si dovrà cadere o nella tirannia che l'uomo possa per sè
stesso obbligare un altro uomo suo pari, o nella follia che l'uomo
obblighi sè stesso. Dunque il liberalismo che esclude Dio, esclude il concetto
vero di coscienza, ed è un assurdo il dire con l'Opinione che la
libertà di coscienza è la più divina e più umana tra le libertà.
Ma ci si dirà, voi andate in filosofiche sottigliezze. Per coscienza noi
intendiamo una interna persuasione di dover operare o non
operare o di essere liberi ad operare, senza alcun riguardo a Dio.
Egregiamente! Dunque voi direte che la libertà di operare secondo tale
persuasione è la più divina ed umana delle libertà? Incarniamo la vostra
dottrina in fatti evangelici e in fatti storici dei nostri tempi.
Erodiade adultera concubina di Erode tendeva insidie a San Giovanni
Battista, perchè questi diceva ad Erode non essergli lecito tenere per moglie
la moglie del suo fratello. Rechiamo il passo del Vangelo (Marc. 6) «Erode
temeva Giovanni conoscendolo uomo giusto e santo; e lo conservava, ed udendolo,
faceva molte cose; e volentieri l'udiva. Or avvenne che Erode nel suo di
natalizio fece un convito ai principi, ai tribuni e ai primarii della Galilea,
e la figliuola di Erodiade entrò e danzò, e piacque ad Erode, ed a coloro
ch'erano con lui a mensa. Ed il Re disse alla fanciulla: Domandami ciò che vuoi,
ed io tel darò. E giurò dicendo: Io ti donerò tutto ciò che chiederai, fosse
anche la metà del mio regno. Ed essa uscì e disse a sua madre: Che chiederò? Ed
ella disse: La testa di Giovanni Battista. E subito frettolosamente si fe'
innanzi al Re e fe' la sua dimanda dicendo: Voglio che subito tu mi dia il capo
di Giovanni Battista. Si afflisse il re: ma a cagione del fatto giuramento e
per rispetto di coloro che erano con lui non volle contristarla. E subito
mandato un carnefice, comandò che si portasse il capo in un piatto. E così
decapitò Giovanni nel carcere e ne fu portata la testa in un piatto, e la diede
alla fanciulla, e questa la diede alla sua madre.» Qual fiero tiranno! Eppure
Erode in sua mente si persuadeva dover fare ciò che fece, atteso il giuramento
e il riguardo ai convitati. Questa persuasione era in lui coscienza?
Se discorriamo secondo la teorica del liberalismo che prescinde da Dio e
ammette la libertà di pensiero, dobbiam dire che fosse, ed Erode godeva in ciò
della libertà più divina e umana. Ma questa sua persuasione era un
giudizio pratico derivato da un giudizio vero della esistenza di una
obbligazione o almeno liceità di far ciò che fece? Il suo errore era
invincibile? Poteva egli essere in buona fede? Nella teorica dei nostri avversarii,
Erode avea il diritto di far quell'atto e doveva goder di pienissima libertà a
farlo.
Della stessa guisa uno che intende assassinare un imperatore o un re o
ad accoppare con una sassata un ministro di Stato, perché è persuaso di
fare cosa a sé e agli altri settarii grata, e l'ha giurato, costui
secondo la teorica della libertà di pensiero e di quella di coscienza, vuol
essere rispettato nè farà cosa colpevole innanzi alla società, giacché la
libertà di coscienza è la prima libertà di tutte le altre e la più
divina e la più umana.
La dottrina pertanto che deriva da principii della setta liberale è una
dottrina che dà impunità a tutti i delitti ed è la dottrina che giustifica il
regicidio, e dalla quale consèguita eziandio che non meritano punizione i
delitti politici quali che sieno. Ed i ladri, gli assassini, gli adulteri, ogni
fior di ribaldi nella libertà di pensiero e di coscienza avranno la
giustificazione de' loro misfatti.
III.
Nel senso liberalesco non vi é legge,
ma sola legalità.
Adunque se quell'ultimo giudizio pratico che è la coscienza, col quale
l'uomo si determina ad operare, non è dedotto da una legge o imperativa o
proibitiva o permissiva, non ha il carattere di coscienza nè merita per
sè rispetto nè ha diritto a libertà. Questo è vero per i singoli
uomini particolari, ed è altresì vero pei Governi, pei parlamenti e pei re.
Imperocchè nessuna ordinazione parlamentare o regale ha virtù obbligatoria, nè
deve essere riconosciuta come norma delle umane operazioni, se non ha per base
la divina autorità. Laonde è blasfemo ed è insieme tirannico quel detto che
talvolta risonò nell'aula parlamentare; ogni norma di obbligazione esce solo da
questa aula: affermandosi che la solavolontà dei legislatori
costituisca la norma della giustizia e del dovere. Una legge che sia certamente
contraria alla legge di Dio, potrà rivestirsi di tutte le forme estrinseche
della legalità, ma in realtà non sarà legge, nè sarà norma obbligatoria della
coscienza, nè produrrà nei sudditi dovere o libertà.
Qualora non si abbia come inconcussa questa dottrina, bisognerà concedere che
tutte le ordinazioni dei tiranni di Roma, del Direttorio e della Convenzione di
Francia fossero veramente leggi, cosa assurda e nefanda. Così furono, sono e
saranno inique ordinazioni e non vere leggi quelle, con le quali si interdiceva
ai cristiani di professare il vero culto di Dio e di eseguire i divini
precetti. E di vero, in diritto è nulla l'autorità degli uomini, ancorchè sieno
re o imperatori, qualora si oppone alla divina autorità.
Quella sentenza omnis potestas a Deo est, è filosoficamente,
innanzi alla ragione, evidente ed è, in fede, certissima: non può venire da Dio
ciò che alla divina ragione e alla sua volontà si oppone.
Per la qual cosa quei Governi costituzionali ammodernati che si
dichiarano atei, per ciò stesso si dichiarano non avere veruna
autorità di far leggi. Tali Governi sono piante che hanno avvelenata la radice,
e considerati per sè stessi sono tirannici e meritano di non sussistere.
Volendo avere in sè medesimi il germe della corruttibilità, quantunque per
poco, a cagione delle passioni popolari, durino, e innanzi agli insipienti
sembrino avere vita stabile, presto si scompongono e non lasciano dopo sè che
esecrazione e una storia vituperosa.
IV.
Libertà di coscienza riguardo alla
religione.
Sia dunque fermo che libertà di coscienza è il diritto che ha l'uomo di
non essere impedito da nessun altro uomo nel fare ciò che gli è prescritto
dalla legge divina e nel non fare ciò che gli è divietato. Quando diciamo legge
divina, non intendiamo di escludere la legge umana, sia religiosa sia civile,
perché la legge umana dalla divina riceve tutta la sua forza, e Dio prescrive
obbedienza ai superiori che hanno il potere di far leggi e dar precetti o
nell'ordine religioso o nell'ordine civile. Laonde l'uomo è obbligato da Dio e
in coscienza a far quello che prescrive e a non far quello che divieta l'umana
legge, se non è contrario alla legge divina. Questa limitazione è certissima,
giacché non ci può essere legge umana se è contraria alla legge di Dio, quantunque
abbia le formalità estrinseche della legge. Posto ciò, entriamo a discorrere
della libertà di coscienza rispetto alla religione nel campo sociale.
Egli è evidente che vi è un Dio solo, come la stessa ragione con invitte
prove dimostra. E questa dimostra pure con evidente certezza che Dio può
rivelare alle sue razionali creature verità e precetti, cioè può rivelare una
religione e il modo con cui in essa vuol essere onorato; e finalmente la
ragione dimostra con quelli che diconsi motivi di credibilità,il fatto della
esistenza di questa religione rivelata. Inoltre è pur certo che dalla unità di
Dio segue l'unità della vera religione e che religioni contrarie non possono
essere vere. La religione vera non può esser altra che quella ch'è voluta da
Dio; e questa è la cristiana: perciò non sarà vera nè la giudaica, nè la
maomettana, nè la idolatrica, le quali eziandio innanzi alla umana ragione
presentano il carattere della loro falsità. Dalla storia poi consta che la
religione scismatica e le protestanti altro non sono che rami divelti dal
grande albero della Chiesa Romana, la quale ha la sua base incrollabile in San
Pietro, mentre di coteste altre religioni vengono assegnate le recenti origini,
formate con evidenti illegittime ribellioni alla Romana.
Ora la libertà di coscienza in realtà non può aversi in
quello che è contro la divina legge: laonde nessuna falsa religione può vantare
vero diritto di libertà di coscienza.
Per la qual cosa il principio liberalesco della eguaglianza di tutte le
religioni è assurdo, nè in virtù di cotesto principio vi può essere per
sè libertà di coscienza per le religioni false. Dicevamo per
sè, giacchè la coscienza di chi vuole operare secondo i dettami di una
falsa religione si fonderebbe nell'errore, e la coscienza è giudizio pratico
vero che deriva dalla conosciuta divina legge. Tuttavia chi è in una falsa
religione può avere ignoranza invincibile e non colpevole, ed anzi molti
possono ritrovarsi in tale condizione. Questo può verificarsi in quelle
religioni che non manifestano in sè stesse evidentemente i caratteri di
assurdità o d'immoralità, come lo presentano, a cagion di esempio, la
maomettana e le idolatriche. In tal caso vuolsi avere rispetto agli individui
che stanno in quelle religioni false, e non usare la violenza per costringerli
ad abbracciare la vera religione, giacché non lice costringere veruno a fare
ciò che egli crede empio, quando questa credenza derivi da ignoranza
invincibile.
Gesù Cristo volle che la sua religione divina si diffondesse colla
predicazione suggellata dai miracoli e non con la spada. E così fu diffusa e
sèguita a diffondersi per tutta la terra. Gli Apostoli e i loro successori
hanno eseguito il precetto di Gesù Cristo predicando il Vangelo e i doveri del
cristiano, inumando la sanzione della vita o della morte eterna; nè richiesero
il credere colla minaccia del carcere o della morte presente. Questo modo
violento adoperarono i nemici del Cristianesimo, che trascinavano i cristiani
innanzi alle statue di Giove e di Venere e, se non abbruciavano l'incenso alle
sozze e insensate divinità, tagliavano loro la testa o altramente li
martoriavano. E gli eroi cristiani, per obbedire a Dio e compiere il dovere
della loro coscienza, si lasciavano con piena libertà uccidere; e ne abbiamo
esempii non a centinaia o a migliaia, bensì a milioni. Ma quando si tratta di
empii, che rinnegando la fede si adoperavano a trarre gli altri a ruina e
commettevano delitti sociali, è ben diversa la questione; e però la
ecclesiastica potestà ebbe il diritto non solo di far pesare sopra di loro le
pene spirituali, ma eziandio di consegnarli al braccio secolare e lasciare che
la civile potestà li punisse con quelle pene ch'essa avea il diritto
d'infliggere ai perturbatori dell'ordine pubblico. Quindi dalle storie
apprendiamo che talvolta gl'imperatori ed i re punirono con pene gravissime gli
apostati ed eretici quando erano giuridicamente dalla autorità ecclesiastica
riconosciuti per tali. Questo fu da loro considerato come un mezzo utile e
necessario per impedire mali sommi alla società, minacciata dai principii e
dall'azione di quelli. Questa fu l'origine della famosa Inquisizione che salvò
anche politicamente la Francia e la Spagna, le quali altrimenti, per opera dei
manichei e dei giudei o altri eterodossi, erano perdute.
I Papi tollerarono in Roma la presenza dei giudei e di tanti protestanti
che sempre vi accorrevano. Anzi i giudei, per bocca del gran Sinedrio
israelitico cosmopolita, convocato ai tempi di Napoleone I in Parigi, si
professarono grati ai Pontefici Romani e all'Episcopato cattolico, perchè
adoperarono con essi grande umanità e assai spesso presero le loro difese
contro il furore dei cristiani armati a loro danni e non senza ragione. E
possiamo con verità affermare che i Papi contenevano nel dovere i principi cristiani,
affinchè nell'esercizio del loro potere non tralignassero giammai in uno zelo
eccessivo, costringendo colla violenza a ridurre gl'infedeli alla fede di
Cristo, ma adoperassero piuttosto que' mezzi che sono nel Vangelo indicati e da
essa Chiesa praticati.
V.
Violazione di libertà di coscienza
nelle nazioni cristiane.
Quando trattasi di un popolo cristiano e di un Governo cristiano, il
quale ha il dovere di reggere cristianamente quel popolo stesso, è assurdo
pretendere libertà di coscienza per creare leggi, che offendono la religione
cristiana, al fine di favorire coloro che sono di religione diversa o non ne
hanno alcuna. Eppure questo fatale errore e questo deplorevole fatto si trova
in quei Governi liberali o massonici delle società ammodernate, rispetto a
sudditi che pur hanno il diritto di essere governati cristianamente. In questi
Governi si rinnova continuamente il fatto di Pilato. Intorno al suo tribunale
erano raccolti coloro nei cui petti bolliva invidia mortale contro Gesù: Sciebat
quod per invidiam tradidissent eum. (Matt. c. 27). Le fazioni degli scribi
e dei farisei ne volevano la morte. Pilato, considerando i fatti al lume della
ragione, non trovava nulla degno di condanna in Cristo, non invenio in
eo causam. Ma coloro infuriavano gridando: Nos legem habemus et
secundum legem debet mori; e poi incalzavano Pilato sul campo della
politica: Si hunc dimittis, non es amicus Caesaris. La ragione di
Stato richiede che tu lo mandi alla croce. E Pilato: adiudicavit fieri
petitionem eorum(Marc. 24), e lo mandò alla morte di croce, dando la
libertà e la vita a Barabba, infame assassino. Così Pilato si formò la
coscienza di dovere assecondare le brame degli iniqui e così la segui.
Entriamo ora nell'aula parlamentare di un Governo ammodernato in una
nazione cristiana e cattolica, il quale Governo dovrebbe pure non solo
rispettarne la religione, ma non mai contraddire alle sue leggi in forza di uno
Statuto giurato. Vi è in questo Parlamento una fazione di uomini che mettendosi
sotto i piedi la vera scienza, pretende di parlare a nome di una scienza che
conculca i primi principii della ragione e del buon senso. Vi è un'altra setta
di farisei che con vile ipocrisia in nome della morale si dice cultrice del
libero pensiero. E vi è la setta massonica che le due prime abbraccia e che
giurò guerra a Dio e al suo Figliuolo Gesù Cristo, e tende con ogni reo mezzo
alla ruina dei popoli.
Queste sette gridano nel Parlamento: morte a Cristo nella sua religione,
nel suo Vicario, nei suoi sacerdoti. Si disconoscano i loro diritti, si neghi
loro libertà, s'inceppino le loro azioni, si cancelli Dio dall'educazione e
dalla famiglia. Ai cultori di Gesù Cristo si neghino quei diritti sociali, che
hanno tutti i cittadini anche giudei, si perseguitino sempre e dappertutto. I
settarii deputati non recano prove o testimonianze di fatti rei; tutto si
riduce a grida e minacce, e non si ripete altro al Governo che si hunc
dimittis, non es amicus Caesaris. Se riconosci i diritti del Vicario di
Gesù Cristo, dell'Episcopato, del clero, del laicato cattolico, della dottrina
e della morale cattolica non sei amico della scienza moderna, del progresso,
della libertà moderna, della libertà popolare, della libertà di pensiero. Alle
grida intemperanti delle fazioni parlamentari il Governo cede et
adiudicat fieri petitionem eorum. Il Governo si forma la coscienza che deve
obbedire alle grida dei falsi rappresentanti della opinione pubblica, i quali
non possono in realtà rappresentare la nazione cattolica e il Governo stesso,
concede Cristo alla volontà loro, e accetta leggi opposte alle leggi di Gesù
Cristo contro il clero e il laicato cattolico.
Così è violata la libertà di coscienza in tutta una nazione cattolica, e
questa violazione è sancita con leggi e tutelata dalla forza pubblica.
Questo spettacolo di un popolo cui è tolta la libertà di coscienza lo
abbiamo dinanzi agli occhi da parecchi lustri in Italia, dove il carattere di
vero cattolico è considerato a guisa di una nota d'infamia sopra la fronte di
ogni cittadino. Il quale se si mostra sinceramente, tale, non ha accesso ai
pubblici impieghi, e se per ventura vi ha accesso ne viene disonorato, maltrattato
e in fine espulso. Così qualora un municipio si mostrasse sinceramente cattolico,
purchè non fosse il municipio di un villaggio senza nome e di nessun conto,
viene sciolto e si ordinano trame, inganni, calunnie, violenze, finchè un nuovo
municipio liberale e massonico venga eletto.
E pure l'Opinione ha la stupida semplicità di dire, che la
violazione della libertà di coscienza in Italia è una finzionedei
reazionarii, sebbene sia una realtà nella Russia che minaccia severe leggi
contro i giudei e così viola in cotesti la libertà di coscienza. Non difendiamo
la Russia troppo intollerante e dispotica. Ma la Russia non fece nè è disposta
a fare veruna legge che vieti a' giudei il culto del Dio di Abramo, o che
proibisca le sue leggi e i suoi riti o distrugga le sinagoghe. La Russia
considera il popolo giudaico come un popolo essenzialmente errante, non
nazionale, che succhia il sangue dei nazionali e, con l'usura e la frode, ruba
le ricchezze de' privati e del pubblico; lo considera un popolo straniero che
dà il maggior contingente alla sanguinaria setta de' nihilisti, la quale ha
tramato e trama l'eccidio degli imperatori e dei governanti. In Italia il popolo
cattolico, la cui libertà di coscienza è in realtà violata, non è un popolo di
ladri, o di settarii, non è straniero, ma è quel popolo che costituisce la
nazione stessa; è quel popolo il cui Re ha giurato uno Statuto che è il
fondamento del sociale diritto, il quale Statuto è pur giurato dai membri del
Governo e da tutto il parlamento. Primo articolo di questo Statuto è il
riconoscimento della religione cattolica, come religione dello Stato. Questo
Statuto è disconosciuto da un Governo che nega in realtà al popolo libertà di
coscienza e si rende perciò tiranno della nazione. Cieco non considera che il
Sovrano potrebbe lacerare uno Statuto che è violato, e che la nazione potrebbe
trovare ragione di non riconoscere la dinastia alla quale si sottomise sulla base
di esso Statuto.
In conseguenza dei suoi principii liberaleschi la Perseveranza di
Milano concede a Roma e all'Italia il diritto di fare rivoluzione, giacchè
rispetto al Canton Ticino proferisce questa sentenza (16 Settem. 1890). «La
causa immediata della rivoluzione ticinese conta ben poco, accanto
a quella gran causa che si riassume nelle parole: quindici
anni di Governo conservatore-clericale senza riguardi per gli
avversari politici.» Ora i cattolici che stanno sotto l'obbedienza del Papa, (e
i cattolici se sono veramente tali, devono essere sotto l'obbedienza del Papa,
lo furono sempre e lo saranno) sono da venti anni in Roma e da trenta nel resto
dell'Italia considerati come avversarii politici del Governo italiano che si
dichiara ateo, il quale Governo per essi è stato senza riguardi. La
conseguenza è chiara! Ma gli attentati al regicidio, le sassate contro i
ministri di Stato, le sommosse, le congiure non vengono dalle file dei
cattolici, bensi dalle file di coloro che si ribellano ai principii della
religione, inculcata da quei preti e da quei religiosi che il Governo
anticattolico sopprime, spoglia, calunnia, bestemmia, quasi degni di ogni
supplizio. Questi virtuosi cittadini non innalzeranno mai la bandiera della
rivolta, contro coloro che violano la libertà di coscienza, come non la
innalzarono i primi cristiani contro i Neroni, i Diocleziani, e neppure contro
gli apostati Giuliani. La rivoluzione viene lavorata dai nemici dei cattolici,
viene cagionata dallo stesso Governo, poichè come disse Cristo regnum
in seipso divisum desolabitur. La Chiesa Cattolica è immortale, perchè è
una e non divisa; e Gesù Cristo assicurandole la immortalità, le ha con questo
assicurata perpetua unità. La disgraziata patria nostra non è divisa più in
sette Stati, ma è divisa in mille brandelli quanti sono i partiti e le fazioni
che tra loro si osteggiano e la corrompono nell'interno e la rendono debole
all'esterno, contro forze che attentassero alla sua distruzione.
Questa Italia legale è simile all'uom suicida, che sparandosi una
rivoltella al cuore, caccia di sua volontà da sè medesimo il principio della
vita. Essa lacerando lo Statuto che vuole la religione cattolica, religione
dello Stato, si uccide da sé medesima.
Il Governo d'Italia sembra oggimai così dissennato, che fa disperare di
lui: va di precipizio in precipizio, nè mostra di accorgersene, o meglio se ne
accorge, disprezza e ride. I sapienti e i sinceri amatori della patria
sprovveduti di ogni acconcio mezzo per salvarla, altro non possono fare che
piangere a quel riso, a quel disprezzo, e alla conseguente ruina.
È poi oltremodo strano, che il Governo pretenda che il popolo italiano
cattolico si mostri soddisfatto del suo reggimento, riconoscente dei suoi beneficii
e non mai muova lamento della violata libertà di coscienza. La sola
riconoscenza che gli si può addimostrare è quella di un derubato verso il
ladro, che si contentò di depredarlo e bastonarlo, senza torgli ancora la vita.
Voi continuamente per mezzo dei vostri organi, che sono i fogli menzogneri
liberali, svillaneggiate i cattolici nelle loro credenze; dite sempre il loro
culto, che è quello della Nazione, una superstizione medioevale meritevole di
scomparire innanzi alla luce del moderno progresso. Voi da un lato trattate da
ignoranti gli ecclesiastici di gran valore, perché compiono i doveri sacrosanti
della loro divina missione, e dall'altro se vi ha qualche miserabile che abbia
rinnegato con la fede la dignità sacerdotale ed ogni buon senso in fatto di
dottrina, lo trattate da uomo insigne e lo promovete a cospicui posti nella
pubblica istruzione. Voi avete tolti gli averi a tutte le vergini consecrate a
Dio e date loro pochi centesimi a titolo di pensione, facendole pure stentare
ad averli e costringendole quasi a morire di fame; mentre le concubine e le
meretrici sono difese, riverite, e girano da matrone in cocchi nobili per la
città. Voi siete sempre parati a render vano colla violenza o con l'astuzia ai
cattolici l'accesso alle urne qualora vi accorressero; e dove pure per ventura
riuscissero a mandare alle camere una notevole rappresentanza da far pesare i
loro giustissimi voti, avrebbono morale certezza che voi in virtù dei vostri
principii liberaleschi discendereste a quei mezzi che adoperarono i liberali
del Canton Ticino, dove l'uccisione del Rossi nel palazzo governativo di
Bellinzona fu una copia dell'assassinio di un altro Rossi commesso nella
Cancelleria di Roma. Caparra ne sia l'universale applauso sollevato nei
giornali liberali di Italia sopra le facinorose geste degli anticlericali
ticinesi, e le menzogne contro quel Governo legittimo e onesto che fu vittima
dei traditori.
VI.
Vane e assurde pretensioni.
Ciò poi che desta meraviglia indicibile è che la setta massonica e
liberale, che ha stesi qual polipo gigante i suoi tentacoli in tutta Italia,
nel tempo stesso che per mezzo dei giornali talvolta dice di volersi
riconciliare col Papa, chiaramente afferma due cose. Una, quale
condizione essenziale è che il Papa rinuncii alla sovranità;
un'altraessenzialissima, che il sistema governativo italiano debba
sempre propugnare leggi che sanciscono la violazione della libertà di
coscienza. Ben ci ricorda che quando, qualche tempo fa, Papa Leone XIII
manifestò ardente desiderio che l'Italia legale si piegasse a procurare una
riconciliazione colla Santa Sede, mercè la quale avrebbe assicurata alla nostra
patria la pace e la prosperità; nel parlamento il primo ministro affermò che
tale conciliazione sarebbe stata dannosa all'Italia, perché avrebbesi dovuta
modificare la legislazione italiana. Il che evidentemente non altro poteva
significare che si sarebbe dovuto mettere in pieno vigore il primo articolo
dello Statuto, giurato dal Re, dando ai cattolici vera e piena libertà di
coscienza. Le quali intenzioni della fazione anticlericale ad altro in realtà
non avrebbero condotto, che alla prepotenza e ad una continua guerra contro la
Chiesa e i cattolici. E non sono senza cervello coloro che si meravigliano che
il Papa stesso sempre risponde col non possumus! Può egli
sancire con la sua autorità una condizione politica, per la quale nella Chiesa
di Pietro ch'è la Romana e che è la vera Chiesa di Gesù Cristo, non vi sia
libertà di professare la legge di Dio, i precetti di Gesù Cristo, la perfezione
evangelica e nella quale per legge si violi la libertà dei veri seguaci di Gesù
Cristo? I papi possono in vero tollerare le persecuzioni, ma il sancire con la
propria autorità tali persecuzioni contro la Chiesa e la violazione della
libertà di coscienza cattolica, questo non fu, nè sarà mai.
Dal quale principio segue ancora una conclusione contro coloro, i quali
vanno vaticinando un tempo non rimoto, in cui la setta trionfi e cessi di
esistere la Chiesa Romana. Imperocchè è indubitato che Gesù Cristo ha promesso
eterna stabilità alla sua Chiesa. Egli ha predetto alla medesima combattimenti
e persecuzione, ma insieme l'ha assicurata che l'inferno non prevarrà contro di
lei. Ora nel fatto la Chiesa Romana di Pietro è la Chiesa di Gesù Cristo, e le
altre appartengono alla Chiesa di Gesù Cristo in quanto appartengono alla
Chiesa Romana. Dunque la Chiesa Romana, cioè il pastore Romano col proprio
gregge godrà della perpetua stabilità. Lo stato violento cui è soggetta la
Chiesa dura da un pezzo; ma non da tanto tempo, quanto durò lo stato violento
nei primi secoli della Chiesa, nei quali per la tolta libertà di coscienza
furono fatti martiri gloriosi milioni di cristiani. A ponte Milvio venne
Costantino col vessillo in cui vi era una croce e le parole in hoc
signo vinces; e i tiranni furono spenti e la croce fu eretta a vessillo di
pace e di carità in cima del Campidoglio. Ora da venti anni quella croce fu
strappata, e dal mondo cristiano venne fugata la vera pace e la carità. Senza
dubbio veruno, da un'altra mano la medesima croce sarà rialzata lassù. La
Chiesa Romana, che è eterna, come potè aspettare quattro lustri, così può
aspettarne cinque od anco dieci. Dio non vuole che l'uomo determini i limiti del
tempo nell'opere della sua misericordia e della sua giustizia. Ma sillaba di
Dio non si cancella: ed è certo che quegli, che sarà travolto nei gorghi del
Tevere, non sarà un Costantino.