CHE COSA S’INTENDE PER DOMMA DI FEDE, P. SISTO CARTECHINI




SISTO CARTECHINI S.I.
CHE COSA S’INTENDE
PER DOMMA DI FEDE



«Per fede divina e cattolica deve essere creduto tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata per tradizione, e che la Chiesa, sia con solenne sentenza sia col magistero ordinario e universale, ci propone a credere come rivelato da Dio» (D. 1792).
Questa definizione del concilio Vaticano ci dà il concetto esatto del domma e c’indica chiaramente quale sia l’oggetto della nostra fede.
Il domma è legge del credere, ossia è una dottrina che, espressa con una proposizione, ci viene con infallibile autorità proposta come articolo di fede.
La parola domma, infatti, secondo l’etimologia del greco (δοχέω) può significare tanto un’opinione che uno manifesta, quanto un decreto, legge o editto (così, per esempio, nel Vangelo si dice - che uscì un «editto — domma — di Cesare Augusto» [Lc. 2, 1]): questo significato di legge o editto è quello che prende qui la parola domma: qualche cosa cioè che s’impone alla nostra mente e che non ammette dubbio[1]


Domma è una dottrina espressa mediante un giudizio
Il domma quindi è una dottrina o un’affermazione che esprime un giudizio comunicato agli altri coll’insegnamento. Quando Dio infatti propone a credere qualche verità, fa come il maestro che insegna, il quale procede dalle cose note alle ignote, conduce il discepolo da ciò che ha appreso alla conoscenza di ciò che ancora ignora, proponendo e ordinando in modo nuovo e riassumendo in nuove sintesi quelle nozioni che il discepolo già possedeva. E siccome nulla può entrare nella nostra mente se prima non è percepito dal sensi, Dio, adattandosi alla nostra natura, non ci presenta una verità se non mediante segni sensibili e per mezzo di quelle cognizioni che già abbiamo naturalmente acquistato.
Il domma, dunque, è una verità che ci viene proposta per mezzo di un giudizio. Bisogna quindi distinguere tra oggetto materiale, ossia la cosa di cui i dommi trattano, e gli stessi dommi, ossia il loro oggetto formale in quanto, cioè, sono decisioni ufficiali promulgate dall’autorità competente, che in questo caso è la Chiesa cattolica, assistita dal carisma dell’infallibilità. Qui non s’intende trattare dell’oggetto materiale del domma, ossia delle cose contenute nella proposizione dommatica; le quali cose sono molteplici: cose increate (Trinità) e cose create (angeli, uomo), corporali o spirituali, semplici o composte, dottrine o fatti. I dommi sono appunto verità, cioè giudizi circa tali cose, espressi con qualche proposizione. E’ evidente che il nostro intelletto non può conoscere né manifestare agli altri le cose se non per mezzo di giudizi, componendo o dividendo, affermando o negando a qualche soggetto un predicato.

Il dato rivelato è costituito da proposizioni
Tali giudizi costituiscono l’elemento primordiale della nostra fede, ossia la verità rivelata in quanto espressa e proposta alla nostra mente: in altre parole il dato rivelato, sopra il quale si fonda la nostra fede e la teologia, è costituito da determinate proposizioni rivelate e non dallo stesso Dio in quanto si comunica a noi, non essendo questa comunicazione, quantunque realissima nell’ordine ontologico, oggetto della nostra fede e della teologia finché non giunge alla sfera della nostra cognizione. Il primo contatto di Dio coll’uomo, quando vuol farsi oggetto della nostra fede e del nostro amore, avviene appunto per mezzo dell’intelletto e quindi mediante proposizioni.
Essendo, dunque, i dommi oggetto della mente e della cognizione, hanno valore veramente oggettivo, sono capaci cioè di raggiungere e di esprimere l’essere stesso delle cose come sono in se stesse, indipendentemente dalle nostre facoltà conoscitive. Già per questo solo che i dommi sono verità e che la verità consiste nella conformità del giudizio con l’oggetto conosciuto, essi dicono qualche cosa d’immutabile e di assoluto, sempre vero allo stesso modo.

Fede non è lo stesso che ignoranza
Questo valore oggettivo e intellettuale del domma si fonda sulla stessa Sacra Scrittura, dalla quale risulta che la fede di cui parliamo è atto dell’intelletto; e gli apostoli non fanno altro che trasmettere una dottrina ricevuta, ossia il deposito delle verità della fede, affidato loro da Gesù Cristo col compito di conservarlo intatto e trasmetterlo senza mutazione alcuna.
L’intelletto a sua volta dimostra i preamboli della fede, ossia che Dio esiste, che ha parlato e ha fondato la sua Chiesa; percepisce il senso delle parole rivelate, per esempio che cosa sia Padre, Figlio, Spirito Santo; scopre ragioni di convenienza su quello che Dio ha detto, come pure le analogie delle nozioni rivelate con le nozioni naturali; e finalmente dimostra che le difficoltà, le quali a noi si presentano sui misteri, non provano nulla contro di essi, né quindi provano che il mistero sia contro la ragione, sebbene sia sopra la sfera dell’oggetto suo proporzionato.
D’altra parte non sarebbe possibile la fede se non precedesse una certa conoscenza della cosa che ci viene proposta a credere. Chi, infatti, non conosce la verità, non può veramente credere, perché la scienza precede la fede tanto per natura quanto nell’ordine genetico. Perciò nella Scrittura spesso vanno unite le due espressioni conoscere e credere: la fede è detta cognizione della verità, pienezza dell’intelligenza e i fedeli sono chiamati docibiles Dei.
Fede, dunque, non è lo stesso che ignoranza: anzi non c’è nulla che annienti la fede quanto il volere accettare tutto temerariamente e senza distinzione. Questione di un’importanza grandissima, perché se tutto si fa fondare sul sentimento, come volevano i modernisti, per i quali i dommi sono oggetto di un vago e cieco sentimento religioso e non oggetto dell’intelletto, non avremo niente di solido e di stabile nella fede e nella teologia. Essi caddero in questo funesto errore perché, seguendo la filosofia di Kant, ritenevano che il nostro intelletto nulla può affermare con certezza delle cose soprassensibili, come di Dio e della rivelazione da lui fatta; d’altra parte volevano rimanere cattolici, almeno di nome, e dare una spiegazione dei dommi, e perciò dicevano ch’essi, non essendo oggetto della mente, sono soltanto oggetto di un vago sentimento.

Dottrina rivelata
Il domma è sempre una dottrina rivelata da Dio. Per rivelazione qui s’intende una locuzione divina, soprannaturale, vero discorso docente e attestante di Dio personale agli uomini.
Si richiede, dunque, che Dio ci manifesti la sua mente circa qualche cosa, e questo lo fa per mezzo di segni; di più è necessario che noi ci rendiamo conto che proprio Dio ci parla, ed egli per questo si serve del miracolo.
Poco importa che le verità da Dio rivelate siano conoscibili anche col solo lume della ragione naturale. La rivelazione infatti, può contenere tre specie di verità:
  • verità di ordine naturale, che non superano la capacità conoscitiva della ragione umana, come l’esistenza di Dio, della legge morale, della vita futura in genere, l’immortalità dell’anima;
  • misteri propriamente detti, verità cioè del tutto impenetrabili alla ragione umana, che anzi trascendono perfino l’intelligenza angelica; che non possono essere compresi né dimostrati dal progresso della scienza, benché non contraddicano alla ragione ma soltanto superino la sua capacità conoscitiva;

… omissis…

essendo la rivelazione chiusa con la morte dell’ultimo apostolo. Questo però non significa che chi le negasse non commetterebbe peccato, anche mortale, per grave temerità, benché non potrebbe dirsi eretico né cadrebbe sotto le pene ecclesiastiche.

Riguardo alla fede e ai costumi
Non tutte le cose rivelate però sono tali da formare dei dommi, ma soltanto quelle verità che regolano la nostra condotta verso Dio e verso la salvezza eterna: il domma perciò è una dottrina che riguarda la fede e i costumi. Prendiamo, per esempio, gli Atti degli Apostoli dove si dice che la gente gridava: «Grande è Diana degli Efesini» (Act. 19, 28). E’ questo un domma di fede? Supposta l’autenticità di queste parole e l’integrità del testo, sarebbe errore teologico dire che queste parole, in quanto riferite, non sono ispirate, come di fatto è teologicamente certo che lo sono; però non sono un domma. Perciò se uno negasse alcune affermazioni di minore importanza contenute nella Sacra Scrittura non sarebbe eretico, sebbene commetterebbe un peccato, in quanto alla materia, grave; dico di minore importanza, come nell’esempio addotto, perché vi sono dei fatti che vengono riferiti con due semplici parole, come per esempio, che Gesù fu coronato di spine: questa non è davvero una cosa di poca importanza, anzi è domma di fede.

Proposta a credere dalla Chiesa
Per domma finalmente s’intende una dottrina che dalla Chiesa è definita come contenuta nella divina rivelazione e come tale proposta alla nostra fede. Questo è l’elemento formale e condizione essenziale perché una dottrina sia domma di fede. La Chiesa, mediante un suo autorevole giudizio espresso con una proposizione, ci dichiara che una determinata dottrina è verità rivelata da Dio e impone perciò ai fedeli l’obbligo in coscienza di fare l’atto di fede, che in questo caso è non soltanto atto di fede divina ma anche di fede cattolica. Una verità contenuta nella rivelazione, prima che dalla Chiesa sia proposta come contenuta nella rivelazione divina, è domma solo materialmente in sé, non formalmente rispetto a noi.
Tale dichiarazione da parte della Chiesa depositaria della fede può essere fatta in due diverse maniere, essendo due gli organi del magistero ecclesiastico in cui la Chiesa, con la garanzia dell’infallibilità, impegna tutta la sua suprema autorità dottrinale. O il domma viene proposto con dichiarazione solenne, sia dal romano pontefice quando parla ex cathedra, cioè a tutta la Chiesa come supremo pastore e maestro universale in materia di fede e di costumi, sia da un concilio ecumenico; o il domma viene insegnato dal magistero ordinario e universale di tutti i vescovi uniti col papa, i quali, benché dispersi, insegnino con morale e consapevole unanimità una dottrina come rivelata e quindi di fede cattolica.
Da questi brevi cenni, che avranno in seguito ampio sviluppo, si capisce la differenza, del resto solo accidentale, che passa tra una verità di fede cattolica e una di fede definita. Perché una verità possa dirsi di fede definita si richiede che ciò sia dichiarato solennemente; se invece le verità vengono proposte alla nostra fede soltanto dal magistero ordinario della Chiesa attraverso i simboli, i catechismi, la predicazione e l’insegnamento teologico, allora si ha una verità di fede cattolica. Anche quello che è definito si dice spesso solo di fede cattolica, non aggiungendo la parola definito, perché la differenza è accidentale, come, d’altra parte, basta il magistero ordinario a costituire un domma. Quello che importa è che la cosa sia domma.
Non basta, dunque, per avere un domma che la verità sia definita e proposta a credere, ma si richiede che dalla Chiesa venga definita come verità rivelata, dichiarando esplicitamente che è rivelata come verità da credersi. E la Chiesa in queste sue definizioni non fa altro che dichiarare il carattere rivelato di una determinata verità; in seguito a quest’intervento del magistero infallibile della Chiesa, tale dottrina, che prima era solo oggetto di fede divina, viene ad assumere la qualifica di verità da credersi per fede divina e cattolica.
Portiamo l’esempio della formula dommatica dell’Assunzione di Maria S.ma al cielo dalla bolla Munificentissimus Deus: «Pertanto, dopo aver innalzato ancora a Dio supplici istanze, ed aver invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza, ad onore del suo Figlio, re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggiore gloria della sua augusta Madre ed a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere domma da Dio rivelato che: l’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo» (44).
Che poi sia necessaria da parte della Chiesa, perché una verità rivelata sia domma, la dichiarazione del suo carattere rivelato, è una questione di fatto: Cristo consegnò alla sua Chiesa il deposito della fede affinché essa non solo lo custodisse, ma lo tramandasse integro e lo proponesse ai fedeli come oggetto della loro fede. Solo nel deposito ricevuto sono contenuti i dommi e soltanto chi nega questi, quando sono definiti, è ritenuto eretico.

L’eresia
Enucleato il concetto del domma, è facile ora dichiarare in che consista l’eresia.
E’ eretica quella proposizione che certamente si oppone in modo contrario o in modo contraddittorio alla verità di cui si è sufficientemente certi che la Chiesa cattolica la propone come rivelata[2]. Se uno, dunque, appartenente col battesimo alla Chiesa, si esprime, a parole o in scritto, in modo contrario o contraddittorio ai dommi, è un eretico.
Portiamo un esempio: è di fede cattolica che tutti i libri della Sacra Scrittura sono ispirati da Dio. Ora, se è uno dice: «Nessun libro della Sacra Scrittura è ispirato», si oppone in modo del tutto contrario alla verità ed è quindi eretico; se uno dice: «Qualche libro della Sacra Scrittura, per esempio, il 2° libro dei Maccabei, non è ispirato», è parimente eretico perché contraddice in parte alla verità rivelata da Dio e proposta a credere dalla Chiesa.
Però, perché una proposizione contraria ad un’altra possa dirsi eretica, deve constare con certezza della sua opposizione alla verità rivelata e proposta a credere. Basti un esempio classico nella teologia. C’è una tesi che dice: «Chi sta in peccato mortale non potrebbe a lungo osservare con atti, anche solo onesti e non soltanto meritori, tutta la legge, anche soltanto naturale, se non avesse la grazia divina». Tale tesi teologica si ricava da definizioni dei concili Arausicano e Tridentino (D. 179 e 180) e quindi a prima vista potrebbe sembrare definita; ma siccome uno potrebbe eludere il valore e la forza di quei documenti col dire che in essi si parla non di una qualunque osservanza dei comandamenti, ma dell’osservanza in ordine alla salvezza eterna, chi dicesse: «Io posso osservare i comandamenti anche per lungo tempo senza la grazia», non potrebbe dirsi eretico perché non è certo che si opponga a un testo definito.
Si noti, infine, che se è falsa una proposizione contraddittoria a una verità rivelata, molto più sarà falsa una proposizione contraria, nella quale è evidente che si nega più che nella contraddittoria. È quindi eretico chi negasse un solo comandamento di Dio; molto più chi li negasse tutti.

Estratto dal libro "Dall'opinione al domma di fede - Valore delle notte teologiche, 1953, Pe Sisto Cartechini




[1] Cfr Shultes, cit. p. 5
[2] Fra due proposizioni c’è opposizione contraddittoria quando, avendo esse lo stesso predicato e lo stesso soggetto, differiscono nella qualità e nella quantità; per esempio, sono contraddittorie le due proposizioni: Ogni uomo è giusto e Qualche uomo non è giusto. Opposizione contraria invece c’è quando, avendo due proposizioni la stessa quantità universale, lo stesso predicato e lo stesso soggetto, differiscono solo nella qualità; come avviene, per esempio, nelle due proposizioni: Ogni uomo è giusto e Nessun uomo è giusto.  É noto che due proposizioni contraddittorie non possono essere contemporaneamente ambedue vere o false; mentre invece due contrarie possono essere ambedue false, ma non ambedue vere.

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