P. ROGER TH. CALMEL, O.P.: LUCE DELL'APOCALISSE



Olio su tavola (117x162 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, datato 1562




R. Th. Calmel O.P.
Estratto dal libro teologia della storia
Si possono trovare strane, complicate e a volte persino sconcertanti le visioni, sempre grandiose, dell'Apocalisse di san Giovanni. Non si può però accusarle di fornire un'idea millenarista o progressista della storia. In esse non si trova una sola allusione, per quanto sottile la si supponga, a una ascesa degli esseri umani verso una super-umanità, né a una trasfigurazione della Chiesa militante in una Chiesa dove non ci siano più peccatori o che cessi di essere un bersaglio agli attacchi delle due Bestie. Sotto qualsiasi forma si presenti, il mito del progresso è totalmente estraneo alle rivelazioni del veggente di Patmos; questo mito, come vedremo, viene anzi distrutto dalle sue rivelazioni. A maggior ragione, nella prospettiva dell'apostolo Giovanni, ispirato dal Signore, è impensabile l'eresia ultramoderna secondo la quale la costruzione dell'umanità attraverso la ricerca, la scienza e l'organizzazione finirebbe ben presto per identificarsi con la Chiesa di Dio.

Scorgeremo nell'Apocalisse soltanto lo scatenarsi dei flagelli, il loro boato vendicatore quando si abbattono duri e rapidi come enormi chicchi di grandine[i] sugli uomini empi e sacrileghi, e ancor più sui potenti persecutori e sui loro formidabili imperi ? Senza dubbio castighi e punizioni fanno parte integrante dell'Apocalisse; tuttavia, ne sono solo una parte e non la più essenziale. La parte sostanziale, la più significativa, quella che l'apostolo ispirato intende soprattutto insegnare, mi sembra possa riassumersi in due verità fondamentali. Prima verità: sovranità di Cristo su tutti gli avvenimenti della vita del mondo e della Chiesa; in effetti, egli è degno di ricevere il libro della storia e " di aprirne i sigilli poiché è stato messo a morte e ci ha riscattati col suo sangue; - perché è il Primo e l'Ultimo e vive nei secoli dei secoli, tenendo in mano le chiavi della morte e dell'inferno " (5,5-9; 1,5-17-18). L'altra verità è quella della vittoria di Cristo sul demonio e i suoi fautori, e del prolungamento di questa vittoria nella Chiesa e nei suoi santi; ma a questo punto dobbiamo fare molta attenzione poiché questa vittoria, lungi dal sopprimere la croce e renderla inutile, si realizza soltanto attraverso la croce. "Dicite in nationibus quia Dominus regnavit a ligno".
Allo stesso modo l'Apocalisse mette subito fine a quel sogno talvolta infantile e tenero, ma forse più spesso vile e odioso, che fa sperare per la vita del cristiano una fedeltà a Cristo senza tribolazioni e per l'avvenire della Chiesa un fervore di santità che non dovrebbe più subire dall'esterno la persecuzione del mondo, né all'interno i tradimenti dei falsi fratelli e talvolta persino del clero e dei prelati. Il millenium incantatore non giungerà mai nel tempo. L'esclusione definitiva e totale degli empi e dei perversi è differita all'ultimo giorno, quando risuonerà la sentenza inesorabile: " Fuori i cani, gli avvelenatori, gli impudichi, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica le menzogna " (22,15). Da qui fino ad allora possiamo rendere testimonianza a Gesù soltanto immergendo la nostra veste nel sangue di quell'Agnello divino che " ci ha amati e ci ha riscattati dai nostri peccati ". Non andremo a lui senza attraversare il torrente della grande tribolazione.
Sovranità di Cristo, vittoria di Cristo prolungata nei suoi eletti per mezzo della croce; su questi due maggiori insegnamenti riporto qualcuno dei versetti più significativi.
In primo luogo sul pieno potere di Cristo: " E quando l'ebbi veduto (il Figlio dell'Uomo), io caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose sopra di me la sua destra e mi disse: non temere; io sono il Primo e l'Ultimo, il Vivente. Ho subito la morte, ma ecco, ora son vivo nei secoli dei secoli e tengo le chiavi della morte e dell'inferno " (1,17-18). Davanti all'Agnello immolato, " i quattro Viventi e i ventiquattro vegliardi... cantavano un cantico nuovo dicendo: Tu sei degno di prendere il libro [il libro di tutte le cose che dovranno avvenire] e di aprirne i sigilli, perché sei stato sgozzato e hai riacquistato a Dio, col tuo sangue, uomini da ogni tribù, e lingua e popolo e nazione... " (5,9). " E vidi subito apparire un cavallo bianco, e colui che vi stava sopra aveva un arco, e gli fu donata una corona; e partì vincitore per riportare nuove vittorie " (6,2). I dieci re " non hanno che un medesimo pensiero e la loro potestà e la loro forza la mettono a disposizione della Bestia. Essi faranno guerra all'Agnello, ma l'Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il re dei re, e con lui vinceranno i suoi, i chiamati, gli eletti, i fedeli " (17,13-14),
Ecco ora qualche passaggio sul trionfo di questi eletti e di questi fedeli, che verrà riportato attraverso la croce e che rappresenta il compimento della vittoria di Cristo. " Poi uno dei vegliardi prese la parola, dicendomi: Questi che sono avvolti in vesti bianche, chi sono e da dove sono venuti? Ed io gli risposi: Signore mio, tu lo sai. Ed egli mi disse: Questi sono coloro che vengono dalla gran tribolazione, e hanno lavato le loro vesti e l'hanno fatte bianche nel sangue dell'Agnello. Per questo stanno dinanzi al trono di Dio, e giorno e notte gli rendono il loro culto nel suo tempio... L'Agnello che sta in mezzo al trono sarà loro pastore, e li guiderà alle fonti delle acque della vita, e Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi " (7,13-17). "...L'accusatore dei nostri fratelli [Satana], colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio, è precipitato. Ora, essi l'hanno vinto in virtù del sangue dell'Agnello e con la parola della loro testimonianza, ed hanno disprezzato la loro vita fino al punto di accettare la morte " (12,10-11). " E vidi come un mare di cristallo misto di fuoco, e coloro che avevano vinto la Bestia, la sua statua e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo con le arpe di Dio. E cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell'Agnello, dicendo: Grandi e meravigliose sono le opere tue, o Signore, Dio onnipotente! Giuste e vere sono le tue vie, o Re delle genti. Chi non ti temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Sì, tu solo sei Santo e tutti i popoli verranno e si prostreranno dinanzi a te, perché i tuoi giudizi sono divenuti manifesti! " (15,2-4). " ...E vidi pure le anime di coloro che furono martirizzati a cagione della testimonianza resa a Gesù e per il Vangelo di Dio, e tutti quelli che non avevano adorato la Bestia né la sua statua, né avevano ricevuto la sua impronta sulla loro fronte e sulle mani; questi vissero e regnarono con Cristo per mille anni... Questa è la prima risurrezione " (20,4-,5).[ii]
Questi versetti ci illuminano e ci riconfortano. Non dimentichiamo però che sono tratti da grandi visioni allegoriche. È qui, in queste visioni colme di dottrina e di insegnamento sotto forma di allegoria, è qui che l'Apocalisse lascia ancor meglio intravedere la propria portata; ed è attraverso la dottrina che si sprigiona dalle visioni, che essa esercita ancor più la sua mirabile virtù consolatrice e pacificatrice.
Possiamo affrontare immediatamente il dodicesimo capitolo, nel quale vengono tracciati gli immensi affreschi che si collegano più particolarmente alla storia della Chiesa. Fin lì, dopo le meravigliose lettere ai sette vescovi dell'Asia, era piuttosto la storia del mondo ad essere inquadrata; si trattava in gran parte, anche se non esclusivamente, delle vendette divine sul mondo colpevole e della preservazione degli eletti in mezzo a tutti i flagelli, nel corso dei secoli (poiché è certo che il numero sette, attribuito ai sigilli misteriosi dei castighi divini, abbraccia la successione dei secoli nel suo insieme, fino all'ultimo giorno).
Il capitolo dodicesimo dunque, ci mostra una di fronte all'altro la Donna e il Drago. La Donna, tutta pura, rilucente di santità, rivestita di sole, con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo; il Drago tutto arrossato dal sangue dei martiri, orgoglioso e feroce, apparentemente invincibile, ma che accumulerà sconfitte su sconfitte. Prima sconfitta: il Bambino messo al mondo dalla Donna, cioè dalla Vergine Maria, e che il Drago si prepara a divorare, gli viene invece subito sottratto; in altre parole, il Figlio di Dio, nato da Maria, che ha sofferto la passione, è glorificato dalla risurrezione e dall'ascensione (12,4-5),
Deluso, il Drago volge il proprio furore contro i discepoli di Gesù, ma non tarda a subire una seconda disfatta: è a questo punto che si ode una grande voce nel cielo: " Ecco venuta finalmente la salvezza, la potenza, il regno del nostro Dio e la sovranità del suo Cristo; perché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli... [l'antico serpente che viene chiamato Demonio e Satana]; essi lo hanno vinto in virtù del sangue dell'Agnello ".
Attaccando allora la Donna, che qui rappresenta la Chiesa, il Drago si troverà giocato, deriso, vinto, per la terza volta. " E quando il Drago vide ch'era stato precipitato sulla terra, perseguitò la Donna... E furono date 1alla Donna le due ali della grande aquila affinché volasse nel deserto... E dalla sua bocca il serpente gettò dietro alla Donna tant'acqua come un fiume per farla trascinare via dal fiume. Ma la terra venne in aiuto alla Donna, spalancò la sua bocca e inghiottì il fiume ".
Perseverando nel non volersi dichiarare vinto, il Drago cominciò a fare la guerra " a quelli che restavano della progenie di lei ", vale a dire ai cristiani. Ma continuerà a perdere.
Sconfitta irrimediabile, già preannunziata dal paradiso terrestre. È a quest'ultimo che ci fa risalire la visione dell'Apocalisse, quando per la prima volta la Donna e il Drago si trovarono di fronte. Pensiamo al giardino dell'Eden, la sera del primo peccato e della prima contrizione. Il Drago era là. Era riuscito nella sua odiosa impresa di fuorviare i progenitori della razza umana. C'era anche la madre di colei che ci doveva risollevare: Eva, tremante, ferita dal pentimento, rannicchiata presso Adamo. E Dio disse a Eva, in presenza del demonio che pensava di aver compromesso per sempre la salvezza, la grazia e la felicità della nostra specie: " Metterò un'inimicizia fra te e la Donna, fra la tua razza e la sua, e lei ti schiaccerà la testa ".
Questo fu il Proto-Vangelo. Ma il Vangelo definitivo doveva mantenere questa promessa molto più di quanto si sarebbe potuto prevedere o desiderare. Si tratta della differenza fra la profezia e la realizzazione: la realizzazione supera di gran lunga la profezia in meraviglie e splendori. O, per meglio dire, la profezia nascondeva splendori che non si potevano sospettare prima della realizzazione. La Donna dell'Apocalisse è della discendenza di Adamo ed Eva, come era stato profetizzato, ma è contemporaneamente la donna benedetta fra tutte, la madre di Dio. È la discendenza della Donna che schiaccia il Drago, com'era stato profetizzato; ma il Figlio di Maria è anche Figlio di Dio; è fra noi e siede alla destra del Padre (12,5). La vittoria è riportata con una completezza di cui certamente Adamo e Eva non sospettavano, di cui nessuno poteva avere in anticipo un'idea adeguata.
Quando san Giovanni annotava la visione del Drago e della Donna, l'ora della vittoria, invocata per millenni da innumerevoli supplici, era giunta. Il tempo annunciato per secoli, nell'oscurità della legge di natura, prefigurato per duemila anni nella penombra della legge scritta con Adamo, Mosè e i Profeti, quel tempo della pienezza dei tempi si levava finalmente sugli uomini; era portato dall'immacolata concezione della Vergine, e soprattutto dall'incarnazione del Verbo che l'immacolata concezione preparava.
Diciamo pienezza dei tempi per due ragioni: in primo luogo perché da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, abbiamo per sempre, in lui, la pienezza della grazia e della verità; poi, perché il suo potere plenario non cessa di manifestarsi nel guidare i fedeli, nonostante le peggiori insidie, alla pienezza della vita divina, fino al giorno in cui il demonio sarà definitivamente respinto " nello stagno di fuoco e di zolfo " e reso incapace di qualsiasi azione al di fuori. Intendiamo per pienezza dei tempi il tempo benedetto in cui Dio ci accorda in Gesù Cristo i suoi doni e la sua pienezza, mentre ha conferito a Gesù Cristo la potenza plenaria per farci partecipare ai suoi doni, liberarci dal peccato, introdurci in cielo.
Il gran giorno non deve essere più atteso; con la nascita, la morte, la glorificazione di Gesù Cristo, la data suprema è già giunta; di quest'ordine non ve ne saranno altre. Ci sarà, c'è, uno sviluppo di ciò che fu compiuto in quelle ineffabili ore del tempo umano, ma non ci sarà mai più l'inizio di un'altra era, un'era che potrebbe portare qualcosa di radicalmente nuovo in rapporto all'incarnazione redentrice. Péguy lo ha cantato nella sua meditazione di fronte al presepio:
La solenne disputa del giorno e della notte segnava in quel silenzio un'invisibile tregua
E IL TEMPO SOSPESO IN QUELL'UMILE CAPANNA
frastagliava i contorni di un'ora unica e breve.
Il tempo era realmente sospeso, nel senso che il suo antico corso si era fermato a quel punto. Era lì che finiva.
E le strade di ieri e quelle di oggi
confluivano unite A QUELLA POVERA CULLA.
È anche di lì che iniziava un tempo che possiamo definire immutabilmente nuovo, nel senso che la novità dell'incarnazione redentrice, la nuova " economia " sarebbe stata permanente e definitiva, mai sostituita da un'altra più stupenda, più traboccante di generosità, come era stata sostituita l'economia della vecchia legge. E il sangue che doveva essere versato sulla croce, è " il sangue del testamento nuovo ed eterno ", come dicono ogni giorno i sacerdoti sul calice del vino; e lo ripeteranno fino all'ultimo giorno, fino alla Parusia: "donec veniat".
Così la pienezza dei tempi[iii] è giunta con la nascita, la morte e la risurrezione del Signore. Perciò san Paolo scriveva ai Galati (4,4): " Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, fatto da una donna e nato sotto la legge, affinché riscattasse quelli che erano soggetti alla legge, e noi ricevessimo l'adozione di figli. E la prova che voi siete figli sta nel fatto che Dio mandò lo spirito del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: Abba! Che significa Padre ". E anche agli Efesini (1,10): Dio ha voluto " nella pienezza dei tempi... instaurare tutte le cose in Cristo ". E ancora ai cristiani di Corinto (1 Cor. 10,11): " Noi, che siamo giunti nella pienezza dei tempi ". E Gesù dichiarava ai suoi discepoli (Lc. 10,24): " Molti profeti e molti re hanno desiderato vedere quello che voi vedete e non l'hanno veduto, udire quello che voi udite e non l'hanno udito ". Infatti " da Mosè fu data la legge; da Gesù Cristo è stata fatta la grazia e la verità " (Gv. 1,17).
Siamo entrati negli ultimi tempi, i tempi del Verbo di Dio incarnato, dello Spirito Santo inviato, della Chiesa fondata. Senza dubbio c'è un inizio a questi ultimi tempi, quando Elisabetta giunse al sesto mese e l'angelo Gabriele venne inviato da parte di Dio alla Vergine Maria. Gli ultimi tempi vengono aperti dal fiat della Madonna. Conosceranno un'ultima fioritura " quando comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'Uomo... e vedranno il Figlio dell'Uomo venire sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria " per risuscitarci, per giudicarci tutti, instaurare i nuovi cieli e la nuova terra, ridurre i demoni e gli uomini dannati all'impotenza totale e " gettarli nello stagno della seconda morte " (Mt. 24; 1 Cor. 15; Ap. 20). Qualunque sia il numero dei secoli che si susseguono all'interno degli ultimi tempi, fra il loro inizio e la conclusione, questi tempi restano gli ultimi: non saranno sostituiti da tempi nuovi. Noi ci troviamo per sempre nel tempo messianico, quello dell'incarnazione redentrice e di Maria madre di Dio e degli uomini.
Tutta la successione della storia fino alla consumazione dei secoli, sta solo a spiegare ciò che fu dato una volta per tutte, e non certo per inventare un nuovo genere di dono. La successione dei secoli è in una dipendenza che possiamo definire intrinseca nei confronti dell'incarnazione redentrice,[iv]  e serve a rivelarne le ricchezze, a permettere agli eletti di moltiplicarsi, a manifestare la varietà multiforme della loro partecipazione all'amore e alla croce di Gesù, a testimoniare la maternità spirituale della santa Vergine. Del fiume della storia che scorre ai piedi della Madonna, potremmo dire, citando i versi di Péguy:
E questo fiume di sabbia e questo fiume di gloria
è qui solo per baciare il vostro augusto manto.
I tempi sono compiuti; è suonata l'ora della misericordia e della insuperabile liberalità del Padre dei cieli nei confronti della specie umana: " Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma che l'ha sacrificato per tutti noi, come non sarà disposto a darci ogni altra cosa insieme con lui? " (Rom. 8,32). Senza dubbio la Parusia, il secondo avvento del Figlio dell'Uomo, deve portare un mutamento inimmaginabile. Come possiamo infatti immaginare il corpo glorificato, interamente trasparente, di un'anima tutta santa? Come possiamo immaginare quella nuova terra in cui gli uomini saranno come angeli, " poiché né gli uomini avranno moglie, né le donne marito " ? (Mt. 22,30). Ma quali possano essere le proprietà miracolose dello stato che seguirà il giudizio ultimo, non si produrranno cambiamenti essenziali. Poiché l'essenziale è la visione di Dio, fioritura plenaria della grazia santificante. E a questo culmine di felicità e di gloria abbiamo accesso attraverso il sacrificio di Cristo. Ciò che ci verrà dato dopo la Parusia, non sarà che il Cristo che ci fu dato dal presepio, dal calvario e dalla risurrezione: il Cristo che ci fu dato una volta per tutte e che farà esplodere la sua vittoria in pienezza, lasciando traboccare tutta la potenza del suo amore in ognuno dei suoi fratelli e nel corpo mistico che si sarà formato nel corso dei tempi, " in mezzo alla grande tribolazione ".
L'evocazione del Drago e della Donna nel dodicesimo capitolo dell'Apocalisse si applica non solo alla Vergine madre di Dio ma anche alla santa Chiesa che imita la Vergine. Come Maria difatti è sempre circondata dalla sua intercessione, la Chiesa è santa, " senza macchia né  ruga ", legata a Gesù Cristo come sua sposa, "sponsa Christi"; e generatrice di santi: "mater Ecclesia". Sul destino di questa Chiesa fatta a immagine di Maria e che, come la Madonna, è rappresentata dalla Donna, l'apostolo Giovanni ci svela dei profondi misteri. Ci dice che la Chiesa, perseguitata dal Drago, si nasconde nel deserto; la sua esistenza cioè è prima di tutto segreta, contemplativa, ritirata in Dio, infinitamente distante dalla vita secondo il mondo; in effetti, la Chiesa vive principalmente della vita teologale che la fa vivere in Dio. Nascosta così in Dio, per la carità che la raccoglie in Dio e per i poteri gerarchici che possiede in maniera inammissibile al fine di dispensare indefettibilmente la grazia, a questo doppio titolo ritirata dal mondo e come protetta in un deserto, non deve temere gli attacchi del Drago, in anticipo votati all'insuccesso, poiché la regione in cui la Chiesa ha trovato asilo, cioè la regione della vita edificata nel Signore, la difende come un deserto inaccessibile, un rifugio inespugnabile. Dalla sua fondazione, la Chiesa ha ricevuto " le due ali della grande aquila " per volare al luogo del suo rifugio; lì è al sicuro fino all'ultimo giorno,[v] assistita dallo Spirito di Gesù, nutrita, riconfortata dal suo corpo e dal suo sangue sotto le specie eucaristiche.
Che cosa fa allora il Drago? Irritato dal proprio insuccesso, recluta alleati per lanciarli contro la Chiesa. Per mezzo loro proseguirà la lotta; una lotta senza respiro che si svolge per quarantadue mesi: in altre parole, per tutta la durata dei tempi storici.
Si apposta sull'arena del mare (12,18). Vede salire dal fondo dell'abisso una Bestia enorme e mostruosa a cui comunica le sue forze e la sua grande potenza; senza indugiare oltre, la Bestia si scatena (13,1-10).
Tradotta correttamente, questa allegoria significa che il demonio si introduce nel potere politico allo scopo di volgerlo contro la Chiesa. Il primo degli imperi da lui utilizzati per l'esecuzione della sua volontà di persecuzione è l'impero romano. San Giovanni lo indica come la Bestia del mare poiché Roma, nei confronti dell'isola di Patmos, sorge sull'altra sponda del Mediterraneo; e, poiché Roma è edificata su sette colli, la Bestia del mare viene rappresentata con sette teste (" le sette teste sono le colline sulle quali è assisa " [Babilonia], 17,9).
Così il demonio si introduce nella città politica al fine di combattere con più efficacia la Chiesa e i santi. Ha incominciato servendosi di Roma, e da allora non ha mai smesso. Dopo la caduta dell'impero, quando si instaurò poco alla volta una cristianità, ossia una città relativamente sana, onesta, retta e sottomessa alla Chiesa, il demonio non fu più in grado, come prima, di servirsi delle istituzioni per porre in atto i suoi disegni; le istituzioni, bene o male, erano conformi alla giustizia e permeate di spirito cristiano. Che cosa faceva allora il demonio? Tentava di distogliere i re e gli uomini dall'ideale di giustizia cristiana che era quello della città. Tuttavia, finché la città, nell'insieme, rimaneva cristiana, non diveniva in quanto tale uno strumento dal demonio; non si identificava con la Bestia del mare. Ma da due o tre secoli a questa parte la città politica ha assunto nuovamente le caratteristiche della Bestia rifiutandosi di riconoscere Cristo e la sua Chiesa, è nuovamente persecutrice, sia apertamente che con sistemi camuffati. Tuttavia, diversa in ciò dalla Roma pagana, la città moderna non è al servizio dell'idolatria ma piuttosto dell'apostasia: un genere di apostasia che all'occasione possiede la capacità di nascondersi sotto definizioni cristiane. Di modo che la Bestia è più pericolosa ora che all'epoca di san Giovanni.
Ma la Bestia del mare non è sola; un'altra l'aiuta, ed è la Bestia della terra (13,11-18). Imperversa ai giorni nostri più che nei primi secoli, al tempo in cui san Giovanni scriveva la sua opera. Nonostante le tregue momentanee, non sarà sconfitta che alla fine del mondo. Questa Bestia della terra, secondo i più autorevoli commentatori, simboleggia i falsi dottori e le false dottrine, le gerarchie con il loro Vangelo deformato, i portavoce dell'apostasia (sia che neghino il contenuto della rivelazione, sia che, con una erudita alchimia, sapiente e ipocrita, lo alterino e lo corrompano pur mantenendo intatte talune apparenze); da due secoli sono venuti a confondere il Vangelo sia con la predicazione di una libertà utopistica e sfrenata, come nel diciannovesimo secolo, sia, come nella nostra epoca, con la predicazione di un incessante progresso e di un'evoluzione indefinita, in direzione di un ultra-umano che sempre si allontana.
È così che si presenta, secondo il dodicesimo capitolo dell'Apocalisse, l'antagonismo fra il Drago e la Donna. Quindi il demonio conduce la lotta non solo in persona, ma anche per mezzo di due ausiliari formidabili: in primo luogo le istituzioni politiche e poi i falsi profeti; da una parte le forze dell'autorità, la legge, il potere politico, dall'altra il prestigio e la seduzione dell'intelligenza, il sistema, i falsi dogmi o l'arte corrotta.              
Evidentemente, tutte queste precisazioni non sono contenute nel testo, ma si basano su di esso, gli sono conformi, come potremo facilmente convincerci con una paziente e attenta lettura dei commentatori cristiani più autorevoli.[vi]
Ai commentatori mi limito ad aggiungere un'evocazione, d'altronde rapidissima, delle manifestazioni successive delle due Bestie, di ciò che nel corso della storia si presenta come una loro incarnazione. Spero con questo di non tradire il libro ispirato: ed ecco perché. Gli immensi affreschi coi quali l'apostolo Giovanni ci descrive il governo del mondo e la vittoria del Signore, sono in qualche modo ciclici e riepilogativi. Riprendono alcuni temi immutabili, che sviluppano e arricchiscono ogni volta, ma, nella sostanza, i temi essenziali non mutano; possono essere enumerati come segue: impero sovrano di Dio e del suo figlio Gesù glorioso su tutta la serie degli avvenimenti; evangelizzazione che nulla riesce ad arrestare; intercessione dei santi della Chiesa trionfante; ritorno instancabile delle persecuzioni ma sconfitta finale, certa, dei persecutori; vittoria degli eletti attraverso la sofferenza e la croce; intervento continuo degli angeli beati per castigare i persecutori e per sostenere e preservare i santi. Questi temi non mutano, ma ogni volta che tornano attraverso i ventidue capitoli, l'illustrazione ne diviene più evidente e lampante. Penso si possa concluderne che gli avvenimenti che compongono la trama della storia del mondo e della Chiesa presentano caratteristiche essenziali immutabili, anche se non si ripetono mai nella stessa maniera.
Gli avvenimenti della storia del mondo e della Chiesa non sono avvenimenti di trasformazione totale e indefinita che supererebbero la natura della Chiesa e quella della città in uno sforzo di ascesa irrefrenabile e allucinante verso una umanità e una Chiesa sempre migliori. Questa concezione è solo un mito hegeliano e teilhardiano. La dottrina rivelata, e in particolare quella che si sprigiona dall'Apocalisse, è in realtà tutt'altra, e persino contraria. La sacra dottrina, confermata d'altronde dall'esperienza, ci dimostra che gli avvenimenti della storia della Chiesa sono sempre fatti di evangelizzazione, anche se i popoli evangelizzati sono differenti a seconda delle epoche, delle razze e delle lingue; troviamo sempre persecuzioni e tradimenti, ma anche sempre la vittoria dei martiri, dei confessori e delle vergini; a loro volta, queste persecuzioni o questi tradimenti prendono sempre la forma di attacchi o di manovre dovuti sia al potere politico (ufficiale o nascosto), sia ai profeti di menzogna e ai dottori d'illusione e di confusione. Evidentemente, gli attacchi e le manovre delle due Bestie cambiano nel corso dei secoli e la vittoria riportata ogni volta dalla Chiesa su di esse appare sempre sotto aspetti nuovi, non ancora intravisti. È in questo senso che vi è dell'irreversibile, ma né la persecuzione né la vittoria, nei loro elementi costitutivi, sono irreversibili. Al contrario, i loro caratteri essenziali si ritrovano invariabilmente, con notevole costanza.
Lo affermo perché è vero, ma anche perché da ogni parte si cerca di imporci il contrario, o meglio, perché la Bestia della terra impiega ogni astuzia e innumerevoli pressioni per portarci a pensare che tutto sarebbe in trasformazione e in divenire; che, per esempio, la Chiesa del concilio di Trento con il suo insegnamento, la sua liturgia e la sua concezione dell'apostolato non sarebbe più attuale. Dovremmo ormai costruire una Chiesa del secolo XX, totalmente diversa da quella del XVII e che aprirebbe a sua volta la via alla Chiesa dei secoli XXI e XXII, che a sua volta non avrebbe in comune con la precedente che uno slancio vertiginoso verso un neocristianesimo mai raggiunto, ma sempre più abbagliante e straordinariamente favoloso.
La Bestia della terra ci dice anche che è finita la divisione con il mondo e la sua ostilità. La Chiesa coesisterebbe ormai pacificamente con un mondo che, quasi senza volerlo e come spontaneamente, finirebbe col coincidere con essa senza esserle più ostile: perlomeno, nella misura in cui essa si fosse spogliata di ogni autorità giuridica e di ogni carità trascendente.
Siamo avvolti dalle nebbie del progressismo. Si continua a parlarci di storia, ma si è perso il senso dei caratteri fondamentali della storia: infatti, anche se si pone prevalentemente l'accento sull'irreversibile (ed è vero che la successione degli avvenimenti è irreversibile), si dimenticano le virtualità ben determinate e precise che i diversi avvenimenti della città terrena e della Chiesa di Dio continuano a manifestare, lungi dal distenderle senza fine. Il successivo e l'irreversibile hanno nascosto lo stabile e il permanente.
Se siamo circondati dalle nebbie del progressismo è a causa di un grave peccato: l'orgoglio. L'uomo ha voluto sostituirsi a Dio, e non soltanto a titolo individuale ma anche per mezzo di un nuovo tipo di società che si è accanito a erigere. E, poiché l'esperimento è stato inconcludente e la società si è rivelata colma di deficienze, la realizzazione di una società ideale è stata allora rimandata a un futuro che si allontana all'infinito. L'avvenire della società in costruzione: ecco ciò che ha preso il posto di Dio. È un mito divorante che ha sempre ragione poiché parla, comanda, edifica e travolge non in nome di criteri e di leggi verificabili - tratti da una natura ben conosciuta, avente una finalità assegnata e fissa - ma nel nome di un futuro che assume tutti i contorni di un sogno chimerico, che è ogni giorno differito un po' più lontano.
L'Apocalisse ci insegna invece che la storia della Chiesa è senza dubbio una storia, uno svolgersi irreversibile e non una specie di ingranaggio d'orologeria che gira in tondo; ma anche che questa storia, mai identica e di una bellezza che si rinnova senza sosta, presenta tuttavia dei caratteri fissi e immutabili: in particolare l'evangelizzazione che nulla potrebbe arrestare; e poi l'ostilità, sia dichiarata che mascherata, del Drago e delle due Bestie contro la Donna; infine, la vittoria di Cristo e dei Beati.
In realtà, l'ostilità del Drago si rivela in definitiva impotente. E, anche se i figli della Donna devono sopportare terribili sofferenze, essi risultano vincitori in mezzo alla pene e agli stessi tormenti. Come la Chiesa, loro madre, sfugge al Drago poiché si trova su un altro piano, così essi sono posti su un piano diverso e non rischiano di essere vinti; per lo meno coloro che intendono seguire l'Agnello, che arrivano persino a dare testimonianza del martirio e che " hanno disprezzato la loro vita fino al punto di accettare la morte " (12,11). Coloro, insomma, che vivono le virtù teologali con tanta profondità da aggrapparsi inflessibilmente alla croce di Gesù. Gli altri, "i vili e gli increduli" (21,8) sono vinti dal demonio. Così, i cristiani che rimangono fedeli a Gesù sono sicuri di riportare con lui la vittoria sul Drago.
Ecco come termina la battaglia, ecco la fine della lotta delle due Bestie contro la Chiesa: " Poi io vidi l'Agnello che stava in piedi sul monte Sion, e con lui centoquarantaquattromila persone che avevano scritto in fronte il suo nome e quello del Padre suo... E cantavano un cantico nuovo davanti al trono, dinanzi ai quattro Viventi e ai vegliardi, e nessuno poteva imparare il cantico se non i centoquarantaquattromila riscattati dalla terra. Son quelli che non si sono macchiati con donne, poiché sono vergini " (14,1-4). Sono puri perché hanno consacrato a Gesù Cristo la loro anima e il loro corpo, ed è questo l'ovvio significato del versetto; ma sono puri anche nel senso che hanno conservato la loro anima nella santità di Dio, non hanno prostituito la loro vita al culto del Drago e delle Bestie (o si sono pentiti prima di morire). Quei centoquarantaquattromila non solo sono puri e senza macchia, ma trionfano per mezzo della croce di Gesù; infatti avanzano " dopo aver attraversato [il torrente] della grande tribolazione, dopo aver lavato e rese bianche le loro vesti nel sangue dell'Agnello. Per questo stanno in piedi davanti al trono di Dio e dinanzi all'Agnello, avvolti in bianche vesti e con palme nelle loro mani. E l'Agnello sarà loro pastore, e li guiderà alle fonti delle acque della vita, e Iddio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi " (7,14-9-17).
Per quanto riguarda la Bestia del mare, la città politica passata alle dipendenze di Satana, la grande Babilonia, la superba prostituta inebriata del sangue dei martiri di Gesù (18,5-6), essa crolla in pochi minuti, come la pietra enorme che l'angelo solleva e precipita nel fondo degli oceani (18,21). Babilonia tenta di risollevarsi nell'intero corso della storia, ma i crolli sono numerosi quanto i tentativi di ricostruzione. E così sarà sempre. Il demonio e le due Bestie non sono sul punto di prendere in mano i destini del mondo; è all'Agnello immolato e glorificato, che ne è il padrone sovrano, che essi sono stati consegnati.
Il demonio e le due Bestie non stanno per superare definitivamente le loro sconfitte e per vincere; spesso, può sembrare che si riprendano; si potrebbe persino affermare che il trionfo sia dalla loro parte, ma non è che una apparenza. Alla fine, il demonio e le due Bestie " verranno gettati nello stagno di fuoco e di zolfo, e saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli " (20,10); non tenteranno più di far crollare gli argini né di ricominciare i loro giochi satanici di persecuzione e di corruzione.
Da adesso ad allora il loro trionfo è solo apparente. In effetti si tratta di un trionfo che non potrebbe essere attribuito al demonio, come se questi riuscisse veramente a riportare qualche vittoria su Gesù Cristo, come se Gesù potesse essere sconfitto. A questo proposito occorre prestare la massima attenzione per non rimanere ingannati dal linguaggio, per non immaginare la lotta di Satana contro Gesù Cristo come se si trattasse di una guerra fra due qualsiasi monarchi di questo mondo, che come tali sono entrambi due semplici creature. Infatti il demonio è, sì, una personalità creata (un puro spirito, ribelle e condannato), ma non lo è Gesù Cristo, che è lo stesso Verbo di Dio. Ne deriva che la lotta di Satana contro di lui non può essere paragonata alle guerre che avvengono fra due grandi di questa terra.
In realtà, le possibilità del demonio si chiamano peccato mortale, inferno e dannazione, perdita definitiva della grazia e della pace. Una perdita e una privazione talmente spaventose, così totali, non possono venire definite "vittoria" se non molto impropriamente.
Si dice che il demonio trionfa quando induce gli uomini a sottrarsi volontariamente alla grazia di Cristo, alla vita e alla gioia, come egli stesso, per primo, vi si è sottratto volontariamente. Non si tratta però di un successo riportato su Dio, ma piuttosto di una volontaria rinuncia ai premi ineffabili che Dio riserva a coloro che ama.
Bisogna inoltre rendersi conto che in Cristo non esiste mai carenza di grazia e di potere, tanto da metterlo in condizioni di inferiorità quando egli viene rifiutato o combattuto dagli uomini. Cristo non può essere sconfitto. Il peccato non è mai la risultanza di una sua inferiorità. Quando gli uomini lo rifiutano o persino lo combattono, l'inferiorità e la sconfitta sono dalla loro parte e sono orribili: gli uomini si sottraggono a una grazia che era del tutto sufficiente e si privano così dei doni celesti. Non vincono; perdono in maniera atroce.
Con queste indicazioni, anche se molto rapide, possiamo comprendere che la guerra di Satana contro Gesù Cristo e i suoi santi non deve essere concepita sul tipo delle altre guerre; neppure la vittoria è dello stesso genere; in realtà, essa non appartiene al demonio; l'essere vittorioso non è una prerogativa di Satana, ma di Gesù Cristo.
Per tornare alla sublime visione dei centoquarantaquattromila che hanno riportato la vittoria sul demonio e sui suoi fautori, ricordiamo prima di tutto il carattere peculiare di questa vittoria: si è compiuta non perché essi sono stati dispensati dalla croce, ma perché l'hanno accettata con amore. Ritroviamo qui, anche se presentata da un diverso punto di vista, la dottrina delle beatitudini. La beatitudine, come la vittoria, è accordata non ai discepoli che fanno di tutto per sfuggire le privazioni, il dolore e le persecuzioni, ma a quelli che li accettano per amore di Dio. Beati coloro che hanno lo spirito di povertà... Beati coloro che piangono... Beati coloro che soffrono persecuzioni per la giustizia...
Questa è la strada delle beatitudini. Il viaggiatore che vi si è inoltrato non cammina mai solo, poiché il Signore fa quella strada con lui, anche quando è nascosto o rimane in silenzio. D'altronde, qualunque siano le contrarietà o gli imprevisti del cammino, il fedele non sarà mai preda di uno smarrimento totale; sente vicinissimo il mormorio di una fonte viva; trova da dissetarsi anche quando il luogo è arido e il sole è rovente. Come scriveva san Giovanni della Croce:[vii] "Questa fonte eterna è ben nascosta, ma so da dove sgorga e scorre, anche se è notte". È il Signore stesso che fa zampillare una sorgente nel momento opportuno, per il viandante fedele.
Dopo l'annunciazione, la passione e la pentecoste, ci troviamo nella pienezza dei tempi. La Sposa è discesa dal cielo, venendo da Dio, abbigliata per il suo Sposo. Dio ha eretto il suo tabernacolo tra gli uomini, essi sono diventati il suo popolo, il popolo della nuova ed eterna alleanza (21,1-4,10-11). Questa pienezza dei tempi ha una storia che è di una novità imprevedibile, che appare nel corso dei secoli, degli anni e dei giorni, inattesa e riposante quanto il volto degli innumerevoli santi che Dio suscita nel giardino della sua Chiesa. Ma la novità della storia si fonda sulla permanenza della natura. D'altronde, anche se i santi non sono mai intercambiabili, la loro santità è invariabilmente una vittoria attraverso la croce.
Così la Chiesa sviluppa la sua storia all'interno della pienezza dei tempi e si affretta a incontrare lo Sposo, non prestandosi ad alcun mutamento sacrilego, ma innalzando, mentre si prolunga il suo pellegrinaggio sulla terra, lo stesso canto di vittoria e la stessa implorazione suggeriti dallo Spirito Santo; il timbro di voce è ogni giorno nuovo, ma l'implorazione non cambia e il canto di vittoria è lo stesso. Allo stesso modo, nella sua acclamazione alla Vergine, la Chiesa innalza sempre lo stesso Magnificat, il cui accento però è sempre nuovo, di generazione in generazione.
Questi sono i punti principali della dottrina dell'Apocalisse sulla storia misteriosa dell'immutabile Chiesa di Dio.




[i] Vedere 8,7.

[ii] La risurrezione prima dei santi e dei martiri indica la rigenerazione spirituale che si compie già da ora, diversamente dalla risurrezione gloriosa, dopo la Parusia; la durata di mille anni che misura la prima risurrezione indica il corso della storia presente in tutto il suo insieme (essendo mille anni una cifra perfetta) in contrapposizione all'eternità che misurerà la risurrezione gloriosa. Nessun senso millenarista.

[iii] Vedere I-II, 106,4, sulla nuova legge che deve durare fino alla fine del mondo. " Articolo... che stronca dalle radici tutti i tentativi, che si rinnovano incessantemente, di orientare la storia verso un'era di messianismo dello Spirito, dove la rivelazione del nuovo Testamento e la concezione della Chiesa come corpo passibile di Cristo, sarebbero superate " (JOURNET, Introduction à la Théologie, Desclée de Brouwer, Parigi, pp. 185-186).

[iv] Questa dottrina viene illustrata da san Giovanni, nel capo 5 dell'Apocalisse, quando ci descrive in un grandioso affresco come i destini del genere umano siano rimessi a Gesù Cristo, immolato e glorificato; come lui solo sia in grado di aprire il libro dei sette sigilli.

[v] L'indicazione della durata del suo ritiro: un tempo, due tempi, un mezzo-tempo e un codice simbolico che indica il corso dell'intera storia.

[vi] In particolare P. ALLO O.P., L'Apocalypse (Gabalda, Parigi) o il riassunto che ci da padre Lavergne O.P. (stesso titolo, stesso editore).

[vii] San Giovanni della Croce. Il poema, Aunque es de noche, che comincia così: " Que bien sé yo la fonte que mana y corre. Aunque es de noche ".
Vedere il mio libro: Sur nos routes d'exil, les béatitudes, fine dell'ottavo capitolo, sul Dio nascosto.

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