L'AUTORITÀ


L'AUTORITÀ
SPIEGATA DAGLI SCOLASTICI¹

GIOVANNI MARIANA
Gloria di Sant'Ignazio (1685) affresco d iAndrea Pozzo



La Civilta Cattolica 
Seconda Serie pg 39-58
Vol. Duodecimo
Anno sesto 1855




SOMMARIO
1. 11 Mariana invocato dai demagoghi come campione di lor teorie — 2. ma da essi sovente falsato. Errori del Cimento nel esporne le dottrine, — 3. nel citarne i testi — i. e nel giudicarlo. — 5. Il Mariana però è degno di condanna. — 6. Esame della sua opera De Rege ecc. — 7. Suo errore fondamentale. — 8. Qual sia secondo lui il miglior de'governi. — 9. Suo zelo della pace pubblica. — 10. Sua dottrina intorno al tirannicidio. — 11. Errori di tal dottrina — 12. divergente da quella dei migliori scolastici — 13. giustamente condannata dai gesuiti — I4. ma pur meno rea di certe dottrine moderne. — 15. Dottrina del Mariana intorno al possessore della sovranità. — 16. Inculca grandemente ai Principi la moderazione. — 17 Giudizio nostro intorno al Mariana. — 18. Egli cadde in gravi errori — 19. ma per quel tempo in qualche parte scusabili.


1. Oltre il Suarez e il Bellarmino, sogliono i moderni demagoghi allegare in favore delle loro dottrine anarchiche il P. Giovanni Mariana , gesuita ancor esso ed autore celebre di varie opere storiche e politiche, tra le quali primeggiano la sua classica Storia della Spagna da lui dettata prima in latino poi in spagnuolo, e il troppo famoso libro De Rege et Regis Instilutione. Anzi il Mariana è da essi invocato come il campione e l'Achille di lor teorie fra gli scolastici di que' tempi, non già perchè egli ragionasse con più rigor di dottrina e nerbo d' argomenti cotali materie , ma perchè in audacia d'illazioni e crudezza di formole vinse per avventura ogn' altro. La sua dottrina in verità non differisce, quanto alle basi, da quella e del Bellarmino e del Suarez e di quasi tutti gli autori di quel secolo e di parecchi secoli innanzi : i principii sono gli stessi e lo stesso è l'equivoco fondamentale da noi altrove spiegato dello scambiare l' astratto pel concreto nch" attribuire a tutte le società come loro prima e naturai forma politica la democrazia. Se nonché il Mariana trascorre talvolta nelle sue conseguenze or bene or mal dedotte assai più innanzi, e scrivendo inoltre non già con metodo scolastico e stringato, ma con libero ed oratorio stile dà più di leggeri nell'iperbolico e nell' ambiguo, e porge qua e là più facile appicco a chi ne voglia travolgere alla peggio i sensi.

Le sentenze del Mariana sono principalmente contenute e svole nell'opera poc'anzi nominata De Rege et Regis Instilulione; e da questa traggono gli avversarii le armi per combatterci e in questa dicono essi contenersi tutti i germi di quelle dottrine che hanno fruttato le rivoluzioni dell' età nostra. Eppure chi lo crederebbe? Quest'opera non solo vide la prima luce in un secolo fra tutti i moderni segnalato per assolutismo di reggimento e in quella Spagna che più d'ogn'altra contrada europea fu sino al secol nostro alienissima da ribellione e riverentissima della maestà de' suoi Re, ma fu composta e stampata sotto gli occhi e coll' approvazione di quello stesso Filippo ll, il quale benchè troppo lontano dall' essere il truce despota dipintoci a sì nere tinte dall' Alfieri, fu però certamente geloso al sommo de' suoi diritti regali: anzi egli medesimo la pose in mano del suo figlio e successore Filippo II, a cui pro ed uso avevala il Mariana espressamente indirizzata. Noi lasciamo ai nostri avversarii l'incarico di spiegar quest'enimma, e riflettiamo soltanto non esser punto probabile che un libro uscito con tali auspizii contenesse le atrocità che essi gli attribuiscono, o si dipartisse gran fatto ne' suoi insegnamenti dalle dottrine allora divolgate nelle scuole. Del rimanente chi voglia chiarirsi di ciò con certezza, e formarsi del Mariana una giusta idea, ne ha spedita e sicura la via interrogando il suo libro stesso ed esaminandone attentamente la contenenza.

2. E cosi piacesse al ciclo che avessero sempre fatto i suoi accusatori ! che certamente non avrebbero osato mai ascrivergli le enormezze da cui egli è lontano, nè cambiare un istitutore di Principi in un furioso attizzatore di ribellioni. Uno di questi accusatori è il Cimento di Torino, il quale, nel fascicolo del lo Settembre 1854, a mostrare che le nostre dottrine politiche sono in contraddizione con quelle dei gesuiti del secolo demimosesto e decimosettimo arreca principalmente la dottrina del Mariana, facendone a sua maniera un sunto e tirandone a suo senno le conseguenze. Ma non pensaste già ch'egli perciò abbia mai letto il Mariana. Egli medesimo confessa d'avere raccolto la sua esposizione da alcune pagine di certe opere del Ranke , del Ritter e del Kaltenborn stampate in Germania « nelle quali si contengono molti estratti di libri sulla filosofia del dritto pubblicati da gesuiti nel secolo decimosettimo »; sicchè il suo è un estratto di estratto, un lambiccato doppio, il quale però invece di darci la quint' essenza e il sugo dell'opera primitiva non riesce quasi ad altro che a falsarla e corromperla. Ne volete le prove? Fatevi per poco a riscontrare le allegazioni e i compendii del Cimento coll' opera originale del Mariana e troverete ora frantese ridicole ed ora contraddizioni flagranti. Per esempio: il Cimento fa il Mariana nemico della Monarchia ereditaria e gli fa dire che La eredità della Monarchia è una usurpazione. Or il Mariana ha due capi interi, il 3.° e il 4.° del libro I, sopra il principato ereditario nei quali insegna appunto l'opposto. Nel primo di questi disputa, Num principatus haereditarius esse debeai, e dopo aver esordito lodando il governo monarchico come migliore d' ogn' altro, e dimostrando i danni del mutare di leggeri la lorma del governo, propone il quesito se la monarchia ereditaria sia da preferirsi all' elettiva, arreca gli argomenti del quinci e del quindi e finalmente pronunzia la sua sentenza attenendosi alla monarchia ereditaria, siccome a quella che è di gran lunga migliore. Poi nel capo seguente De iure regiae successione inter agnato*, discorrendo delle leggi di successione, raccomanda che si serbino immobili, e nel determinarle paragona l'eredità politica del trono colla civile eredità dei beni nelle famiglie private, confermando con dovizia l'esempi tratti in massima parte dalla storia spagnuola le sue dottrine. Ora, è egli questo un combattere la monarchia ereditaria ed un trattarla da usurpatrice? e il Cimento poteva egli falsare e contraddire più smaccatamente l'autore che dice di compendiare?
3. Ma ecco un altro insigne tratto non so se mi dica della dabbenaggine o della sfacciataggine del Cimento nell' esporre le dottrine del Mariana. Noi breve sunto ch'egli ne fa, tra le poche citazioni e sentenze che accenna, due sole ne arreca col testo latino dell'Autore, quasi a dar loro maggior peso e certezza, e sono le due seguenti: Constricto legibus principatu nihil est melim, soluto nulla pestis gravior [2]. — Neque ita in principerà iura polestatis translulil (resjrublica), ut non sibi maiorem reservarit potestatem [3]. Or chi non sa che a rappresentare le opinioni proprie d' un autore, non basta il pescare alla cieca nel suo libro qualche frase o sentenza che vi si riferisca, ma ci vuole un attento esame nella scelta, potendo accadere benissimo che egli parli talora in nome altrui e in nome ancora de' suoi stessi avversari ? e ciò soprattutto quando l'autore, come fa appunto il Mariana, suol trattar le questioni disputandone il pro e il contra e inducendo i partigiani delle diverse sentenze a perorar ciascuno la sua, prima di recar egli in mezzo la propria ? e chi non vede cheli fare altrimenti citando alla pazza ed a casaccio, è un esporsi al pericolo non solo di non provar nulla , ma di pigliare i più solenni granchi del mondo, scambiando e falsando nel più ridicolo e strano modo le opinioni degli autori ? Eppure cosi appunto fa il Cimento; e i due soli passi ch' egli allega del Mariana gli vennero tratti cosi a sproposito che niuno d'essi è veramente di lui, ma Fimo e l'altro sono detti dall'autore in persona altrui, com'è facilissimo il chiarirsene chi si faccia a percorrerne il contesto. Il primo è messo dall' autore in bocca dei partigiani dell' Aristocrazia disputanti contro la Monarchia, ed egli sta per la Monarchia. Il secondo è recato in nome dei difensori del tirannicidio, colà dove il Mariana allega le ragioni pro e contra di quella celebre questione, prima d'entrar egli a dar la sua sentenza. Laonde quei due testi , checchè sia del loro valore intrinseco, non provano nulla al bisogno, ed è gran mercè se non provano anzi tutto l'opposto.

4. Da una sì accurata e felice sposizione della dottrina del Mariana non è maraviglia che il Cimento tragga poi le più sbardellate conseguenze, Ano a dire non solo che il Mariana gittò nel suo libro i semi della rivoluzione francese e della moderna anarchia, ma che « s'ei fosse vissuto nella fine del secolo passato, sarebbe stato il giudice più inesorabile di Luigi XVI, il presidente nato 'del tribunale rivoluzionario. » Ma se il Cimento avesse letto il Capo 5.° del Libro \.' dove l'Autore espone il Discrimen Regis et Tyranni, non avrebbe certamente osato mai uscire in si assurda iperbole: tanto è contrario il carattere del buon Luigi al nerìssimo quadro che ivi si fa d' un tiranno. Nè avrebbe osato mai chiamare il Mariana un seminatore di rivoluzioni, se avesse letto e inteso il capo seguente ove si disputa quando e come sia lecito alla moltitudine l'insorgere ed opprimere il tiranno; giacchè le condizioni e le limitazioni poste dall' Autore sono tali e tante, che il caso di lecita ribellione ne diverrebbe rarissimo e quasi impossibile, nè certamente giustificherebbesi come lecita niuna delle moderne rivoluzioni d' Europa.
5. Ma lasciamo il Cimento e chi al par di lui ha il vezzo di giudicar gli autori senza pur leggerli. E tornando al libro del Mariana, con esso in mano vediamo di darne un' esatta contezza e di recare delle sue dottrine un equo giudizio. Ma niuno creda di grazia che sia qui nostro intento di fare una difesa di quell' autore e di vendicare per buone tutte le sue teorie politiche. Se dall' un Iato l'abbiaci difeso testè da chi l'incolpa di esorbitanze gravissime che non gli caddero mai in pensiero, dall' altro non titubiamo punto a condannarlo dove egli ha veramente fallito. Ed a ciò fare e' induce non solo il diritto sacrosanto della verità la quale non conosce accettazion di persone e Vuoi essere anteposta ad ogni umano rispetto, ma l'autorità eziandio di tale che noi veneriamo altamente. Questi è il P. Claudio Aquaviva, Generale della Compagnia di Gesù a quei tempi, il quale appena ebbe contezza del libro pubblicato dal Mariana in Ispagna e del pericolo di alcune temerarie dottrine ivi contenute, subito lo proscrisse e comandò che fosse purgato. E forse oggidì non se ne vedrebbe più un solo esemplare men che corretto, se gli eretici d'allora, vedendo il buon giuoco che potrebbe lor fare, non si fossero affrettati di ristamparlo e diffonderlo per ogni parte. Il che valga eziandio a mostrare quanto mal s'appongano quei che attribuiscono a tutto l'ordine dei Gesuiti gli errori del Mariana, e peggio ancora quei che amplificando cotesti suoi errori non solo ne fanno un carico a tutti i suoi confratelli d'allora, ma li rimpro-. verano oggidì anche a noi, recandoci a colpa che le nostre dottrine in politica discordino dalle sue.
6. Venendo dunque all' opera De Rege et Regis InslUulione, ella dividesi in tre libri. Nel primo si discorre dell'origine, della natura e dei limiti della potestà regia in generale; il secondo poi e il terzo trattano specialmente dell' educazione del Principe e del modo di ben governare lo stato e contengono savissimi insegnamenti di politica pratica illustrati dall' autore di nobili esempi tratti in gran parte dalla storia patria. Di questi due ultimi libri non ci accade dir altro, perchè le teorie politiche dell' autore trovansi tutte esposte e trattate ex professo nel primo libro, del quale soltanto a noi importa perciò di ragionare.
Questo libro ha dieci capi e nella breve analisi che ne soggiungiamo e nei tratti più importanti che ne allegheremo, il lettore potrà giudicare per sè medesimo qual sia il tenor genuino delle dottrine politiche del Mariana. Nel primo capo egli espone storicamente l'origine della società e con essa del principato , e narra come le famiglie governate dall' autorità paterna vivessero prima indipendenti e sparse, ma poi, mal sopperendo ciascuna ai bisogni della vita e alla difesa dai prepotenti, stringessero mutue alleanze e scegliessero un capo che a comun bene le reggesse 4. E con ciò elle adempirono l'intento del Creatore il quale volendo che gli uomini vivessero in società, diede loro il poterlo mediante la favella, e spronolli a volerlo con due potentissimi impulsi, l'amore e il bisogno [5].

7. Il Mariana adunque ripete da Dio l'origine suprema d'ogni società e d'ogni autorità sociale, ma nello spiegare il fatto umano di quest' origine par che non riconosca altra maniera d'associazione che la volontaria fatta per mutuo consenso, nè altra origine del principato fuorchè l'elezione dei capi delle famiglie associantisi. Perciò dei tre modi in cui, come abbiamo più volte divisato, può avvenire che si formi in concreto una società nascente e vi si determini il possessore legittimo dell' autorità suprema, cioè per un fatto naturale, o per un dritto prevalente, o per un consenso volontario, l'A. sembra ammettere solamente l'ultimo. Ora questa esclusività, questo supporre che in ogni caso il Principe abbia ricevuto il suo potere dalla moltitudine è l'errore fondamentale del Mariana, da cui traggono logicamente origine le erronee conseguenze che or ora vedremo. Di quest' errore però non si vuol fargliene uno special carico, giacchè è quello stesso che abbiam ripreso in altri ed era comune tra i pubblicisti d'allora, i quali dall' astratta eguaglianza degli uomini usavano d'inferire in concreto la origine democratica di tutte le società.

8. Il capo secondo è volto a provare che il governo d'un solo è da preferirsi al governo di molti, e porta scritta nel titolo la tesi: Unum reipublicae praeesse quam plures praestantius est. Ma prima d'entrar nella tesi l'A. continuando la storia del capo antecedente, espone gli svolgimenti ei progressi della potestà regia: coni'ella dapprima bastasse da sè ad ogni cosa, ma poi dall' un lato l'iniquità de Principi e dall' altro l'oltracotanza de sudditi rendessero necessarie le leggi, delle quali col crescere del tempo e della malizia il numero s'accrebbe di tanto, ut iamnon minus legibus quamvitiis laboremus ( sentenza ai di nostri più che mai verissima ), leguleiorum slabulis repurgandis nullius tìerculis vires et industria suflìciant [6]; e segue a dire come si dilatassero gl' imperi colle conquiste mosse per lo più da iniquo spirito d' ambizione e di cupidigia; sicchè quei celebri conquistatori dell'antichità coll' assorbirsi tanti regni, non monstra domuisse, subitila per lerras tirannide, non vitto, ut videri volebanl, depulisse, sed praedatoriam exercuisse videantur, tomeisi vulgi opinione immensis laudibus celebrentur et gloriaPropone quindi la celebre quistione, qual sia l'ottima delle forme di governo, se la monarchica, o l'aristocratica, o la popolare. E recati i soliti argomenti dall' una parte per la monarchia e dall' altra per la poliarchia in genere, ne libra quinci e quindi i momenti che a lui sembrano poco meno che ugualissimi, e si risolve alfine per la monarchia;la quale benchè in alcuni casi per avventura non sia, generalmente però suol riuscire la più abile ed efficace forma di buon governo. Ma perchè riesca ottima, vuol essere temperata e condotta dal consiglio de' savi: Veruni ila unius principatum, conehiude l'A., praeferendum iudicamus si oplimos quosque cives in eonsilium adhibeal, alque senalu convocalo ex eorum senientia res publice et privale administret [7]. Notisi però, che questo temperamento è bensì richiesto dal Mariana, come utile all' ottima monarchia, ma non già come assolutamente necessario a guisa di condizione sine qua non di ogni monarchia legittima, secondo che altri frantendendolo scrisse [8]. Il che appare chiarissimo dal contesto dove l'A. adduce le ragioni della sua sentenza, le quali sono tutte ragioni di utilità anzi che di necessità assoluta.
9. Seguono due capitoli intorno alla successione del Principato, dei quali abbiamo già esposto più sopra il contenuto. Qui ne rileveremo soltanto alcune sentenze utili a vie meglio comprendere le dottrine dell'A., il quale si mostra gelosissimo della pace pubblica, e perciò non che istigare a rivoluzioni democratiche, condanna anzi quei rivolgimenti stessi che mirassero a favorire giustamente la monarchia, semprechè avessero un po'del violento. Laonde dopo aver di bel nuovo magnificata l'eccellenza del governo monarchico, temendo non forse taluno credesse lecito di correre a rovesciar le altre forme di reggimento per surrogarvi quell'ottima, soggiunge subito: Debet quidetn vir prudens meminisse temporum et reipnblicae in qua natus est, neque novarum rerum studio incitari : meliora tantum voto expetere, atque cogitare vix imperia et respublicas nisi in prius mulari. Si lamen optio detur, si hominum et reipublicae, in qua viril, conditio patiatur, praestantissimam reipublicae formam pro virili parte fundabit, modo sine motu tumultuque, ad unius imperium directam, unius conslrictam potestate [9]. Per questo medesimo zelo di pace egli s'inchina ad anteporre alla monarchia elettiva, troppo soggetta a tempestose convulsioni ne'comizii, l'ereditaria: Ad domesticarli tranquiìlitatem retinendam nulla commodior est ratio, quam lege successore designato, ne studiis popuìorum aut cupiditati Principum locus sit, sublata omni contentionis facilitate. Sic commodius fore cogilabam haereditarium esse principatum [10]. Per questo vuole che l'ordine della successione al trono nella famiglia regnante sia stabilito con legge, ne, quod fieri possit, studiis populi locus relinquatur, unde publica tranquillitas perturbetur, cuius prima cura este debet [11]. E questa legge, perchè sia stabilissima, non deve essere fatta dal monarca nè restare in sua balia, ma e il farla e il mutarla deve dipendere dall. intiera repubblica. Leges successionis mutare non eius ( Regis ) sed reipublicae est, quae imperium dedil iis legibus constrictum [12]. E poco dopo: Leges, quibus constricta est successio mutare nemini licei sine populi voluulate a quo pendent iura regnandi [13]. Il quale ultimo tratto che attribuisce al popolo la sovranità primitiva e con essa il diritto di far le leggi fondamentali e più importanti dello Stato, è conseguenza legittima, come ognun vede, della dottrina dall'A. esposta nel primo capo intorno all'origine della società, ed è falsa perciò, come la sua premessa, in quanco che è esclusiva, negando implicitamente che il Principe possa aver mai ricevuto il suo potere altrimenti che dal popolare consenso. Ma di ciò ritornerà fra poco il discorso.
10. Alla questione della successione tien dietro nei tre capi seguenti l'altra sì famosa dei tiranni e del tirannicidio; ed egli è qui dove il Mariana professa quelle dottrine, che gli suscitarono contro tante ire e condanne e diedero al suo nome la sinistra celebrità di cui gode. Noi le esporremo candidamente, e non ci è d' uopo premettere che le riproviamo, perchè essendo elle il frutto d'un falso principio, nella condanna che di questo abbiam recata più sopra già le abbiamo anticipatamente sentenziate.
Incomincia l'A. nel capo V intitolato Discrimen Regis et Tyrani, dal rammemorare la solita distinzione delle tre forme principali di buon governo, cioèla monarchia, aristocrazia la repubblica propriamente detta, quae tum exislit, die'egli, cum universi populares imperii parlicipes sunt, eo temperamento , ut maiores honores et magistratus melioribus commendenlur, minores alis, ut cuiusque dignilas aut meritum est [14]. A queste si oppongono tre forme contrarie di governo reo, le quali altro non sono che il degeneramento e l' abuso delle prime, e sono rispettivamente latirannide, l'oligarchia la democrazia il cui nome suona malissimo all'A., perchè in essa honos promìscue atque sine delectu maioribus, minoribus, mediis communicatur : quae magna perversio estvelie comparare quos natura seu vis allior fecerat inaequales. Ma pessima tra queste è la tirannide; e qui entra l'A. a farne una orribil pittura, descrivendo dall'una parte le virtù e i pregi d' un ottimo Re, e contrapponendogli dall' altra il tiranno con tutto lo spaventoso corteggio de'suoi vizii, de'suoi satelliti e delle sue atrocità; empio contro Dio, disprezzatore e persecutore della religione, superbo, ingiusto, crudele coi sudditi, rotto ad ogni libidine, sfrenato da ogni legge, nemico d' ogni virtù, tale insomma che maximam potentiam in libidinis infinitae licenlia alque fructu conslituilnullum scelus sibi dedecori (ore pulat, nullum est tantum facinus quod non aggrediate... nullumque est probri genus quod non in omni vita suscipiat [15]. Con tai costumi abusando a pubblico danno della potestà suprema, usurpata sovente per violenza o per frode , egli empie il regno di calamità e di terrore; invece di curare il ben comune , id agii ut cives omnibus malis oppressi miserrimam vitam agant [16] ; e divenuto il più fiero nemico della società in cui regna, laspinge a funestissima rovina.

Tale essendo il tiranno (e il lettore sel tenga bene a mente), passa il Mariana nel capo VI a discutere : An tyrannum opprimere fas sii ; e dopo addotti al solito gli argomenti del pro e del contra, ecco in breve la sentenza a cui egli si attiene. Se si tratta d'un tiranno d' occupazione che abbia invaso con ingiusta forza il trono, allora, die' egli, è comun parere dei filosofi e dei teologi, eum perimi a quocumque , vita et principatu spoliari posse , cum hoslis publicus sit [17]. Ma se il Principe è legittimo ed è tiranno solamente per abuso di potere, si vuol procedere in tal caso con assai più riguardo e considerazione. In primo luogo se ne debbono tollerare i vizii e le prepotenze , per quanto è possibile; giacchè lo scuoterne il giogo può riuscire sovente a sconquassi e rovine sociali assai più funeste che non è il male della sua tirannide. Ma se egli prorompesse infine ad intollerabili eccessi, e se niuna via più mite di persuasioni e rimostranze bastasse a correggerlo, allora, se la nazione può radunarsi in generale assemblea , lo giudichi di comune consenso e pronunzi contro a lui come a nemico pubblico l'estrema condanna; per eseguir la qaale, non solo ella potrà fare e sostenere contro al tiranno la guerra che ne avvamperà, e spogliarlo coll'armi in mano del regno e della vita , ma sarà lecito eziandio a qualunque privato d' ucciderlo con aperta violenza o a tradimento. Che se , come il caso può facilmente darsi , non fosse possibile ai cittadini il radunarsi in assemblea e il giudicare solennemente il tiranno, anche allora, purchè il voto pubblico sia abbastanza manifesto, dovrà stimarsi il Principe egualmente soggetto a mortale sentenza, e però qui votis publicis favms eum perimere tentarti, haudquaquam inique eum fecisse existimabo [18].
Tal è in tutta la sua crudezza la sentenza del Mariana intorno al diritto dei popoli oppressi di sollevarsi e guerreggiare contro i Principi loro oppressori. Egli la esprime però, non senza qualche dubitazione e peritanza, soggiungendo in fine: Haec nostra sentenza est a sincero animo certe profecla in quaeum falli possim ut humanus si quis meliora attulerit, gralias habeam [19]. E nel capo seguente : An liceat tyrannum veneno occidere , la limita alquanto non già riguardo alla sostanza dell'ucciderei! tiranno, ma riguardo al modo, escludendo come illecite tutte quelle guise di uccisione , nelle quali egli fosse costretto di essere a sè medesimo ministro , conscio o no poco importa , della propria morte , come sarebbe il fargli ber veleno; e ciò perchè egli è cosa iniqua e crudeltà troppo ripugnante alla natura umana , non che alla cristiana mitezza , il costringere chicchessia a farsi autore o stromento ancorchè cieco della propria distruzione.
11. Ora tutta questa dottrina del tirannicidio è certamente altrettanto falsa che funesta , sia perchè si fonda sulla rea e fallacissima base dell' universaleggiare che l' A. ha fatto l'origine democratica dell'autorità regìa, sia perchè, posta eziandio questa origine , vi si concede ai cittadini una licenza soverchia contro la vita dei Principi. Soverchia in primo luogo, perchè, dopo aver detto che la società fa guerra al tiranno, si permette ai privati ciò die in ogni altra guerra è giudicato illecito, l'assassinare privatamente fuor dell' azione guerresca; e in secondo luogo, perchè, dove l'assemblea del popolo non possa radunarsi a giudicare il Principe , si fa lecito nondimeno a ogni privato d'ucciderlo benchè non giudicato nè condannato da verun tribunale competente , se pure il Mariana non tien per tale il criterio dell' opinion pubblica da lui richiesta a legittimare in questo caso il tirannicidio. Ma chi non sa quanto sia vago , ambiguo e fallace cotal criterio , e quanto sia difficile il sincerarlo in guisa che veramente rappresenti ed esprima il voto universale della nazione, ed impossibile che acquisti mai valore giuridico e autorità suprema di giudice in si gran causa? Certo se il Mariana vedesse in qual modo all' età nostra si fa e si guida e si esalta V opinion pubblica , non cadrebbe più nel gravissimo errore di mettere in poter di lei la vita de'tiranni o di chicchessia. Anzi egli dubiterebbe assai di affidarla eziandio a quelle assemblee popolari da lui invocate, se conoscesse come si governino oggidì in parecchie di cotali assemblee i partili e le cause, e come la nazione vi sia non già rappresentata e regnante , ma delusa e schernita ed oppressa e sacrificata alle passioni di pochi prepotenti, peggiori d'ogni tiranno.
 12. Ad ogni modo, anche ai tempi del Mariana, lo sfrenato arbitrio eh' egli concede ai sudditi contro la vita dei despoti fu errore gravissimo , ma, avvertasi bene, fu errore specialmente proprio di lui solo . sul quale perciò deve pesarne tutta la condanna. Infatti qui egli non solamente si dilunga, ma si separa affatto dalla massima e più nobil parte degli scolastici. Egli è vero che questi , come dicemmo fin dal principio, ammettevano anch' essi , mal inferendola da una premessa vera , la origine essenzialmente democratica delFautorità, ciò che è la fallacia fondamentale del Mariana; ma nello svolgere tal principio, oltrechè non trascorsero, com' egli, ad illazioni esagerate e false, ne temperarono inoltre le conseguenze naturalmente ree per mezzo d' altri prìncipii savissimi, ai quali il Mariana non fa punto ricorso. Così, per dirne sol questo , gli scolastici distinsero sempre, e con gran ragione, nella causa dei sudditi un popolo cattolico da un popolo infedele, esigendo dal primo che in un punto , ov' è si facile alle passioni il sedurlo , non inoltri un passo senza udire il consiglio di chi è padre comune cosi dei popoli come dei sovrani. La qual condizione ognun vede a qual sapientissimo arbitrato confidava le briglie di quei corsieri ferocissimi che sono le passioni della moltitudine. E se un tal freno non si trova nella pura società naturale non informata dal Cristianesimo , questo lungi dall' essere un vero inconveniente nella loro teoria, è anzi con tutto il sistema perfettamente armonizzato: essendo ragionevolissimo che sotto l'impero della corrotta natura le sguinzagliate passioni corrompano e rendano poco men che impossibile l'universal costanza nell'ordine sociale; e che per l'opposto, ristorata quella naturai corruzione dal Redentore, divenga capace di presentare un tipo di società perfettamente ordinata per l'intervenimento del Vicario del Dio Redentore. Ora di tutto questo il Mariana non facendo pur motto, mostra anche solo con ciò com' ei si diparta in questa gravissima questione dalla dottrina degli altri scolastici.

13. Non farà quindi niuna maraviglia che il suo libro appena uscito nel 1598 alla pubblica luce levasse tosto per le sue temerarie novità grave scandalo; che dai Gesuiti di Francia (nella quale fresca ancora di guerre civili e di regicidii questo scandalo era di maggior pericolo) e nominatamente dal P. Richeome Provinciale di Guienna venisse perciò denunziato a Roma; e che quivi il P. Claudio Aquaviva Generale della Compagnia lo fulminasse di gravissima condanna, soffocando cosi appena nata la rea dottrina. Di che si vede con quanta ragione il Cimento la enumeri tra le dottrine dei gesuiti del secolo XVI, e rinfacci a noi di tralignare dai nostri maggiori perchè non pure non la difendiamo, ma anzi la condanniamo altamente nei moderni scrittori: quasi che a noi corresse l'obbligo o calesse assai di difendere per infallibili tutte le dottrine insegnate da qualsiasi de' nostri scrittori, e dovessimo, per non tralignare dai nostri padri, metterci in aperta opposizione colla sentenza d' un nostro Generale riverita e seguitata da tutti i Gesuiti di quel secolo e de' seguenti, piuttosto che condannare con essi le temerità d'un privato. Che se non dubitammo di dipartirci dal Suarez e da altri sommi dove ci parvero scostarsi alcun poco dal vero , molto meno può sembrarci duro il condannare un Mariana il quale in magistero di politica filosofia loro è di tanto inferiore.
14. Però nel condannare come falsa e perniciosa la dottrina del Mariana intorno al tirannicidio, si deve nondimeno concedere ch'ella è assai men rea di certe teorie anarchiche messe in voga da un secolo in qua, le quali attribuendo al'solo popolo ogni potere han dato in balia de' suoi capricci ogni cosa e han partorito gli orrori delle moderne rivoluzioni; nè queste certamente potrebbero mai trovare nelle dottrine del Mariana la loro difesa. Infatti ricordisi, di grazia, il lettore tutte le condizioni, le cautele , i riguardi ch' egli esige per legittimare il caso d' una ribellione al Principe, e poi giudichi se tal caso non è piuttosto un mero possibile , che una realtà storica avvenuta ai tempi nostri o almeno facile ad avvenire. Dove in primo luogo troverassi un mostro di tiranno, qual ei ce lo dipinge? dove un popolo, che gema sotto il peso di tanta oppressione che moralmente non possa tollerarsi? e posto che vi sia , non può egli redimersene in altra guisa con modi men violenti e forse più efficaci? Ha egli ben librato i pericoli dell' impresa, accertandosi che la sollevazione non sia per attirar sulla patria mali peggiori della tirannide? E dato ancora tutto questo, evvi egli finalmente il voto unanime del popolo , cioè di tutti quei cittadini a cui, secondo il Mariana , appartiene in ultimo risolvimento la sovranità? e se vi è, fu egli reso manifesto o con forma solenne di pubblica sentenza o almeno con non dubbii segni di universale riprovazione? Imperocchè, quando mancasse un solo di tutti questi requisiti, la ribellione cesserebbe d'essere lecita pel Mariana stesso, che la condannerebbe in virtù de' suoi principii , come delitto gravissimo di fellonia. Veggano dunque quei che si armano della sua autorità per difendere il preteso diritto di rivoluzione , se loro giova di acconciarsi con lui a tai patti.
15. A noi frattanto , per adeguatamente spiegare le sue dottrine sociali, rimangono ad esporre i tre ultimi capi del primo libro, nei quali l'A. attende soprattutto a fermare i limiti della potenza regia, ed a predicare ai Principi la moderazione. Nel capo 8." tratta la questione: Reipublicae an Regis maior potestas sit, questione , coni' egli stesso la chiama , grave, molteplice , intricata e tanto più difficile perchè ancor non trattata da veruno , e in cui comunque decidasi, sempre si corre rischio o di parere adulatore dei Re, o temerario offensore de lor diritti. E questa malagevolezza ch' egli accusa nel soggetto fm dall' esordio , ben si sente poi in tutto il progresso della trattazione, dove si trovano le idee vaghe , mal definite e mal distinte, le opinioni incerte e titubanti, e le formole ambigue talvolta ed oscure. Ciò non ostante la somma della sua dottrina può ridursi a un dipresso ai seguenti capi.
Benchè nel costituire e nel definire di fatto i poteri regii, il caso e l'impeto abbiano avuto sovente la maggior parte, siccome però in diritto la potestà regia, me auclore a civibus ortum habet [20], cosi i cittadini nel conferirla al Principe, volendo far con saviezza , la limiteranno con leggi e sanzioni , affinchè ella mai non esorbiti e trascenda a danno de' sudditi tralignando in tirannide, e dove trascendesse, correranno a stringerle il freno. In tal caso e nei regni così costituiti, egli è manifesto maiorem reipublicae quarti regum auctoritatem esse [21]. Negli altri regni la cosa procede assai meno limpida, e le opinioni de'savii grandemente discordano. I più attribuiscono bensì al Re autorità piena e suprema in tutti gli affari di governo politico e civile, far leggi, dichiarar guerra , amministrar giustizia ecc. e gli danno maggioranza assoluta sopra i singoli cittadini e i singoli loro ordini e partimenti, ma se l'intiera nazione per sè o per mezzo de' suoi primarii personaggi scelti da tutti gli ordini a rappresentarla si ragunasse in assemblea , e facesse di comune consenso decreti, vogliono che il Principe sia tenuto come inferiore ad ubbidirla. Alcuni per contrario fanno il Monarca sovrano assoluto, talmente che la sua autorità prevalga sempre » quella eziandio dell' intiera nazione. Ma ciò non piace all' A. , e benchè ammetta cotal essere di fatto il governo presso alcuni popoli, egli lo disapprova perchè troppo facile a degenerare in tirannico e proprio di genti barbare anzichè di nazioni incivilite. Per queste, die'egli, la migliore e più conveniente forma di monarchia vuol essere temperata a un dipresso in questa guisa. Il Re comandi assoluto in tutto ciò, che per consuetudine, per istituto o per legge determinata fu messo in sua balia, per esempio far la guerra, ajnministrar lagiustizia, crear capitani e magistrati ecc. nè in ciò sia lecito a chicchessia de cittadini, anzi nemmeno all' intiera nazione di resistergli o di sindacarlo. In altre cose però, come impor tributi, abrogare o mutar leggi e quelle soprattutto che riguardano la successione del trono , e in altri capi somiglianti di gravissima importanza , riserbati per nazionale usanza al voto universale de' cittadini, l'autorità della nazione, purchè (avvertasi bene) tutta cospiri in un sol parere, prevalga a quella del Principe, il quale ancora potrà essere da lei frenato e punito nel caso di manifesta tirannia. Ma non potrebbe forsela nazione spogliarsi anche di questo diritto e dare al Re interissima balia di sè medesima? A tal domanda, non islarò gran fatto a contendere, risponde l'A., pel sì o pel no, purchè mi si consenta che la nazione opererebbe con imprudenza nel dare , e il Principe con temerità nel ricevere una tanto assoluta signoria, atteso il troppo rischio ch' ella correrebbe di finire in tirannide.
16. Ottimo dunque fra tutti i governi monarchici è il temperato, anzi il governo allora solo è veramente regio, quando intra modesliae et mediocritatis fines se contineat: ea-cessu poteslatis, guani imprudentes in dies augere sataguntmimiitur penitusque corrumptur [22]. E qui il Mariana entra in un gran panegirico della moderazione, e lo prosegue nei capi seguenti, inculcando qui con più forza quel che per tutto il libro va predicando ad ogni tratto ai Principi, quanto cioè loro importi e giovi il regnare con mitezza , il non lasciarsi inebriare dalle grandezze, nè sedurre dagli adulatori, peste eterna delle corti, a far abuso della potenza, loro data a bene pubblico; non essere già eglino sciolti da ogni legge, ma oltre le naturali e le divine dover essi rispettare tutte le leggi patrie, e precedere a tutti coll' esempio nell' osservarleil far altrimenti usando modi tirannici essere la più certa rovina delle dinastie e dei troni ecc. ecc. Venendo poi nell' ultimo capo a parlare in ispecie della religione, non solo vieta al Principe di governarla a suo talento o di usurparsi in veruna guisa il potere proprio del sacerdozio, ma gli ricorda l'obbligo gravissimo ch'egli ha di ubbidire all' autorità della Chiesa, e di farla rispettare ne'suoi stati, facendone osservare le leggi, onorandone i ministri, proteggendone i diritti e tutelandone le proprietà, il violar le quali, oltre l'essere delitto di sacrilegio, non valse mai, die' egli, ad arricchire Io stato, ma piuttosto ad impoverirlo, quasi contactu rerum sacrarum consumplis eliam regiis vecligalibus [23].
17. Tal è la sostanza delle dottrine politiche del Mariana, le quali noi siam venuti Cnqui fedelmente rappresentando colle sentenze medesime dell' A. allegate nel loro testo originale ovvero tradotte alla lettera o compendiate. Da questo può adesso il lettore formarsi un retto giudizio di questo scrittore, e delle sue teorie , note a molti per fama, a pochissimi per veduta, e perciò il più delle volte falsate or dalla passione demagogica di chi vorrebbe trovar in lui un panegirista e un corifeo di rivoluzioni, or dalla bile antigesuitica di chi volendo infamar tutto un Ordine cogli errori d' un solo suo membro, spera d'averne tanto miglior giuoco quanto più sarà riuscito ad esagerarli. E il giudizio del lettore ci giova credere che non discorderà gran fatto da quello che in sul conchiudere qui a maniera d' epilogo noi soggiungeremo.
18. Il Mariana adunque, a parer nostro, ha certamente errato in più d' un punto rilevantissimo della scienza sociale. E il suo errore capitale, da cui dipendono quasi tutti gli altri, consiste, come già abbiam detto, nel dare a tutte le monarchie un'origine democratica, non riconoscendo nei Re autorità legittima altrimenti che in virtù del primitivo consenso dato dai cittadini associantisi, i quali perciò nell' investire il Principe de' suoi poteri han potuto limitarli come lor piacque, riserbando a sè certi diritti di sovranità e quello soprattutto di correggere il Principe quando abusasse dell' autorità commessagli. Ora che ciò sia vero della politica costituzione di certi popoli non può negarsi; mail farne un principio universale e necessario d'ogni legittimo principato, assumendo perciò, che la sovranità sociale risieda essenzialmente nel consenso de' cittadini, ella è dottrina falsa e funesta, da noi già più volte condannata e confutata.

19.Ma gli errori del Mariana non solamente sono assai lontani da quegli eccessi mostruosi di anarchiche opinioni, che alcuni sogliono attribuirgli, ma ammettono ben anche più d' una scusa che ne attenua di non poco la reità intrinseca. In primo luogo le sue dottrine egli le tolse, quanto alla lor base fondamentale, dall' insegnamento allora usato nelle scuole , nelle quali per altro le questioni sociali poco trattavansi e quel poco senza tante cautele e sottigliezze, quante poi ne impose la trista esperienza delle rivoluzioni. Di più queste dottrine medesime egli le insegna non senza qualche titubanza e dubbiezza, più come probabili che come certe; e se nell'esporle trascorre talvolta a formole troppo audaci, queste si devono attribuire all' oratorio e libero modo del suo scrivere anzichè pesare a rigor di lettera. Ma la scusa precipua de' suoi errori sta nella ragion dei tempi e delle condizioni di quel mondo politico in cui e per cui egli scrisse.
Nel secolo del Mariana, che visse dal 1537 al 1624, e nella Spagna soprattutto dov' egli nacque e passò quasi tutta la sua lunga vita, gli spiriti erano volti a tutt' altro che a pensieri di ribellione. Se v' era allora qualche vizio o sconcerto nella macchina sociale, questo non era dalla parte del popolo che pendesse a sregolata libertà, ma piuttosto dalla parte dei regnanti, che saliti a potere più cbe mai grandissimo facilmente erano tentati d' abusarne. Quindi che il Mariana nel suo libro mentre dall' un Iato sembra poco o nulla darsi pensiero di rivoluzioni ne' sudditi, come di pericolo troppo lontano, dall' altro canto si mostra tutto sollecito e intesoa moderare il Principe, temendo quasi ad ogni tratto che non gli trascorra in prepotenze; e non rifina mai d'inculcargli la mansuetudine e la dolcezza , di ricordargli i limiti della sua autorità , di cautelarlo contro le bugiarde seduzioni degli adulatori, e di mettergli in orrore altissimo la tirannia. E qui notisi bene che il libro del Mariana non è indirizzato al popolo ma al Principe , ondechè tutto il male ch' ei dice de' tiranni non che mirar punto ad aizzare i sudditi contro i governanti, mira solo a mantener questi sulla retta via della giustizia, e con ciò ad allontanare sempre meglio ogni occasione o pericolo di civile perturbazione. Laonde, per tal rispetto, egli merita lode anzi che biasimo e l'intrepida libertà con cui egli, nella Corte del più potente monarca che allora fosse in Europa, predica ed inveisce contro gli abusi del despotismo, gli dovrebbe conciliare slima di valoroso zelatore del ben pubblico piuttosto che infamia di demagogo temerario.

Ora se tale fu l'intento dell' A., se tale la condizion de' suoi tempi volgenti più a tirannìa che a democrazia, chi non vorrà perdonargli d' essere incautamente trascorso un poco oltre il dovere, chi non lo scuserà d' aver troppo favorito la seconda allora impotente a nuocere , per soverchio zelo di opporsi ai minacciosi progressi della prima? Che se egli vivesse ai dì nostri e vedesse in che ambasce è tenuto il mondo dalla febbre rivoluzionaria, certamente non esiterebbe punto ed a correggere gli errori delle sue dottrine ed a prendere con egual zelo e coraggio la difesa dei Principi contro lasfrenata baldanza delle plebi ribelli, accorrendo colà dove il presente bisogno della società lo chiamerebbe. Imperocchè la virtù civile di chi ama il ben pubblico deve essere non meno savia che forte: come forte, ella non teme di levar alto la voce contro i prepotenti, chiunque essi si siano, Principi o popoli; e come savia, ella adatta sempre i mezzi al fine , variandoli come richiedono le circostanze e i tempi , salvi però sempre i diritti sacrosanti della verità la quale è una ed immutabile. Ma il serbare sempre inviolata la verità in mezzo al conflitto procelloso di tanti elementi che le fan guerra, non è già cosa facile: ella non è dote di niun savio e di niun'assemblea di savii, ma è privilegio sovrumano esclusivamente proprio di quella maestra sovrana di verità che Dio ha dato agli uomini per guidarli sicuri fra le tenebre di questa vita mortale, cioè della Chiesa Cattolica.




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1 - Vedi il precedente voi. pag. 593 e segg.
2 - De Rege et Hegit institutione. Moguntiae 1605. L. l.p»E- 23. 
3 - Ivi pag. 57.
4 - Mutuo te cum aliit .incielalis foedcre constringere et ad unum aliquem iustitia (ideque praestantem respicere coeperunt, cuiuspraesidio domenicas exlernasque iniurias prohiberent, aequitate constituenda summos cum infimis atque cum his mediot aequabili dexiinctos iure retinerent. Itinc urbani coetusprimum, regiaque moiestas orta est, quae non divitiis et ambitu. sed moderatione, innocentia pertpectaque virtute olim obtinebatur. De Rejjc et Kegis lnstitutione. Moguntiae 1G05. L. I, pag. 16.
5 - Quibus sermonis facultatem dederat ut congregari possent, animi sensus et Consilia aperire invicem (quod ipsum amoris magnum incitamentum est ), eosdem ut vellent, ac vero necessario facerent, multarum rerum indigos, multis nericalis malisque obnoxia procreavit. Ivi pag. 14.
6 - L. c. pg. 19. — 
7 Ivi pag. 46.
8 - Cimento Anno secondo. Seconda Serie. Voi. IV, pag. 375. 
9 - L. e. ptg. 28. 
10 - Ivi pag. 34. 
11 - L. c. pag. 35. 
12 - Ivi pag. 36.  
13 - Ivi pag. 38.  
14 - Ivi pag. 43. 
15 -  L. c. pag. 44.  
16 - Ivi pag. SI. 
17 - Ivi pag. 58. Serie II, voi. XII. A 
18 - L. c. pg. 60.  
19 - Ivi pg. 63. 
20 - L. c. pag. 69.  
21 - Ivi pag. 70. 
22 - L. c. pag. 74. 
23 - L. c. pag. 97.

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